sabato 11 gennaio 2020

PAOLO VI, Il coraggio della verità nella confusa ora presente



PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 20 maggio 1970


 
   Il coraggio della verità nella confusa ora presente

 
     Noi dobbiamo fare eco ad una parola da Noi pronunciata nel Concistoro (cioè nella riunione dei Cardinali) dell’altro giorno, perché ci sembra che sia importante ed attuale, e che possa essere ripetuta anche in una Udienza generale come questa, perché a tutti destinata. E la parola è questa: «L’ora che suona al quadrante della storia esige da tutti i figli della Chiesa un grande coraggio, e in modo tutto speciale il coraggio della verità, che il Signore in persona ha raccomandato ai suoi discepoli, quando ha detto: che il vostro sì sia sì, il vostro no, no» (Matth. 5, 37).
     Tanto è importante questo dovere di professare coraggiosamente la verità, che il Signore stesso lo ha definito lo scopo della sua venuta a questo mondo. Davanti a Pilato, durante il processo che precede la sua condanna alla croce, Gesù ebbe a dire queste gravi parole: «Io per questo sono nato, e per questo sono venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità» (Io. 18, 37). Gesù è la luce del mondo (Io. 8, 12), è la manifestazione della verità; e per compiere questa missione, dalla quale deriva la nostra salvezza, Gesù darà la propria vita, martire della verità, che è Lui stesso.
PIETRA D'ANGOLO
     Donde due questioni. La prima questione venne alle labbra stesse di Pilato. Lui, non forse ignaro, e forse scettico circa le discussioni filosofiche della cultura greco-romana circa la verità, lui magistrato competente a giudicare di delitti e di crimini, non di teorie speculative, si meraviglia che questo Rabbi, presentatogli come reo di morte per lesa maestà, si dichiari professore di verità, e subito lo interrompe, forse con qualche ironia: Quid est veritas?, ma che cosa è la verità? (Vi è chi ingegnosamente, su questa frase latina, ha costruito uno stupendo anagramma di risposta: est vir qui adest). E Pilato non attende la risposta, e cerca di chiudere l’interrogatorio sciogliendo la vertenza giudiziaria. Ma per noi, per tutti la questione rimane sospesa: che cosa è la verità?
Grande questione, che investe la coscienza, i fatti, la storia, la scienza, la cultura, la filosofia, la teologia, la fede. A noi preme quest’ultima: la verità della fede. Perché sulla verità della fede si fonda tutto l’edificio della Chiesa, del cristianesimo, e perciò quello della nostra salvezza, e di conseguenza quello dei destini umani e della civiltà, alla quale essi sono collegati. Perciò questa verità della fede, oggi più che mai, si presenta come la base fondamentale sulla quale dobbiamo costruire la nostra vita. È la pietra d’angolo (Cfr. 1 Petr. 2, 6-7; Eph. 2, 20; Matth. 21, 42).
   E che cosa osserviamo noi a questo proposito? Noi osserviamo un fenomeno di timidezza e di paura, anzi un fenomeno d’incertezza, di ambiguità, di compromesso. È stato bene identificato: «Un tempo era il rispetto umano che faceva rovina. Era l’ansia dei pastori. Il cristiano non osava vivere secondo la propria fede . . . Ma ora non si comincia ad avere paura di credere? Male più grave, perché intacca i fondamenti . . .» (Card. GARRONE, Que faut-il croire? Descleé, 1967). Noi abbiamo sentito l’obbligo, al termine dell’Anno della Fede, nella festa di San Pietro del 1968, di fare una esplicita professione di fede, di recitare un Credo, che sul filo degli insegnamenti autorevoli della Chiesa e della Tradizione autentica, risale alla testimonianza apostolica, che a sua volta si fonda su Gesù Cristo, Lui stesso definito «testimonio fedele» (Apoc. 1, 5).
«SI È OSATO SCAMBIARE LA PROPRIA CECITÀ CON LA MORTE DI DIO»
    Ma oggi la verità è in crisi. Alla verità oggettiva, che ci dà il possesso conoscitivo della realtà, si sostituisce quella soggettiva: l’esperienza, la coscienza, la libera opinione personale, quando non sia la critica della nostra capacità di conoscere, di pensare validamente. La verità filosofica cede all’agnosticismo, allo scetticismo, allo «snobismo» del dubbio sistematico e negativo. Si studia, si cerca per demolire, per non trovare. Si preferisce il vuoto. Ce ne avverte il Vangelo: «Gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce» (Io. 3, 19). E con la crisi della verità filosofica (oh! dov’è svanita la nostra sana razionalità, la nostra philosophia perennis?) la verità religiosa è crollata in molti animi, che non hanno più saputo sostenere le grandi e solari affermazioni della scienza di Dio, della teologia naturale, e tanto meno quelle della teologia della rivelazione; gli occhi si sono annebbiati, poi accecati; e si è osato scambiare la propria cecità con la morte di Dio.
   Così la verità cristiana subisce oggi scosse e crisi paurose. Insofferenti dell’insegnamento del magistero, posto da Cristo a tutela ed a logico sviluppo della sua dottrina, ch’è quella di Dio (Io. 7. 12; Luc. 10, 16; Marc. 16, 16), v’è chi cerca una fede facile vuotandola, la fede integra e vera, di quelle verità, che non sembrano accettabili dalla mentalità moderna, e scegliendo a proprio talento una qualche verità ritenuta ammissibile (selected faith); altri cerca una fede nuova, specialmente circa la Chiesa, tentando di conformarla alle idee della sociologia moderna e della storia profana (ripetendo l’errore d’altri tempi, modellando la struttura canonica della Chiesa secondo le istituzioni storiche vigenti); altri vorrebbero fidarsi d’una fede puramente naturalista e filantropica, d’una fede utile, anche se fondata su valori autentici della fede stessa, quelli della carità, erigendola a culto dell’uomo, e trascurandone il valore primo, l’amore e il culto di Dio; ed altri finalmente, con una certa diffidenza verso le esigenze dogmatiche della fede, col pretesto del pluralismo, che consente di studiare le inesauribili ricchezze delle verità divine e di esprimerle in diversità di linguaggio e di mentalità, vorrebbero legittimare espressioni ambigue ed incerte della fede, accontentarsi della sua ricerca per sottrarsi alla sua affermazione, domandare all’opinione dei fedeli che cosa vogliono credere, attribuendo loro un discutibile carisma di competenza e di esperienza, che mette la verità della fede a repentaglio degli arbitri più strani e più volubili.
    Tutto questo avviene quando non si presta l’ossequio al magistero della Chiesa, con cui il Signore ha voluto proteggere le verità della fede (Cfr. Hebr. 13, 7; 9, 17). 

