PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA
CULTURA
LA VIA PULCHRITUDINIS ,
cammino privilegiato di
evangelizzazione e di dialogo
ASSEMBLEA PLENARIA
2006
(27 – 28 marzo
2006)
- Instrumentum laboris -
La Via pulchritudinis,
Cammino privilegiato di
evangelizzazione e di dialogo.
«Non vi è niente di più
bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di
più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui. Il
compito del pastore, del pescatore di uomini può spesso apparire faticoso. Ma è
bello e grande, perché in definitiva è un servizio alla gioia, alla gioia di Dio
che vuol fare il suo ingresso nel mondo».
Benedetto XVI
Omelia durante la S .Messa per l’inizio del Pontificato
24 aprile 2005
Omelia durante la S .Messa per l’inizio del Pontificato
24 aprile 2005
Città del Vaticano
INDICE
Introduzione
I. Una sfida cruciale.
II. La Chiesa propone una risposta:
La via pulchritudinis.
1. Accettare la sfida.
2. In che modo la via
pulchritudinis può essere una risposta?
3. La via pulchritudinis,
via verso la Verità e la Bontà.
III. 1. La bellezza della
creazione.
A)
La
meraviglia davanti alla bellezza della creazione.
B)
Dalla
creazione alla ricreazione.
C)
La
creazione, utilizzata o idolatrata.
Contesti e proposte pastorali.
Domande
III. 2. La bellezza delle arti.
A)
La
bellezza suscitata dalla fede.
B)
Imparare ad accogliere questa bellezza.
C)
L’arte sacra, strumento di evangelizzazione e di catechesi.
Contesti e proposte pastorali.
Domande
III. 3. La bellezza di Cristo, modello e prototipo della santità
cristiana.
A)
In
cammino verso la bellezza di Cristo.
B)
La
bellezza luminosa di Cristo e il suo riflesso nella santità cristiana.
C)
La bellezza della liturgia.
Contesti e proposte pastorali.
Domande
introduzione
Il tema scelto per la
prossima Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, che si terrà
dal 23 al 25 marzo 2006, è in continuità con le precedenti assemblee, e in
armonia con la missione del Dicastero che è quella di aiutare la Chiesa a
trasmettere la fede in Cristo mediante una pastorale che risponda alle sfide
della cultura contemporanea, specialmente all’indifferenza religiosa e alla non
credenza (Motu proprio Inde a Pontificatus). Con progetti e proposte
concrete, questo Consiglio desidera aiutare i pastori, seguendo la via
pulchritudinis, come cammino di evangelizzazione delle culture e di dialogo
con i non credenti, a condurre a Cristo, che è «la Via, la verità e la
vita» (Gv 14, 6).
I. Una sfida cruciale.
La Plenaria del 2002 sul tema «Trasmettere
la fede nel cuore delle culture, novo millennio ineunte»[1],
e quella del 2004 su «La fede cristiana all’alba del nuovo millennio e la
sfida della non credenza e dell’indifferenza religiosa»[2]
hanno sottolineato l’urgenza di un nuovo slancio apostolico della Chiesa per
evangelizzare le culture, attraverso una inculturazione effettiva del Vangelo.
1. La cultura segnata da una
visione materialistica e atea caratteristica delle società secolarizzate,
suscita un vero e proprio allontanamento, e talvolta una messa sotto accusa
della religione, in particolare del cristianesimo e soprattutto un nuovo
anti-cattolicesimo[3].
Molti vivono come se Dio non esistesse (Etsi Deus non daretur), come se
la sua presenza e la sua parola non potessero influenzare in alcun modo la vita
concreta delle persone e delle società. Essi hanno difficoltà ad affermare
chiaramente la loro appartenenza religiosa: quest’ultima rientrerebbe
esclusivamente nell’ambito della vita privata. L’esperienza religiosa, di
conseguenza, è dissociata spesso da una chiara appartenenza ad una istituzione
ecclesiale: alcuni credono senza appartenere, mentre altri appartengono senza
dare segni visibili del loro credere.
2. Il fenomeno della nuova
religiosità e le spiritualità emergenti, che si diffondono nel mondo,
si ergono come una grande sfida per la nuova evangelizzazione: esse pretendono
di rispondere meglio della Chiesa – o, comunque, meglio delle forme religiose
tradizionali – alle attese spirituali, emotive e psicologiche dei nostri
contemporanei e, attraverso riti sincretistici e pratiche esoteriche, esse
toccano nel vivo l’emotività delle persone in una dinamica comunitaria
pseudo-religiosa che, spesso, le soffoca, privandole addirittura della loro
libertà e della loro dignità[4].
3. Se in alcuni paesi
storicamente cristiani i praticanti non costituiscono più, come in un recente
passato, la maggioranza della popolazione, essi rimangono una forza viva capace
di testimoniare, con discernimento e coraggio, nel cuore di una cultura
neopagana. Le Giornate mondiali della Gioventù, i grandi raduni in occasione dei
Congressi eucaristici nonché nei santuari mariani, il proliferare dei luoghi di
risveglio spirituale e il bisogno sempre più forte di soggiorni silenziosi nelle
foresterie dei monasteri, la riscoperta delle antiche vie di pellegrinaggio e il
fiorire di una moltitudine di nuovi movimenti religiosi che raggiungono giovani
e adulti, le folle immense che si sono accalcate a Roma alla morte di Giovanni
Paolo II e all’elezione di Benedetto XVI, sono altrettanti segni di speranza: «Sì,
la Chiesa è viva - testimoniava il Santo Padre nella sua omelia per la messa
d’inizio del Pontificato - questa è la meravigliosa esperienza di questi
giorni. Proprio nei tristi giorni della malattia e della morte del Papa
[Giovanni Paolo II] questo si è manifestato in modo meraviglioso ai nostri
occhi: che la Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro
del mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro. La
Chiesa è viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha
promesso ai suoi»[5]
.
II. La
Chiesa propone una risposta: La via pulchritudinis.
1. Accettare la sfida.
Di fronte alle sfide storiche,
sociali, culturali e religiose raccolte nelle due precedenti Assemblee plenarie,
quali aspetti della pastorale la Chiesa è chiamata a privilegiare nel suo
dialogo apostolico con gli uomini e le donne del nostro tempo, specialmente i
non credenti e gli indifferenti?
La Chiesa compie la sua missione
che è quella di portare gli uomini a Cristo Salvatore mediante la condivisione
della Parola di Dio e il dono dei Sacramenti della Grazia. Per meglio
raggiungerli, attraverso una pastorale della cultura, adattata alla luce
del Cristo contemplato nel mistero della sua Incarnazione (cf. Gaudium et
spes, n. 22), essa scruta i segni dei tempi e vi trova preziose
indicazioni per gettare «ponti» che permettano di incontrare il Dio di Gesù
Cristo attraverso un itinerario di amicizia in un dialogo di verità.
In tale prospettiva, la Via
pulchritudinis si presenta come un itinerario privilegiato per raggiungere
molti di coloro che hanno grandi difficoltà a ricevere l’insegnamento,
soprattutto morale, della Chiesa. Troppo spesso, in questi ultimi decenni, la
verità ha risentito del fatto di essere strumentalizzata dall’ideologia e
la bontà di essere «orizzontalizzata», ridotta ad essere unicamente un atto
sociale, come se la carità verso il prossimo potesse fare a meno di attingere la
propria forza all’amore di Dio. Il relativismo, che trova nel pensiero debole
una delle sue espressioni più forti, contribuisce, peraltro, a rendere difficile
un confronto vero, serio e ragionevole.
La Via della bellezza, a
partire dall’esperienza semplicissima dell’incontro con la bellezza che suscita
stupore, può aprire la strada della ricerca di Dio e disporre il cuore e la
mente all’incontro col Cristo, Bellezza della Santità Incarnata offerta da Dio
agli uomini per la loro Salvezza. Essa invita i nuovi Agostino del nostro tempo,
cercatori insaziabili d’amore, di verità e di bellezza, ad elevarsi dalla
bellezza sensibile alla Bellezza eterna e a scoprire con fervore il Dio Santo
Artefice di ogni bellezza.
Non tutte le culture sono in
ugual misura aperte al Trascendente e ad accogliere la rivelazione cristiana.
Allo stesso modo, tutte le espressioni del bello – o di ciò che ritiene di
esserlo – sono lungi dal favorire l’accoglienza del messaggio di Cristo e
l’intuizione della sua divina bellezza. Le culture, come le espressioni
artistiche e le manifestazioni estetiche, sono segnate dal peccato e possono
attirare, perfino catturare l’attenzione fino a farla ripiegare su se stessa
suscitando nuove forme di idolatria. Non siamo troppo spesso messi di fronte a
fenomeni di vera decadenza in cui l’arte e la cultura si snaturano fino a ferire
l’uomo nella sua dignità? Il bello non può essere ridotto ad un semplice piacere
dei sensi: sarebbe rifiutarsi di avere piena coscienza della sua universalità,
del suo valore supremo, altamente trascendente. La sua percezione richiede
un’educazione, poiché la bellezza non è autentica se non nel suo rapporto con la
verità – d’altronde, di che cosa sarebbe lo splendore, se non della verità? – ed
essa è, al tempo stesso, «l’espressione visibile del bene, come il bene è la
condizione metafisica della bellezza»
[6]
- «Il bello non è forse la strada più sicura per raggiungere il bene? »,
si chiedeva Max Jacob. Ampiamente accessibile a tutti, la Via della bellezza
non è, tuttavia, priva di ambiguità e di deviazioni. Sempre dipendente dalla
soggettività umana, essa può essere ridotta ad un estetismo effimero, lasciarsi
strumentalizzare ed asservire dalle mode attraenti della società dei consumi.
