LA TRINITA'
di San Tommaso d'Aquino
(tratto
dal Compendio di Teologia)
Capitolo 37
Come intendere il Verbo in Dio
Da quanto è stato detto sopra si
ricava che Dio pensa e ama se stesso; e ancora che in Dio il pensare e il volere
non sono altra cosa che il suo essere. Ora, poiché Dio pensa se stesso, e ogni
cosa pensata è in colui che pensa, bisogna ammettere che Dio sia in se stesso
come la cosa pensata è in colui che pensa. Ma la cosa pensata, in quanto è in
colui che pensa, è in un certo modo il verbo dell'intelletto. Noi infatti
esprimiamo con la parola esterna ciò che comprendiamo interiormente: dice
infatti il Filosofo che le parole sono segni dei pensieri. Dobbiamo quindi
ammettere che in Dio vi sia il Verbo di se stesso.
Capitolo 38
In Dio il Verbo si dice
"concezione"
Ciò che è contenuto
nell'intelletto come verbo interiore, secondo il comune modo di parlare viene
definito concezione dell'intelletto. Infatti si dice fisicamente concepito ciò
che viene formato da una forza vitale nell'utero dell'animale vivente per
l'azione attiva del maschio e passiva della femmina, nella quale avviene il
concepimento; e in questo modo l'essere che viene concepito appartiene alla
natura di entrambi, ed è ad essi conforme secondo la specie.
Ciò che invece pensa l'intelletto
viene formato nell'intelletto fungendo l'intelligibile da agente e l'intelletto
quasi da paziente. E ciò che è pensato dall'intelletto, esistendo
nell'intelletto, è conforme sia all'intelligibile che muove (del quale è una
similitudine), sia all'intelletto, che è passivo secondo che ha l'essere
intelligibile. E così ciò che è compreso dall'intelletto viene chiamato
giustamente concezione dell'intelletto.
Capitolo 39
In quale rapporto sia il Verbo
nei confronti con il Padre
È qui necessario considerare che
esiste una differenza. Essendo infatti ciò che concepisce l'intelligenza una
similitudine della cosa pensata, e rappresentandone la specie, ne segue che può
essere considerata come un suo figlio. Quando infatti l'intelletto pensa qualche
cosa di diverso da sé, la cosa pensata può essere considerata come il padre del
concetto che è concepito in esso, e l'intelligenza ha piuttosto la funzione
della madre che ha il compito di concepire. Quando invece l'intelletto conosce
se stesso, allora il verbo concepito è rispetto a colui che pensa come un figlio
rispetto al padre. Di conseguenza, quando parliamo del Verbo secondo il quale
Dio pensa se stesso, è necessario considerare lo stesso Verbo nei confronti di
Dio, di cui è il Verbo, come il Figlio rispetto al Padre.
Capitolo 40
Come deve essere compresa la
generazione del Verbo
Si comprende allora perché nella
Regola della fede cattolica si insegni a confessare l'esistenza del Padre e del
Figlio quando si dice: "Credo in Dio Padre e nel suo Figlio". E perché nessuno,
sentendo il nome del Padre e del Figlio, possa pensare a una generazione
carnale, come quando noi parliamo di padre e di figlio, l'evangelista S.
Giovanni, al quale sono stati rivelati i segreti celesti, invece di Figlio
scrive Verbo, affinché noi sappiamo riconoscere che si tratta di una generazione
intellettuale.
Capitolo 41
Il Verbo (cioè il Figlio) ha lo
stesso essere e la stessa essenza del Padre
Ma si deve tener presente che,
essendo in noi distinto l'essere naturale dal pensare, il verbo concepito nel
nostro intelletto, avendo soltanto l'essere intelligibile, è necessariamente di
un'altra natura ed essenza dal nostro intelletto, che ha un essere naturale.
In Dio invece l'essere e il
pensare sono la medesima cosa. Quindi il Verbo di Dio, che è in Dio, del quale è
Verbo secondo l'essere intelligibile, ha lo stesso essere con Dio, del quale è
Verbo. Di conseguenza deve essere della stessa natura ed essenza, e tutto ciò
che si dice di Dio lo si deve dire anche del Verbo di Dio.
Capitolo 42
La fede cattolica insegna
queste cose
Ecco perché nella regola della
fede cattolica ci viene insegnato a confessare che il "Figlio è consostanziale
al Padre". E in questo modo vengono esclusi due errori. Innanzitutto si
sottolinea che il Padre e il Figlio non vanno intesi secondo la generazione
carnale, perché questa comporta la separazione della sostanza del figlio da
quella del padre: nel qual caso il Figlio non sarebbe consostanziale al Padre.
Il secondo errore è questo: non si devono intendere il Padre e il Figlio secondo
la generazione intelligibile, così come è concepito il verbo nella nostra mente,
perché in noi esso sopravviene quasi accidentalmente all'intelletto, e non ha
l'essere dalla sua essenza.
Capitolo 43
In Dio non vi è alcuna
differenza del Verbo dal Padre, né di tempo o di specie o di natura
Nelle cose che sono identiche
nell'essenza non è possibile che vi siano differenze nel tempo o nella specie o
nella natura. Ora, essendo il Verbo consostanziale al Padre, necessariamente non
vi sono differenze nei confronti del Padre secondo queste tre cose.
