venerdì 3 gennaio 2020

Paolo VI e l'arte contemporanea


Paolo VI e l'arte contemporanea

Perseguì con tenacia il dialogo con quelli che definiva «i guardiani della bellezza nel mondo»

Quella sera, il 28 giugno del 1964, lo scultore bergamasco Giacomo Manzù stava salendo le scale della basilica di San Pietro, sopraffatto dalla bellezza del tramonto sulla piazza e affascinato dall'andirivieni delle rondini, «indaffarate a cucire il crepuscolo alla notte».
Come racconta Curtis Bill Pepper nel suo Un artista e il Papa (Mondadori, 1968), era in compagnia del figlio Pio, del cognato e del banchiere Raffaele Mattioli. In cima al cancello centrale sostava un gruppo di curiosi intenti a sbirciare oltre la tenda. La basilica era stata già chiusa, quindi appena oltrepassato il cancello, furono accolti da un monsignore che annunciò loro: «Il Santo Padre sarà qui tra poco (...) È appena sceso dall'ascensore e adesso sta pregando sulla tomba di San Pietro».
Nell'attesa lo scultore si guardava intorno. Rimuginava tra sé le ragioni per cui l'inaugurazione della sua Porta della Morte stesse avvenendo in sordina senza nessuna celebrazione-benedizione pubblica. Tutto stava accadendo dietro una sorta di sipario e senza invitati, al solo cospetto del Papa, di qualche dignitario e di due diplomatici tedeschi. Non erano state invitate neanche le mogli. Infine Paolo VI, seguito da alcuni dignitari, arrivò. Manzù notò che «appariva sorpreso, come se avesse appena saputo che sotto il porticato della sua chiesa stava succedendo qualcosa di insolito».
Dopo aver salutato l'artista, il Papa rivolse uno sguardo malinconico verso la porta. Manzù pensò ancora: «Ecco un uomo molto chiuso e molto sensibile, e inguaribilmente triste». Il silenzio durò a lungo. Poi il Pontefice, indicando con un gesto vago i pannelli bronzei, chiese allo scultore: «Se vuol spiegarci il significato di tutte queste». «Sì Santità», rispose Manzù. Ma da quella spiegazione appassionata il Papa non parve particolarmente colpito, tanto che si mise a parlare con l'ambasciatore tedesco, allontanandosi un po' dall'artista.
Prima di andarsene, però, si girò verso lo scultore e gli disse: «Dio la benedica». Quindi, silenziosamente, sparì nel buio della Basilica con tutto il suo seguito.
Quell'apparente indifferenza, quell'indecifrabile silenzio, mortificarono lo scultore che, forse con troppa enfasi, aveva cercato di spiegare la propria opera. Invece, al di là della prima impressione e della suscettibilità di Manzù, probabilmente Paolo VI rielaborò tutto quello che l'artista gli aveva detto e lo fece suo. Del resto Montini da decenni studiava e amava l'arte contemporanea.
La sua raccolta d'arte, che ha preso il nome di Collezione Paolo VI — Arte Contemporanea, conta infatti ben settemila opere, molte delle quali provenienti da lasciti e donazioni successivi al 1987, anno della sua costituzione. Oggi viene celebrata con una nuova e più degna sede espositiva a Concesio, nei pressi di Brescia, a poca distanza dalla casa natale di Giovanni Battista Montini, e ci rivela più che mai quella «volontà di capire» con cui il Papa bresciano si avvicinò all'arte contemporanea con totale apertura e libertà da ogni pregiudizio. Le sue scelte parlano chiaro: egli era convinto che se l'arte è autentica, pur nelle sue manifestazioni più audaci ed estreme, è di per sé religiosa e vicina al sacro.
Né va poi mai dimenticato che nel maggio del 1964 Paolo VI fece un memorabile discorso agli artisti — lo scorso 21 novembre celebrato da Benedetto XVI nella Cappella Sistina — in cui faceva il punto su una situazione di silenzioso imbarazzo che nel tempo si era stratificata tra Arte e Chiesa. Sommessamente quanto umilmente agli artisti è stato ripetuto — ieri come oggi — «Noi abbiamo bisogno di voi».
In effetti gli artisti, perdendo la committenza della Chiesa, che non aveva solo un peso economico, ma rappresentava un faro che illuminava una via da percorrere, si sono trovati a combattere una battaglia del tutto individuale e spesso fitta di incertezze e ostacoli, soprattutto interiori.
L'appello di Paolo VI, quindi, arrivò al momento giusto, mentre infuriavano insensate battaglie tra i vari «ismi». Soprattutto restano attuali alcuni concetti che egli espresse all'epoca: «Il nostro ministero è quello di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell'invisibile, dell'ineffabile, di Dio (...) E in questa operazione voi siete maestri (...) La vostra arte è quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forma, di accessibilità (...) Bisogna ristabilire l'amicizia tra la Chiesa e gli artisti».