Perciò, è necessario chiarire,
nel corso di questa Plenaria, che cos’è e in che consiste la
Via pulchritudinis: di quale bellezza si tratta, che permetta di trasmettere
la fede mediante la sua capacità di raggiungere il cuore delle persone, di
esprimere il mistero di Dio e dell’uomo, di presentarsi come un autentico
«ponte», spazio libero per camminare con gli uomini e le donne del nostro tempo
che sanno o imparano ad apprezzare il bello, e aiutarli ad incontrare la
bellezza del Vangelo di Cristo che la Chiesa deve, per sua missione, annunciare
a tutti gli uomini di buona volontà.
2. In che modo la via pulchritudinis può essere
una risposta della Chiesa alle sfide del nostro tempo?
Il Papa Giovanni Paolo II,
instancabile indagatore dei segni dei tempi, indica la via nella sua Enciclica
Fides et ratio: «Mentre non mi stanco di richiamare l’urgenza di una
nuova evangelizzazione, mi appello ai filosofi perché sappiano approfondire le
dimensioni del vero, del buono e del bello, a cui la parola di Dio dà accesso.
Ciò diventa tanto più urgente, se si considerano le sfide che il nuovo millennio
sembra portare con sé: esse investono in modo particolare le regioni e le
culture di antica tradizione cristiana. Anche questa attenzione deve
considerarsi come un apporto fondamentale e originale sulla strada della nuova
evangelizzazione»[7].
Questo appello ai filosofi può
sorprendere, ma la via pulchritudinis non è forse una via veritatis
sulla quale l’uomo si impegna per scoprire la bonitas del Dio d’amore,
fonte di ogni bellezza, di ogni verità e di ogni bontà? Il bello, come pure il
vero o il bene, ci conduce a Dio, Verità prima, Bene supremo e Bellezza stessa.
Ma il bello dice più del vero o del bene. Dire di un essere che è bello non
significa solo riconoscergli una intelligibilità che lo rende amabile. E’ dire,
nello stesso tempo, che specificando la nostra conoscenza, esso ci attira, anzi
ci cattura attraverso un influsso capace di suscitare meraviglia. Se esso
esprime un certo potere di attrazione, ancor più, forse, il bello esprime la
realtà stessa nella perfezione della sua forma. Esso ne è l’epifania. Esso la
manifesta esprimendo la sua intima chiarezza
[8]. Se il bene esprime il desiderabile, il bello esprime
ancor più lo splendore e la luce di una perfezione che si manifesta
[9] .
La via pulchritudinis è
una via pastorale che non si può ridurre ad un approccio filosofico. Ma
lo sguardo del metafisico ci aiuta a capire perché la bellezza è una via regale
per condurre a Dio. Nel suggerirci chi Egli è, essa suscita in noi il desiderio
di goderne nella pace della contemplazione, non soltanto perché Lui solo può
soddisfare le nostre intelligenze e i nostri cuori, ma anche perché Egli
contiene in se stesso la perfezione dell’Essere, fonte armoniosa e inesauribile
di chiarezza e di luce. Per giungervi, è importante saper compiere il passaggio
«dal fenomeno al fondamento». E’ di nuovo l’appello del papa filosofo: «Ovunque
l’uomo scopre la presenza di un richiamo all’assoluto e al trascendente, lì gli
si apre uno spiraglio verso la dimensione metafisica del reale: nella verità,
nella bellezza, nei valori morali, nella persona altrui, nell’essere stesso, in
Dio. Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di
saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno
al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche
quando questa esprime e rende manifesta l’interiorità dell’uomo e la sua
spiritualità, è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza
spirituale e il fondamento che la sorregge »
[10] .
Questo passaggio dal fenomeno
al fondamento non avviene spontaneamente per chi non sia in grado di
passare dal visibile all’invisibile perché una certa abitudine alla bruttezza,
al cattivo gusto, alla volgarità, si vede promossa sia dalla pubblicità sia da
alcuni «artisti folli» che fanno dell’immondo e del brutto un valore, al
fine di suscitare scandalo. I fiori capziosi del male affascinano: «Vieni
dal cielo profondo o esci dall’abisso, o Bellezza?», si chiede Baudelaire. E
Dmitrij Karamazov confida a suo fratello Alëša: «La Bellezza è una cosa
terribile. E’ la lotta tra Dio e Satana e il campo di battaglia è il mio cuore».
Se la bellezza è l’immagine di Dio creatore, essa è anche figlia di Adamo ed Eva
e, sulla loro scia, segnata dal peccato. L’uomo spesso rischia di lasciarsi
intrappolare dalla bellezza presa in se stessa, icona divenuta idolo, mezzo che
inghiottisce il fine, verità che imprigiona, trappola in cui cade un gran numero
di persone, per mancanza di un’adeguata formazione della sensibilità e di una
corretta educazione alla bellezza.
Percorrere la Via
pulchritudinis implica impegnarsi a educare i giovani alla bellezza,
consentire ad essi di sviluppare uno spirito critico di fronte all’offerta della
cultura mediatica, aiutarli a plasmare la loro sensibilità e il loro carattere
per elevarli e condurli ad una reale maturità. La «cultura kitsch» non è
caratteristica di una certa paura di sentirsi spinto ad una profonda
trasformazione? Dopo aver a lungo rifiutato questa «passione», Sant’Agostino
ricorda la trasformazione profonda dell’anima grazie all’incontro con la
bellezza di Dio: nelle Confessioni egli ripensa con tristezza e amarezza
al tempo perduto e alle occasioni mancate e, in pagine indimenticabili, rivede
il suo percorso tormentato alla ricerca della verità e di Dio. Ma, in una specie
di illuminazione nell’evidenza, egli ritrova Dio e lo coglie come «la Verità in
persona» (X, 24), fonte di gioia pura e di autentica felicità: «Tardi t’amai,
bellezza così antica, così nuova, tardi t’amai! Ed ecco, tu eri dentro di me ed
io fuori di me ti cercavo e mi gettavo deforme sulle belle forme della tua
creazione… Tu hai chiamato e gridato, hai spezzato la mia sordità, hai brillato
e balenato, hai dissipato la mia cecità, hai sparso la tua fragranza ed io
respirai, ed ora anelo verso di te; ti ho gustata ed ora ho fame e sete, mi hai
toccato, ed io arsi nel desiderio della tua pace»[11].
Quest’esperienza dell’incontro con il Dio della Bellezza è un avvenimento
vissuto nella totalità dell’essere e non solo nella sensibilità. Di qui la
confessione del De musica (6, 13, 38): «Num possumus amare nisi
pulchra? – Che altro si può amare se non le cose belle?».
3. La Via pulchritudinis, via
verso la Verità e la Bontà.
Proponendo un’estetica
teologica, Hans Urs von Balthasar intendeva aprire gli orizzonti del pensiero
alla meditazione e alla contemplazione della bellezza di Dio, del suo mistero e
del Cristo in cui Egli si rivela. Nell’introduzione al primo volume della sua
opera magistrale, Gloria, il teologo cita la parola bellezza «che per
noi sarà la prima» e ne esprime la sua portata dinanzi al bene che «anche
ha perduto la sua forza di attrazione» e in cui «gli argomenti in favore
della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica»
[12]. Parallelamente, con altre preoccupazioni, Aleksandr
I. Solženicyn nota con accento profetico, nel suo Discorso per la consegna
del Premio Nobel per la Letteratura: «Questa antica triunità della
Verità, del Bene e della Bellezza non è semplicemente una caduca formula da
parata, come ci era sembrato ai tempi della nostra presuntuosa giovinezza
materialistica. Se, come dicevano i sapienti, le cime di questi tre alberi si
riuniscono, mentre i germogli della Verità e del Bene, troppo precoci e
indifesi, vengono schiacciati, strappati e non giungono a maturazione, forse
strani, imprevisti, inattesi saranno i germogli della Bellezza a spuntare e
crescere nello stesso posto e saranno loro in tal modo a compiere il lavoro per
tutti e tre»[13].
Così, ben lungi dal rinunciare a
proporre la Verità e il Bene che sono nel cuore del Vangelo,
bisogna seguire una via che permetta ad essi di raggiungere il cuore dell’uomo e
delle culture[14].
Il mondo ne ha urgente bisogno, come sottolineava Papa Paolo VI nel suo vibrante
Messaggio agli Artisti dell’8 dicembre 1965, alla chiusura del Concilio
Ecumenico Vaticano II: «Questo mondo nel quale noi viviamo ha bisogno di
bellezza per non cadere nella disperazione. La bellezza, come la verità, mette
la gioia nel cuore degli uomini ed è un frutto prezioso che resiste al logorio
del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione»[15].
Contemplata con animo puro, la bellezza parla direttamente al cuore, eleva
interiormente dallo stupore alla meraviglia, dall’ammirazione alla gratitudine,
dalla felicità alla contemplazione. Perciò, crea un terreno fertile per
l’ascolto e il dialogo con l’uomo e per afferrarlo interamente, mente e cuore,
intelligenza e ragione, capacità creatrice e immaginazione. Essa, infatti,
difficilmente lascia indifferenti: suscita emozioni, mette in moto un dinamismo
di profonda trasformazione interiore che genera gioia, sentimento di pienezza,
desiderio di partecipare gratuitamente a questa stessa bellezza, di
appropriarsene interiorizzandola e inserendola nella propria concreta esistenza.
La via della bellezza risponde
all’intimo desiderio di felicità che alberga nel cuore di ogni uomo. Essa apre
orizzonti infiniti, che spingono l’essere umano ad uscire da se stesso, dalla
routine e dall’effimero istante che passa, ad aprirsi al Trascendente e al
Mistero, a desiderare, come scopo ultimo del suo desiderio di felicità e della
sua nostalgia di assoluto, questa Bellezza originale che è Dio stesso, Creatore
di ogni bellezza creata. Molti Padri hanno fatto riferimento a ciò durante il
Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia, nell’ottobre 2005.
