lunedì 8 luglio 2019

"Fate quello che vi dirà" , Riflessioni sulla Pietà Mariana al 208° Capitolo Generale dell'Ordine dei Servi di Maria O.S.M.





208° Capitolo Generale dell’Ordine dei Servi di Maria O.S.M.


" FATE QUELLO CHE VI DIRÀ "

Riflessioni e proposte
per la promozione della pietà mariana


 
La Madonna di Montevergine

 



INTRODUZIONE

1.    Da Roma, dove stiamo celebrando il 208° Capitolo generale, ci rivolgiamo anzitutto a voi, fratelli e sorelle dell’Ordine, che condividete con noi la grazia e la gioia della vocazione di Servi di santa Maria; e con deferente pensiero ci rivolgiamo pure alle Chiese locali dove l’Ordine nostro è presente, e in collaborazione con i vescovi i presbiteri i laici, svolge il proprio servizio e rende la sua peculiare testimonianza; ma, per i motivi che diremo in seguito, intendiamo anche e soprattutto venire a colloquio con le decine e decine di famiglie religiose maschili e femminili, che vivono la propria consacrazione a Cristo guardando espressamente a Maria come a loro immagine conduttrice; infine, non vogliamo escludere dal nostro dialogo nessun discepolo di Gesù, che, come noi, veneri nella beata Vergine la "madre del Signore" (cf. Lc 1, 43), e nessun uomo che, pur non essendo credente, riconosca in Maria di Nazareth, per l’ampiezza e il valore della sua ‘presenza’ nella civiltà umana, una "grande protagonista della storia":1 dagli uni e dagli altri può venire a noi una illuminazione di fede o una testimonianza di cultura e, per converso, agli uni e agli altri la nostra umile parola potrà essere occasione per una rinnovata attenzione verso la Madre di Gesù.
2.    L’anno del Signore 1983 è per noi "anno giubilare". In esso, infatti, ricorre il 750° anniversario della fondazione del nostro Ordine, sorto a Firenze nel 1233, ad opera di sette mercanti di quella città. "Questi sette uomini — leggiamo nel documento più venerando sulle nostre origini — prima di mettersi effettivamente insieme, erano impegnati nel cambiare e nel negoziare cose terrene secondo le regole dell’arte mercantile. Ma quando poi trovarono la perla preziosa, o piuttosto conobbero dalla nostra Signora come procurarsi una tale perla, cioè l’Ordine nostro [...], non solo distribuirono ai poveri quanto possedevano, vendendolo secondo il consiglio evangelico, ma anche, con lieta decisione, impegnarono se stessi a servire fedelmente Dio e la nostra Signora".2
    
   Siamo davvero grati al Signore per il fervore di iniziative sorte in seno all’Ordine nostro, in occasione di questo appuntamento storico. Tutti noi — frati, monache, suore, membri degli Istituti secolari, laici — abbiamo avvertito l’esigenza che la celebrazione dell’Anno giubilare non si esaurisca in una commemorazione storica ma dia luogo a un rinnovamento spirituale, dono dello Spirito di Cristo Risorto e frutto di una generosa risposta alle sollecitazioni che ci vengono dai Sette Santi Padri e agli appelli che ci rivolge la Chiesa del nostro tempo.
       In particolare, abbiamo riflettuto assiduamente sulla dimensione mariana della nostra vocazione. Infatti, come rilevano le nostre Costituzioni, "per servire il Signore e i loro fratelli, i Servi si sono dedicati fino dalle origini alla Madre di Dio, la benedetta dell’Altissimo. A lei si sono rivolti nel loro cammino verso Cristo e nell’impegno di comunicarlo agli uomini. Dal fiat dell’umile Ancella del Signore hanno appreso ad accogliere la Parola di Dio e ad essere attenti alle indicazioni dello Spirito; dalla partecipazione della Madre alla missione redentrice del Figlio, Servo sofferente di Yahveh, sono stati indotti a comprendere e sollevare le umane sofferenze".
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   Fedeli, quindi, al nostro carisma di servizio, non vogliamo desistere dall’approfondire "il significato della Vergine Maria per il mondo contemporaneo".4 Arde in cuor nostro, sommessa e pure fidente, l’aspirazione a che "le nostre comunità siano una testimonianza dei valori umani ed evangelici rappresentati da Maria e del culto che la Chiesa le rende".5
    
   E, parlando delle "nostre comunità", sentiamo di dover aggiungere: siamo ben consapevoli che il nostro Ordine è appena un’esigua porzione della santa Chiesa, ove fioriscono numerosi Istituti religiosi di spiccata spiritualità mariana. Pertanto ci siamo chiesti: perché non fare partecipi della nostra riflessione questi fratelli e sorelle che professano la stessa fede in Cristo, hanno abbracciato lo stesso genere di vita e sono animati dalla stessa pietà verso la Madre del Signore? Perché non comunicare alle Chiese locali con le quali viviamo in quotidiano rapporto le nostre trepide aspirazioni in ordine al culto alla beata Vergine?
    
   Siamo persuasi che un impegno corale, risultante da una convergenza di ideali e di intenti, sia destinato a produrre frutti abbondanti nei nostri Istituti e a rifluire da essi con maggiore efficacia su tanti fedeli che desiderano vivere, singolarmente o in gruppi, la spiritualità mariana delle nostre famiglie. Ecco dunque, carissimi fratelli e sorelle, il motivo immediato che ci ha sollecitati a presentarvi il frutto di alcune nostre riflessioni e ad aprire con voi un dialogo fraterno.
3.    Con questa lettera non intendiamo trattare in modo organico e da un punto di vista dottrinale della persona e della missione della beata Vergine nella storia della salvezza. Non è questa la sede e non ne abbiamo i titoli. Ma, presupponendo una corretta accettazione della dottrina del Concilio Vaticano II e del susseguente magistero dei Romani Pontefici, soprattutto dell’Esortazione apostolica Marialis cultus, e avendo presenti i risultati più sicuri dell’odierna ricerca mariologica, vogliamo solo discorrere cordialmente con voi su alcuni compiti che — a nostro avviso — attendono oggi gli Istituti religiosi e le Chiese locali nell’ambito della promozione del culto alla Madre del Signore.

