Le grotte di Betlemme
Memorie lontane e recenti restauri
di Fabrizio Bisconti
La topografia, i luoghi e la storia di Betlemme ci parlano di diversi
santuari, che si dislocano nel villaggio e nel suo hinterland, a
cominciare dal sito riferito alla memoria dell’annuncio ai pastori da
parte di un angelo, secondo il luogo lucano (2, 8-12). Il sito doveva
essere ben conosciuto, già al tempo di Girolamo, che, ricordando il
percorso della sua seguace Paola, in occasione del suo primo viaggio a
Betlemme, descrive il santuario sorto nell’area (Epistola 147).
Al tramonto del IV secolo, dunque, un santuario, circondato da un
recinto e con un altare al centro della grotta, che costituiva il luogo
nevralgico del complesso, monumentalizzava il campo dei pastori. Fonti,
più o meno attendibili, riferiscono a Elena, la madre di Costantino, la
costruzione del primo santuario, da collocare a circa un miglio a est
del villaggio, laddove sorsero, prima un monastero con una chiesa
dedicata a san Giuseppe. La memoria continua in epoca crociata e, con il
tempo, il sito fu identificato con il villaggio di Beit Sahur (casa dei
guardiani e dei vigilanti), proprio sul lato orientale della collina su
cui sorge Betlemme. Se il padre Bagatti, in seguito ad alcuni piccoli
scavi, identificò il sito del campo dei pastori in quest’area, il padre
Corbo individuò il santuario nel terreno di Khirbet Siyar El-Ghanam,
dove venivano collocate le sepolture stesse dei pastori, proprio e
ancora in una grotta. In questi due siti e in quello di Der er Ra’wat,
dove pure è stato situato il campo dei pastori, sono state intercettate,
al di sotto dei santuari, di difficile lettura, almeno due fasi,
rispettivamente riferite al tempo di Costantino e a quello di
Giustiniano, in perfetta coincidenza con la successione delle più
importanti memorie della Terra Santa.
Ancora più sfuggente e suggestiva risulta la tradizione della grotta del latte, segnalata, a partire dal Medioevo, a sud del complesso della Natività. Anche in questo caso, tutto nasce attorno a un edificio di culto con una grotta annessa, dove si poteva praticare la liturgia, in riferimento all’abitazione della Sacra Famiglia, anche per ispirazione degli scritti apocrifi dell’Infantia Salvatoris e, in particolare, del Protovangelo di Giacomo.
Tutte queste memorie, spesso avvolte in una affabulazione leggendaria, che moltiplica i luoghi e rende spesso ingiudicabile la genesi e le prime forme del culto, convocano attenzione e strutture monastiche maschili e femminili, secondo una dinamica assai diffusa in Terra Santa e in tutto l’ecumene tardoantico.
Il fenomeno più significativo è, senza dubbio, costituito dalla basilica della Natività, ora tornata alla ribalta per il progetto di recupero, che ha preso avvio con il bando che il governo palestinese emanò nel 2009, in vista del restauro globale del complesso, da articolare nel tempo, tanto è vero che, ancora ai nostri giorni, certe lavorazioni sono in fieri. L’input venne dall’urgenza del restauro del tetto della basilica, ma l’impresa poteva e doveva prevedere tutta una serie di studi e interventi preliminari, che hanno convocato diverse specializzazioni: da quella propriamente architettonica a quella strutturale, da quella squisitamente storica a quella archeologica.
Il bando, vinto dal consorzio ricerche dell’università di Ferrara, coordinato da Claudio Alessandri, ha permesso di coinvolgere molti specialisti, a livello internazionale. In questo gruppo di lavoro, gli archeologi dell’architettura dell’università di Siena hanno colto l’occasione di rileggere le strutture con l’intento di dislocarle nel tempo e di giustificarne le diverse funzioni.
Come è noto, la basilica e il complesso che si è agglutinato attorno all’edificio di culto è suddiviso tra la comunità francescana, ortodossa e armena. La simultanea disponibilità delle tre comunità ha rappresentato il presupposto indispensabile per dare avvio all’ambizioso progetto.
