giovedì 24 aprile 2025

La Chiesa della carità, di Bruno Forte


La Chiesa della carità

dell'Arcivescovo Bruno Forte 




1 In principio la carità. Nelle lettere pastorali degli ultimi anni ho trattato il tema dell’educazione alla fede, presentandola come proposta della buona novella di Gesù (2011-2012: Sulla via di Emmaus), trasmissione dell’esperienza dell’incontro con il Dio vivo (2012-2013: In cammino con i Magi), attività fondamentale in cui si esprime la maternità della Chiesa (2013-2014: La Chiesa madre dei credenti), volto concreto della sua missione (2014-2015: Chiesa “in uscita”), che si realizza pienamente solo se si dà il primo posto in tutto all’amore misericordioso con cui l’Eterno ci raggiunge e ci salva (2015-2016: La misericordia, cuore del Vangelo, anima della Chiesa). In continuità con l’attenzione rivolta all’educazione alla fede, vorrei ora riflettere sull’educazione alla carità, certo di quanto afferma l’Apostolo Paolo per il quale “la fede si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6). La carità sta all’inizio dell’esistenza della Chiesa, generata dal dono dell’amore trinitario, è l’anima profonda e il respiro della sua vita e si offre al suo cammino come la meta verso cui tendere, perché nella Città celeste Dio sarà tutto in tutti e la carità che unisce le Persone divine sarà gioia e pace in eterno per tutti i beati. “Ecclesia de Trinitate - Ecclesia de caritate”: la Chiesa che nasce dalla Trinità e tende verso la patria trinitaria, è la Chiesa della carità, che è suscitata dall’amore e vive dell’amore, per giungere alla Gerusalemme del cielo, dove l’amore non avrà mai fine.

2. La carità e il rinnovamento della Chiesa. Ci aiuta a comprendere il significato fondamentale della carità per la vita della Chiesa una considerazione di Joseph Ratzinger, futuro Papa Benedetto XVI, che da giovane professore di teologia scriveva: “Il rinnovamento ecclesiale non consiste in una quantità di esercizi e istituzioni esteriori, ma nell’appartenere unicamente ed interamente a Gesù Cristo... Rinnovamento è semplificazione, non nel senso di un decurtare o di uno sminuire, ma nel senso del divenire semplici, del rivolgersi a quella semplicità vera… che è eco della semplicità del Dio uno” (J. Ratzinger, Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1971, 301. 303). Chi intende rinnovare la vita ecclesiale deve sforzarsi di divenire semplice, partecipando alla vita del Dio che è Amore e mettendo ordine nella propria vita, sì da dare il primo posto alla carità nella docilità allo Spirito dell’amore eterno, infuso dal Figlio nel cuore di chi crede. Questo sarà possibile se i battezzati si nutriranno dell’incontro con Cristo, perché - come scriveva nella Sua prima Enciclica Benedetto XVI - “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus caritas est, n. 1). A sua volta Papa Francesco afferma: “La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale” (Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, 24 Novembre 2013, n. 264). Chi è innamorato di Cristo, vive di Lui e lo annuncia, testimoniando la carità in ogni gesto o parola.

3. La carità e la sequela di Gesù. È dunque nella sequela di Gesù che s’impara ad amare nel grembo vivo della comunità cristiana: “Sì, amore è ‘estasi’, estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio” (Deus caritas est, n. 6). L’amore di cui Gesù ci ha dato prova e che Lui accende in noi è la via per realizzare la nostra vocazione di creature fatte a immagine del Dio che è carità: “L’amore è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati a immagine di Dio” (n. 40). Chi accoglie il Signore Gesù nel suo cuore sperimenta l’incontro con l’amore che rende capaci di amare al di là di ogni misura di stanchezza, di ogni ferita dell’anima. Proprio così l’amore di Cristo mette sempre di nuovo in moto la giovinezza della Chiesa, il suo slancio operoso e creativo d’amore fra gli uomini: “Fare quanto ci è possibile con la forza di cui disponiamo, questo è il compito che mantiene il buon servo di Gesù Cristo sempre in movimento: ‘L’amore del Cristo ci spinge’ (2 Cor 5, 14)” (n. 35). L’esercizio umile e concreto della carità - dalle sue espressioni personali alle sue forme organizzate, in particolare la Caritas, che è l’organismo pastorale cui è ufficialmente affidato il compito di coordinare le iniziative e le opere caritative della comunità cristiana - si offre come la via per ritrovare lo slancio che rende il discepolo e la Chiesa presenti e attivi sul proprio territorio e nel mondo, capaci di anticipare nel presente degli uomini l’avvenire dell’amore eterno. Tutti siamo chiamati a interrogarci su come viviamo la carità nei confronti di quelli con cui Gesù stesso s’identifica (cf. Mt 25,35s): gli indigenti (“ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito”), gli infermi (di malattie fisiche e/o psichiche: “ero malato e mi avete visitato”), i carcerati (dai detenuti, a quanti sono schiacciati dalle prove della vita, in particolare alle famiglie oppresse dalla disoccupazione, ai bambini figli di genitori in difficoltà, a quanti non riescono a uscire dalla prigione del male e del peccato: “ero in carcere e siete venuti a trovarmi”…).