 


 
4.   Per individuare e comprendere meglio tali compiti ci sembra indispensabile tuttavia dare uno sguardo alla crisi che in un recente passato si manifestò nel campo della pietà mariana e di cui, in varia misura, risentirono i nostri Istituti e numerose Chiese locali. Apertasi verso la fine degli Anni Cinquanta, tale crisi, nel 1975, Anno Santo della Riconciliazione, poteva dirsi avviata alla soluzione.
5.   Tuttavia, se si considera serenamente quel periodo, ci si rende conto che, per quanto attiene alla pietà mariana, non vi fu crisi o disattenzione da parte del magistero ecclesiastico; ché, anzi, in quegli anni per opera del Concilio Vaticano II (1962-1965), di Paolo VI (1963-1978) e di varie Conferenze episcopali videro la luce alcuni dei documenti mariani più belli e più significativi di tutta la storia della Chiesa;6 né vi fu crisi nel campo della liturgia perché, come potè affermare Paolo VI, "la riforma post-conciliare [...] ha considerato con adeguata prospettiva la Vergine nel mistero di Cristo e, in armonia con la tradizione, le ha riconosciuto il posto singolare che le compete nel culto cristiano, quale santa Madre di Dio ed alma cooperatrice del Redentore";7 neppure vi fu crisi negli atteggiamenti cultuali della maggioranza dei fedeli, i quali continuarono a venerare con amore la Madre di Cristo e a ricorrere con fiducia alla sua materna intercessione.
      Ed ancora — è importante sottolinearlo — non vi fu crisi o diminuzione della pietà mariana nelle Chiese d’Oriente: in esse avrebbe piuttosto destato sorpresa e stupore l’eventuale proposta, in sede teorica o pratica, di attenuare in qualche modo la loro antica e intensa venerazione alla gloriosa Theotokos.
6.   La crisi ebbe anzitutto connotazioni intellettuali. E fu pure una sorta di ‘crisi di rigetto’: i progressi compiuti nella ricerca biblica e patristica, l’accentuazione data nel campo della mariologia ad alcune prospettive — l’antropologica e l’ecumenica, l’ecclesiologica e la pneumatologica... — e il mutamento di alcuni tipi di approccio alla figura della Vergine — la preferenza accordata alla categoria del servizio su quella del privilegio, dell’aspetto comunitario su quello individuale... — non sempre furono ben compresi e correttamente applicati, per cui determinarono in non pochi casi un rifiuto di autentici ‘valori mariani’, frettolosamente ritenuti formule stantie e superate. ‘Valori’ — diciamo — che sarebbe stato sufficiente collocare in un rinnovato quadro teologico perché risplendessero con rinnovato fulgore. La mancanza poi di mediazioni accorte e serene tra le riflessioni critiche degli studiosi e le attese immediate dei pastori, diede luogo a dolorose conseguenze in campo cultuale. Così, ad esempio:
— fu giustamente denunciato, anche da parte dei Sommi Pontefici, il pericolo del massimalismo dottrinale,8 ma presso molti ciò determinò solo noncuranza per le verità di fede concernenti la Vergine e, conseguentemente, incapacità di percepire che essa "per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce [...] e riverbera i massimi dati della fede"9 e diede luogo ad un minimismo dottrinale e pratico, del tutto sterile per la vita dello spirito;
— furono denunciati i rischi insiti in ogni spostamento dell’asse portante del culto cristiano: al Padre per Cristo nello Spirito. Ma ciò produsse in molti la persuasione che il culto alla Vergine fosse una manifestazione marginale o costituisse addirittura una deviazione più o meno palese dalla genuina pietà cristiana. Essi cioè non si avvidero che il culto a santa Maria — donna docile allo Spirito, discepola fedele di Cristo, sempre volta a compiere la volontà del Padre — solo nell’alveo del ‘culto cristiano’ trova il suo vero significato e la sua valida espressione; né avvertirono che la pietà mariana, per il radicale inserimento della Vergine nell’evento dell’incarnazione del Verbo e nel mistero pasquale non solo non è un elemento periferico, ma — come ebbe a dire Paolo VI — è elemento intrinseco a tale culto;10
— furono messe in risalto numerose carenze nelle forme espressive della pietà mariana, soggette inevitabilmente all’usura del tempo e ai mutamenti della temperie culturale, ma non ci si dispose — salvo poche eccezioni — a sostituire le forme decadute con altre più efficaci e più attuali. Nel campo dei pii esercizi mariani furono contrapposte, anziché armonizzate,11 le espressioni della pietà liturgica a quelle della pietà popolare; furono abbandonati, per i loro difetti formali, pii esercizi e pratiche che pur contenevano valori perenni. Senza esagerazione si può dire che, in questo campo, si sradicò senza piantare e si demolì senza ricostruire;
— fu messa in evidenza la necessità di affrontare — anche nel campo cultuale e secondo le strutture ad esso proprie — le grandi urgenze del mondo contemporaneo: l’evangelizzazione dei popoli e l’edificazione della pace; la lotta contro ogni forma di oppressione e di ingiustizia; contro l’analfabetismo e la miseria, la disoccupazione e la fame; contro il razzismo e l’emarginazione della donna; contro gli iniqui squilibri tra nazioni ricche e nazioni povere, e contro lo sfruttamento di queste ultime da parte delle prime. Giustamente si sottolineava che un cristianesimo genuino non può disattendere il gemito dei sofferenti e il grido degli oppressi. Ma indebitamente si sottese che la pietà verso la Madre del Signore distraesse da questi impegni primari; non si colse cioè, almeno in un primo momento, il valore profetico della figura della Vergine in ordine all’impegno della Chiesa per l’autentica liberazione dell’uomo e la sua promozione.