III. Le vie
della bellezza.
Tre sviluppi si offrono a noi come vie privilegiate della Via
pulchritudinis, per dialogare con le culture contemporanee:
III. 1. La bellezza della creazione
III.3. La bellezza di Cristo,
modello e prototipo della santità cristiana
La Bellezza di Dio, rivelata
dalla bellezza singolare di suo Figlio, costituisce l’origine e il fine di tutto
il creato. Se è possibile partire dal grado più elementare, per poi risalire,
secondo un dinamismo inscritto nelle Sacre Scritture, dalla bellezza sensibile
della natura alla Bellezza del Creatore, quest’ultima risplende in maniera unica
sul volto di Cristo e su quello di sua Madre e dei santi. Per il cristiano
«creazione» è inseparabile da «ricreazione», poiché se Dio ha giudicato buona e
bella l’opera dei sei giorni (cf. Gn 1), il peccato, con il disordine, ha
introdotto la bruttezza della morte e del male. «Felice colpa, che meritò di
avere un così grande Redentore!», canta la liturgia di Pasqua: la Grazia,
che si riversa sul mondo dal costato aperto di Cristo Salvatore, purifica e
introduce in tutt’altra bellezza il mondo salvato che attende gemendo
l’ora della trasformazione finale (Rm 8, 22).
III. 1. La bellezza della creazione.
La Scrittura sottolinea il
valore simbolico della bellezza del mondo che ci circonda: «Davvero stolti
per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio, e dai beni
visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l’artefice, pur
considerandone le opere…Se…li hanno presi per dèi, pensino quanto è superiore il
loro Signore, perché li ha creati lo stesso autore della bellezza» (Sap
13, 1.3). C’è, tuttavia, un abisso tra la bellezza ineffabile di Dio e le sue
vestigia nella creazione, pertanto l’autore sacro non ritiene inutile precisare
il quadro di tale «dialettica ascendente»: «…dalla grandezza e bellezza delle
creature per analogia si conosce l’autore » (v. 5). Occorre, perciò,
superare le forme visibili delle cose della natura, per risalire fino al loro
Autore invisibile, il Tutt’Altro.
A) La meraviglia davanti alla bellezza della creazione.
«La natura è un tempio in cui
dei pilastri vivi lasciano talvolta uscire confuse parole…» Se i poeti sono,
con Baudelaire[16],
particolarmente sensibili alle bellezze della creazione e al loro misterioso
linguaggio, è perché dalla contemplazione di un paesaggio al tramonto, delle
cime dei monti innevate sotto il cielo stellato, dei campi coperti di fiori
inondati di luce, del rigoglio delle piante e delle specie animali nasce una
varietà di sentimenti che ci invitano a «leggere dall’interno – intus-legere»,
per raggiungere dal visibile l’invisibile e dare risposta alle domande: chi è
questo artefice dall’immaginazione così potente all’origine di tanta bellezza e
grandezza, di una simile profusione di esseri nel cielo e sulla terra?
[17].
Nello stesso tempo la
contemplazione delle bellezze della creazione suscita la pace interiore e affina
il senso dell’armonia e il desiderio di una vita bella. Nell’uomo religioso, lo
stupore e l’ammirazione si trasformano in atteggiamenti interiori più
spirituali: l’adorazione, la lode e l’azione di grazie verso l’Autore di tali
bellezze. Così il salmista: «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la
luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il
figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue
mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi… O Signore, nostro Dio, quanto è grande
il tuo nome su tutta la terra!» (Sal 8, 4-7.10).
B)
Dalla creazione alla ricreazione.
Tra le creature ce n’è una che
presenta una certa somiglianza con Dio: l’uomo, creato «a sua immagine e
somiglianza». Con la sua anima spirituale, egli porta in sé un «germe
d’eternità irriducibile alla sola materia» (Gaudium et spes, 18). Ma
l’immagine è stata alterata dal primo peccato, veleno che indebolisce la volontà
nel suo orientamento verso il bene e, quindi, offusca l’intelligenza e vizia la
sensibilità. La bellezza dell’anima, assetata di verità e slancio verso il
beneamato, perde il suo splendore e diventa capace di operare il male, il
brutto: un bambino testimone di un’azione cattiva non dice spontaneamente: «Non
è bello»? Così la bruttezza – e dunque a fortiori il bene – appare
nel campo della morale e si riflette sull’uomo, suo soggetto. Con il peccato,
questi ha perso la sua bellezza e si vede nudo fino a provarne vergogna. La
venuta del Redentore lo riporta alla sua bellezza originaria, anzi lo riveste di
una bellezza nuova: la bellezza inimmaginabile della creatura elevata alla
filiazione divina, la trasfigurazione promessa dell’anima redenta ed innalzata
dalla grazia, lo splendore in tutte le fibre del suo corpo chiamato a
resuscitare.
Se Cristo, Nuovo Adamo, «svela
pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Gaudium
et spes, 22), lo sguardo cristiano sulla bellezza della creazione trova il
suo compimento nella sconvolgente notizia della ricreazione: il Cristo,
rappresentazione perfetta della gloria del Padre, comunica all’uomo la sua
pienezza di grazia. Egli lo rende «grazioso» vale a dire bello e gradito a Dio.
L’Incarnazione è il centro focale, la giusta prospettiva in cui la bellezza
assume il suo significato ultimo.:«”Immagine del Dio invisibile” (Col 1, 15),
Cristo Signore è l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la
somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato.
Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire
annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata ad una dignità
sublime. Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni
uomo». Torneremo ancora su questo argomento, la bellezza della santità che
emana dall’uomo conformato a Cristo, sotto il soffio dello Spirito Santo, è una
delle più belle testimonianze in grado di scuotere i più indifferenti e di far
sentire loro il passaggio di Dio nella vita degli uomini.
In un’azione di grazie continua,
il cristiano loda il Cristo che gli ha ridato vita e si lascia trasfigurare da
questo dono glorioso che gli viene fatto. I nostri occhi avidi di bellezza si
lasciano attrarre dal Nuovo Adamo, vera icona del Padre eterno, «irradiazione
della sua gloria e impronta della sua sostanza» (Eb 1, 3). Ai «puri
di cuore» ai quali è stato promesso che vedranno Dio faccia a faccia, Cristo
concede già di intravedere la luce della gloria nel cuore stesso della notte
della fede.
C)
La creazione, utilizzata o idolatrata.
Sono, tuttavia, numerosi gli
uomini e le donne che vedono la natura e il cosmo solo nella loro materialità
visibile, universo muto che avrebbe il solo destino di obbedire alle fredde e
immutabili leggi fisiche, senza evocare nessun’altra bellezza, ancor meno un
Creatore. In una cultura in cui lo scientismo impone i limiti del suo metodo di
osservazione fino a farne il criterio esclusivo di conoscenza, il cosmo viene
ridotto ad essere soltanto un immenso serbatoio al quale l’uomo attinge fino ad
esaurirlo, in funzione dei suoi bisogni crescenti, smisurati.
Il Libro della Sapienza
mette in guardia contro tale miopia che San Paolo denuncia come un «peccato
di orgoglio e di presunzione» (Rm 1, 20-23). Del resto, la creazione
non è muta: i fenomeni naturali straordinari, talvolta tragici, registrati in
questi ultimi anni, e i disastri ecologici che si moltiplicano senza tregua,
determinano una nuova comprensione della natura, delle sue leggi, della sua
armonia. Risulta sempre più evidente, per molti dei nostri contemporanei, che la
natura non può né deve essere manipolata senza rispetto.
Non bisogna, però, fare della
natura un assoluto, addirittura un idolo, come avviene in alcuni gruppi
neopagani: il suo valore non può oltrepassare la dignità dell’uomo chiamato ad
esserne il custode.
Contesti e proposte pastorali.
Una particolare attenzione alla
natura aiuta a scoprire in essa lo specchio della bellezza di Dio. Alcuni
movimenti – scoutismo, Azione Cattolica Ragazzi (ACR) – si impegnano ad educare
all’osservazione della natura e a sensibilizzare alla sua protezione. Essi
aiutano i giovani a scoprire il progetto creatore di Dio, nel momento in cui
destano in loro i sentimenti legati alla meraviglia, all’adorazione e all’azione
di grazie.
La catechesi, nel suo sforzo di
formazione dei bambini e dei giovani, trae vantaggio a sviluppare una pedagogia
dell’osservazione delle bellezze naturali e degli atteggiamenti che vi si
riferiscono: silenzio, interiorizzazione, pazienza nell’attesa, scoperta
dell’armonia, rispetto dell’equilibrio naturale, ecc. L’insegnamento di una
autentica filosofia della natura e di una bella teologia della Creazione
meriterebbe un nuovo slancio in una cultura in cui il dialogo tra scienza e
fede è di particolare importanza, in cui gli intellettuali hanno il dovere
di possedere un minimo di conoscenze epistemologiche e gli scienziati
misconoscono troppo spesso l’immenso profitto che si può trarre dalla sapienza
cristiana[18].
In questo quadro, il Giubileo degli Scienziati, celebrato durante il Grande
Giubileo del 2000, ha fatto sorgere nuove iniziative culturali destinate a
rinnovare il dialogo tra scienza e fede
[19]. Tra queste, il progetto STOQ (Science, Theology
and Ontological Quest), promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura in
collaborazione con diverse Università pontificie.