Prima di tutto il Verbo non può
differire nel tempo. Essendo infatti il Verbo presente in Dio per il motivo che
Dio pensa se stesso concependo intelligibilmente il suo Verbo, se per un certo
tempo non fosse esistito il Verbo, Dio non avrebbe pensato se stesso; ma Dio ha
sempre pensato se stesso, perché il suo intendere è il suo essere: quindi fu
sempre presente in Dio il proprio Verbo. Per questo nella regola della fede
cattolica diciamo che il Figlio di Dio è "nato dal Padre prima di tutti i
secoli".
Né è possibile che il Verbo di
Dio differisca da Dio secondo la specie, quasi che sia minore del Padre, dal
momento che Dio pensa se stesso così come egli è, e non meno. E il Verbo ha la
specie perfetta perché ciò di cui è Verbo pensa perfettamente: è quindi
necessario che il Verbo sia del tutto perfetto nella specie della divinità. Vi
sono invece alcune cose che procedono da altre ma che non raggiungono la specie
perfetta delle cose dalle quali procedono. Ciò si verifica in un primo caso
nelle generazioni equivoche: il sole, per esempio, non genera un altro sole, ma
un qualche animale. Per escludere dunque tale imperfezione dalla divina
generazione noi confessiamo che il Verbo è nato "Dio da Dio". In un secondo caso
ciò si verifica quando una cosa che procede da un'altra ne differisce per un
difetto di purezza. Come quando da una cosa che è in sé semplice per
l'applicazione alla materia esterna viene prodotta un'altra cosa che è lontana
dalla prima specie. Ad es. l'idea della casa nella mente dell'architetto è
diversa dalla sua realizzazione; e così la luce proiettata su un corpo genera i
colori, il fuoco aggiunto ad altri elementi genera qualcosa di misto e il raggio
che colpisce un corpo provoca l'ombra. Per escludere dunque ciò dalla
generazione divina si aggiunge "luce da luce". In un terzo caso ciò si verifica
quando ciò che procede da altro non raggiunge la perfezione della specie per un
difetto di verità, perché non riceve la stessa natura, ma solo una similitudine:
come l'immagine dell'uomo riflessa in uno specchio o in una pittura o scultura;
e così pure la similitudine di una cosa che è nell'intelletto o nel senso:
infatti l'effige di un uomo non è detta uomo vero, ma suo ritratto, "né la
pietra è nell'anima - come dice Aristotele -, ma soltanto l'immagine della
pietra". Ora, affinché tutto ciò sia escluso dalla generazione divina si
aggiunge "Dio vero da Dio vero".
È infine impossibile che il Verbo
differisca da Dio, di cui è Verbo, secondo la natura, perché è naturale che Dio
pensi se stesso. Ogni intelletto infatti conosce naturalmente alcune cose: ad
es. il nostro intelletto conosce naturalmente i primi principi. Molto più dunque
Dio, la cui intelligenza è il proprio essere, pensa naturalmente se stesso. Il
Verbo dunque procede da Dio naturalmente: non come le realtà che sono prodotte
fuori della loro causa naturale, come da noi procedono le realtà artificiali che
noi diciamo di fare, mentre diciamo di generare quelle cose che procedono da noi
naturalmente, come un figlio. Affinché dunque non si pensi che il Verbo non
procede da Dio naturalmente, ma secondo il potere della sua volontà, si dice
"generato, non creato".
Capitolo 44
Conclusione di quanto è stato
premesso
Risulta chiaramente dalle
premesse che tutte le predette condizioni della divina generazione mostrano che
il Figlio è consostanziale al Padre, e perciò alla fine si aggiunge quasi in
sintesi: "della stessa sostanza del Padre".
Capitolo 45
Dio è in se stesso come l'amato
nell'amante
Come la cosa pensata è in colui
che pensa in quanto è pensata, così anche l'amato è presente in colui che ama in
quanto è amato. Infatti chi ama è in qualche modo mosso dall'amato per un'intima
inclinazione: per questo, essendo colui che muove in contatto con la realtà
mossa, necessariamente l'amato deve essere presente in colui che ama. Come
quindi Dio pensa se stesso, così ama necessariamente se stesso: il bene pensato
è infatti in se stesso amabile. Perciò Dio è in se stesso come l'amato
nell'amante.
Capitolo 46
In Dio l'amore viene chiamato
Spirito
Essendo la realtà pensata in
colui che pensa e l'amato in colui che ama, dobbiamo ora considerare il diverso
modo di essere nell'altro in entrambi i casi. La conoscenza infatti avviene per
una certa assimilazione di colui che pensa all'oggetto pensato, per cui quest'ultimo
deve essere presente in colui che pensa mediante una sua similitudine. L'amare
invece provoca una certa mozione dell'amato su colui che ama: l'amato infatti
attira a sé lo stesso amante. Perciò l'amore non si compie con la similitudine
dell'amato, come invece la conoscenza si compie con la similitudine dell'oggetto
inteso, ma si compie con l'attrazione dell'amante verso lo stesso amato. Ora, la
trasmissione di una somiglianza avviene principalmente nella generazione
univoca, quale si verifica nei viventi e nella quale colui che genera è chiamato
padre e colui che è generato è chiamato figlio; e anche in essi la prima mozione
avviene secondo uno spirito vitale. Perciò nella realtà divina, come il modo con
il quale Dio è in Dio come pensato viene espresso chiamando Figlio il Verbo di
Dio, così il modo con il quale Dio è in Dio come l'amato nell'amante viene
espresso dicendo che vi è in Dio lo Spirito, che è l'Amore di Dio. Perciò
secondo la regola della fede dobbiamo credere nello Spirito.