7.    Per il suo carattere intellettuale, la crisi nel culto alla Vergine interessò anche, e talora in larga misura, gli Istituti religiosi di tradizione e di spiritualità mariana. Gli elementi mariani che figuravano nella tradizione dei vari Istituti furono inevitabilmente investiti dal vento delle ragioni critiche cui abbiamo fatto riferimento: si misero in discussione pii esercizi che non di rado risalivano alle origini stesse dell’Istituto; si contestarono indirizzi di spiritualità che avevano guidato la vita di numerose generazioni di religiosi e di religiose perché — si affermava — non collimavano con gli orientamenti espressi dai documenti conciliari; divenne meno incisiva la ‘nota mariana’ nell’azione apostolica e meno frequente la predicazione sulla Vergine; più tenui furono gli inviti a imitare gli esempi della vita della Madonna e più contenute le manifestazioni della gioiosa coscienza di essere suoi figli; si sorrise su ‘usanze mariane’ che ritmavano la vita interna delle comunità e sostenevano la pietà personale dei singoli membri; si rifiutò talora la denominazione stessa dell’Istituto, perché era ritenuta ‘devozionale’. E così via.
      Non tutte queste critiche erano senza fondamento; ma spesso non si trovò la via giusta per un confronto costruttivo tra le ragioni della tradizione e le esigenze del rinnovamento. Ciò fu causa di tensioni, produsse malessere, ingenerò in molti religiosi e religiose un senso di scoraggiamento e provocò in alcuni quasi una crisi di identità.

Il superamento della crisi
Maria nel cuore del Mistero cristiano

8.    Abbiamo già rilevato che gli sbandamenti nella pietà mariana non interessarono le strutture vitali della Chiesa — il magistero, la liturgia, il senso dei fedeli... —. La salda resistenza che esse opposero alle onde della crisi fu la conferma di quanto radicata fosse l’antica e vitale intuizione della Chiesa, secondo cui la figura di Maria, pur non essendo il centro, è però centrale nel cristianesimo: è nel cuore del mistero dell’Incarnazione, nel cuore del mistero dell’Ora. E ciò non in virtù di un’auto-persuasione dei cristiani, ma per lo stesso sapiente disegno del Padre e la precisa volontà di Cristo.

 
9.   La dottrina è nota. "Volle il Padre delle misericordíe — leggiamo nella Costituzione Lumen gentium — che l’accettazione di colei che era predestinata a essere la madre precedesse l’Incarnazione, perché così, come una donna aveva contribuito a dare la morte, una donna contribuisse a dare la vita. E questo vale in modo straordinario della Madre di Gesù, la quale ha dato al mondo la Vita stessa, che tutto rinnova".12 Non esiste altro Cristo Salvatore se non il Verbo incarnato, Gesù di Nazareth nato da Maria per opera dello Spirito. Il Cristo che domina la storia, che ha rappacificato con il sangue versato dalla croce il cielo e la terra (cf. Col 1, 20), che nella manifestazione ultima "verrà a giudicare i vivi e i morti",13 è nato da donna (cf. Gal 4, 4), vero uomo, che come ogni altro uomo deve dire grazie a sua madre per il dono dell’esistenza temporale. Perciò Paolo VI, riflettendo sul mistero dell’Incarnazione, potè pronunziare le gravi e in apparenza audaci parole: "Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a lui conduce";14 parole pronunziate in risposta a un preciso interrogativo: "... come è venuto Cristo fra noi?";15 parole dette dopo aver constatato, sulla scorta del dato biblico, che egli "a noi è venuto da Maria; lo abbiamo ricevuto da lei [...] è uomo come noi, è nostro fratello per il ministero materno di Maria",16 e dopo aver valutato la natura e la portata del fiat della Vergine, la quale "non fu strumento puramente passivo nelle mani di Dio, ma cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede e ubbidienza".17 A considerarle bene, quelle parole non suonano tanto lode alla Vergine quanto ammonimento ai credenti a non sovvertire i dati del disegno salvifico del Padre, a non staccare il Frutto benedetto dalla Radice santa, a non scindere la Parola eterna dal grembo che l’accolse e dal cuore che la custodì.
      In virtù del suo radicale inserimento nel mistero dell’incarnazione del Verbo, la Vergine risulta intimamente collegata con tutta la storia della salvezza: "Il solo nome di Theotokos, Madre di Dio, — scrive il santo monaco Giovanni Damasceno — contiene tutto il mistero della salvezza".18
10.   La narrazione evangelica ci è familiare: Gesù, mentre era sul punto di passare da questo mondo al Padre (cf Gv 13, 1), disse alla Madre che stava accanto alla croce: "Donna, ecco il tuo figlio" (Gv 19, 26b). E poi rivolto al discepolo amato, che rappresentava tutti i discepoli, soggiunse: "Ecco la tua madre" (Gv 19, 27a). Con tali parole, inserite in un tipico ‘schema di rivelazione’, Gesù proclamò che sua madre era anche nostra madre. Perciò da quell’Ora — l’Ora del mistero pasquale — il discepolo accolse la madre di Gesù "fra le sue cose proprie" (Gv 19, 27b), come appunto dice il testo originale greco. Come dire: egli ricevette Maria non solo per offrirle un alloggio domestico, ma soprattutto riconoscendo in lei uno dei ‘valori’ della propria fede, uno dei precipui ‘beni’ spirituali che l’amore del Maestro aveva legato alla comunità dei discepoli.
      Negli ultimi trent’anni l’esegesi biblica si è chinata spesso su questo passo giovanneo e ne ha sottolineato con vigore la pregnanza ecclesiale. Ma in realtà essa era già stata rilevata da una tradizione viva che, partendo almeno dal secolo III,19 si era via via arricchita, fino ai nostri giorni.20 Ci sia consentito, tra le molte che potremmo addurre in proposito, citare la testimonianza di s. Sofronio di Gerusalemme († 638): "L’insigne [discepolo] accolse in casa sua l’intemerata Madre di Dio come propria madre... Divenne figlio della Madre di Dio!".21
      Il legame organico che unisce la Chiesa a Maria fu autorevolmente ribadito dal Concilio Vaticano II, quando decise di inserire la trattazione della dottrina sulla beata Vergine a termine e quasi a coronamento della propria riflessione sulla Chiesa: il celebrato cap. VIII della Lumen gentium. L’opzione fatta dall’assise conciliare autorizza, per se stessa, una conclusione: non si dà Chiesa senza Maria e, viceversa, non si comprende Maria se non "nel mistero di Cristo e della Chiesa", come appunto reca il titolo del ricordato capitolo della Lumen gentium.
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11.
   A nostro parere, la ragione ultima del superamento della crisi della pietà mariana è da collocare nel rispetto che la Chiesa deve al libero e sapiente disegno di Dio. La Chiesa non può aggiungere né sottrarre nulla all’azione della grazia divina in Maria; deve solo adorare il misericordioso disegno di Dio sulla "benedetta fra le donne" (Lc 1, 42); solo proclamarne la fede invitta (cf. Lc 1, 45); solo riconoscere che l’Altissimo ha operato in lei "grandi cose" (Lc 1, 49), ma in vista di Cristo e della comunità dei fedeli; solo rallegrarsi che Dio l’abbia posta nella Chiesa come mater misericordiae22 e ministra pietatis.23

