martedì 24 dicembre 2019

" MARIA NEL NATALE ", di padre Raniero Cantalamessa


PADRE RANIERO CANTALAMESSA 

"MARIA NEL NATALE" 

Estratto dalla TERZA PREDICA DI AVVENTO 2019

 

 

 Palermo, Cappella Palatina, Natività di Cristo, 1148 circa

  
   I «passi» che stiamo compiendo sulle orme di Maria corrispondono, abbastanza fedelmente, allo svolgersi anche storico della vita di lei, come esso risulta dai Vangeli. La meditazione su Maria «piena di fede» ci ha riportato al mistero dell’Annunciazione; quella sul Magnificat, al mistero della Visitazione, e ora quella di Maria «Madre di Dio» al Natale. Fu nel Natale, infatti, nel momento in cui diede alla luce il suo figlio primogenito (Lc 2, 7), non prima, che Maria divenne veramente e pienamente Madre di Dio.
  Nel parlare di Maria, la Scrittura mette costantemente in risalto due elementi, o momenti, fondamentali, che corrispondono, del resto, a quelli che anche la comune esperienza umana considera essenziali perché si abbia una vera e piena maternità. Essi sono: concepire e partorire. Ecco – dice l’angelo a Maria – concepirai nel seno e partorirai un figlio (Lc 1, 31). Questi due momenti sono presenti anche nel racconto di Matteo: Quel che è «generato» in lei, è dallo Spirito Santo ed essa «partorirà» un figlio (cf Mt 1, 20 s). La profezia di Isaia, in cui tutto ciò era stato preannunciato, si esprimeva allo stesso modo: Una vergine concepirà e partorirà un figlio (Is 7, 14). Ecco perché dicevo che solo a Natale, quando dà alla luce Gesù, Maria diventa, in senso pieno, Madre di Dio.
Dei due momenti, il titolo in uso nella Chiesa latina «Genitrice di Dio» (Dei Genitrix) mette più in rilievo il primo momento, quello relativo alla concezione; il titolo Theotókos, in uso nella Chiesa greca, mette più in rilievo il secondo momento, il partorire (tíkto significa infatti, in greco, partorisco). Il primo momento (fuori del caso unico di Maria) è comune sia al padre che alla madre, mentre il secondo, il partorire, è esclusivo della madre.
Madre di Dio è il titolo che esprime uno dei misteri e, per la ragione, uno dei paradossi più alti del cristianesimo. È il più antico e importante titolo dogmatico della Madonna, essendo stato definito dalla Chiesa nel Concilio di Efeso nel 431, come verità di fede da credersi da tutti i cristiani. È il fondamento di tutta la grandezza di Maria. È il principio stesso della mariologia. Per esso, Maria non è, nel cristianesimo, solo oggetto di devozione, ma anche di teologia; entra cioè nel discorso stesso su Dio, perché Dio è direttamente implicato nella maternità divina di Maria.