Le azioni in favore della difesa
della natura, dell’habitat naturale, organizzate da comunità cristiane o da
famiglie religiose che si ispirano all’esempio di San Francesco che «contemplava
il Bellissimo nelle cose belle»
[20],
hanno una certa eco e contribuiscono allo sviluppo di una visione meno «idolatrica»
della natura. La Lettera pastorale dei Vescovi Australiani del Queensland
dal titolo suggestivo: Let the Many Coastlands Be Glad! A Pastoral Letter on
the Great Barrier Reef, ne è un esempio.
Domande:
–
Come
favorire una maggiore attenzione nei riguardi della creazione e della sua
bellezza, nella formazione umana e cristiana, evitando di ridurla a un semplice
ecologismo o ad una visione panteistica?
–
Come i
catechisti possono trarre vantaggio, per la formazione dei bambini e dei
giovani, dall’osservazione della bellezza della creazione? Quali attività in
rapporto con la natura possono meglio favorire lo sviluppo degli atteggiamenti
umani fondamentali necessari ad una autentica esperienza personale di fede:
silenzio, ascolto, ammirazione, senso della gratuità, contemplazione, ecc.?
–
Come
rinnovare l’insegnamento della filosofia della natura e della teologia della
creazione in un dialogo fecondo con le scienze? Come promuovere il dialogo tra
scienza e fede a tutti i livelli: negli Istituti di insegnamento
cattolici, negli Istituti di formazione e nelle Università, nei Centri culturali
cattolici, ecc., per combattere i pregiudizi scientisti e il fideismo ancora
troppo spesso presenti nella mentalità comune e ristabilire delle relazioni
armoniose.
–
Quali
iniziative prendere per trasmettere, nella cultura contemporanea, il senso del
valore autentico della natura, della sua bellezza, della sua potenza simbolica e
della sua capacità di far scoprire l’opera creatrice di Dio?
III. 2. La bellezza delle arti.
Se la natura e il cosmo sono
espressione della bellezza del Creatore e introducono alla soglia di un silenzio
tutto contemplativo, la creazione artistica possiede la capacità di evocare
l’indicibile del mistero di Dio. L’opera d’arte non è «la bellezza», ma ne è
l’espressione e, se obbedisce a dei canoni per natura fluttuanti: ogni arte è
legata ad una cultura, essa possiede un carattere intrinseco di universalità. La
bellezza artistica suscita emozione interiore, provoca nel silenzio il rapimento
e conduce all’«uscita da sé», all’estasi.
Per il credente, la bellezza
trascende l’estetica e il bello trova il suo archetipo in Dio. La contemplazione
di Cristo nel suo mistero d’Incarnazione e Redenzione è la fonte viva alla quale
l’artista cristiano attinge la propria ispirazione per esprimere il mistero di
Dio e il mistero dell’uomo salvato in Gesù Cristo. Ogni opera d’arte cristiana
ha un senso: essa è, per natura, un «simbolo», una realtà che rimanda al di là
di se stessa, che aiuta ad avanzare sulla via che rivela il senso, l’origine e
la meta del nostro cammino terreno. La sua bellezza è caratterizzata dalla sua
capacità di provocare il passaggio dal «per sé» al «più grande di sé».
Tale passaggio si realizza in Gesù Cristo, che è «la via, la verità e la vita»
(Gv 14, 6), la «Verità tutta intera» (Gv 16, 13).
A)
La bellezza suscitata dalla fede.
Le opere d’arte di ispirazione
cristiana, che costituiscono una parte incomparabile del patrimonio artistico e
culturale dell’umanità, sono oggetto di una vera infatuazione da parte di folle
di turisti, credenti o non credenti, agnostici o indifferenti al fatto
religioso. Tale fenomeno è in continuo aumento e raggiunge tutte le categorie
della popolazione, senza distinzione di cultura e di religione. La cultura, nel
senso di «patrimonio spirituale», si è fortemente «democratizzata»: grazie agli
sviluppi straordinari della tecnologia, le opere d’arte si sono avvicinate al
«popolo». Ormai, un minuscolo apparecchio elettronico può contenere tutta
l’opera di Mozart o Bach, come pure sono alla portata di tutti decine di
migliaia di miniature della Biblioteca Vaticana messe su un disco video
digitale.
Il volto di Cristo,
nella sua singolare bellezza, le scene del Vangelo e i grandi avvenimenti
profetici dell’Antico Testamento, il Golgota, la Vergine col Bambino e la
Vergine Addolorata hanno rappresentato nel corso dei secoli una sorgente feconda
di ispirazione per gli artisti cristiani. In una straordinaria ricchezza
immaginativa, questi si sforzano, attraverso una ricerca continua e
continuamente rinnovata, di rappresentare la bellezza di Dio rivelata nel Cristo
e di renderla più vicina, quasi tangibile e visibile. In qualche modo, l’artista
prolunga la Rivelazione operando con le forme, le immagini, i colori o le
sonorità. Mostrando quanto è bello Dio, dice quanto egli lo è per l’uomo, come
suo proprio bene e verità ultima della sua esistenza. La bellezza cristiana è
portatrice di una verità più grande del cuore dell’uomo, verità che supera il
linguaggio umano e indica il suo Bene, l’unico essenziale.
I Cardinali di Santa Romana
Chiesa non hanno forse percepito tutta la terribile bellezza del Giudizio
Universale di Michelangelo, nella Cappella Sistina, nell’atto di eleggere il
nuovo Romano Pontefice? Le cattedrali e le chiese d’Oriente e d’Occidente non
toccano forse l’apice dello splendore quando una liturgia rifulgente di bellezza
vi è celebrata da tutto un popolo ivi radunato? E le abbazie e i monasteri non
diventano delle oasi di pace quando vi risuonano le melodie immutabili che, nel
corso dei secoli, svolgono la loro funzione di lode, di supplica e di azione di
grazie? Tanti uomini e donne, di tutte le epoche e di tutte le culture, hanno
provato una profonda emozione fino ad aprire il loro cuore a Dio, contemplando
il volto di Cristo in Croce, come a suo tempo Francesco d’Assisi, ascoltando una
Passione o un Te Deum oppure inginocchiandosi davanti ad una pala
d’altare d’oro o ad una icona bizantina.
Il Papa Giovanni
Paolo II, nella sua Lettera agli artisti, ha chiamato ad una nuova
epifania della bellezza e ad un nuovo dialogo fede e cultura tra la
Chiesa e l’arte, sottolineando il bisogno reciproco dell’una e dell’altra e la
fecondità della loro alleanza millenaria dalla quale scaturisce quella «creazione
nella bellezza» di cui Platone già parlava nel Simposio
[21].
Se l’ambiente culturale
condiziona fortemente l’artista, allora sorge la domanda: come essere custodi
della bellezza, secondo l’auspicio di von Balthasar, in questa cultura
artistica contemporanea in cui la seduzione erotica onnipresente ipertrofizza
gli istinti, inquina l’immaginario e inibisce le facoltà spirituali? In fondo,
salvare la bellezza non è salvare l’uomo? Non è, questo, il ruolo della Chiesa,
«esperta in umanità» ?
B) Imparare ad accogliere questa bellezza.
Le opere d’arte ispirate dalla
fede cristiana – pitture e mosaici, sculture e architetture, avori e argenti,
opere di poesia e prosa, opere musicali e teatrali, cinematografiche e
coreografiche e tante altre ancora – hanno un potenziale enorme, sempre attuale,
che non si lascia alterare dal tempo che passa: esso consente di comunicare in
maniera intuitiva e piacevole la grande esperienza della fede, dell’incontro con
Dio in Cristo, nel quale si svela il mistero dell’amore di Dio e l’identità
profonda dell’uomo.
Rivolgendosi agli artisti nella
Cappella Sistina, il 7 maggio 1964, il Papa Paolo VI denunciava il «divorzio»
tra l’arte e il sacro, caratteristico del XX secolo, e osservava che oggi
numerosi artisti incontrano grandissime difficoltà a trattare i temi cristiani
per mancanza di formazione e di esperienza riguardo alla fede cristiana
[22]. La bruttezza di certe chiese e delle loro
decorazioni, la loro inadattabilità alla celebrazione liturgica, sono le
conseguenze di tale divorzio, di una lacerazione che richiede una cura perché
venga sanata. Perciò, è importante rimediare all’ignoranza crescente nel campo
della cultura religiosa, per consentire all’arte cristiana del passato e del
presente di aprire a tutti la via pulchritudinis[23].
Per essere pienamente «recepita» e capita, l’opera d’arte cristiana ha bisogno
di essere letta alla luce della Bibbia e dei testi fondamentali della Tradizione
ai quali si riferisce l’esperienza di fede. Se la bellezza va espressa, ne
dobbiamo ancora imparare il particolare linguaggio, che suscita ammirazione,
emozione e conversione. Se esiste un linguaggio della bellezza, quello
dell’opera d’arte cristiana non trasmette soltanto il messaggio dell’artista, ma
la verità del mistero di Dio meditato da una persona che di esso ci dà la sua
propria lettura, non già per glorificarsi, bensì per glorificarne la Sorgente.
L’analfabetismo biblico sterilizza la capacità di comprensione dell’arte
cristiana.
Del resto, uno sforzo congiunto
dev’essere fatto per superare difficoltà dovute ad un certo clima culturale
creato da una critica d’arte ampiamente influenzata da ideologie
materialistiche: mettere in evidenza soltanto l’aspetto estetico-formale delle
opere, senza interesse per il loro contenuto che ha ispirato tanta bellezza,
rende sterile l’arte, inaridisce il flusso vivificante della vita spirituale per
rinchiuderla nella sola emozione sensibile.
C) L’arte sacra,
strumento di evangelizzazione e di catechesi.