Capitolo 47
Lo Spirito che è in Dio è Santo
Avendo presente che il bene amato
ha ragione di fine, e che il moto della volontà è reso buono o cattivo dal fine,
ne segue che l'amore con il quale è amato il sommo bene, che è Dio, ha
necessariamente una bontà eminente. Ora, questa bontà prende il nome di santità,
sia che si intenda "santo" nel senso di "puro" secondo l'uso greco, dato che in
Dio la bontà è purissima, esente da ogni difetto, sia che si intenda "santo" nel
senso latino di "fermo", perché in Dio la bontà è immutabile. Per questa ragione
anche tutto ciò che ha riferimento a Dio si dice "santo", come il tempio, i vasi
del tempio e tutto ciò che è destinato al culto divino. Opportunamente quindi lo
Spirito, per mezzo del quale viene infuso in noi l'amore con il quale Dio ama
Dio viene chiamato Spirito Santo; e per questo motivo la regola della fede
cattolica chiama "Santo" il predetto Spirito quando dice: "Credo nello Spirito
Santo".
Capitolo 48
L'amore in Dio non comporta
nulla di accidentale
Come il pensare di Dio è il suo
stesso essere, così anche il suo amare è il suo essere. Di conseguenza Dio non
ama se stesso per mezzo di qualcosa che sopravvenga alla sua essenza, ma secondo
la sua essenza. Amando dunque se stesso secondo che Egli è in se stesso come
l'amato è nell'amante, Dio amato non è in Dio amante in un modo accidentale
(come le cose amate sono in un modo accidentale in noi amanti), ma Dio è in se
stesso come l'amato nell'amante in modo sostanziale.
Quindi lo stesso Spirito Santo,
per mezzo del quale viene infuso in noi l'amore, non è qualcosa di accidentale
in Dio, ma è una realtà sussistente nell'essenza divina, come il Padre e il
Figlio. Per questa ragione nella regola della fede cattolica viene insegnato che
lo Spirito Santo deve essere adorato e glorificato insieme con il Padre e il
Figlio.
Capitolo 49
Lo Spirito Santo procede dal
Padre e dal Figlio
Bisogna ancora considerare che il
pensare proviene dalla capacità intellettiva dell'intelletto, e quando
l'intelletto pensa in atto l'oggetto pensato è presente nell'intelletto. Il
fatto dunque che l'oggetto inteso sia in colui che intende procede dalla virtù
intellettiva di quest'ultimo, e questo è il suo verbo, come si è detto. E
similmente ciò che è amato è nell'amante in quanto è amato in atto. Ora, che una
cosa sia amata in atto deriva e dalla capacità di amare di chi ama e dal bene
amabile conosciuto dall'intelletto. Perciò che l'amato sia nell'amante proviene
da due cose: dal principio che ama e dall'intelligibile appreso, cioè dall'idea
concepita del bene amabile.
Siccome in Dio che pensa e ama se
stesso il Verbo è il Figlio e Colui del quale è Verbo - come si è detto - è il
Padre del Verbo, necessariamente lo Spirito Santo, che appartiene all'amore
secondo che Dio è in se stesso come l'amato nell'amante, procede dal Padre e dal
Figlio. Per cui nel Simbolo si dice: "che procede dal Padre e dal Figlio".
Capitolo 50
In Dio la Trinità delle Persone
non ripugna all'unità dell'essenza
Da tutto quanto è stato detto
finora dobbiamo concludere che in Dio vi è una Trinità, che tuttavia non ripugna
all'unità e alla semplicità dell'essenza divina. Si deve infatti ammettere che
Dio è, che esiste per la sua stessa natura, che conosce e ama se stesso. Ciò
avviene però in modo diverso in Dio e in noi. Essendo infatti l'uomo nella sua
natura una sostanza, mentre il suo pensare e amare non sono la sua sostanza, se
si considera l'uomo secondo la sua natura esso è una realtà sussistente, ma se
si considera ciò che vi è nel suo intelletto questo non è una realtà
sussistente, ma l'idea di una realtà sussistente; e similmente in quanto l'uomo
è in se stesso come l'amato nell'amante. Quindi, benché nell'uomo si possano
considerare queste tre cose: l'uomo esistente nella sua natura, l'uomo esistente
nel suo intelletto e l'uomo esistente nel suo amore, queste tre cose non sono
una cosa sola, perché il suo pensare non è il suo essere e neppure lo è il suo
amore. E di queste tre cose una sola è una realtà sussistente, cioè l'uomo
esistente nella sua natura. In Dio invece essere, pensare e amare sono la stessa
cosa. Perciò Dio esistente nel suo essere naturale, Dio esistente nel suo
intelletto e Dio esistente nel suo amore sono una sola cosa, e tuttavia ognuna
di esse è sussistente. E siccome le realtà sussistenti in una natura spirituale
sono dette dai Latini persone e dai Greci ipostasi, per questa ragione i Latini
parlano di tre Persone in Dio e i Greci di tre Ipostasi, cioè del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo.
Capitolo 51
Sembra esservi incompatibilità
nel porre in Dio la Trinità delle Persone
Da quanto è stato detto sembra
però sorgere una certa incompatibilità con la ragione. Se infatti si pone in Dio
il numero ternario e si considera che ogni numero comporta una divisione,
bisognerà porre in Dio una qualche differenza in forza della quale i Tre siano
fra loro distinti; ma in questo modo non ci sarebbe più in Dio la somma
semplicità. Se infatti i Tre in qualche cosa convengono e in qualche altra
differiscono, vi sarebbe necessariamente una composizione, il che va contro a
quanto è stato detto.