12.   Come per l’insieme della Chiesa così è avvenuto per gli Istituti religiosi: in essi la crisi della pietà mariana appare oggi in gran parte superata. Perché gli Istituti religiosi hanno saputo affrontare e rispondere, in conformità con la propria tradizione e in sintonia con il rinnovamento conciliare, alla problematica relativa al culto della beata Vergine.
      Aderendo a precise disposizioni della Sede Apostolica, negli anni del post-Concilio gli Istituti religiosi hanno proceduto ad un lungo, immane lavoro di revisione delle proprie Costituzioni. Per tale revisione il Concilio aveva indicato un primordiale punto di riferimento: la sequela di Cristo quale viene proposta dal Vangelo, qualificato come la "regola suprema".24 Ciò determinò che gli Istituti si confrontassero sistematicamente con il Vangelo e da questo contatto vivo derivò ad essi una abbondante e fresca vena di genuino spirito religioso. La revisione compiuta in obbedienza alla Chiesa da uomini e donne riuniti nel nome del Signore Gesù, deve ritenersi nel suo insieme opera dello Spirito.
      Per quanto attiene alla pietà mariana, essa, offrendo una pausa di riflessione e un conseguente migliore spazio prospettico, consentì di verificare ciò che nella critica del culto alla Vergine era veramente valido e ciò che era solo obiezione inconsistente.
      Ma la revisione si rivelò provvidenziale per un altro motivo: avendo dato luogo a numerose ricerche di archivio, a pubblicazione di fonti, a studi monografici, a vaste consultazioni e a inchieste minuziose, essa mise gli Istituti in grado di riconoscere con maggiore sicurezza il carisma originario, di discernere gli elementi portanti della propria spiritualità mariana da altri secondari e derivati, e di apprendere da dati degni di fede la tradizione viva o sensus dell’Istituto sulla propria pietà mariana.
13.   Il risultato di tale revisione è confortante. Nella quasi totalità dei casi, se si paragonano gli elementi mariani delle Costituzioni pre-conciliari con quelli delle Costituzioni rinnovate, questi appaiono più numerosi e più significativi: le linee della spiritualità mariana dell’Istituto sono esposte più nitidamente, enunciate in contesti di più ampio respiro, sostenute da un più rigoroso fondamento biblico, documentate con opportuni rinvii alle fonti originarie.
      A nostro parere non si è dato ancora sufficiente risalto a questo fatto di vasta portata ecclesiale: moltissimi Istituti hanno gioiosamente confermato la ‘nota mariana’ della loro specifica sequela di Cristo e del loro modo di essere religiosi nella Chiesa.
      La ‘nota mariana’ è stata generalmente espressa nei testi costituzionali con solida impostazione e con stupenda varietà di contenuti. Così, per fare un esempio, nei suoi rapporti con i religiosi la Vergine è considerata ora come Madre amantissima che veglia sui suoi figli, ora come Sorella che condivide con essi la condizione umana e discepolare; come Maestra di vita spirituale e Modello di virtù evangeliche; come Guida verso le vette della santità e Immagine luminosa che ha anticipato in sé le realtà di grazia che persegue la vita consacrata; come Custode dei grandi valori evangelici e Ispiratrice di nuove espressioni di vita consacrata, ella che, confidando in Dio, affrontò situazioni nuove e piene di rischio; come Patrona che difende e protegge l’Istituto e i suoi singoli membri, Regina e Signora al cui servizio di amore si consacrano i religiosi per conformarsi più pienamente a Cristo.
14.   Ma le religiose e i religiosi, per i legami di comunione e di amicizia che li uniscono ai laici, redigendo le proprie Costituzioni hanno riflettuto spesso sul significato della figura di Maria per i fratelli e le sorelle che seguono Cristo nella condizione laicale. Così, percorrendo i rinnovati testi legislativi, si rileva ora l’impegno di favorire presso i laici la pietà mariana; ora il proposito di aiutarli a scoprire nelle risposte di Maria al piano di Dio le ‘risposte evangeliche’ che meglio si adattano alla loro condizione di vita; ora il desiderio di celebrare con essi le feste di santa Maria. E insieme, poiché la pietà mariana dei religiosi e delle religiose affonda quasi sempre le sue radici nell’ambiente domestico, si rileva talvolta l’intenzione di apprendere dalla vita di tanti uomini e donne laici l’esempio di una devozione alla Vergine semplice e tenace, temprata nella rinuncia e nella sofferenza.
15.    La considerazione del ricco contenuto mariano di molte Costituzioni rinnovate ci ha condotto a fissare due prime conclusioni:
— salvo alcune eccezioni, il lamento che qualche volta ancora si ode di una minore attenzione alla figura della Vergine nei nuovi testi legislativi è semplicemente frutto di disinformazione; è dettato spesso, sia pure in modo inconscio, più da sentimenti di nostalgia verso altre situazioni storiche sociali ecclesiali, che da vero zelo per il culto alla Vergine; rivela pure incapacità di cogliere i motivi profondi di un sano rinnovamento e di aprirsi alla novità che lo Spirito suscita nella Chiesa; rischia, infine, di divenire un atteggiamento negativo, sprezzante di un lavoro compiuto con serietà, per obbedienza alla Sede Apostolica e da essa confermato con il sigillo della sua approvazione;
— i ‘dati mariani’ espressi nei vari testi legislativi costituiscono, se considerati nel loro insieme, una somma ragguardevole di ‘esperienze mariane’ e una sorta di compendio di valide indicazioni e di efficaci stimoli per il progresso dei membri dei nostri Istituti nel cammino di una vita che sia essa stessa oblazione santa e culto gradito al Padre (cf.Rm 12,1), che sia animata da un profondo impegno apostolico e pervasa dalla sete di Dio e dalla ricerca della santità. Vogliamo dire: i nostri Fondatori e le nostre Fondatrici, uomini e donne guidati dallo Spirito, intuirono e sperimentarono in se stessi che la Vergine Maria, per la purezza e l’intensià della sua risposta a Dio e per la funzione che svolge nella compagine ecclesiale, costituisce un efficacissimo e polivalente punto di riferimento per vivere una vita posta sotto il segno della perfetta consacrazione al Signore e della generosa donazione ai fratelli.
16.   Gli Istituti religiosi dispongono oggi, racchiusa nei ‘dati mariani’ delle loro Costituzioni, di una riserva immensa di stimoli per la santificazione dei propri membri e per la loro azione apostolica. Se ci sforzeremo di attuare ciò per cui ci siamo impegnati, la pietà verso Maria di Nazareth diverrà occasione pressante e gradita perché diveniamo, ogni giorno più consapevolmente, veri adoratori del Padre in Spirito e Verità (cf. Gv 4, 23-24), uomini e donne del fiat gioioso e responsabile, quotidianamente ripetuto (cf. Lc 1, 38); perché proclamiamo dappertutto, senza ritardi (cf. Lc 1, 39), la Buona Novella e portiamo ai fratelli Cristo, generato e custodito nel cuore; perché imploriamo in comunione con i vescovi e con i fratelli e le sorelle del Signore sparsi in tutto il mondo (cf. At 1, 14 ) il dono dello Spirito e otteniamo che nella Chiesa sia Pentecoste perenne.
 