Il Servo di Dio Giovanni Paolo
II definiva il patrimonio artistico ispirato dalla fede cristiana «un
formidabile strumento di catechesi», fondamentale per «rilanciare il
messaggio universale della bellezza e della bontà» (Ai Vescovi di Toscana,
11 marzo 1991). In sintonia con lui, il Cardinale Ratzinger, nella sua veste di
Presidente della Commissione speciale preparatoria del Compendio del
Catechismo della Chiesa cattolica, motivava così l’introduzione caratteristica
delle immagini in questa opera: «… anche l’immagine è predicazione
evangelica. Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo
stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli
nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. E’ un indizio
questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra
possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo
efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio
evangelico»
[24].
Il documento del Pontificio
Consiglio della Cultura, Per una pastorale della cultura, auspica «Nella
nostra cultura, contraddistinta da un diluvio di immagini spesso banali e
brutali, quotidianamente riversate dalle televisioni, dai film e dalle
videocassette, un’alleanza feconda tra il Vangelo e l’arte» per «nuove
epifanie di bellezza, nate dalla contemplazione del Cristo, Dio fatto uomo,
dalla meditazione dei suoi misteri, dal loro irraggiamento nella vita della
Vergine Maria e dei santi»(n. 36).
Il forte potere di comunicare,
dell’arte sacra, rende quest’ultima capace di oltrepassare le barriere e i
filtri dei pregiudizi per raggiungere gli uomini e le donne di altre culture e
religioni. Essa arriva al cuore e gli dà modo di cogliere l’universalità del
messaggio di Cristo e del suo Vangelo. Perciò, quando un’opera d’arte ispirata
dalla fede viene offerta al pubblico nel quadro della sua funzione religiosa,
essa si rivela come una «via», un «cammino di evangelizzazione e di
dialogo» che dà la possibilità di godere del patrimonio vivo del
cristianesimo e, nel contempo, della fede cristiana stessa.
Rileggere le opere d’arte
cristiane, grandi o piccole, artistiche o musicali, e ricollocarle nel loro
contesto, approfondendo i loro vincoli vitali con la vita della Chiesa, in
particolare con la liturgia, vuol dire far «parlare» di nuovo tali opere,
consentendo ad esse di trasmettere il messaggio che ne ha ispirato la creazione.
La via pulchritudinis, prendendo la via delle arti, conduce alla
veritas della fede, a Cristo stesso, divenuto «con l’Incarnazione, icona
del Dio invisibile». Giovanni Paolo II non ha esitato a manifestare la sua «convinzione
che, in un certo senso, l’icona è un sacramento: analogamente, infatti, a
quanto avviene nei Sacramenti, essa rende presente il mistero dell’Incarnazione
nell’uno o nell’altro suo aspetto»
[25].
Le opere d’arte cristiane
offrono al credente un tema di riflessione e un aiuto per entrare in
contemplazione in una preghiera intensa, attraverso un momento di catechesi,
come anche di confronto con la Storia Sacra. I capolavori ispirati dalla fede
sono vere “Bibbie dei poveri”, “scale di Giacobbe” che elevano l’anima fino
all’Artefice di ogni bellezza e, con Lui, al mistero di Dio e di coloro che
vivono nella sua visione beatifica: «Visio Dei vita hominis», professa
Sant’Ireneo. Sono le vie privilegiate di una autentica esperienza di fede.
Contesti e proposte pastorali.
La Lettera agli artisti
di Papa Giovanni Paolo II costituisce un riferimento fondamentale a tale
riguardo e trova larga eco nel documento del Pontificio Consiglio della Cultura,
Per una pastorale della cultura
[26].
Le conferenze episcopali possono prendere questi due testi come base di partenza
per iniziative concrete
[27].
Mediante un’educazione
appropriata, bisogna iniziare al linguaggio della bellezza e sviluppare la
capacità di cogliere il messaggio dell’arte cristiana: ciò che fa belle le opere
e, soprattutto, ciò che in esse favorisce un incontro col mistero di Cristo. In
questo campo, si manifesta una presa di coscienza e si assiste ad una
significativa ripresa degli studi sull’arte sacra cristiana, ormai meglio
conosciuta da coloro che hanno il compito di dare una formazione cristiana[28].
Alcune iniziative già collaudate
e, quindi, meritevoli di particolare attenzione:
–
Dialogo con
gli artisti, pittori, scultori, architetti di chiese da costruire, restauratori,
musicisti, poeti, drammaturghi, ecc., per favorire una nuova creatività,
alimentare il loro immaginario alle fonti della fede, e permettere nuove
relazioni tra ciò che la Chiesa commissiona e la produzione degli artisti.
L’analfabetismo liturgico di alcuni artisti scelti per la costruzione di chiese
è un vero dramma largamente diffuso.
–
Organizzazione di eventi culturali ed artistici - mostre, concorsi a premi,
concerti, conferenze, festival, ecc. - , per valorizzare l’immenso patrimonio
della Chiesa e il suo messaggio, nonché per favorire una nuova creatività, in
particolare nel campo dell’arte e del canto liturgico.
–
Pubblicazioni locali sotto forma di dépliant turistici, di pagine web o di
riviste più specializzate sul patrimonio, con l’intento pedagogico di mettere in
evidenza l’anima, l’ispirazione e il messaggio delle opere, e con un’analisi
scientifica volta alla comprensione profonda dell’opera.
–
Sensibilizzazione degli operatori pastorali, dei catechisti e degli insegnanti
di religione, ma anche dei seminaristi e del clero, attraverso corsi di
formazione, seminari, incontri a tema, visite guidate. I Musei diocesani e i
Centri culturali cattolici possono svolgere un ruolo importante, specialmente
proponendo lo studio delle opere d’arte locali o regionali, e favorirne
l’impiego nella catechesi.
–
Formazione
di guide informate sulla specificità dell’arte di ispirazione cristiana,
creazione di gruppi specializzati per la valorizzazione delle opere e di Centri
culturali che condividono queste stesse finalità.
–
Studio e
approfondimento della problematica a livello scolastico e universitario, con dei
master, seminari, laboratori, ecc. Proposta di borse di studio o sussidi
atti a sensibilizzare le istanze educative. Sviluppo a livello regionale e
nazionale di Istituti di Musica sacra, di Liturgia, di Archeologia, ecc. e
creazione di biblioteche specializzate in questo campo.
Domande:
–
Quali
iniziative concrete prendere per educare alla bellezza dell’arte cristiana e al
suo messaggio?
–
Quali sono
le condizioni del rinnovamento della creazione artistica nella comunità
cristiana? Come riallacciare efficacemente i rapporti con gli artisti, per
favorire la creazione di opere d’arte autenticamente religiose e degne
dell’«arte sacra»?
–
Come
valorizzare il ricchissimo patrimonio culturale e artistico della Chiesa nato
dalla fede cristiana e utilizzarlo come strumento di evangelizzazione, di
catechesi e di dialogo?
–
Quali sono
i luoghi di formazione alla sensibilità artistica per un migliore uso della
via pulchritudinis nella pastorale della Chiesa?
–
In che modo
la catechesi e la liturgia possono ricorrere all’arte in maniera più ordinata ed
efficace?
III. 3. La bellezza di Cristo, modello e prototipo della
santità cristiana.
Se la bellezza della creazione
è, secondo Sant’Agostino, una «confessio» e invita a contemplare la
bellezza alla sua fonte, il «Creatore del cielo e della terra,
dell’universo visibile e invisibile», e se la bellezza delle opere d’arte ci
svela qualcosa della bellezza nella sua figura, il Figlio che si è fatto
carne, «il più bello dei figli dell’uomo», c’è una terza via fondamentale
– la prima per importanza – che conduce alla scoperta della bellezza
nell’icona della santità, opera dello Spirito che plasma la Chiesa ad
immagine di Cristo, modello di perfezione: è, per il battezzato, la bellezza
della testimonianza data mediante una vita trasformata nella grazia e, per la
Chiesa, la bellezza della liturgia che dà modo di sperimentare Dio, vivo in
mezzo al suo popolo, e che attira a Lui chi si lascia prendere nel suo abbraccio
tutto di gioia e d’amore.
A) In cammino verso la bellezza di Cristo.
La singolare bellezza di
Cristo, come modello di «vita veramente bella», si riflette nella santità
di una vita trasformata dalla grazia. Molti, purtroppo, sentono il cristianesimo
come sottomissione a dei comandamenti fatti di divieti e di limiti alla libertà
personale. Il Papa Benedetto XVI lo ricordava durante un’intervista alla Radio
Vaticana, il 14 agosto 2005, prima di partire per Colonia, per incontrare
giovani provenienti da tutto il mondo riuniti per le Giornate Mondiali della
Gioventù. E diceva tra l’altro: «Io, invece, vorrei far loro capire che
essere sostenuti da un grande Amore e da una rivelazione non è un fardello: ciò
dà delle ali ed è bello essere cristiani. Questa esperienza dà ampiezza… La
gioia di essere cristiani: è bello ed è anche giusto credere»[29].
Dalla bellezza interiore e dalla profonda emozione provocata dall’incontro con
la Bellezza in persona – pensiamo all’esperienza di Sant’Agostino – nasce la
capacità di proporre eventi di bellezza in tutte le dimensioni dell’esistenza e
dell’esperienza di fede.