L’ingresso alla basilica avviene dalla piccola “porta dell’umiltà”, l’unico accesso superstite dei tre che si aprivano nel sontuoso nartece all’edificio, scandito in cinque navate per una lunghezza di 54 metri e una larghezza di 36 metri. Il corpo basilicale si conclude con una imponente desinenza triabsidata, distinta da un ampio transetto, che raccoglie, nel cuore della struttura gli accessi alle grotte della Natività.
Il luogo della nascita di Gesù era stato già localizzato nelle grotte, che si aprono nelle colline del Wadi el-Charubeh. Il padre Bagatti raccolse, a suo tempo, le testimonianze della tradizione patristica (da Giustino a Origene), di quelle dei pellegrini e di Eusebio di Cesarea, che precisa come l’imperatore Costantino fece costruire una basilica proprio sulla grotta all’indomani del concilio di Nicea del 325, tanto che il pellegrino di Bordeaux, nel 333, poté ammirare il santuario, in tutto il suo splendore.
In seguito, la basilica, secondo gran parte della critica, fu revisionata e ricostruita al tempo di Giustiniano. Gli scavi archeologici, avviati, in maniera intermittente, alla fine del xix secolo, intercettarono, innanzi tutto, la cosiddetta “grotta del lavacro”, non lontano dall’abside orientale, nel giardino dei limoni, laddove una scala di pochi gradini conduceva verso una vasca, situata, appunto in una caverna. Tutto il sottosuolo della basilica, d’altra parte, alla luce degli scavi degli anni Trenta del secolo scorso e le più recenti analisi archeologiche delle architetture, è interessato da una vera e propria rete di grotte, tra le quali risulta eminente e centrale quella della Natività, nel cuore dell’area presbiteriale, che, in età giustinianea, fu dotata di nuove scale a settentrione e a meridione. Proprio a meridione del giardino ortodosso, si riconosce la scala di accesso alle cosiddette “grotte degli innocenti”. In corrispondenza dell’abside centrale, infine, è situata la “grotta del lavacro”, di cui si è ragionato.
Ma torniamo alla “grotta della Natività”, collocata al centro del presbiterio dell’attuale basilica e, dunque, di quella di impianto costantiniano. La grotta ha una pianta rettangolare ed è provvista del cosiddetto “altare della mangiatoia” situato in una nicchia nel settore meridionale, mentre, a oriente, si situa la stella d’argento, che la tradizione identifica con il luogo preciso della Nascita di Gesù.
Nel versante settentrionale della basilica, si collocano infine le “grotte di san Girolamo”, estremamente complesse e articolate. Il controllo archeologico dettagliato sembra dimostrare che il complesso di tutte le grotte preesiste al cantiere più antico della basilica, dimostrando come la tradizione evangelica attraversi i secoli e ispiri i primi committenti di un santuario toccato dagli itinerari dei pellegrini di tutti i tempi.
http://www.osservatoreromano.va/it/news/le-grotte-di-betlemme
22 dicembre 2018
Ancora più sfuggente e suggestiva risulta la tradizione della grotta del latte, segnalata, a partire dal Medioevo, a sud del complesso della Natività. Anche in questo caso, tutto nasce attorno a un edificio di culto con una grotta annessa, dove si poteva praticare la liturgia, in riferimento all’abitazione della Sacra Famiglia, anche per ispirazione degli scritti apocrifi dell’Infantia Salvatoris e, in particolare, del Protovangelo di Giacomo.
Tutte queste memorie, spesso avvolte in una affabulazione leggendaria, che moltiplica i luoghi e rende spesso ingiudicabile la genesi e le prime forme del culto, convocano attenzione e strutture monastiche maschili e femminili, secondo una dinamica assai diffusa in Terra Santa e in tutto l’ecumene tardoantico.