4. Vivere la carità nella vita quotidiana. Per essere fonte di vita nuova in Cristo, la carità va vissuta anzitutto a livello personale e nei rapporti immediati: l’inno all’amore della prima lettera ai Corinzi di Paolo lo spiega in maniera chiara, specialmente nei versetti su cui ha voluto riflettere Papa Francesco nel capitolo IV dell’Esortazione Amoris Laetitia (19 Marzo 2016): “La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,4-7). Papa Francesco applica le espressioni di questo testo a ogni relazione di amore, specie a quelle in cui si realizza l’esistenza concreta della famiglia: così, la pazienza è frutto dell’amore, “che porta ad accettare l’altro come parte di questo mondo, anche quando agisce in un modo diverso da quello che io avrei desiderato” (n. 92); la benevolenza è l’aspetto attivo della pazienza (cf. n. 93), il rifiuto di ogni invidia, vanagloria e arroganza; l’amabilità è l’amore che “non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel tratto” (n. 99); il perdono nasce dal sapere che, “se accettiamo che l’amore di Dio è senza condizioni, che l’affetto del Padre non si deve comprare né pagare, allora potremo amare al di là di tutto, perdonare gli altri anche quando sono stati ingiusti con noi” (n. 108). Da questa carità vissuta nascono la gioia e la capacità di rallegrarsi con l’altro: in tal senso, la famiglia, dove la persona umana nasce, si sviluppa e vive la prima esperienza dell’amore, “dev’essere sempre il luogo in cui chiunque faccia qualcosa di buono nella vita, sa che lì lo festeggeranno insieme a lui” (n. 110). Ed è sempre la carità che induce a scusarsi e a scusare, perché “l’amore convive con l’imperfezione, la scusa, e sa stare in silenzio davanti ai limiti della persona amata” (n. 113), dando fiducia e sperando sempre “che sia possibile una maturazione, un sorprendente sbocciare di bellezza”, in se stessi e nell’altro (n. 116). “L’amore non si lascia dominare dal rancore, dal disprezzo verso le persone, dal desiderio di ferire o di far pagare qualcosa” (n. 119). Il perdono è l’espressione più alta dell’amore.

5. Esaminiamoci sulla carità. Alla luce di queste riflessioni, vorrei invitare tutti noi a fare un esame di coscienza personale e comunitario, come stimolo a maturare i doni di carità che lo Spirito potrà seminare in ciascuno. Elenco gli impegni cui siamo chiamati, affinché la nostra Chiesa dia volto al cuore di Cristo, amore incarnato di Dio, che pulsa in lei. In primo luogo, dobbiamo aver sempre presente che Gesù ha fatto in tutto la scelta dei poveri, è presente nei poveri e ci chiama ad amarli (cf. Mt 25,31ss). Nei poveri possiamo “scorgere i tratti del volto di Dio - spesso sfigurato e senza apparenza né bellezza alcuna (cf. Is 53,2) - e la sua chiamata a conversione” (cf. “Lo riconobbero nello spezzare il pane” - Carta Pastorale della Caritas Italiana, 16 aprile 1995, 1). Perciò i poveri hanno diritto a essere al centro della nostra attenzione e del nostro amore: lo sono? La povertà è, inoltre, lo stile di vita di Gesù, che è nato povero, ha vissuto da povero ed è morto povero. Sul Suo esempio chi vuol servire i poveri deve “essere con” loro, prima ancora dell’“essere per” loro. Siamo una Chiesa povera e serva dei poveri, senza orpelli, libera dalle seduzioni della ricchezza e del potere? Ci sforziamo di vivere la sobrietà, la semplicità, l’umiltà e la compagnia degli ultimi, nei loro bisogni e nelle loro prove? L’amore che viene da Cristo e l’esempio che Lui ci dà sono la motivazione prima del nostro servizio del prossimo? Chiediamoci se la carità è viva e riconoscibile nei nostri rapporti fraterni, come nelle diverse forme del nostro impegno per gli altri: siamo la Chiesa della carità, che Cristo vuole, secondo quanto ci ha detto: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35)? Diamo ascolto ai poveri, ai piccoli, ai deboli, ai giovani, agli anziani, alle famiglie in difficoltà? Nelle nostre parrocchie i poveri sono presenti solo come “utenti” dei vari servizi o sono parte attiva della vita della comunità?