D'altra parte, se è necessario
ammettere un solo Dio - come si è visto -, e se nessuna cosa può procedere da se
stessa, sembra impossibile che vi sia un Dio generato o un Dio che procede. È
dunque falso porre in Dio il nome del Padre e del Figlio e dello Spirito che
procede da entrambi.
Capitolo 52
Soluzione dell'obiezione. In
Dio non vi è distinzione che secondo le relazioni
Per risolvere questa difficoltà
occorre avere presente il principio secondo cui in realtà diverse vi è un modo
diverso di nascere o di procedere. Infatti nelle realtà prive di vita che non
muovono se stesse, ma possono essere mosse solo dall'esterno, una cosa nasce da
un'altra quasi alterata e mutata dall'esterno: come dal fuoco ha origine il
fuoco e l'aria dall'aria. Nei viventi invece, la cui proprietà è di muovere se
stessi, ciò che è generato è in colui che genera, come il feto degli animali e
il frutto delle piante. Nei viventi poi bisogna considerare il diverso modo di
nascere secondo la diversità delle loro potenze e delle loro operazioni. Vi sono
infatti in loro delle potenze le cui operazioni si estendono solo ai corpi,
essendo materiali, come appare nelle potenze dell'anima vegetativa, quali la
capacità di nutrirsi, di crescere e di generare. Ora, secondo questo genere di
potenze dell'anima vegetativa non si genera se non qualcosa di corporeo,
fisicamente distinto e tuttavia in qualche modo congiunto nei viventi a ciò da
cui deriva. Vi sono però alcune facoltà le cui operazioni, benché non
trascendano i corpi, tuttavia si estendono alle "specie" dei corpi ricevendole
senza materia, come avviene nelle facoltà dell'anima sensitiva: il senso
infatti, come dice il Filosofo, è ricettivo delle forme senza la materia. Tali
facoltà comunque, benché ricevano in certo qual modo le forme delle cose
immaterialmente, tuttavia non le ricevono senza un organo corporeo. Se si trova
dunque in queste facoltà dell'anima una qualche processione, ciò che è generato
non sarà qualcosa di corporeo, o fisicamente congiunto o distinto da ciò da cui
deriva, ma sarà qualcosa che procede in certo qual modo incorporalmente e
immaterialmente, benché non senza l'aiuto di un organo corporeo. Così infatti
negli animali nascono le forme delle realtà immaginate, che si trovano
nell'immaginazione non come un corpo in un corpo, ma in un certo modo
spirituale: per cui anche S. Agostino chiama "spirituale" la visione
immaginaria.
Ora, se già nell'operazione
dell'immaginazione viene originato qualcosa non in modo corporale, a maggior
ragione ciò avviene nell'operazione della parte intellettiva, che nella sua
operazione non ha bisogno di un organo fisico, essendo la sua operazione del
tutto immateriale. Infatti il verbo procede secondo l'operazione dell'intelletto
come esistente nell'intelletto di colui che lo dice, non però contenuto quasi
localmente, né fisicamente separato, ma esistente in esso secondo la potenza
dell'operazione naturale, e tuttavia distinto secondo l'ordine dell'origine. E
la stessa cosa si può dire della processione che si verifica nell'operazione
della volontà, secondo la quale, come si è detto sopra, la realtà amata è in
colui che ama.
Ora, benché le facoltà
intellettuali e sensitive secondo la loro natura siano più nobili di quelle
dell'anima vegetativa, tuttavia nel caso degli uomini o degli animali nella
processione della parte immaginativa o sensitiva non si genera niente di
sussistente nella medesima specie, ma ciò si verifica solo nella processione
propria della vita vegetativa: e questo perché nei composti di materia e forma
gli individui di una stessa specie si moltiplicano secondo la loro specie per la
divisione della materia. Per questa ragione negli uomini e negli altri animali,
essendo essi composti di materia e forma, gli individui si moltiplicano nella
medesima specie secondo la divisione corporale propria della processione che è
secondo l'operazione dell'anima vegetativa, e non nelle altre operazioni
dell'anima. Invece nelle realtà che non sono composte di materia e forma non vi
può essere se non una distinzione "formale". Ma se la forma per la quale una
cosa si distingue dalle altre è la sostanza di quella cosa, necessariamente la
distinzione è quella delle realtà sussistenti; il che non accade se la forma non
è la sostanza della cosa.
Da quanto abbiamo detto risulta
chiaramente che è comune a ogni intelletto il fatto che quanto viene concepito
dall'intelletto proceda in qualche modo da colui che pensa in quanto pensa, e
che in forza di questa sua processione sia distinto da lui così come il concetto
dell'intelletto - che è l'intentio pensata - si distingue dall'intelletto che
pensa. E così pure è necessario che l'affetto dell'amante, per il quale l'amato
è nell'amante, proceda dalla volontà dell'amante in quanto ama.
Ma è proprio dell'intelletto
divino, il cui pensare è il proprio essere, che la concezione dell'intelletto,
che è l'intentio pensata, sia la sua sostanza; e lo stesso si dica dell'amore in
Dio stesso che ama. Resta dunque provato che l'intentio dell'intelletto divino,
che è il suo Verbo, non si distingue da Colui che lo produce in ciò che è
l'essere sostanza, ma solo secondo la relazione di processione dell'uno
dall'altro. E la medesima cosa va detta dell'affezione amorosa in Dio che ama,
che riguarda lo Spirito Santo.