   Uno sguardo storico al formarsi del dogma
   Nel Nuovo Testamento non troviamo esplicitamente il titolo «Madre di Dio» dato a Maria. Vi troviamo però delle affermazioni che, nella riflessione della Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, mostreranno, in seguito, di contenere già, in nuce, tale verità. Di Maria si dice che ha concepito e generato un figlio, il quale è Figlio dell’Altissimo, santo e Figlio di Dio (cf Lc 1, 31-32.35). Dai Vangeli risulta, dunque, che Maria è la madre di un figlio, di cui si sa che è il Figlio di Dio. Ella è chiamata correntemente nei Vangeli: la madre di Gesù, la madre del Signore (cf Lc 1, 43), o semplicemente «la madre» e «sua madre» (cf Gv 2, 1-3).
   Bisognerà che la Chiesa, nello sviluppo della sua fede, chiarisca a se stessa chi è Gesù, prima di sapere di chi è madre Maria. Maria non comincia certo a essere Madre di Dio nel concilio di Efeso del 431, come Gesù non comincia a essere Dio nel concilio di Nicea del 325, che lo definì tale. Lo era anche prima. Quello è piuttosto il momento in cui la Chiesa, nello svilupparsi ed esplicitarsi della sua fede, sotto la spinta dell’eresia, prende piena coscienza di questa verità e prende posizione a suo riguardo. Avviene come nella scoperta di una nuova stella: essa non nasce nel momento in cui la sua luce giunge sulla terra ed è vista dall’osservatore, ma esisteva già da prima, forse da migliaia di anni luce. La definizione conciliare è il momento in cui la lucerna viene messa sul candelabro che è il credo della Chiesa.
   In questo processo che porta alla proclamazione solenne di Maria Madre di Dio, possiamo distinguere tre grandi fasi. All’inizio e per tutto il periodo dominato dalla lotta contro l’eresia gnostica e docetista, la maternità di Maria viene vista quasi solo come maternità fisica. Questi eretici negavano che Gesù avesse un vero corpo umano, o, se l’aveva, che questo corpo umano fosse nato da una donna, o, se era nato da una donna, che fosse tratto veramente dalla carne e dal sangue di lei. Contro di essi bisognava dunque affermare con forza che Gesù era figlio di Maria e «frutto del suo grembo» (Lc 1, 42), e che Maria era vera e naturale Madre di Gesù.
    La maternità di Maria, in questa fase più antica, serve, più che altro, a dimostrare la vera umanità di Gesù. Fu in questo periodo e in questo clima che si formò l’articolo del credo: «Nato (o incarnato) per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine». Esso, all’origine, voleva dire semplicemente che Gesù è Dio e uomo: Dio, in quanto generato secondo lo Spirito, cioè da Dio, e uomo in quanto generato secondo la carne, cioè da Maria.
    In questa fase antica, già con Origene, fa la sua comparsa il titolo di Theotókos. D’ora in poi, sarà proprio l’uso di questo titolo a condurre la Chiesa alla scoperta di una maternità divina più profonda. Avvenne durante l’epoca delle grandi controversie cristologiche del V secolo, quando il problema centrale, intorno a Gesù Cristo, non è più quello della sua vera umanità, ma quello dell’unità della sua persona. La maternità di Maria non viene più vista solo in riferimento alla natura umana di Cristo, ma, com’è più giusto, in riferimento all’unica persona del Verbo fatto uomo. E siccome quest’unica persona che Maria genera secondo la carne non è altro che la persona divina del Figlio, di conseguenza, ella appare vera «Madre di Dio».
   Tra Maria e Cristo non c’è più solo una relazione di ordine fisico, ma anche di ordine metafisico, e questo la colloca a una altezza vertiginosa, creando un rapporto singolare anche tra lei e il Padre. Con il Concilio di Efeso, questa cosa diventa per sempre una conquista della Chiesa. In un testo da esso approvato si dice: «Se qualcuno non confessa che Dio è veramente l’Emmanuele e che perciò la Santa Vergine, avendo generato secondo la carne il Verbo di Dio fatto carne, è la Theotókos, sia anatema».
    Fu un momento di grande giubilo per tutto il popolo di Efeso, che aspettò i Padri fuori dell’aula conciliare e li accompagnò, con fiaccole e canti, alle loro dimore. Tale proclamazione determinò una esplosione di venerazione verso la Madre di Dio che non venne meno mai più, né in Oriente né in Occidente, e che si tradusse in feste liturgiche, icone, inni e nella costruzione di innumerevoli chiese a lei dedicate. Fu in questo clima che fu costruita la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
   Ma anche questo traguardo non era definitivo. C’era un altro livello da scoprire nella maternità divina di Maria, dopo quello fisico e quello metafisico. Nelle controversie cristologiche, il titolo di Theotókos era valorizzato più in funzione della persona di Cristo che di quella di Maria, pur essendo un titolo mariano. Da tale titolo non si tiravano ancora le conseguenze logiche riguardanti la persona di Maria e, in particolare, la sua santità unica. Theotókos rischiava di divenire un’arma di battaglia tra opposte correnti teologiche, anziché l’espressione della fede e della pietà della Chiesa verso Maria.
   Fu questo il grande apporto degli autori latini e in particolare di sant’Agostino. La maternità di Maria è vista come una maternità nella fede, come maternità anche spirituale. Siamo all’epopea della fede di Maria. A proposito della parola di Gesù: Chi è mia Madre…, Agostino risponde attribuendo a Maria, in grado sommo, quella maternità spirituale che viene dal fare la volontà del Padre: « Forse che non fece la volontà del Padre la Vergine Maria, che per fede credette, per fede concepì, che fu scelta perché da lei nascesse per gli uomini la salvezza, che fu creata da Cristo, prima che in essa venisse creato Cristo? Certo che fece la volontà del Padre santa Maria e perciò è cosa più grande per Maria essere stata discepola di Cristo, che essere stata Madre di Cristo» .
      La maternità fisica di Maria e quella metafisica vengono ora coronate dal riconoscimento di una maternità spirituale, o di fede, che fa di Maria la prima e la più santa figlia di Dio, la prima e più docile discepola di Cristo, la creatura della quale – scrive ancora sant’Agostino – «per l’onore dovuto al Signore, non si deve neppure far menzione quando si parla del peccato». La maternità fisica o reale di Maria, con l’eccezionale e unico rapporto che crea tra lei e Gesù e tra lei e la Trinità tutta intera resta, da un punto di vista oggettivo, la cosa più grande e il privilegio ineguagliabile, ma essa è tale proprio perché trova un riscontro soggettivo nell’umile fede di Maria. Per Eva costituiva certo un privilegio unico essere la «madre di tutti i viventi»; ma poiché non ebbe fede, a nulla le giovò e anziché beata, divenne sventurata.
  Madre di Dio, titolo ecumenico Maria è l’unica, nell’universo, a poter dire, rivolta a Gesù, ciò che dice a lui il Padre celeste: «Tu sei mio figlio; io ti ho generato!» (cf Sal 2, 7; Eb 1, 5). Sant’Ignazio d’Antiochia dice, con tutta semplicità, quasi senza accorgersi in che dimensione sta proiettando una creatura, che Gesù è «da Dio e da Maria» . Quasi come noi diciamo di un uomo che è figlio del tale e della tale. Dante Alighieri ha racchiuso il duplice paradosso di Maria che è «Vergine e Madre» e «madre e figlia », in un solo verso: «Vergine Madre, figlia del tuo Figlio!» Il titolo «Madre di Dio» basta da solo a fondare la grandezza di Maria e a giustificare l’onore a lei tributato. Si rimprovera talvolta ai cattolici di esagerare nell’onore e nell’importanza attribuiti a Maria e a volte bisogna riconoscere che il rimprovero era giustificato, almeno per il modo e lo spirito con cui ciò avveniva. Ma non si pensa a ciò che ha fatto Dio. Dio si è portato talmente avanti nell’onorare Maria facendola Madre di Dio, che nessuno può dire di più, “anche se avesse tante lingue quante sono le foglie d’erba.
Il titolo di «Madre di Dio» è anche oggi il punto d’incontro e la base comune a tutti i cristiani, da cui ripartire per ritrovare l’intesa intorno al posto di Maria nella fede. Esso è l’unico titolo ecumenico, non solo di diritto, perché definito in un Concilio ecumenico, ma anche di fatto perché riconosciuto da tutte le Chiese. Lutero ha scritto: «L’articolo che afferma che Maria è Madre di Dio è vigente nella Chiesa fin dagli inizi e il Concilio di Efeso non l’ha definito come nuovo, perché è già una verità sostenuta nel Vangelo e nella Sacra Scrittura… Queste parole (Lc 1, 32; Gal 4, 4) con molta fermezza sostengono che Maria è veramente la Madre di Dio».
    Un altro iniziatore della Riforma, Zuinglio, scrive: «Maria è giustamente chiamata, a mio giudizio, Genitrice di Dio, Theotókos». Egli chiama altrove Maria «la divina Theotókos, eletta prima ancora di avere la fede». Calvino, a sua volta, scrive: «La Scrittura ci dichiara esplicitamente che colui che dovrà nascere dalla Vergine.
   Maria sarà chiamato Figlio di Dio (Lc 1, 32) e che la Vergine stessa è Madre del nostro Signore». Madre di Dio, Theotókos, è dunque il titolo al quale bisogna sempre ritornare, distinguendolo da tutta l’infinita serie di altri nomi e titoli mariani. Se esso fosse preso sul serio da tutte le Chiese e valorizzato di fatto, oltre che riconosciuto di diritto in sede dogmatica, basterebbe a creare una fondamentale unità intorno a Maria ed ella, anziché occasione di divisione tra i cristiani, diventerebbe, dopo lo Spirito Santo, il più importante fattore di unità ecumenica, colei che, con il suo carisma materno, aiuta a «riunire tutti i figli di Dio che sono dispersi» (cf Gv 11, 52).
  Madri di Cristo: l’imitazione della Madre di Dio Il nostro modo di procedere, in questo cammino verso Natale sulle orme di Maria, consiste nel contemplare i singoli «passi» da lei compiuti per poi imitarli nella nostra vita. Ma come imitare questo tratto della Madonna di essere Madre di Dio? Può Maria essere « figura della Chiesa», cioè suo modello, anche in questo punto? Non solo ciò è possibile, ma ci sono stati uomini, come Origene, sant’Agostino, san Bernardo, i quali sono arrivati a dire che, senza questa imitazione, il titolo di Maria sarebbe inutile per me: «Che giova a me – dicevano – che Cristo sia nato una volta da Maria a Betlemme, se non nasce anche per fede nella mia anima?»
   Dobbiamo richiamare alla mente che la maternità divina di Maria si realizza su due piani: su un piano fisico e su un piano spirituale. Maria è Madre di Dio non solo perché l’ha portato fisicamente nel grembo, ma anche perché l’ha concepito prima nel cuore con la fede. Noi non possiamo, naturalmente, imitare Maria nel primo senso, generando di nuovo Cristo, ma possiamo imitarla nel secondo senso, che è quello della fede. Gesù stesso iniziò questa applicazione alla Chiesa del titolo di « Madre di Cristo », quando dichiarò: Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Lc 8, 21; cf Mc 3, 31 s; Mt 12, 49).
   Nella tradizione, questa verità ha conosciuto due livelli di applicazione complementari tra di loro. In un caso, si vede realizzata questa maternità, nella Chiesa presa nel suo insieme, in quanto «sacramento universale di salvezza »; nell’altro, tale maternità si vede realizzata in ogni singola persona o anima che crede. Il Concilio Vaticano II si colloca nella prima prospettiva quando scrive: «La Chiesa… diventa essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figlioli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio» .
    Ma ancora più chiara è, nella tradizione, l’applicazione personale ad ogni anima: «Ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio… Se secondo la carne una sola è la Madre di Cristo, secondo la fede, tutte le anime generano Cristo quando accolgono la parola di Dio». Un altro Padre fa eco dall’oriente: «Il Cristo nasce sempre misticamente nell’anima, prendendo carne da coloro che sono salvati e facendo dell’anima che lo genera una madre vergine».

