Per comprendere appieno la maestosa narrazione dell’arco sistino occorre prestare attenzione, oltre ai Vangeli dell’infanzia di Matteo (1-2) e Luca (1-2), alla tradizione apocrifa con una particolare attenzione al Protovangelo di Giacomo e al Vangelo dello Pseudo Matteo; oltre alle fonti testuali, inoltre, va notato il pensiero teologico della committenza che nella disposizione delle scene crea, all’interno dell’arco, una nuova cronologia narrativa rispetto a quella del testo evangelico, un espediente funzionale non tanto e non solo a un’articolazione interna nell’assetto dei riquadri ma, necessaria per l’esplicitazione del messaggio proclamato (lo stesso accorgimento vale anche per alcuni dei riquadri raffiguranti le storie dei patriarchi). Si pensi ad esempio al secondo sogno di Giuseppe (primo registro a destra) nel quale l’angelo del Signore ordina a Giuseppe di fuggire in Egitto perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo, scena che nell’arco sistino anticipa l’adorazione dei Magi (secondo registro a sinistra). Quest’anticipazione permetteva di collocare la fuga in Egitto sopra alla scena dell’incontro di Afrodisio con Gesù (secondo registro a destra), avvenuto sempre in terra d’Egitto e di collocare l’adorazione dei Magi sullo stesso registro di Afrodisio, creando così una potente immagine del riconoscimento della Signoria di Cristo suddivisa in due tempi, Magi e Afrodisio, in antitesi con quanto raffigurato al di sotto, nel terzo registro, dove si assiste al disconoscimento di Cristo nella figura di Erode, re cieco nella sua crudeltà. Singolare è la raffigurazione dell’annunciazione non tanto per il chiaro riferimento alla tradizione apocrifa esplicitato in Maria che tesse la porpora (ricordiamo due illustri confronti ravennati nel sarcofago Pignatta e nella Cattedra d’Avorio di Massimiano) quanto per l’impianto iconografico che crea un’immagine solenne. Maria vestita con abiti d’oro, impreziositi da gemme e perle, siede su un ampio trono circondata dalla corte celeste. Sopra di lei, tra nubi apocalittiche, sono la colomba dello Spirito Santo e l’angelo Gabriele. Accanto all’annunciazione è il primo sogno di Giuseppe espresso in un’insolita iconografia. Egli, a differenza di quanto si legge nel testo evangelico, non sta dormento, ma è vigile, in piedi davanti all’angelo (nella cattedra d’avorio di Massimiano, invece, è raffigurato conformemente alla tradizione matteana). Un dettaglio non deve sfuggire: Giuseppe regge una piccola verga che rievoca il momento in cui, secondo la tradizione apocrifa, egli, secondo il progetto di Dio, accoglie Maria nella sua dimora. Si rafforza così la figura di Giuseppe, uomo giusto, e disponibile al disegno divino (si veda il testo completo dello Pseudo Matteo in allegato). Sulla destra del primo registro, come già è stato anticipato, ammiriamo la presentazione al tempio e il secondo sogno di Giuseppe. L’incontro tra Gesù, Simeone e Anna, avviene secondo un’iconografia inconsueta e di non facile lettura, come singolare appare la scena dell’adorazione dei Magi nel secondo registro, dove il Bambino non figura in braccio alla Madre, bensì assiso su di un enorme trono gemmato, mentre essa gli siede accanto. I Magi non sono disposti in processione, bensì collocati uno alla sinistra e due alla destra del Bambino. Essi hanno gli occhi puntati sulla stella che il primo Mago indica, una stella enorme, posta sopra al Cristo, immagine, quella della stella, rievocata nel testo dello Pseudo Matteo: «Pure una enorme stella splendeva dalla sera al mattino sopra la grotta; così grande che non si era più vista dalla creazione del mondo. I profeti che erano a Gerusalemme dicevano che questa stella segnalava la nascita di Cristo, che avrebbe realizzato la promessa fatta non solo a Israele, ma anche a tutte le genti» (13, 7). Leone Magno, ricordando la stella dei Magi, ebbe a dire: «Nell’Oriente apparve a tre Magi una stella di insolito splendore, tale che superando in luminosità e bellezza tutte le altre stelle, facilmente attirava a sé gli occhi e la mente di coloro che l’ammiravano, così da far capire subito che non era senza ragione ciò che appariva tanto insolito. Colui che offrì questo segno, diede anche la capacità di intenderlo a coloro che osservavano il cielo, e quel che fece loro comprendere glielo fece anche cercare, e divenuto Egli stesso oggetto di ricerca fece sì che lo trovassero» (Sermone 12 sull’Epifania, 1. 3). Pietro Crisologo, il cui episcopato ravennate (426-450) coincide in parte con quello di Leone Magno, parlando dell’incarnazione del Verbo, nel quarto discorso sull’annunciazione indugia sulla luce della stella: «La sublimità dell’evento ci induce e la grandezza del mistero ci costringe a rinviare il discorso sulla nascita di Cristo. La Vergine ha partorito: chi parlerà? Il Verbo si è fatto carne: chi ne farà il racconto? Se il Verbo di Dio emette il vagito dell’infanzia, l’uomo, divenuto per tale motivo perfetto, come alzerà la sua voce per parlare del Verbo? Quanta luce di notte la stella offrì ai Magi che erano alla ricerca, altrettanta luminosità offre agli uditori il discorso di chi insegna [chi insegna è il vescovo] sulla nascita del Signore, affinché godano di aver trovato Cristo, non presumano di fare indagini, con doni onorino, non già avviliscano la sua infanzia. Ma pregate, fratelli, perché colui che gradatamente crebbe in un corpo come il nostro, a poco a poco si degni di crescere nella nostra parola» (Sermone 144, 1).