17.    Dopo aver riflettuto sulla recente crisi della pietà mariana e sul suo sostanziale superamento sia nell’ambito ecclesiale sia negli Istituti religiosi, ci sembra utile proseguire la nostra riflessione guardando Maria dal nostro angolo visuale ed esistenziale, cioè dal nostro essere religiosi e in rapporto al servizio che come tali possiamo rendere alle Chiese locali.
      La beata Vergine Maria è un ‘bene’ che appartiene all’intera Chiesa e a tutte le generazioni: verso tutti i credenti in Cristo, anzi verso tutti gli uomini, essa svolge il suo ministero materno; e, per la purezza della sua adesione alla volontà del Padre e al messaggio del Figlio, a tutti — uomini e donne, vescovi presbiteri diaconi, religiosi e laici — si offre come immagine compiuta del fedele discepolo di Cristo. Già la Chiesa dei Padri aveva espresso il convincimento che la vita della Vergine costituisce un modello di vita per tutti i discepoli del signore.25 Alla luce della tradizione e della costante esperienza della Chiesa non è possibile quindi alcuna appropriazione del ‘modello mariano’ — ci si consenta l’espressione — da parte dei religiosi.

Una responsabilità storica

18.    Gli esegeti rilevano nei testi neotestamentari — soprattutto nei Vangeli di Luca e di Giovanni — tracce indubbie di venerazione verso la Madre di Gesù da parte delle prime comunità cristiane; i patrologi segnalano che da scritti dei secoli II e III emergono non poche testimonianze di una crescente attenzione delle Chiese verso santa Maria, attenzione che si traduce in un atteggiamento di rispettoso ossequio verso la sua dignità di Madre di Cristo e di nuova Eva; da parte loro gli archeologi hanno rinvenuto segni di pietà mariana in reperti di varia natura, risalenti ai secoli II e III e localizzati soprattutto in Palestina e a Roma. Possediamo pertanto un notevole complesso di testimonianze che ci assicura che nell’età pre-nicena, cioè prima del sorgere di forme organizzate di ‘vita religiosa’, esisteva già nella Chiesa una venerazione dai contorni abbastanza ben definiti verso la Madre del Salvatore. È innegabile tuttavia che, sia in Oriente sia in Occidente, il successivo sviluppo della dottrina e della pietà mariana si deve in gran parte all’intuizione, all’impegno, all’amore di uomini e donne consacrati a Dio nella vita religiosa: nell’epoca patristica, nei circoli ascetici; nell’Evo Medio, nei cenobi monastici e nelle comunità dei nuovi Ordini di vita evangelico-apostolica, i quali hanno, tutti, una spiccata venerazione per la Vergine gloriosa; nell’età moderna e nell’epoca contemporanea, in numerose Congregazioni e Istituti di più definito impegno apostolico, nei quali spesso il carisma mariano è asserito con vigore. Se passassimo in rassegna i Santi, uomini e donne, che nella stima dei fedeli e nel giudizio della storia si sono distinti per una peculiare ‘nota mariana’, constateremmo che la maggior parte di essi furono religiosi.
19.   Nei monasteri furono dipinte le mirabili icone, splendenti di una misteriosa ‘presenza’ della Theotokos e portatrici di un singolare messaggio di bellezza e di dottrina; in essi fiorirono l’innografia e l’omiletica mariana, ebbero origine e si affermarono alcune significative feste della Vergine e la consuetudine di dedicare a lei il sabato; ad essi si riallacciano l’uso di salutare la Vergine al termine delle Ore canoniche e soprattutto il solenne ossequio alla Regina di misericordia che conclude l’ufficiatura quotidiana, la pratica dell’Angelus Domini al mattino a mezzogiorno alla sera, la diffusione dei piccoli uffici a santa Maria. Religiosi furono la maggior parte dei più attenti studiosi della figura della Vergine e molti dei più ferventi difensori dei suoi privilegi; matrice ‘religiosa’ ebbero quasi tutti i trattati di spiritualità mariana e i pii esercizi mariani più diffusi tra il popolo cristiano; religiosi furono e sono i custodi di molti santuari dedicati alla Vergine e i promotori di innumerevoli associazioni mariane.
      Tutto ciò deve essere recepito da noi, religiosi e religiose, non come motivo di una insipiente e sterile auto-esaltazione, ma come dato storico su cui riflettere, come invito a non disperdere un ‘patrimonio di famiglia’, come stimolo a proseguire l’opera dei ‘padri’, avviata da secoli.