    Come concepire e partorire di nuovo Cristo
    Concentriamoci sull’applicazione del titolo Madre di Dio che ci riguarda anche singolarmente. Proviamo a vedere come si diventa, in concreto, madre di Gesù. Come ci dice Gesù che si diventa sua madre? Attraverso due operazioni: ascoltando la Parola e mettendola in pratica. Ripensiamo, per capire, a come divenne madre Maria: concependo Gesù e partorendolo.
    Vi sono due maternità incomplete o due tipi di interruzione di maternità. Una è quella, antica e nota, dell’aborto. Essa avviene quando si concepisce una vita, ma non si partorisce, perché, nel frattempo, o per cause naturali o per il peccato degli uomini, il feto è morto. Fino a poco fa, questo era l’unico caso che si conosceva di maternità incompleta. Oggi se ne conosce un altro che consiste, all’opposto, nel partorire un figlio senza averlo concepito. Così avviene nel caso di figli concepiti in provetta e immessi, in un secondo momento, nel seno di una donna, e nel caso desolante e squallido dell’utero dato in prestito per ospitare, magari a pagamento, vite umane concepite altrove. In questo caso, quello che la donna partorisce, non viene da lei, non è concepito « prima nel cuore che nel corpo».
    Purtroppo anche sul piano spirituale ci sono queste due tristi possibilità. Concepisce Gesù senza partorirlo chi accoglie la Parola, senza metterla in pratica, chi continua a fare un aborto spirituale dietro l’altro, formulando propositi di conversione che vengono poi sistematicamente dimenticati e abbandonati a metà strada; chi si comporta verso la Parola come l’osservatore frettoloso che guarda il suo volto nello specchio e poi se ne va dimenticando subito com’era (cf Gc 1, 23-24). Insomma, chi ha la fede, ma non ha le opere.
    Partorisce, al contrario, Cristo senza averlo concepito chi fa tante opere, anche buone, ma che non vengono dal cuore, da amore per Dio e da retta intenzione, ma piuttosto dall’abitudine, dall’ipocrisia, dalla ricerca della propria gloria e del proprio interesse, o semplicemente dalla soddisfazione che dà il fare. Insomma, chi ha le opere, ma non ha la fede.