Il fenomeno più significativo è, senza dubbio, costituito dalla basilica della Natività, ora tornata alla ribalta per il progetto di recupero, che ha preso avvio con il bando che il governo palestinese emanò nel 2009, in vista del restauro globale del complesso, da articolare nel tempo, tanto è vero che, ancora ai nostri giorni, certe lavorazioni sono in fieri. L’input venne dall’urgenza del restauro del tetto della basilica, ma l’impresa poteva e doveva prevedere tutta una serie di studi e interventi preliminari, che hanno convocato diverse specializzazioni: da quella propriamente architettonica a quella strutturale, da quella squisitamente storica a quella archeologica.
Il bando, vinto dal consorzio ricerche dell’università di Ferrara, coordinato da Claudio Alessandri, ha permesso di coinvolgere molti specialisti, a livello internazionale. In questo gruppo di lavoro, gli archeologi dell’architettura dell’università di Siena hanno colto l’occasione di rileggere le strutture con l’intento di dislocarle nel tempo e di giustificarne le diverse funzioni.
Come è noto, la basilica e il complesso che si è agglutinato attorno all’edificio di culto è suddiviso tra la comunità francescana, ortodossa e armena. La simultanea disponibilità delle tre comunità ha rappresentato il presupposto indispensabile per dare avvio all’ambizioso progetto.
L’ingresso alla basilica avviene dalla piccola “porta dell’umiltà”, l’unico accesso superstite dei tre che si aprivano nel sontuoso nartece all’edificio, scandito in cinque navate per una lunghezza di 54 metri e una larghezza di 36 metri. Il corpo basilicale si conclude con una imponente desinenza triabsidata, distinta da un ampio transetto, che raccoglie, nel cuore della struttura gli accessi alle grotte della Natività.
Il luogo della nascita di Gesù era stato già localizzato nelle grotte, che si aprono nelle colline del Wadi el-Charubeh. Il padre Bagatti raccolse, a suo tempo, le testimonianze della tradizione patristica (da Giustino a Origene), di quelle dei pellegrini e di Eusebio di Cesarea, che precisa come l’imperatore Costantino fece costruire una basilica proprio sulla grotta all’indomani del concilio di Nicea del 325, tanto che il pellegrino di Bordeaux, nel 333, poté ammirare il santuario, in tutto il suo splendore.
In seguito, la basilica, secondo gran parte della critica, fu revisionata e ricostruita al tempo di Giustiniano. Gli scavi archeologici, avviati, in maniera intermittente, alla fine del xix secolo, intercettarono, innanzi tutto, la cosiddetta “grotta del lavacro”, non lontano dall’abside orientale, nel giardino dei limoni, laddove una scala di pochi gradini conduceva verso una vasca, situata, appunto in una caverna. Tutto il sottosuolo della basilica, d’altra parte, alla luce degli scavi degli anni Trenta del secolo scorso e le più recenti analisi archeologiche delle architetture, è interessato da una vera e propria rete di grotte, tra le quali risulta eminente e centrale quella della Natività, nel cuore dell’area presbiteriale, che, in età giustinianea, fu dotata di nuove scale a settentrione e a meridione. Proprio a meridione del giardino ortodosso, si riconosce la scala di accesso alle cosiddette “grotte degli innocenti”. In corrispondenza dell’abside centrale, infine, è situata la “grotta del lavacro”, di cui si è ragionato.
Ma torniamo alla “grotta della Natività”, collocata al centro del presbiterio dell’attuale basilica e, dunque, di quella di impianto costantiniano. La grotta ha una pianta rettangolare ed è provvista del cosiddetto “altare della mangiatoia” situato in una nicchia nel settore meridionale, mentre, a oriente, si situa la stella d’argento, che la tradizione identifica con il luogo preciso della Nascita di Gesù.
Nel versante settentrionale della basilica, si collocano infine le “grotte di san Girolamo”, estremamente complesse e articolate. Il controllo archeologico dettagliato sembra dimostrare che il complesso di tutte le grotte preesiste al cantiere più antico della basilica, dimostrando come la tradizione evangelica attraversi i secoli e ispiri i primi committenti di un santuario toccato dagli itinerari dei pellegrini di tutti i tempi.
http://www.osservatoreromano.va/it/news/le-grotte-di-betlemme
22 dicembre 2018
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