LA GARANZIA DEL MAGISTERO
     Ma per noi che, per divina misericordia, possediamo questo scutum fidei, lo scudo della fede (Eph. 6, 16), cioè una verità difesa, sicura e capace di sostenere l’urto delle opinioni impetuose del mondo moderno (Cfr. Eph. 4, 14), una seconda questione si pone, quella del coraggio: dobbiamo avere, dicevamo, il coraggio della verità. Non faremo adesso alcuna analisi su questa virtù morale e psicologica, che chiamiamo coraggio, e che tutti sappiamo essere una forza d’animo, che dice maturità umana, vigore di spirito ed ardimento di volontà, capacità d’amore e di sacrificio; noteremo soltanto che, una volta di più, l’educazione cristiana si dimostra una palestra di energia spirituale, di nobiltà umana, e di padronanza di sé, di coscienza dei propri doveri.
E aggiungeremo che questo coraggio della verità è domandato principalmente a chi della verità è maestro e vindice, esso riguarda anche tutti i cristiani, battezzati e cresimati; e non è un esercizio sportivo e piacevole, ma è una professione di fedeltà doverosa a Cristo e alla sua Chiesa, ed è oggi servizio grande al mondo moderno, che forse, più che noi non supponiamo, attende da ciascuno di noi questa benefica e tonificante testimonianza. A ciò vi aiuti, con la grazia del Signore, la Nostra Benedizione Apostolica.
Convegni «Maria Cristina di Savoia»
    Rivolgiamo il Nostro paterno saluto alle duecento appartenenti ai Convegni «Maria Cristina di Savoia», convenute a Roma da ogni parte d’Italia per il loro congresso nazionale. Siamo bene a conoscenza delle attività, dello spirito, dello stile che caratterizza la vostra istituzione, intesa a elevare e raffinare sempre di più la vostra vita cristiana, nutrendola con la formazione religiosa, rinvigorendola con la fedeltà alla Chiesa e al Papa, impegnandola in concrete attività benefiche e sociali. E ci ha fatto grande piacere essere informati sui programmi che vi tengono e vi terranno impegnate in questo e nell’anno venturo, con la trattazione approfondita delle virtù teologali della carità e della fede, oltre ai temi di carattere sociale e culturale.
Desideriamo pertanto esprimervi il Nostro sentito compiacimento per il dinamismo che riscontriamo nella bella iniziativa dei vostri «Convegni»: essi non sono un’accademia, o un passatempo, ma mirano a formare nelle signore aderenti una consapevolezza sempre più vissuta delle responsabilità che il Vangelo comporta, particolarmente per le rappresentanti di particolari ceti sociali che più degli altri, per disponibilità e tempo, possono meglio attendere al proprio perfezionamento spirituale e morale, e procurare più efficacemente il bene del prossimo. La fede vi animi in questo programma - e quanto ci rallegra sapere che questa fede è in voi ferma e sicura, inserita nella Chiesa e nell’amore al Papa, nutrita alle scaturigini della vita sacramentale; la carità, inoltre, vi sostenga e vi spinga a cercare e ad «apprezzare sempre il meglio, ripieni del frutto di giustizia che ci viene per Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio» (Phil. 1, 10, 11).
    Continuate nella vostra benemerita attività! Noi vi seguiamo con grande benevolenza, e, mentre invochiamo su di voi il patrocinio e lo spirito della Venerabile vostra Patrona, di cuore vi impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione, che di cuore estendiamo ai vostri familiari.
 

 http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1970/documents/hf_p-vi_aud_19700520.html

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