6. Le opere della carità. Compito fondamentale di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa è quello di annunciare e testimoniare Gesù nell’amore reciproco, educandoci all’impegno caritativo come prioritario, secondo la parola del Signore: “Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 15,17). Dobbiamo perciò chiederci: come viviamo concretamente il primato della carità in tutte le espressioni della nostra vita, a tutti i livelli, dalla vita personale a quella familiare, dalle relazioni sociali alla vita parrocchiale, dal livello zonale a quello diocesano, nella comunione della Chiesa universale? Le opere segno della carità richiedono nel loro sorgere come nella loro attività ordinaria il coinvolgimento il più largo possibile di tutti i battezzati e la collaborazione di tutte le donne e gli uomini di buona volontà. Mentre siamo chiamati a riconoscere nelle opere di accoglienza e di servizio ai più poveri, che già esistono fra noi, uno stimolo a sensibilizzarci tutti alle sfide sempre nuove della povertà, cerchiamo di conoscerle da vicino e di collaborarvi, vedendo in esse una scuola concreta di educazione al volontariato. Vorrei sottolineare che il volontariato non è una via per cercare gratificazioni, ma dovere intrinseco alla vita del cristiano e di chiunque voglia realizzare se stesso secondo il disegno di Dio, che ci chiama alla gratuità. L’accoglienza del povero, dell’immigrato, del rifugiato, è il segno visibile della nostra accoglienza di Cristo: “Ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito” (Mt 25,35). Nell’avvicinare e accogliere il povero - dice Papa Francesco (Misericordiae Vultus 15) - “le nostre mani stringano le loro mani… ed essi sentano il calore della nostra persona …”. I “centri di ascolto”, attivati a livello diocesano, in diverse zone pastorali e in singole parrocchie, siano luoghi di vera accoglienza, di ascolto e di accompagnamento delle persone e abbiano come finalità l’integrazione del nuovo arrivato nella comunità.

7. I protagonisti della carità. Tutti nella Chiesa sono chiamati a essere testimoni e protagonisti attivi della carità. Il vescovo e i presbiteri devono vivere la carità come nutrimento decisivo e segno forte di credibilità del loro servizio, via necessaria per la formazione della comunità e dei singoli battezzati. Possiamo dire che come pastori ci sforziamo fino in fondo nel realizzare questa chiamata? Ci impegniamo tutti a promuovere, sostenere e far conoscere la Caritas, nelle svariate forme della sua azione, a cominciare da quella educativa, che è premessa di ogni altra? Chi è stato chiamato al diaconato permanente ricordi che sin dalle origini la Chiesa ha affidato ai diaconi il servizio delle mense, espressione di un esercizio assiduo e perseverante della carità, e s’impegni a promuovere, seguire e sostenere tutte le attività ispirate dalla carità nella comunità cristiana. I religiosi e le religiose, consacrati a imitare Cristo nella povertà e ad amarlo servendo in modo peculiare i poveri, vivano fedelmente questa loro vocazione alla carità, che rende credibile e attraente la loro consacrazione a Dio con cuore indiviso. La carità deve infine essere il segno di riconoscimento di ogni battezzato: tutti i fedeli si sentano chiamati a collaborare alle iniziative della carità della Chiesa nella misura delle loro capacità e delle loro possibilità e rispondano generosamente a questa chiamata. Diversamente non si testimonierà il Vangelo, perché - come ha detto Gesù - “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35). Non c’è nessuno così povero di doni che non possa dare qualcosa, anche un’ora sola del suo tempo per gli altri o l’offerta a Dio delle proprie sofferenze e fatiche per il bene di chi più ha bisogno.

8. Chiediamo a Dio il dono della carità! Invito tutti a pregare con perseveranza affinché l’esercizio generoso della carità qualifichi la vita di ognuno di noi e sia segno eloquente di credibilità della nostra testimonianza e di quella di tutta la comunità cristiana. Ci aiuti l’esempio di Maria, madre dell’Amore incarnato di Dio e testimone della carità in ogni suo atto, dall’ora dell’annunciazione a quella della visitazione, dalla presenza a Cana a quella presso la Croce, dall’esperienza del Cenacolo e degli inizi della missione cristiana alla Sua costante intercessione in cielo per tutti noi. Ci aiutino l’esempio e l’intercessione dei Santi della nostra Chiesa diocesana: San Giustino, che per amore del nostro popolo rinunciò alla pace dell’eremo e si fece carico del ministero episcopale, promuovendo l’unità nella carità della comunità a quel tempo lacerata; San Camillo de’ Lellis, modello di carità verso gli ammalati; San Francesco Caracciolo, testimone di operosa carità verso i poveri, attinta a un grande amore all’eucaristia. Ci sostengano i Santi della carità del nostro tempo, a cominciare da Madre Teresa di Calcutta, la cui canonizzazione indica alla Chiesa intera che il primato assoluto spetta in tutto alla carità. Chiediamo al Padre il dono dell’amore che viene da Lui, perché grazie ad esso seguiamo con radicalità il Signore Gesù e ci lasciamo guidare dal soffio dello Spirito sulle vie, a volte impervie e spesso nuove e sorprendenti, cui la carità ci chiama: Dio, Padre di misericordia, che hai rivelato il Tuo amore infinito nel Figlio Tuo Gesù Cristo, fatto uomo per noi, donaci di sperimentare così profondamente il Tuo amore da diventare noi stessi testimoni e operatori di carità per tutti quelli a cui ci mandi e che ci affidi. E Maria, madre di misericordia, interceda per noi, per aiutarci a vivere con fede e cuore generoso la carità in ogni scelta e in ogni tempo, docili all’azione dello Spirito Santo, soffio dell’eterno Amore. Amen!





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La Chiesa della carità, Lettera pastorale per l’anno 2016-2017, dell'Arcivescovo di Chieti Mons. Bruno Forte


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