ARCHEOLOGIA.
Ecco i primi «ritratti» degli apostoli
Certo che fu assai lungimirante Pio IX fondando la Pontificia
Commissione di Archeologia Sacra nel 1852 con il compito di custodire,
tutelare e conservare le più antiche vestigia cristiane, ovvero le
catacombe e gli ipogei di Roma. Più tardi, il suo successore, Pio XI,
estese le competenze della Commissione a tutta Italia, alle catacombe
napoletane e agli ipogei siciliani e pure a quelli ebraici (oggi
scorporati). Questi intenti vennero conservati nel primo Concordato con
la Santa Sede (art. 33) e, poi, oggi, ribaditi in quello nuovo (art.
120). Lo ricordava questa mattina con la consueta affabilità monsignor
Gianfranco Ravasi che, oggi, ricopre il ruolo di Presidente di quella
Commissione. L’occasione era di quelle straordinarie che dimostrano come
certe intuizioni – come quella di Giovan Battista de Rossi, padre
dell’archeologia cristiana moderna, che auspicò la nascita di quella
Commissione, unita alla fattiva capacità politica dei pontefici –,
possano avere delle così alte e benefiche ricadute sul mondo artistico e
culturale moderno. Dopo due anni di studio e d’intenso lavoro, infatti,
sono state miracolosamente recuperate le tenerissime pitture del
Cubicolo degli Apostoli nelle catacombe romane di Santa Tecla, poco
lontano da San Paolo fuori le mura. Lo studio si deve a Fabrizio
Bisconti, insigne archeologo cristiano e soprintendente della Pontificia
Commissione di Archeologia Sacra, mentre il restauro, di grande
impatto, è opera di Barbara Mazzei che si è avvalsa di una tecnica del
tutto inedita per questi ambienti: quella del laser. Di queste pitture,
infatti, si aveva notizia fin dal XVIII secolo, ma lo spesso strato di
calcare rendeva praticamente impossibile la lettura della decorazione
pittorica, ricoperta da concrezioni biancastre. La situazione disastrosa
era dovuta all’umidità, padrona assoluta degli ipogei romani, nei
confronti della quale archeologi e restauratori esercitano una lotta
quotidiana. Le tecniche tradizionali, ha spiegato Barbara Mazzei, ovvero
quelle basate sulla rimozione meccanica con l’impiego di piccole frese e
bisturi, avrebbero rischiato di danneggiare irrimediabilmente la
pellicola pittorica. Con l’apporto e la consulenza gratuita del Cnr di
Sesto Fiorentino (in particolare Siano dell’Istituto di Fisica
applicata), si è opportunamente tarata la capacità della macchina
prodotta dalla El.En. di Cadenzano. Il raggio, infatti, viene
programmato in modo da esercitare un’azione distruttiva sulle superfici
biancastre del calcare e di sospenderla immediatamente in vista di
cromie differenti. Si è poi verificato (ed è stato un dato sperimentale
inaspettato) che l’azione del laser in presenza dell’umidità
dell’ambiente provocava un micro-scoppio, causa del distacco del
calcare. Il risultato è straordinario: le pitture, nelle parti
conservate, come il soffitto del cubicolo, sembrano appena eseguite. Si
rivela così la storia di questo singolare monumento e un altro tassello
si aggiunge all’affascinante storia di Roma, una città a strati dove,
scendendo le scale, ci si può veder catapultati nel IV secolo d.C. Al
civico 42 di via Silvio D’Amico, infatti, si erge oggi un grande
palazzone di cemento armato, eretto negli anni Cinquanta del XX secolo
quando – scavandone le fondamenta – emersero le vestigia pagane e
cristiane insieme. Passava da lì la via Ostiense e, a fianco, venivano
costruiti dei mausolei pagani di cui ancora possediamo mura e pavimenti a
mosaico con immagini e scritte dedicatorie. Accanto a quest’area sacra,
doveva esservi una cava di pozzolana di cui ancora si conservano i
mazzuoli degli operai. Successivamente questa venne trasformata in una
semi-basilica dedicata probabilmente alla martire Tecla, glorificata da
antiche pitture cristiane oggi sistemate nel piccolo abside. Dietro la
semi-basilica si estende la catacomba vera e propria che è l’ultimo
tratto del grande ipogeo di San Paolo fuori le mura, anche in senso
cronologico. Il cubicolo è stato scavato dietro un ambiente
precedentemente utilizzato a sepoltura, con due arcosoli laterali, uno
dei quali è ornato dalla figura imberbe e tenerissima di Cristo in trono
(Christus magister). Si può vedere ancora l’incertezza del pittore che,
prima, lo dipinse con il braccio rivolto verso il basso e poi glielo
alzò mutandogli posizione. Accanto fa bella mostra di sé un Daniele
nella fossa dei leoni, precoce esempio di nudo eroico che recupera in
senso cristiano la nudità classica. Quando si aprì il nuovo ambiente, il
cubicolo di Tecla, si decise di ornare l’ingresso con un monumentale
Collegio apostolico che si mostra come il prototipo di certe decorazioni
absidali, visto che sotto il consesso dei dodici Apostoli si dipana la
teoria delle pecore, stagliate su un bel rosso pompeiano. È infatti il
rosso il colore dominante del soffitto del cubicolo, il pezzo forte
della decorazione, con il Buon Pastore al centro e i clipei (rara
iconografia) di san Paolo, san Pietro, sant’Andrea e san Giovanni che si
pongono come le più antiche immagini degli apostoli raffigurati in
questo modo («icone», giustamente, le chiama Bisconti). Anche la
decorazione ornamentale è assai interessante, basata su un motivo ad
incastro della Croce che, molti secoli dopo, sarà ripreso da Francesco
Borromini nel San Carlino alle Quattro Fontane (ma lì la fonte era stata
la catacomba di San Callisto). Infine, sulla destra entrando,
l’immagine di lei, la facoltosa committente di questa meraviglia che qui
fu sepolta insieme alla figlia, pure rappresentata nell’arcosolio e
accompagnata verso la pace dei cieli proprio da Pietro e Paolo.
https://www.avvenire.it/agora/pagine/ritratti-catacombe_201006231036202870000
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