giovedì 13 febbraio 2020

La presentazione più antica nella basilica di Santa Maria Maggiore di F. Bisconti



Fabrizio Bisconti



La presentazione più antica
nella basilica di Santa Maria Maggiore

 

   All’indomani del concilio di Efeso del 431, allorquando venne proclamata la divina maternità di Maria, Madre di Dio, il pontefice Sisto III (432-440) fece costruire sull’Esquilino il primo sontuoso santuario romano, che raccoglie molti motivi di riflessione riguardo l’infanzia del Salvatore: dal presepe di Arnolfo di Cambio alle sacre e singolari reliquie della culla del Bambino, dagli straordinari mosaici dell’arco trionfale, su cui torneremo, alla suggestiva icona della Salus populi romani, tanto cara a Papa Francesco
Santa Maria Maggiore. Arco Trionfale «Il sogno di Giuseppe» (V secolo)
  Nell’area dell’Esquilino, d’altra parte, insisteva un’altra basilica paleocristiana fatta erigere da Papa Liberio (352-366), secondo quanto ricorda il Liber Pontificalis: Hic fecit basilicam nomini suo iuxta macellum Libiae, non lontana dal santuario di Papa Sisto III, che, sempre secondo la medesima fonte hic basilicam sanctae Mariae, quae ab antiquis Liberii cognominabatur, iuxta macellum Libiae.
  Il macellum Libiae (=Liviae) non era altro che un grande mercato, dedicato a Livia, la moglie di Augusto, presso la porta Esquilina della cerchia muraria serviana, presso la basilica di San Vito. In quest’area, dunque, sorgeva la grande basilica dedicata a Maria, che ancora oggi possiamo ammirare e che mostra ancora l’impianto paleocristiano, corretto, specialmente nella porzione absidale, da Papa Niccolò IV (1288-1292), che fece demolire l’antica abside, per crearne una nuova, decorata da Jacopo Torriti, nel torno di anni che dalla fine del 1280 giunge al 1295, e che comporta la maestosa incoronazione di Maria.
   La primitiva abside sistina, quindi, è andata perduta, anche se doveva accogliere sicuramente un tema mariano. A essa si agganciava la rivoluzionaria decorazione di un arco, allora absidale, che doveva trattare un vero e proprio trattato mariologico. I temi della tradizione sono supportati e ampliati dall’apporto degli scritti apocrifi, a cominciare dalla scena dell’Annunciazione, ispirata al vangelo dello Pseudo-Matteo (IX, 2), che coglie la Vergine nel momento in cui fila la porpora per il Tempio. Senza soluzione di continuità, appare Giuseppe che ascolta un angelo annunziatore secondo quanto evocato da Matteo (1, 20-21), che richiama la scena del sogno, situata all’estremità destra del registro, che racconta il momento in cui si ordina la fuga in Egitto (Matteo 2, 13).
   L’arco trionfale è campito, al centro, dal trono dell’Etimasia in clipeo, tra Pietro e Paolo. Proprio a destra di questo gruppo apocalittico, rafforzato dalla solenne epigrafe di autentica pontificia (Xystus Episcopus plebi Dei), si stende la storia della presentazione al Tempio: Maria, seguita da due angeli, in abito da sovrana, entra nel portico del Tempio di Gerusalemme. Ha il bambino tra le braccia. Giuseppe, si volge a guardare Maria e leva le braccia, nel gesto dell’accoglienza. Si riconoscono, poi, la profetessa Anna, Simeone e un gruppo di anziani. Sullo sfondo si staglia la fronte del Tempio, dinanzi al quale sono una coppia di colombe e una di tortore pronte per il sacrificio. La scena, come si diceva, si aggancia al sogno di Giuseppe.
     Nei registri inferiori sfilano le scene dell’Adorazione dei Magi, dell’incontro di Gesù con Afrodisio a Sotine, della strage degli innocenti, dei Magi dinanzi a Erode, delle rappresentazioni di Gerusalemme e Betlemme. Nella navata, entro riquadri, ancora musivi, scorrono le storie di Abramo, di Lot, di Giacobbe, di Isacco, di Esaù, di Mosè, di Giosuè.
    Il Vecchio e il Nuovo Testamento si intrecciano, la prefigurazione veterotestamentaria trova la sua soluzione nell’Infantia Salvatoris e Maria rappresenta l’anello di congiunzione di questo racconto continuo e infinito.
   Torniamo al quadro della presentazione al Tempio, che proprio nella basilica mariana trova la sua prima rappresentazione. L’episodio evangelico, narrato da Luca (2, 22-39), rievoca il momento in cui Maria e Giuseppe recano il Bambino al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la sua nascita, per “offrirlo” a Dio, in ossequio all’ordine dell’Esodo (13, 2). Simultaneamente si celebrava la purificazione della madre, con un’offerta, a cui fa già cenno il Levitico (12, 6-8). In quell’occasione, la piccola famiglia incontrò il vecchio Simeone, a cui era stato predetto che non sarebbe morto senza aver visto il Messia. Luca riferisce anche della presenza dell’anziana vedova e profetessa Anna, che, pure, riconobbe il Messia.
  L’episodio “fotografa”, simultaneamente, l’offerta del primogenito, simbolicamente effettuata con i volatili, e la purificazione della puerpera e anticipa il sacramento del battesimo.
   La presentazione al Tempio viene celebrata dalla Chiesa cattolica il 2 febbraio ed è collegata alla suggestiva festa della candelora, durante la quale si benedicono le candele, simboli di illuminazione e purificazione. Questo rito popolare, un tempo, veniva celebrato il 14 febbraio, ossia quaranta giorni dopo l’Epifania, secondo quanto ricorda la nobile pellegrina Egeria, che, nella sua Peregrinatio, racconta di una festa solenne e assai suggestiva, che si assimila al rito del “lucernario”, allorquando «si accendono tutte le lampade e i ceri, provocando, così, una luce grandissima» (Peregrinatio Aetheriae 24, 4), recuperando l’antico rito romano dei Lupercalia, che si celebrava a metà febbraio, con una grande fiaccolata, proprio con l’intenzione rigenerativa della purificazione.


http://www.osservatoreromano.va/it/news/la-presentazione-piu-antica


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