La pastorale della Chiesa, per
portare all’incontro col Cristo, trova nella presentazione della sua bellezza il
mezzo per destare i cuori a tale scoperta. Nella sua Lettera agli artisti,
il Papa Giovanni Paolo II metteva in rilievo la fecondità della novità
dell’Incarnazione: «Facendosi uomo, infatti, il Figlio di Dio ha introdotto
nella storia dell’umanità tutta la ricchezza evangelica della verità e del bene,
e con essa ha svelato anche una nuova dimensione della bellezza: il messaggio
evangelico ne è colmo fino all’orlo» (n. 5). Questa bellezza, così
particolare e unica, del «figlio dell’uomo» si rivela sia sul volto del
«Bel Pastore» che su quello del Cristo trasfigurato sul Tabor e, nello
stesso tempo, su Colui che ha perduto, sospeso alla Croce, ogni bellezza
corporale: L’Uomo dei dolori. In particolare, il cristiano vede nella
deformità del Servo sofferente, spogliato di ogni bellezza esteriore, la
manifestazione dell’amore infinito di Dio che giunge sino a rivestirsi della
bruttura del peccato per elevarci, al di là dei sensi, alla bellezza divina che
supera ogni altra bellezza e mai si corrompe. L’icona del Crocifisso, dal volto
sfigurato, racchiude in sé, per chi vuole contemplarlo, la misteriosa bellezza
di Dio.
B) La bellezza
luminosa di Cristo e il suo riflesso nella santità cristiana.
Cristo Gesù è la perfetta
rappresentazione della Gloria del Padre. Egli è «Il più bello dei figli
dell’uomo», perché possiede la pienezza della Grazia mediante la quale Dio
libera l’uomo dal peccato, lo strappa alle tenebre del male e lo restituisce
alla sua innocenza originaria. In ogni luogo e in ogni epoca, una moltitudine di
uomini e di donne si è lasciata afferrare da questa bellezza per dedicarsi ad
essa. Papa Benedetto XVI si esprimeva così durante la prima canonizzazione del
suo pontificato e la messa di chiusura della XI Assemblea ordinaria del Sinodo
dei Vescovi sull’Eucaristia: «Il santo è colui che è talmente affascinato
dalla bellezza di Dio e dalla sua perfetta verità da esserne progressivamente
trasformato. Per questa bellezza e verità è pronto a rinunciare a tutto, anche a
se stesso» (23 ottobre 2005).
Se la santità cristiana si
configura alla bellezza del Figlio, l’Immacolata Concezione è la più perfetta
illustrazione di questa «opera di bellezza». La Vergine Maria e i santi sono i
riflessi luminosi e i testimoni attraenti della bellezza singolare di Cristo,
bellezza dell’amore infinito di Dio che si dà e si comunica agli uomini. Essi
riflettono, ciascuno a suo modo, come i prismi del cristallo, le sfaccettature
del diamante, i contorni dell’arcobaleno, la luce e la bellezza originaria del
Dio d’amore. La santità degli uomini è partecipazione alla santità di Dio e,
quindi, alla sua bellezza; questa, accolta pienamente nel cuore e nella mente,
illumina e guida la vita degli uomini e le loro azioni quotidiane.
La bellezza della testimonianza
cristiana esprime la bellezza del cristianesimo e, per di più, la rende
visibile. «Come possiamo essere credibili nel nostro annuncio di una “buona
notizia”, se la nostra vita non riesce a manifestare anche la “bellezza”del
vivere?». Dall’incontro di fede con Cristo nascono così, in un dinamismo
interiore sostenuto dalla Grazia, la santità dei discepoli e la loro capacità di
rendere «bella e buona» la loro vita e quella del loro prossimo. Non è
una bellezza esteriore e superficiale, tutta di facciata, ma una bellezza
interiore che si delinea sotto l’azione dello Spirito Santo. Essa risplende
davanti agli uomini: nessuno può nascondere ciò che è parte essenziale del
proprio essere.
Era, questo, l’appello di
Giovanni Paolo II ai consacrati, nell’Esortazione apostolica post-sinodale
Vita consecrata: «Ma è soprattutto a voi, donne e uomini consacrati, che
al termine di questa Esortazione rivolgo il mio appello fiducioso: vivete
pienamente la vostra dedizione a Dio, per non lasciar mancare a questo mondo un
raggio della divina bellezza che illumini il cammino dell’esistenza umana. I
cristiani, immersi nelle occupazioni e nelle preoccupazioni di questo mondo, ma
chiamati anch’essi alla santità, hanno bisogno di trovare in voi cuori
purificati che nella fede “vedono” Dio, persone docili all’azione dello Spirito
Santo che camminano spedite nella fedeltà al carisma della chiamata e della
missione» (n. 109). Dove risplende la carità, lì si manifesta la bellezza
che salva, lì è resa gloria al Padre, lì cresce l’unità dei discepoli di Nostro
Signore beneamato.
Pavel Florenskij, cantore russo
della bellezza, martire del XX secolo, così commenta un passo del Vangelo di San
Matteo (5, 16): «I vostri “atti buoni” non vuole affatto dire “atti buoni” in
senso filantropico e moralistico: tà kalà erga vuol dire “atti belli”,
rivelazioni luminose e armoniose della personalità spirituale – soprattutto, un
volto luminoso, bello, di una bellezza per cui si espande all’esterno “l’interna
luce” dell’uomo, e allora vinti dall’irresistibilità di questa luce, gli uomini
lodano il Padre celeste, la cui immagine sulla terra così sfolgora»[30].
Pertanto, la vita cristiana è chiamata a diventare, con la forza della Grazia
donata dal Cristo risorto, un evento di bellezza capace di suscitare
ammirazione, dare origine alla riflessione e incitare alla conversione.
L’incontro con Cristo e con i suoi discepoli, in particolare con Maria sua madre
e con i santi, suoi testimoni, deve poter sempre diventare, in tutte le
circostanze, un evento di bellezza, un momento di gioia, scoperta di una nuova
dimensione dell’esistenza, una esortazione a rimettersi in cammino verso la
Patria Celeste e di godere della visione della «Verità tutta intera»,
della bellezza dell’Amore di Dio: la bellezza è splendore della Verità e
fioritura dell’Amore.
C) La bellezza della liturgia.
La bellezza dell’amore di Cristo
viene ogni giorno incontro a noi, non soltanto attraverso l’esempio dei santi,
ma anche nella sacra liturgia, soprattutto nella celebrazione dell’Eucaristia in
cui il Mistero si fa presente e illumina di senso e di bellezza tutta la nostra
esistenza. E’ lo straordinario mezzo col quale Nostro Signore, morto e risorto,
ci trasmette la sua vita, ci unisce al suo Corpo come sue membra vive e, in tal
modo, ci rende partecipi della sua bellezza.
Florenskij descrive la bellezza
della liturgia, simbolo dei simboli del mondo, come ciò che permette la
trasformazione del tempo e dello spazio «nel tempio santo, misterioso, che
brilla di una bellezza celeste».
In una conferenza al XXIII
Congresso eucaristico nazionale italiano, il Cardinale Ratzinger riprendeva,
come introduzione, la vecchia leggenda relativa alle origini del cristianesimo
in Russia: il Principe Vladimiro di Kiev si sarebbe deciso ad aderire alla
Chiesa Ortodossa di Costantinopoli dopo aver sentito gli emissari che aveva
mandato a Costantinopoli, dove avevano assistito ad una solenne liturgia nella
basilica di Santa Sofia. Essi dissero al Principe: «Non sappiamo se siamo
stati in cielo o sulla terra… abbiamo sperimentato che là Dio abita fra gli
uomini». E il Cardinale teologo traeva da questo racconto il suo fondo di
verità: «Infatti la forza interiore della liturgia ha avuto senza dubbio un
ruolo essenziale nella diffusione del cristianesimo… Ciò che convinse gli
inviati del principe russo della verità della fede celebrata nella liturgia
ortodossa non fu una specie di argomentazione missionaria, le cui motivazioni
sarebbero apparse loro più illuminanti di quelle delle altre religioni. Ciò che
li colpì fu invece il mistero come tale, che proprio andando al di là della
discussione fece brillare alla ragione la potenza della verità»[31].
Per il credente, la bellezza
trascende l’estetica. Essa consente il passaggio dal «per sé» al «maggiore
di sé». La liturgia non è bella, e dunque vera, se non disinteressata, priva
di ogni altro motivo che non sia quello della celebrazione di Dio, per Lui, per
mezzo di Lui, con Lui e in Lui. Essa è appunto «disinteressata»: si tratta «di
stare davanti a Dio e di dirigere il proprio sguardo su di lui, che illumina di
luce divina ciò che avviene». In questo modo diventa missionaria, vale a
dire capace di testimoniare, agli osservatori che si lasciano catturare nella
sua dinamica, la realtà invisibile che essa dà la possibilità di assaporare.
Il poeta e drammaturgo francese
Paul Claudel testimonia l’intima forza della liturgia quando narra della sua
conversione, nel corso della liturgia della Notte di Natale: «Ed è allora che
si verificò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore fu
toccato ed io credetti. Io credetti, con una tale forza di adesione, con una
tale elevazione di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, con
una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio, che, in seguito,
né i libri, né i ragionamenti, né le circostanze di una vita agitata, hanno
potuto scuotere la mia fede, né, a dire il vero, intaccarla»
[32].
La bellezza della liturgia,
momento essenziale dell’esperienza di fede e del cammino verso una fede adulta,
non può ridursi alla sola bellezza formale. Essa è, anzitutto, la bellezza
profonda dell’incontro col mistero di Dio, presente in mezzo agli uomini tramite
suo Figlio, che rinnova continuamente per noi il suo sacrificio d’amore. Essa
esprime la bellezza della comunione con Lui e con i nostri fratelli, la bellezza
di un’armonia che si traduce in gesti, simboli, parole, immagini e melodie che
toccano il cuore e lo spirito e suscitano l’incanto e il desiderio di incontrare
il Signore risorto, Lui che è la «Porta della Bellezza».