Così è chiaro che niente
proibisce al Verbo di Dio, che è il Figlio, di essere una sola cosa con il Padre
quanto alla sostanza, e tuttavia di distinguersi da Lui secondo la relazione di
processione, come si è detto. Per cui è evidente che una cosa non nasce né
procede da se stessa, perché il Figlio procedendo dal Padre è da Lui distinto; e
la stessa ragione vale dello Spirito Santo rispetto al Padre e al Figlio.
Capitolo 53
Le relazioni per le quali si
distinguono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono reali e non solo di
ragione
Queste relazioni per le quali il
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo si distinguono a vicenda sono reali, e non
solo di ragione. Le relazioni di ragione infatti sono quelle che non nascono da
qualcosa che è nella natura delle cose, ma da qualcosa che è solo nella mente:
come per una pietra la "destra" o la "sinistra" non sono relazioni reali, ma
solo di ragione, perché non derivano da una proprietà reale esistente nella
pietra, ma dal punto dal quale viene vista la pietra: ad es. è "a sinistra"
perché è a sinistra di un animale. Per un animale invece la "sinistra" o la
"destra" sono relazioni reali, perché provengono da determinate proprietà
esistenti in determinate parti dell'animale.
Ora, essendo le predette
relazioni per le quali si distinguono il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo
realmente esistenti in Dio, tali relazioni devono essere reali e non soltanto di
ragione.
Capitolo 54
Queste relazioni non sono
accidentalmente inerenti all'essenza divina
Non è possibile d'altra parte che
tali relazioni siano accidentalmente inerenti all'essenza divina, sia perché le
operazioni alle quali seguono direttamente le relazioni sono la stessa sostanza
di Dio, sia perché, come abbiamo già mostrato, in Dio non vi possono essere
accidenti. Perciò, se le predette relazioni sono realmente in Dio, non possono
inerire in modo accidentale, ma solo essere sussistenti. Come poi ciò che nelle
altre cose è accidente possa trovarsi in Dio sostanzialmente, è manifesto da
quanto è stato detto.
Capitolo 55
Per le predette relazioni viene
costituita in Dio la distinzione delle Persone
Poiché in Dio la distinzione
avviene per le relazioni, che non sopraggiungono a modo di accidenti, ma sono
sussistenti, e poiché in ogni natura intellettuale la distinzione delle realtà
sussistenti è personale, necessariamente in Dio la distinzione delle Persone è
costituita dalle predette relazioni. Quindi il Padre e il Figlio e lo Spirito
Santo sono tre Persone, e similmente tre Ipostasi, perché "hypostasis" significa
qualcosa di "sussistente e di completo".
Capitolo 56
È impossibile che in Dio vi
siano più di Tre Persone
È impossibile che in Dio vi siano
più di Tre Persone, non essendo possibile moltiplicare le divine Persone per
divisione della sostanza, ma solo per la relazione di una qualche processione; e
non di una qualsiasi processione, ma solo di quella che non termina a qualcosa
di estrinseco. Se infatti la processione terminasse a qualcosa di estrinseco non
avrebbe la natura divina, e quindi non potrebbe essere la Persona o l'Ipostasi
divina. Ora, in Dio la processione che non termina all'esterno può essere
considerata o secondo l'operazione intellettuale dalla quale procede il Verbo, o
secondo l'operazione della volontà dalla quale procede l'Amore, come risulta
chiaramente da quanto abbiamo detto. Non vi può essere dunque nessuna persona
divina che procede se non come Verbo, che noi chiamiamo Figlio, o come Amore,
che noi chiamiamo Spirito Santo.
Ancora. Poiché Dio con un solo
intuito della sua intelligenza comprende tutte le cose, e similmente con un solo
atto della sua volontà ama tutte le cose, è impossibile che in Dio vi siano più
verbi o più amori: se quindi il Figlio procede come Verbo e lo Spirito Santo
come Amore è impossibile che in Dio vi siano più Figli o più Spiriti Santi.
Parimenti. Perfetto è ciò al di
fuori del quale nulla esiste: pertanto ciò che suppone al di fuori di sé
un'altra realtà dello stesso genere non è perfetto in senso assoluto; per questo
motivo le realtà che per la loro natura sono perfette in assoluto non sono
moltiplicate numericamente: come Dio, il sole, la luna e altre cose del genere.
Ma sia il Figlio che lo Spirito Santo sono in assoluto perfetti, essendo come si
è visto entrambi Dio: dunque è impossibile che vi siano più Figli o più Spiriti
Santi.
Inoltre, ciò per cui una realtà
sussistente è distinta dalle altre non può essere moltiplicato numericamente,
perché l'individuo non può essere predicato di molti. Ma per la filiazione il
Figlio è questa Persona divina in sé sussistente e distinta dalle altre, così
come per i principi individuanti Socrate è questa persona umana. Come dunque i
principi individuanti per i quali Socrate è "questo uomo" non possono convenire
che a uno solo, così la filiazione in Dio non può convenire che a uno solo. E la
stessa cosa si può dire della relazione del Padre e dello Spirito Santo. È
quindi impossibile che in Dio vi siano più Padri o Figli o Spiriti Santi.
Ancora. Le cose che sono uno per
la forma non si moltiplicano numericamente se non per la materia: come la
bianchezza si moltiplica perché si trova in molti soggetti. Ma in Dio non c'è
materia. Così dunque, tutto ciò che è uno per specie o forma in Dio è
impossibile che si moltiplichi numericamente. Ma tali sono la paternità, la
filiazione e la processione dello Spirito Santo: è dunque impossibile che in Dio
vi siano più Padri o Figli o Spiriti Santi.