20.   Dal pontificato di Pio IX (1846-1878), i Sommi Pontefici, nell’esercizio del loro magistero universale, sono intervenuti frequentemente per salvaguardare e incrementare la pietà mariana presso i fedeli. Come i Vescovi di Roma, così hanno fatto i Vescovi di molte Chiese locali. Ad essi, certo, spetta anzitutto questo compito. Ma, senza timore di cedere alla retorica, possiamo affermare che sui religiosi, non per motivi di ordine dottrinale o di governo pastorale ma per il peso di una tradizione plurisecolare, incombe la ‘responsabilità storica’ di custodire fedelmente la pietà verso la Madre del Signore e di promuoverne un corretto sviluppo: una responsabilità che non vogliamo disattendere, un peso che, come il "giogo" e il "carico" della legge di Gesù (cf. Mt 11, 30), sentiamo dolce e leggero.


21.    Già ne abbiamo fatto cenno: la vita di Maria può essere assunta da tutti i discepoli del Signore a norma di vita evangelica. Tuttavia, a causa della sua vocazione unica e irripetibile e delle circostanze singolari in cui essa fu attuata, l’esemplarità di Maria, vera madre e vergine intatta, si esercita in modo diverso sui diversi stati di vita: in un modo, ad esempio, sulla vita di coloro che vivono nel matrimonio, in un altro sulla vita di quelli che hanno abbracciato il celibato per il Regno. Per altro "il matrimonio e la verginità — osserva Giovanni Paolo II — sono i due modi di esprimere e di vivere l’unico mistero dell’alleanza di Dio con il suo popolo".26
22.    Coloro che sono uniti nel santo matrimonio sentono che Maria e Giuseppe, per la comunione di fede di affetti e di vita, costituiscono per essi un luminoso punto di riferimento. Infatti la nascita di Gesù, figlio di Dio e figlio dell’uomo, avviene in seno ad una famiglia costituita secondo la legge del Signore, formata da un uomo giusto (cf. Mt 1, 19) della stirpe di Davide (cf. Mt 1, 20; Lc 1, 27) e da una donna oggetto del favore divino (cf. Lc 1, 28). Dopo che Giuseppe, secondo l’ordine dell’angelo, ebbe preso con sé Maria sua sposa (cf. Mt 1, 20. 24), la loro vita appare segnata da una profonda comunione sponsale: insieme affrontano i disagi provocati dal censimento decretato da Cesare Augusto (cf. Lc 2,1-5); insieme, nella gioia e nella povertà (cf. Lc 2,7), vivono l’evento salvifico della nascita di Gesù; insieme appaiono nel compimento del segno dato dall’angelo ai pastori (cf. Lc 2, 16); insieme compiono i riti prescritti dalla legge del Signore: la circoncisione del bambino e l’imposizione del nome (cf. Lc 2, 21 ); la presentazione del neonato al Tempio (cf. Lc 2, 27) e la "loro purificazione" (Lc 2, 22); dopo le parole di Simeone (cf. Lc 2, 29-32), insieme "il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui" (Lc 2, 33 ) e insieme furono benedetti dal santo vegliardo (cf. Lc 2, 34); insieme affrontarono la dura prova della persecuzione di Erode e della fuga in Egitto (cf. Mt 2, 13-15); tornati a Nazareth, insieme "si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa della Pasqua" (Lc 2, 41); con gli stessi sentimenti di dolore vissero l’episodio profetico dello smarrimento di Gesù (cf. Lc 2, 48): insieme lo cercarono, lo trovarono, restarono pieni di stupore (cf. ibid. ); con essi fece Gesù ritorno a Nazareth e ad essi, come figlio, era sottomesso (cf. Lc 2, 51); insieme vissero là una vita umile, nascosta, operosa, tale che Gesù potè essere ritenuto "il figlio del carpentiere" (Mt 13, 55) o, semplicemente, "il carpentiere" (Mc 6, 3).
      Per tutto ciò la casa di Nazareth è rimasta nella memoria storica della Chiesa come il luogo esemplare dove si apprende "cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e inviolabile".27 In particolare Maria, per la sua maternità fisica e per l’opera educatrice nei confronti del bambino Gesù, è celebrata come modello delle madri cristiane.
      A questo punto ci permettiamo di formulare un duplice auspicio:
— che coloro che vivono nel matrimonio o si preparano a contrarlo realizzino il loro progetto di comunione e di amore anche alla luce della vita sponsale di Giuseppe e di Maria. Essa appare singolarmente caratterizzata da due tratti: fu vissuta "secondo la legge del Signore" e fu espressione di una concorde volontà di affrontare insieme — lo abbiamo visto — gli avvenimenti grandi o piccoli che ad essi si offrivano. Ripensando poi all’esperienza del matrimonio verginale di Maria e di Giuseppe, gli sposi cristiani potranno cogliere il significato ultimo della sessualità — che anche da Maria e da Giuseppe, sia pure in termini unici, è stata vissuta28 — e vivere la loro reciproca donazione come momento di profonda comunione di amore e di arcana partecipazione al mistero della vita, nell’ambito di un ordinamento che viene dal Signore;
— che dopo le molti voci, per lo più di teologi celibi, che lungo i secoli hanno illustrato i vari aspetti della maternità di Maria, essa sia illustrata anche dalla voce di donne portatrici della stessa esperienza antropologica.
 