Paolo VI aveva capito che la questione non era quella di aderire a una tendenza piuttosto che a un'altra, indicando una via precisa allo sviluppo di un genere di pittura o di scultura cosiddette «sacre», ma aveva avuto un'intuizione ben più profonda: attraverso l'arte la Chiesa avrebbe avuto la possibilità di capire meglio l'uomo contemporaneo.
L'originalità della Collezione Paolo VI si basa quindi su una dimensione non territoriale ma universale. Ed è inoltre l'unico museo al mondo che come filo conduttore non ha scelte dettate dal gusto o dalla moda, ma dalla volontà di un Pontefice. Il quale non ha assemblato solo opere di arte religiosa, ma si è avvalso anche di donazioni di opere di grandi artisti svincolati dal tema del sacro.
La Collezione Paolo VI è un'occasione per addentrarsi nell'arte contemporanea seguendo il gusto e il pensiero del Papa bresciano. Egli aveva capito che bisognava smontare l'incomprensione che la Chiesa aveva dimostrato per l'arte del ventesimo secolo, arrivando al punto di teorizzare «la morte dell'arte». E quindi perseguì con tenacia il dialogo con gli artisti del proprio tempo, che definì «guardiani della bellezza del mondo».
Ma ciò che nel discorso della Cappella Sistina del 1964 è valido ancora oggi, riguarda una frase in cui si ammonisce un'eventuale committenza della Chiesa a non ricorrere più «ai surrogati, all'oleografia, all'opera d'arte di pochi pregi e di poca spesa». Un invito ancora valido se pensiamo alle opere vincitrici del recente concorso indetto dalla Conferenza episcopale italiana per le nuove chiese.
Ricordiamo, tra l'altro, che tra gli anni Venti e Trenta monsignor Montini coltivò l'amicizia con il filosofo cattolico francese Jacques Maritain, da cui attinse l'ispirazione per scrivere nel 1931 il libro Sull'arte sacra futura , ispirato alla tradizione dello spirituale nella ricerca dell'arte moderna. Inoltre già negli anni Cinquanta, quand'era arcivescovo di Milano, fece di tutto perché la Chiesa riportasse nei luoghi sacri opere di artisti capaci di testimoniare la condizione umana, di suscitare stupore e di indicare ai fedeli «l'accesso al mistero».
Tornando alla mostra della Collezione Paolo VI, il percorso della visita propone una sala di natura iconografica dedicata a san Paolo e spazi monografici su autori come Gino Severini, Salvador Dalì e Mario Sironi, celebri esponenti delle avanguardie storiche, i quali si misurano nelle opere esposte con un modo nuovo di interpretare il linguaggio dell'arte religiosa. Né manca una campionatura molto significativa delle varie tendenze della pittura italiana dagli inizi del Novecento agli anni Settanta.
Comunque troviamo apprezzabile che non si sia trascurata la presenza dell'arte astratta, rappresentata dai suoi maggiori esponenti (Mario Radice, Emilio Vedova, Hans Hartung, Giuseppe Capogrossi, Ettore Colla, Lucio Fontana) e dalle diverse declinazioni di tale corrente, la quale pur oscillando tra una geometria rigorosa e il lirismo della materia, dimostra come anche un linguaggio aniconico si possa associare al tema religioso.
Per quanto riguarda invece il percorso legato ai «realismi», notevole è la presenza di artisti come Pablo Picasso, Marc Chagall, Georges Rouault, Henri Matisse, Ferruccio Ferrazzi, Felice Casorati, Giorgio Morandi.
Peccato che sfogliando il catalogo si debba notare che a illustrare nomi altisonanti ci siano spesso immagini di opere minori.
Al termine dell'itinerario espositivo si trovano due sale monografiche. La prima dedicata a Jean Guitton, filosofo e letterato, ma anche artista di grande originalità che fu molto amico e consigliere spirituale di Paolo VI. La seconda è invece destinata completamente a Giovanni Battista Montini, che ci appare attraverso i ritratti che gli hanno dedicato artisti come Mario Sironi o Ugo Attardi, Ernst G. Hansing o Dina Bellotti.
La Collezione di Concesio dialoga a distanza con la Collezione d'Arte Religiosa Moderna dei Musei Vaticani, che sempre Paolo VI istituì nel 1973. Nella raccolta vaticana, però, le opere non sono necessariamente di connotazione religiosa o liturgica, ma sono state richieste ad artisti come «dono della loro creatività» a dimostrazione che sono nuovamente protagonisti della vita della Chiesa. In quel museo infatti Papa Montini ci tenne a onorare le storiche raccolte vaticane con il «genio espressivo del nostro tempo».
La raccolta che oggi è a Concesio è invece legata sia a personali rapporti di amicizia che al dialogo con gli artisti, a cui il Pontefice chiese di interpretare i temi dell'evangelizzazione, poiché era suo desiderio riuscire a promuovere un'arte capace di misurarsi con il messaggio della Chiesa. 

 http://www.osservatoreromano.va/it/news/paolo-vi-e-larte-contemporanea


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