Capitolo 57
Le proprietà o nozioni in Dio.
Quante sono nel Padre
Stabilito in questo modo il
numero delle Persone divine, è necessario che anche le proprietà delle Persone,
per cui, si distinguono fra di loro, siano in un certo numero. Ora, esse
convengono necessariamente al Padre: una per la quale si distingue dal solo
Figlio, e questa è la paternità; una seconda per la quale si distingue da
entrambi, cioè dal Figlio e dallo Spirito Santo, e questa è la innascibilità,
perché il Padre non è Dio procedente da altro, mentre il Figlio e lo Spirito
Santo procedono da un'altra Persona; la terza per la quale lo stesso Padre
assieme al Figlio si distingue dallo Spirito Santo, e questa è chiamata
spirazione comune.
Non è invece necessario assegnare
una proprietà per la quale il Padre si distingua dal solo Spirito Santo perché,
come si è detto, il Padre e il Figlio sono un unico principio dello Spirito
Santo.
Capitolo 58
Le proprietà del Figlio e dello
Spirito Santo. Quali e quante sono
Al Figlio convengono
necessariamente due proprietà: una per cui si distingue dal Padre, ed è la
filiazione; l'altra per cui assieme al Padre si distingue dallo Spirito Santo,
ed è per la seconda volta la spirazione comune. Non è necessario invece
assegnare una proprietà per la quale il Figlio si distingua dal solo Spirito
Santo perché, come si è detto, il Figlio e il Padre sono uno stesso principio
dello Spirito Santo. E così pure non è il caso di assegnare una proprietà per la
quale lo Spirito Santo e il Figlio si distinguano assieme dal Padre: il Padre
infatti si distingue da loro per un'unica proprietà, cioè per l'innascibilità,
in quanto non procede. Siccome invece il Figlio e lo Spirito Santo procedono non
con un'unica processione, ma con più processioni, ne viene che essi sono
distinti dal Padre per due proprietà. Lo Spirito Santo infine ha una sola
proprietà, per la quale si distingue simultaneamente dal Padre e dal Figlio e
che è detta processione. Da quanto è stato detto appare poi chiara la ragione
per cui non vi può essere una proprietà per la quale lo Spirito Santo si
distingue dal solo Figlio o dal solo Padre.
Vi sono dunque cinque proprietà
che vengono attribuite alle Persone, cioè l'innascibilità, la paternità, la
filiazione, la spirazione comune e la processione.
Capitolo 59
Per quale ragione queste
proprietà sono dette nozioni
Queste cinque proprietà possono
essere dette nozioni perché per mezzo di esse noi possiamo conoscere in Dio la
distinzione delle Persone; tuttavia queste cinque nozioni non possono essere
dette proprietà se nel concetto di "proprietà" si considera "proprio" ciò che
conviene a uno solo: infatti la spirazione comune conviene al Padre e al Figlio.
Ma se noi intendiamo "proprio" di alcune cose ciò che è in riferimento ad altro,
come l'uomo e l'uccello sono bipedi rispetto ai quadrupedi, niente proibisce di
chiamare "proprietà" anche la spirazione comune.
Tuttavia, siccome in Dio le
Persone si distinguono per le sole relazioni, mentre le nozioni consentono solo
di conoscere la distinzione delle Persone, necessariamente tutte le nozioni
appartengono in qualche modo alle relazioni. Di queste però quattro sono vere
relazioni per le quali le Persone divine si trovano in rapporto reciproco; la
quinta nozione invece, cioè l'innascibilità, appartiene sì alla relazione, ma
come negazione della relazione: infatti le negazioni si riconducono al genere
delle affermazioni e le privazioni al genere degli abiti, come il "non uomo" al
genere dell'uomo ed il "non bianco" al genere della bianchezza.
È necessario tuttavia sapere che
fra le relazioni per le quali le Persone sono in reciproco rapporto, alcune
hanno un nome, come la paternità e la filiazione, che significano propriamente
una relazione; altre invece non hanno un nome, e sono quelle relazioni per le
quali il Padre e il Figlio sono in rapporto con lo Spirito Santo e lo Spirito
Santo con loro: in questo caso al posto delle relazioni usiamo i nomi di
origine. È infatti chiaro che la spirazione comune e la processione significano
l'origine, ma non le relazioni che sono conseguenti all'origine. Il che invece
si può arguire dalle relazioni del Padre e del Figlio. Generazione infatti
significa l'origine attiva dalla quale deriva la relazione di paternità, mentre
nascita significa l'origine passiva del Figlio dalla quale deriva la relazione
di filiazione. Similmente dalla spirazione comune segue una relazione, e così
dalla processione; siccome però queste relazioni non hanno nome, al posto dei
nomi delle relazioni usiamo i nomi dei loro atti.
Capitolo 60
Benché in Dio le relazioni
sussistenti siano quattro, tuttavia non vi sono che Tre Persone
Dobbiamo ora considerare perché
in Dio non vi possano essere, secondo il numero delle relazioni, quattro o
cinque persone, pur costituendo le relazioni sussistenti, come si è visto, le
Persone divine. Il numero infatti comporta una certa distinzione, poiché come
l'unità è indivisibile o indivisa, così la pluralità è divisibile o divisa. Ora,
per la pluralità delle Persone si richiede che le relazioni abbiano la forza
distintiva a motivo dell'opposizione. Infatti la distinzione formale è data solo
dall'opposizione. Se noi dunque esaminiamo le predette relazioni vediamo che la
paternità e la filiazione hanno fra loro un'opposizione relativa e non sono
compatibili in uno stesso soggetto: quindi la paternità e la filiazione sono
necessariamente due Persone sussistenti. L'innascibilità invece è opposta sì
alla filiazione, ma non alla paternità; per cui la paternità e l'innascibilità
possono convenire a una sola e medesima Persona. Similmente la spirazione comune
non è opposta né alla paternità né alla filiazione e neppure all'innascibilità.