La superficialità, e talvolta
perfino la banalità, addirittura la negligenza di alcune celebrazioni liturgiche
non solo non aiutano il credente a progredire nel suo cammino di fede, ma
soprattutto offendono coloro che ritornano alle celebrazioni cristiane e, in
particolare, all’Eucaristia domenicale. In questi ultimi decenni, alcuni sono
arrivati a dare eccessiva importanza alla dimensione pedagogica e alla volontà
di rendere la liturgia comprensibile perfino agli osservatori esterni, e hanno
minimizzato la sua funzione principale: introdurci con tutto il nostro essere in
un mistero che ci supera totalmente. Celebrazione della fede nell’azione
salvifica di Dio nel Suo Figlio Gesù, e in questo è missionaria. Essenzialmente
rivolta verso Dio, essa è bella quando consente a tutta la bellezza del mistero
d’amore e di comunione di manifestarsi
[33].
La liturgia è bella quando è «gradita a Dio» e ci introduce nella gioia divina
[34] .
Contesti e proposte pastorali.
Per la chiusura del grande
Giubileo dell’anno 2000, Giovanni Paolo II ha indirizzato a tutta la Chiesa la
sua Lettera apostolica Novo millennio ineunte, nella quale invita
espressamente a ripartire da Cristo e ad imparare a contemplare il suo volto. Da
questa contemplazione nasce il desiderio, la necessità e l’urgenza di riscoprire
il senso autentico del mistero e della liturgia cristiana, nella quale si vive
concretamente l’incontro con il Signore morto e risorto
[35].
Per rispondere a questo invito,
numerosi vescovi hanno indirizzato ai loro fedeli delle Lettere pastorali
sulla bellezza della salvezza e sul senso della celebrazione liturgica,
sottolineando nel contempo la bellezza dell’incontro con Cristo, la domenica,
giorno a Lui consacrato
[36].
D’altronde, nel corso degli
ultimi decenni, e soprattutto a partire dal discorso di Paolo VI al VII
Congresso Internazionale di Mariologia del 16 maggio 1975, la Via
pulchritudinis è stata ampiamente percorsa in mariologia, con risultati
positivi e promettenti
[37].
E’ importante presentare di
nuovo, con i mezzi più adatti, le preziose testimonianze date dalla Madre di
Dio, dai martiri e dai santi, da tutti coloro che, in maniera particolarmente
«attraente», originale e inventiva, hanno seguito il Cristo. Si fa molto, nel
campo della catechesi, con fumetti, teatro, pubblicazioni, film, concerti e
musicals per far scoprire figure straordinarie di santi come Francesco d’Assisi
e José di Anchieta, Juan Diego e Teresa di Lisieux, Rosa da Lima e Bakhita,
Kisito e Maria Goretti, Padre Kolbe e Madre Teresa, ecc., che, come constatiamo
ancora oggi, esercitano un autentico fascino sui giovani. I loro esempi lo
rammentano: ogni cristiano è un vero pellegrino sulla via della bellezza, della
verità, della bontà, in cammino verso la Gerusalemme Celeste dove contempleremo
la bellezza di Dio, in un’intensa relazione d’amore, nel «faccia a faccia».
«Lì noi ci riposeremo e vedremo; vedremo e ameremo; ameremo e loderemo. Ecco
ciò che sarà alla fine, senza fine»[38].
Una formazione appropriata aiuterà i fedeli a
progredire verso la preghiera di adorazione e di lode per partecipare in verità
ad una liturgia vissuta nella sua pienezza di bellezza che introduce al mistero
di fede. Pertanto, è necessario ridare alla liturgia il suo vero «splendore»
mediante la riscoperta del senso autentico del mistero cristiano. Non è meno
urgente ridare la loro bellezza agli edifici destinati al culto e
all’arredamento liturgico, perché siano realmente accoglienti, certo, ma
soprattutto perché siano adatti a comunicare il vero senso della liturgia
cristiana e favoriscano la piena partecipazione dei fedeli ai divini misteri,
secondo l’auspicio formulato più volte nel corso dei Sinodo dei Vescovi
sull’Eucaristia.
Conclusione
Proporre la via
pulchritudinis come cammino di evangelizzazione e di dialogo, vuol
dire partire da un interrogativo urgente, talvolta latente, ma sempre presente
nel cuore dell’uomo: «Che cos’è la bellezza?», per condurre «tutti gli
uomini di buona volontà, nei quali, in modo invisibile agisce la grazia»,
verso «l’uomo perfetto» che è «immagine del Dio invisibile» (Col.
1,15)[39].
Questa domanda risale all’alba
dei tempi, come se l’uomo ricercasse disperatamente, dopo la caduta originale,
quel mondo di bellezza ormai fuori dalla sua portata. Essa attraversa la storia
sotto molteplici forme e il gran numero di opere, frutto di bellezza in tutte le
civiltà, non riesce ad estinguerne la sete.
Pilato pone a Cristo la
questione della verità. Cristo non risponde, o meglio la sua risposta è il
silenzio: quella verità non si dice, ma si congiunge senza parole alla parte più
intima dell’essere. Gesù si era rivelato ai suoi discepoli: «Io sono la Via,
la Verità e la Vita». Adesso tace. Poco dopo mostrerà la via, cammino di
verità, che porta alla Croce, mistero di sapienza. Pilato non capisce, ma
misteriosamente, egli stesso dà la risposta alla sua domanda: «Che cos’è la
verità?». Davanti al popolo esclama: «Ecco l’uomo», cioè
Cristo, che è la verità.
Se la bellezza è lo splendore
della verità, allora il nostro interrogativo si ricollega a quello di Pilato e
la risposta è identica: Gesù stesso è la Bellezza. Egli si manifesta dal
Tabor alla Croce per illuminare il mistero dell’uomo, sfigurato dal peccato, ma
purificato e ricreato dall’Amore redentore. Gesù non è una via tra le altre, una
verità tra le altre, una bellezza tra le altre. Egli non propone una via tra le
altre: Egli è la via viva che conduce alla verità viva che dà
la vita. Bellezza suprema, splendore di Verità, Gesù è la fonte di ogni
bellezza, perché, Verbo di Dio fatto carne, è la manifestazione del Padre: «Chi
ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14, 9).
Il vertice, l’archetipo della
bellezza si manifesta nel volto del Figlio dell’uomo crocifisso sulla Croce dei
dolori, rivelazione dell’amore infinito di Dio che, nella sua misericordia per
le proprie creature, ripristina la bellezza perduta con la colpa originale. «La
bellezza salverà il mondo», perché tale bellezza è Cristo, la sola bellezza
che sfida il male e trionfa sulla morte. Per amore, il «più bello dei figli
dell’uomo» si è fatto «uomo dei dolori», «senza apparenza né
bellezza per attirare i nostri sguardi» (Is 53, 2), e in tal modo ha
reso all’uomo, ad ogni uomo, pienamente la sua bellezza, la sua dignità e la sua
vera grandezza. In Cristo, e solo in Lui, la nostra via Crucis si
trasforma nella sua in via lucis e in via pulchritudinis.
La Chiesa del terzo millennio
ricerca continuamente questa bellezza nell’incontro con il suo Signore e, con
Lui, nel dialogo d’amore degli uomini e delle donne del nostro tempo. Nel cuore
delle culture, per rispondere alle loro angosce, alle loro gioie e alle loro
speranze, essa non cessa di affermare con il Papa Benedetto XVI: «Chi fa
entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la
vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte
della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi
potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo
ciò che è bello e ciò che libera»[40].
[1]
Cf. Culture e fede, n° 2, 2002.
[2]
Cf. il Documento Dov’è il tuo Dio?, pubblicato in diverse lingue:
Paul Poupard – Pontificio
Consiglio della Cultura, Dov’è il tuo Dio? Fede cristiana, non
credenza e indifferenza religiosa, in « Religioni e sette nel mondo »,
26, 2003-2004; Où est-il ton Dieu ? La foi chrétienne au
défi de l’indifférence religieuse, Salvator,
Paris 2004 ; Where Is Your God?
Responding to the Challenge of Unbelief and Religious Indifference Today –
Dónde está tu Dios? La fe cristiana ante la
increencia religiosa, Chicago 2004; Dónde está
tu Dios? La fe cristiana ante la increencia religiosa, Valencia 2005;
Gdje je tvoj Bog? Kršćanska vjera pred izazovom vjerske ravnodušnosti,
Sarajevo 2005.
[3]
Cf. R. Remond, Le
Christianisme en accusation, Paris 2000 ; Le nouvel antichristianisme,
ibid, 2005.
[4]
Oltre ai testi della Plenaria 2004, cf. il Documento Gesù Cristo
portatore dell’acqua viva. Una riflessione cristiana sul «New Age»,
Città del Vaticano 2003; Jésus, porteur d’eau vive.
Une réflexion chrétienne sur le « Nouvel Age»;
Jesus Christ the Bearer of the Water of Life.
A Christian reflection on the «New Age»; Jesucristo portador
del agua de la vida. Una reflexión cristiana sobre la “Nueva Era”; Jesus
Christus des Spender lebendigen Wassers. Überlegungen
zu New Age aus christlicher Sicht.
[5]
Benedetto XVI, Omelia
durante la S. Messa di inizio del Pontificato, 24 aprile 2005.
[6]
Giovanni Paolo II, Lettera
agli artisti, 4 aprile 1999, n. 3.
[7]
Giovanni Paolo II, Fides et
ratio, 14 settembre 1998, n. 103.
[8]
Secondo San Tommaso d’Aquino,
la claritas è una delle tre condizioni della bellezza. Nelle
questioni sulla Trinità della Summa Theologiae, egli si interroga
sugli attributi propri di ogni persona divina e collega la bellezza alla
persona del Figlio:«Pulchritudo habet similitudinem cum propriis Filii –
La bellezza presenta una certa somiglianza con ciò che è proprio del Figlio».