23.   Eppure questa donna, Maria, così profondamente madre, è stata considerata fin dal secolo II la ‘vergine’ per antonomasia, la "Vergine del Signore".29 Molto presto furono colte dalla riflessione cristiana le implicazioni dogmatiche della sua verginità e, a partire dal secolo III, Maria fu presentata prevalentemente come il modello o l’immagine suprema della verginità consacrata.
      Perché questo? perché la singolare connessione, che abbiamo rilevato nei paragrafi precedenti, tra ‘pietà mariana’ e ‘vita religiosa’? Il Concilio Vaticano II offre una risposta ricca di implicazioni: i consigli evangelici evangelici che i religiosi volontariamente abbracciano "hanno la capacità di maggiormente conformare il cristiano al genere di vita verginale e povera, che Cristo Signore scelse per sé e che la sua Vergine Madre abbracciò".30 Esiste quindi una sintonia profonda tra l’essenza evangelica della ‘vita religiosa’ e alcuni elementi fondamentali della ‘vita della Vergine’ quale è attestata dal Vangelo. Questa sintonia spiega la connessione secolare e cordiale tra ‘pietà mariana’ e ‘vita consacrata’. Vivendo, quanto alla sua essenza, lo stesso "genere di vita" di Maria, i religiosi sono in grado di comprendere con più immediatezza alcuni ‘valori’ della figura della Vergine e di coglierne esistenzialmente sfumature che ad altri, a tutta prima, sfuggono.
24.    Alla luce dell’esperienza storica e della constatata ‘sintonia profonda’ tra il "genere di vita" di Maria e la vita consacrata, possiamo dire, senza farne tuttavia un assioma, che dove si vive con impegno la proposta evangelica della vita religiosa là fiorisce un genuino culto verso la Madre di Gesù; e, viceversa, dove vige una corretta pietà verso la beata Vergine là si incontrano le condizioni favorevoli perché germogli la vita consacrata. Forse si spiega così il fenomeno in atto presso alcuni gruppi di uomini e di donne appartenenti a Chiese della Riforma: hanno restaurato con rigore forme e strutture di vita proprie della tradizione monastico-religiosa, e tra esse il celibato per il Regno, e hanno riscoperto nel contempo il significato e il valore della figura di Maria in ordine alla ‘vita cristiana’.