Nulla vieta quindi che la spirazione comune si trovi sia nella Persona del Padre
che in quella del Figlio, e per questa ragione la spirazione comune non è una
Persona sussistente distinta dal Padre e dal Figlio. La processione invece ha
un'opposizione relativa alla spirazione comune per cui, convenendo la comune
spirazione sia al Padre che al Figlio, la processione sussistente è una Persona
distinta da quelle del Padre e del Figlio.
È allora chiaro perché non si
possa dire che Dio è "quino" perché le nozioni sono cinque, ma bensì "Trino" per
la Trinità delle Persone: le cinque nozioni non sono infatti cinque realtà
sussistenti, mentre lo sono le Tre Persone.
Benché tuttavia più nozioni o
proprietà convengano a una Persona, tuttavia solo una è costitutiva della
Persona: infatti la Persona non è costituita quasi della composizione di più
proprietà, ma per il fatto che la proprietà relativa sussistente è Persona: se
quindi si dovessero intendere le diverse proprietà separatamente come per sé
sussistenti, sarebbero più persone e non una. Bisogna dunque comprendere che di
più proprietà o nozioni solo quella che procede secondo l'ordine della natura è
costitutiva della Persona; le altre proprietà che convengono a una persona vanno
invece comprese come inerenti alla Persona già costituita. È chiaro così che l'innascibilità
non può essere la prima nozione del Padre che costituisce la sua persona, sia
perché la negazione non costituisce nulla, sia perché secondo natura
l'affermazione precede la negazione. E così la spirazione comune presuppone
secondo l'ordine di natura la paternità e la filiazione; come pure la
processione dell'Amore presuppone quella del Verbo, per cui nemmeno la
spirazione comune può essere la prima nozione del Padre, e neppure del Figlio.
Di conseguenza bisogna dire che
la prima nozione del Padre è la paternità, quella del Figlio è la filiazione,
mentre dello Spirito Santo solo la processione è nozione. Si conclude perciò
dicendo che tre sono le nozioni che costituiscono le Persone, vale a dire la
paternità, la filiazione e la processione. E necessariamente queste nozioni sono
anche proprietà: infatti ciò che costituisce una persona deve convenire solo a
quella, dato che i principi individuanti non possono convenire a più di un
oggetto. Per questa ragione le predette tre nozioni si chiamano "proprietà
personali", come costituenti le persone nel modo predetto; le altre due vengono
invece dette "proprietà o nozioni delle persone", e non personali, perché non
costituiscono una persona.
Capitolo 61
Se si fa astrazione dalle
proprietà personali non rimangono le ipostasi
Da ciò risulta che se si fa
astrazione dalle proprietà personali non rimangono le ipostasi. Infatti
nell'astrazione fatta dall'intelletto, separata la forma, resta il soggetto
della forma: come astratto il bianco rimane la superficie, e fatta astrazione
dalla superficie rimane la sostanza, e rimossa la forma resta la materia prima;
se invece si rimuove il soggetto non resta niente. Ora, le proprietà personali
sono le stesse Persone come sussistenti; né costituiscono le Persone come se si
aggiungessero a dei soggetti preesistenti, perché in Dio niente di ciò che è
detto in modo assoluto può essere distinto, ma solo ciò che è detto in modo
relativo. Si può dunque concludere che se l'intelletto fa astrazione dalle
proprietà personali non rimangono più le ipostasi; mentre invece se vengono
rimosse le nozioni non personali le ipostasi distinte rimangono.
Capitolo 62
Rimosse con l'astrazione le
proprietà personali rimane l'essenza divina
Se uno poi domandasse se, rimosse
con l'astrazione dell'intelletto le proprietà personali, resti l'essenza divina,
bisogna dire che secondo un aspetto l'essenza divina rimane e secondo un altro
no.
Vi sono infatti per l'intelletto
due modi di fare astrazione. Nel primo modo si astrae la forma dalla materia: e
secondo questo modo si procede da ciò che è più formale a ciò che è più
materiale: infatti ciò che è il primo soggetto rimane ultimo, mentre si rimuove
per prima l'ultima forma. Nel secondo modo invece si astrae l'universale dal
particolare seguendo in qualche modo l'ordine inverso: infatti prima sono
rimosse le condizioni materiali individuanti per cogliere ciò che è comune. Ora,
sebbene in Dio non vi sia materia né forma universale o particolare, vi è
tuttavia ciò che è comune e ciò che è proprio, e vi è il supposito di una natura
comune: infatti, secondo il nostro modo di intendere, le Persone sono paragonate
all'essenza come i suppositi propri alla natura comune. Perciò secondo il primo
modo con cui l'intelletto astrae, rimosse le proprietà personali, che sono le
stesse Persone sussistenti, non rimane la natura comune, mentre invece l'essenza
divina rimane nel secondo modo di astrarre.
Capitolo 63
Il rapporto degli atti
personali rispetto alle proprietà personali
Da quanto è stato detto appare
chiaro quale sia l'ordine, secondo l'intelletto, tra gli atti personali e le
proprietà personali. Le proprietà personali infatti sono le Persone sussistenti.