Ai Magi corrisponde la figura di Afrodisio, governatore della città di Sotine in Egitto, figura che con essi crea un perfetto parallelismo sul tema del riconoscimento della Signoria di Cristo da parte dei regni della terra. Afrodisio, più dei Magi, rappresenta i popoli pagani nella misura in cui l’Egitto simboleggia il luogo della più antica idolatria. Scrive Leone Magno: «Il Salvatore fu portato perfino in Egitto, perché quel popolo soggetto ad antichi errori fosse contrassegnato per la salvezza ormai vicina mediante la grazia nascosta, e pur non avendo ancora rigettato la superstizione dal suo cuore, offrisse ospitale accoglienza alla Verità» (Sermone 13, 1.4, secondo sull’Epifania). La storia di Afrodisio, riportata dallo Pseudo Matteo, racconta di quando Cristo entrò nel tempio di Sotine, detto il campidoglio d’Egitto, provocando la distruzione dei trecentocinquantacinque idoli «ai quali ogni giorno erano tributati, in modo sacrilego, onori divini. […] Quando la notizia fu riferita ad Afrodisio, governatore di quella città, venne al tempio con tutto il suo esercito. Visto che Afrodisio con tutto il suo esercito era venuto al tempio, i pontefici del tempio pensarono che si fosse affrettato per vendicarsi contro coloro a causa dei quali erano caduti gli idoli. Egli, invece, entrato nel tempio, visti tutti gli idoli giacere prostrati con la faccia a terra, si appressò alla Beata Maria che portava il Signore sul suo seno, l’adorò e disse a tutto il suo esercito e a tutti i suoi amici: – Se questi non fosse il dio dei nostri dei, i nostri dei non sarebbero assolutamente caduti davanti a lui con la faccia a terra, né giacerebbero prostrati al suo cospetto. Noi dunque se non faremo tutti, con la più grande attenzione, ciò che vediamo fare ai nostri dei, potremo incorrere nel pericolo della sua indignazione e andare tutti incontro alla morte, come accadde al faraone re d’Egitto il quale, non avendo creduto a così numerosi prodigi, fu sommerso in mare con tutto il suo esercito» (22, 2; 24, 1). Il terzo registro presenta la strage degli innocenti, qui raffigurata per la prima volta, e i Magi davanti al re Erode: egli compare come protagonista in entrambe le scene divenendo l’immagine del re illegittimo che, accecato dal potere di questo mondo, si chiude alla grazia. Eppure anche Erode, scrive Leone Magno, «finiva per favorire senza saperlo questo piano divino. Avvenne infatti che, mentre costui tutto preso dall’atroce delitto perseguitava il fanciullo a lui ignoto con una strage indiscriminata di bambini, la voce della nascita del Sovrano annunziata dal cielo si diffondeva dovunque con maggior risalto, resa più facile a divulgarsi e più precisa sia dalla novità del segno celeste che dall’empietà del sanguinario persecutore» (Sermone 13, 1.3 secondo sull’Epifania). Questi bambini, barbaramente uccisi, sono visti come i primi martiri della chiesa. A commento del passo evangelico Leone Magno ebbe a dire: «Egli, infatti, per mostrare quale sia la gloria preparata per quanti lo imitano, consacrò col martirio i fanciulli nati nei giorni della sua nascita; sicché, nati come Cristo a Betlemme, associati a Lui per la medesima età, essi divennero compartecipi della sua passione» (Sermone 18, 4.4).
L’arco sistino di Santa Maria Maggiore si pone come un potente manifesto dogmatico che dall’annunciazione sino alla strage degli innocenti esprime la fede nel Signore Gesù Cristo, l’Unigenito figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Colui che per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Una simile espressione di fede ortodossa legata al mistero della nascita del Cristo doveva trovarsi a Ravenna, non a caso nell’omonima Basilica di Santa Maria Maggiore, basilica che il vescovo Ecclesio dedicò alla «santa e sempre Vergine immacolata Maria», nella cui volta absidale – come riportato dal Liber Pontificalis ravennate – era «l’effigie della Santa Madre di Dio e mai occhio umano ha potuto vedere qualcosa di simile ad essa. Chi abbia voluto a lungo contemplare quell’immagine, troverà sotto ai suoi piedi versi che dicono così: Rifulge l’aula della Vergine, che ricevette Cristo dal cielo e prima dal cielo venne un angelo ad annunziarlo. Mistero! Genitrice del Verbo ed eternamente vergine, e fu fatta madre del Signore che l’aveva creata. Riconoscono la verità i magi, gli zoppi, i ciechi, la morte e la vita. Ecclesio consacra il tempio a Dio».
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