Ed indica le tre condizioni della bellezza per applicarle a Cristo: la
integritas sive perfectio, la proportio sive consonantia e
la claritas (Ia, qu. 39, art. 8).
[9]
Per una riflessione sulla filosofia del bello e sull’attività artistica,
vedere M.-D. Philippe, L’activité
artistique. Philosophie du faire,
2 vol., Paris 1969-1970, con un’importante bibliografia. Per una
riflessione teologica, vedere anche B.
Forte, La porta della Bellezza. Per un’estetica teologica,
Brescia 1999; Inquietudini della trascendenza, cap. 3: “La Bellezza”,
Brescia 2005, p. 45-55.
[10]
Giovanni Paolo II, Fides et
ratio, op. cit., n. 83. E aggiunge: «Un pensiero filosofico che
rifiutasse ogni apertura metafisica, pertanto, sarebbe radicalmente
inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della
Rivelazione».
[11]
Sant’Agostino, Le
Confessioni, X, 27.
[12]
H. Urs von Balthasar,
Gloria. Gli aspetti estetici della Rivelazione. I, Milano
1975, 10-11: «La nostra parola iniziale si chiama bellezza… La bellezza è
l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché
essa non fa che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il
duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è
la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di
intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo
degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza.
Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione
e che tuttavia, tolta come una maschera dal proprio viso, mette a nudo i
tratti che minacciano di diventare incomprensibili agli uomini…Chi, al suo
nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di
un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o
apertamente – non è più capace di pregare e, presto, neanche di amare…
In un mondo senza bellezza – anche se gli
uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente
sulle labbra, equivocandone il senso – in un mondo che non è forse privo, ma
che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene
ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo
dover-essere-adempiuto… In un mondo che non si crede più capace di affermare
il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza
di conclusione logica».
[13]
Lezione per il Premio Nobel, in Opere, t. IX, YMCA Press,
Vermont-Paris 1981, p. 9.
[14]
Padre Turoldo, cantore della
bellezza, riporta questa significativa affermazione di D.
Barsotti: «Il mistero della
bellezza! Finché la verità e il bene non sono divenuti bellezza, la verità e
il bene sembrano rimanere in qualche modo estranei all’uomo, s’impongono a
lui dall’esterno; egli vi aderisce, ma non li possiede; esigono da lui una
obbedienza che in qualche modo lo mortifica». Quindi trae una
chiara conclusione: «Il vero e il bello non sono sufficienti a creare una
cultura, perché non sembrano sufficienti da soli a creare una comunione, una
unità di vita tra gli uomini. E poiché la cultura è espressione stessa di
uno sviluppo individuale, di una certa perfezione raggiunta, ne viene che la
cultura massimamente sembra esprimersi nella bellezza. La bellezza è il fine
di tutte le cose» (“Bellezza” in Nuovo Dizionario di Mariologia,
Ed. Paoline, 1985, p. 222-223).
[15]
Il Papa Giovanni Paolo II ha
ripreso questa essenziale affermazione nella Lettera agli Artisti, n.
11.
[16]
Cf. anche San Giovanni della Croce:
Mil gracias derramando / Pasó por estos sotos con presura / Y, yéndolos
mirando, / Con sola su figura, / Vestidos los dejó de su hermosura… e
G.M. Hopkins: “The world is
charged with the grandeur of God”.
[17]
Aristotele affermava che «in tutte le cose della natura c’è qualcosa di
meraviglioso» (Le parti degli animali, I, 5). Lo studio della
natura e del cosmo ha giocato un ruolo essenziale nella filosofia, a
cominciare da quella dell’antica Grecia, ed anche in teologia la cosmologia
ha costituito un elemento fondamentale per capire l’opera di Dio e la sua
azione nella storia. Pensiamo, ad esempio, alla visione dello Pseudo-Dionigi
Areopagita, tante volte ripresa nella teologia e nella mistica cristiana,
come anche alla cosmologia aristotelica che si innesta nel pensiero tomista,
andando a costituire una delle cosiddette «prove dell’esistenza di Dio».
Anche Emmanuel Kant riconosceva la bellezza del cosmo e la sua capacità di
provocare stupore, quando affermava, nella Critica della ragion
pratica:«Due cose riempiono l’animo di crescente meraviglia e timore(…): il
cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me».
[18]
Cf. Pontificio Consiglio della Cultura,
Per una pastorale della cultura, 1999, n. 35.
[19]
Cf. The Human Search for Truth: Philosophy, Science, Theology.
International Conference on Science and Faith. Vatican City, 23-25
May 2000, Saint Joseph’s University Press, Philadelphia, USA, 2002; tr. it.
L’uomo alla ricerca della verità. Filosofia, scienza, teologia:
prospettive per il terzo millennio. Conferenza internazionale su scienza
e fede, Città del Vaticano, 23-25 maggio 2000, Vita e Pensiero, Milano,
2005.
[20]
San Bonaventura, Legenda
Maior, IX.
[21]
Giovanni Paolo II, Lettera
agli artisti, n. 12-13.
[22]
Cf. Associazione Arte e
Spiritualità, Sulla via della Bellezza. Paolo VI e gli artisti,
quaderno n. 3, Brescia 2003, p. 71-76.
[23]
Cf. D. Ponnau, in Forme et
sens. Colloque de formation à la dimension religieuse du patrimoine culturel,
École du Louvre, Paris, 1997, p. 20.
[24]
Catechismo della Chiesa cattolica. Compendio. Introduzione.
Libreria Editrice Vaticana, 2005.
[25]
Giovanni Paolo II, Lettera
agli artisti, op. cit., n. 12 e 8.
[26]
Cf. n. 17: Arte e tempo libero e soprattutto il n. 36: L’arte e
gli artisti.
[27]
Cf. La Lettera circolare della Pontificia Commissione per i Beni Culturali
della Chiesa, su La formazione ai beni culturali nei seminari, 15
ottobre 1992; la Nota pastorale della Conferenza Episcopale Regionale di
Toscana: La vita si è fatta visibile. La comunicazione della fede
attraverso l’Arte, del 23 febbraio 1997, e quella dell’Ufficio nazionale
per i Beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana dal
titolo: Spirito Creatore, del 30 novembre 1997.
[28]
Si moltiplicano i corsi di formazione nelle Università cattoliche, come alla
Facoltà di Storia della Chiesa e dei Beni culturali della Pontificia
Università Gregoriana o all’Istituto di Arte Sacra e di Musica liturgica
dell’Istitut Catholique di Parigi; le riviste di ispirazione cristiana
affrontano sempre più spesso questo argomento, come ad esempio Arte
Cristiana di Milano, Humanitas di Santiago del Cile; aumenta il
numero dei Musei diocesani, ideati come veri e propri Centri culturali
cattolici; vengono pubblicati libri che trattano della via pulchritudinis
e aiutano il lettore a familiarizzare col linguaggio dell’arte per una
meditazione spirituale: cf. Maria Gloria Riva, Nell’arte lo stupore di
una Presenza, San Paolo, Milano, 2004.
[29]
E. Bianchi fa eco a queste
parole quando esorta a «saper annunciare la differenza cristiana»
come una vera risposta all’indifferenza: «O il cristianesimo è filocalia,
amore della bellezza, via pulchritudinis, via della bellezza, o
non è! E se è via della bellezza, saprà attirare anche gli altri su quel
cammino che conduce alla vita più forte della morte, saprà essere
sequentia sancti Evangelii per gli uomini e le donne del nostro tempo».
In Perché e come evangelizzare di fronte all’indifferentismo, in
“Vita e pensiero” 2, 2005, p. 92-93.
[30]
Le porte regali. Saggio sull’icona, Milano
1999, 50.
[31]
Card. J. Ratzinger,
Eucaristia come genesi della missione. Conférenza magistrale al XXIII
Congresso Eucaristico di Bologna, 20-28 settembre 1997 in “Il Regno” 1 nov.
1997, n° 19, p. 588-589.
[32]
Cit. in F. Castelli, Volti
di Gesù nella letteratura moderna, II, Paoline 1990, p. 124.
[33]
Cf. T. Verdon, Vedere il
mistero. Il genio artistico della liturgia cattolica, Mondadori 2003.
[34]
H. Urs von Balthasar ha
percepito profondamente «in un paradosso insolubile il mistero della
bellezza. Sempre, infatti, ciò che si manifesta è, nella sua stessa
manifestazione, ciò che non si manifesta… Nella superficie visibile della
manifestazione si coglie la profondità che non si manifesta, e ciò soltanto
dà al fenomeno del bello il suo carattere affascinante e soggiogante, e ciò
soltanto assicura all’essente la sua verità e la sua bontà». Gloria,
op. cit., p. 373.
[35]
Cf. anche l’Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa,
del 28 giugno 2003, n. 66-73; l’Enciclica Ecclesia de Eucaristia, del
17 aprile 2003; la Lettera Apostolica Mane nobiscum, Domine,
del 17 ottobre 2004.
[36]
Cf., per esempio, C. M. Martini,
Quale bellezza salverà il mondo? Lettera pastorale 1999-2000, Milano
1999; B. Forte, Perché
andare a messa la domenica. L’Eucaristia e la bellezza di Dio, Cinisello
Balsamo 2004.
[37]
Cf. Pontificia Accademia Mariana
Internazionale, La madre del Signore. Memoria, presenza, speranza,
Città del Vaticano, 2000, p. 40-42.
[38]
Sant’Agostino, La Città di
Dio, XXII, 30, 5.
[39]
Concilio Vaticano II,
Gaudium et spes, 22.
[40]
Benedetto XVI, Omelia
durante la S.. Messa per l’inizio del Pontificato, 24 aprile 2005.
Fonte : Pontificio
Consiglio della Cultura , www.vatican.va
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