Ora, la persona sussistente, in qualsiasi natura, agisce comunicando la propria
natura in virtù della propria natura: infatti la forma di una specie è il
principio della generazione di ciò che è simile secondo la specie. Siccome
dunque gli atti personali appartengono alla comunicazione della natura divina,
bisogna che la Persona sussistente comunichi la natura comune in virtù della
stessa natura.
Da ciò si possono trarre due
conseguenze. La prima è che la potenza generativa nel Padre è la stessa natura
divina: infatti qualsiasi potenza di agire è il principio in virtù del quale
qualcosa è fatto. La seconda è che l'atto personale, cioè la generazione,
secondo il nostro modo di intendere, presuppone e la natura divina e la
proprietà personale del Padre, che è l'ipostasi stessa del Padre, benché tale
proprietà, in quanto relazione, sia conseguente all'atto. Ragione per cui, se si
considera nel Padre la Persona sussistente si può dire: perché è Padre genera;
se invece si considera la relazione sembra di dover dire il contrario: è Padre
perché genera.
Capitolo 64
Come bisogna intendere la
generazione rispetto al Padre e rispetto al Figlio
Bisogna tuttavia sapere che la
generazione attiva rispetto alla paternità deve essere intesa in un modo diverso
dalla generazione passiva o nascita rispetto alla filiazione. Infatti la
generazione attiva presuppone, secondo l'ordine della natura, la persona del
generante, mentre la generazione passiva o nascita, secondo l'ordine della
natura, precede la persona generata, dato che la persona generata ha l'essere
dalla nascita. Così dunque, secondo il nostro modo di intendere, la generazione
attiva presuppone la paternità in quanto è costitutiva della Persona del Padre;
la nascita invece non presuppone la filiazione in quanto è costitutiva della
Persona del Figlio, ma, secondo il nostro modo di intendere, la precede in
entrambi i modi, sia in quanto è costitutiva della Persona, sia in quanto è
relazione. E allo stesso modo dobbiamo comprendere ciò che riguarda la
processione dello Spirito Santo.
Capitolo 65
Come gli atti nozionali non
differiscono dalle Persone se non secondo una distinzione di ragione
Dal rapporto stabilito fra gli
atti nozionali e le proprietà nozionali non segue che gli atti nozionali
differiscano dalle proprietà personali realmente, ma solo secondo il nostro modo
di intendere; come infatti il pensare di Dio è lo stesso Dio che pensa, così la
generazione del Padre è lo stesso Dio che genera, benché sia indicato in modo
diverso. Similmente, sebbene una sola Persona abbia più nozioni, non vi è
tuttavia in essa alcuna composizione: l'innascibilità infatti, essendo una
proprietà negativa, non può comportare alcuna composizione. Le due relazioni poi
che sono nella Persona del Padre, cioè la paternità e la spirazione comune, sono
identiche nella realtà in quanto sono riferite alla Persona del Padre: come
infatti la paternità è lo stesso Padre, così anche la spirazione comune nel
Padre è il Padre e nel Figlio è il Figlio. Differiscono invece tra di loro
secondo le Persone a cui si riferiscono: infatti per la paternità il Padre si
trova in relazione con il Figlio e per la spirazione comune con lo Spirito
Santo; e similmente il Figlio per la filiazione è in relazione con il Padre e
per la spirazione comune con lo Spirito Santo.
Capitolo 66
Le proprietà relative sono la
stessa essenza divina
Bisogna ancora dire che le
proprietà relative sono la stessa essenza divina. Infatti le proprietà relative
sono le stesse Persone sussistenti; ma la Persona sussistente, in Dio, non può
essere altro che la divina essenza, la quale è lo stesso Dio, come si è visto
sopra; per cui si deve concludere che le proprietà relative sono identiche
all'essenza divina.
Ancora. Tutto ciò che è in un
altro al di fuori della sua essenza inerisce in modo accidentale; ma in Dio non
vi può essere alcun accidente, come si è dimostrato: perciò le proprietà
relative non sono nella realtà qualcos'altro dall'essenza divina.
Capitolo 67
Le relazioni non sono qualcosa
di aggiunto dall'esterno, come hanno detto i Porretani
Non si può tuttavia dire che le
predette proprietà non siano nelle Persone, ma siano ad esse aggiunte
dall'esterno, come dissero i Porretani. Infatti nelle cose che sono tra loro in
relazione le relazioni devono essere reali: come è evidente nelle creature,
nelle quali le relazioni reali sono come accidenti nei soggetti. Ora, come si è
visto, in Dio queste relazioni per le quali si distinguono le Persone sono
relazioni reali, per cui è necessario che siano nelle Persone divine, non però
come accidenti. Infatti anche altre cose che nelle creature sono accidenti,
trasferite in Dio perdono il loro carattere di accidenti, come la sapienza, la
giustizia e altro, come si è visto sopra.
Inoltre in Dio non vi può essere
distinzione se non per le relazioni: infatti tutto ciò che si dice in modo
assoluto è comune alle Persone. Se quindi le relazioni fossero esterne alle
Persone non resterebbe nelle stesse Persone alcuna distinzione. Le proprietà
relative sono dunque nelle Persone, così tuttavia da essere le stesse Persone e
anche la stessa essenza divina. Allo stesso modo infatti si dice che la sapienza
e la bontà sono in Dio e sono lo stesso Dio e l'essenza divina, come si è detto
sopra.
Fonte :
www.santorosario.net
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