------------------------------------------------------------

1.S. Cirillo Alessandrino, Anatematismo I contro Nestorio, en Enchiridion Symbolorum, nr. 252.
2.S. Agostino, Discorsi 72 A (=Denis 25), 7 (Miscelánea Agustiniana, I, p. 162).
3.S. Agostino, De natura et gratia 36, 42 (CSEL 60, p. 263 s).
4.S. Ignazio d’Antiochia, Lettera agli Efesini 7, 2.
5.Dante Alighieri, Paradiso XXXIII, 1
6.Lutero, Commento al Magnificat (ed. Weimar 7, p. 572 s).
7.Lutero, Dei Concili della Chiesa (ed. Weimar, 50, p. 591 s).
8.H. Zwingli, Expositio fidei, en Zwingli Hauptschriften, der Theologe III, Zurigo 1948, p. 319.
9.Calvino, Institutiones II, 14, 4 .
10.Cfr. Origene, Commento al Vangelo di Luca, 22, 3 (SCh 87, p. 302).
11.Lumen Gentium 64
12.S. Ambrogio, Expositio in Lucam, II, 26.
13.S. Massimo Confessore, Commento al Padre nostro (PG 90, 889).
14.S. Francesco d’Assisi, Lettera a tutti i fedeli, 1 (Fonti Francescane nr. 178).
15.S. Bonaventura, De quinque festivitatibus Pueri Jesu (ed. Quaracchi 1949, pp. 207 ss).
16.S. Agostino, Confessioni, VIII, 8, 19





La fonte: http://kairosterzomillennio.blogspot.com/




Nessun commento:

Posta un commento

Post più popolari negli ultimi 30 giorni