25.   Per la sua condizione anagrafica Maria è una ‘donna laica’, se pure appartenente a un popolo di consacrati (cf. Dt 14, 2). Eppure la tradizione ecclesiale, riflettendo sui dati evangelici, ama presentare Maria come la ‘donna consacrata’ per eccellenza, come l’espressione più pura e più alta, dopo Cristo, di una consacrazione personale a Dio e alla causa della salvezza Consacrata dall’azione santificante dello Spirito fin dal Concepimento immacolato e poi dalla presenza ineffabile del Verbo nel suo grembo verginale, Maria, a sua volta, si consacrò liberamente e totalmente a Dio rispondendo generosamente alla sua chiamata.31 Alla luce dei dati neotestamentari si può dire che, in virtù della sua singolare consacrazione, tutto nella vita di Maria appare riferito a Dio, tutto esprime un rapporto con il Padre con il Figlio e con lo Spirito, tutto risulta orientato alla salvezza degli uomini.
26.   Gli esegeti ci informano che la pericope lucana dell’Annuncio a Maria (1, 26-38) non è da leggersi solo come un tipico ‘annuncio di nascita’ ma anche come un caratteristico ‘racconto di vocazione’: vocazione alla maternità messianica, ma vocazione intesa sempre come ‘chiamata personale’ che esige una ‘risposta personale’. E gli stessi esegeti osservano che nessun racconto di vocazione presenta un dialogo così articolato e così rispettoso della libertà dell’uomo come quello che si svolge tra Gabriele e Maria, e ancora che nessuno si conclude con una formula così espressiva di adesione piena alla volontà del Signore come quella con cui la Vergine aderisce al progetto divino: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1, 38).
27.    Su questa parola della Vergine i religiosi e le religiose, sulla scorta dell’insegnamento dei Padri, hanno molto meditato. Lungo i secoli hanno approfondito il significato delfiat di Maria ed hanno messo in evidenza come esso sia riverbero della parola primordiale per cui furono fatti la luce e l’uomo (cf. Gn 1, 3.26),.fiat pronunziato perché lo Spirito formasse nel suo grembo verginale Cristo, la Luce vera e il vero Uomo nuovo; come sia risposta obbediente che si pone in antitesi al letale diniego di Eva; come sia eco della formula del ‘patto sinaitico’ (cf. Es 19, 8) e, in un certo senso, suo primo avveramento nell’economia della nuova Alleanza; incontro mirabile tra la parola che il Figlio pronunzia entrando nel mondo (cf. Eb 10, 5-7; Sal 39 [40], 8-9) e quella che la Vergine dice accogliendolo nel suo seno (cf. Lc 1, 38); ‘consenso nuziale’ poiché, in seguito a quella parola, il Verbo unì indissolubilmente la sua natura divina alla nostra umana nel grembo di Maria; paradigma di ogni maternità di grazia nella Chiesa, che solo avviene nella fede e nello Spirito; parola di accettazione incondizionata che, accogliendo un messaggio di liberazione (cf. Lc 1, 31-33 ), diviene un impegno di servizio; parola di misericordia che la Vergine, privilegiata figlia di Adamo ma solidale con tutti gli uomini, pronunzia in loro favore.32
      Ovviamente non tutte queste ‘letture’ del fiat di Maria sono riconducibili al senso letterale del testo biblico, ma documentano l’attenzione che la Chiesa e i religiosi di tutti i tempi hanno prestato a quella parola decisiva.
28.   Siamo sicuri che voi, vescovi presbiteri diaconi, e voi, fratelli e sorelle laici, ci comprendete.
      Sulla base di una consolidata tradizione e senza alcuna pretesa di monopolizzare il modello, noi, religiosi e religiose, interpretiamo la vocazione alla ‘vita consacrata’ nelle sue modalità — chiamata personale di Dio — e nei suoi contenuti — la sequela di Cristo in una vita verginale umile obbediente, posta al servizio della Chiesa... — alla luce della vocazione di Maria. Riteniamo cioè che Dio prolunga alcuni aspetti della vocazione di Maria nella vocazione delle vergini e dei religiosi: ciò che in Maria fu vocazione alla maternità messianica, generazione di Cristo nel cuore e nella carne, nei religiosi è chiamata alla fecondità verginale nello spirito che genera Cristo attraverso l’accoglimento della Parola e il compimento della volontà del Padre (cf. Mt 12, 49-50).
  
   E interpretiamo pure la nostra ‘consacrazione religiosa’ alla luce della consacrazione di Maria: la radicalità con cui ella "consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di lui, e con lui, con la grazia di Dio onnipotente"33 è dinanzi a noi quale norma per vivere con coerenza l’impegno di amore assunto verso Cristo e verso gli uomini, e per rimanere fedeli alla parola data.


29.   La Chiesa pellegrina sulla terra vive della consolante assicurazione del suo Signore: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28, 20b). Il Cristo risorto che siede glorioso alla destra del Padre è nondimeno costantemente presente nella Chiesa, sua sposa. Anzi, sappiamo che, immerso nel mistero della morte e risurrezione di Cristo (cf. Rm 6, 3-11), ogni battezzato è stato trasformato in Cristo, Cristo vive in lui (cf. Gal 2, 20) e lui è dimora di Cristo (cf. Gv 14, 23 ).
      Analogamente la Vergine assunta in cielo, che regna gloriosa accanto al Figlio, "Re dei re e Signore dei signori" (Ap 19,16), è efficacemente presente nella vita della Chiesa. Il Concilio Vaticano II, facendo sua la perenne tradizione della Chiesa, lo insegna con vigore e chiarezza: "assunta in cielo [Maria] non ha deposto questa funzione di salvezza, ma con la sua molteplice intercessione continua a ottenerci le grazie della salute eterna. Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata".34 È noto peraltro che la teologia contemporanea riconsidera, senza ripudiarne i contenuti tradizionali, la dottrina della mediazione di Maria in termini di esercizio della maternità spirituale e, richiamandosi ai Padri, parla volentieri di ‘presenza’ di Maria nella vita della Chiesa.35 Anche nel magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II ricorre con frequenza l’espressione "presenza operante" per indicare il modo concreto e arcano con cui la Vergine, possedendo già "lo splendore dei corpi celesti" (1 Cor 15, 40) e quindi non soggetta a condizionamenti di tempo e di spazio, partecipa all’attività e alla vita della Chiesa nella sua fase terrestre e temporale.36
30.   La multiforme presenza di Cristo nella Chiesa si manifesta attraverso una molteplice varietà di segni. Essi sono noti e su di essi sono state scritte — dai Santi Padri, dai teologi, dai Vescovi di Roma — pagine splendide.37
      Ma, esistono segni della presenza della Vergine nella vita della Chiesa? Crediamo di sì.38 E tra questi segni — ci domandiamo — , sono da annoverare le religiose e i religiosi che, per libera scelta, sono particolarmente vincolati alla Madre di Cristo e da lei prendono ispirazione e modello di vita? Vogliamo rispondere con cautela, sollecitando fin d’ora l’apporto della riflessione di altri fratelli e sorelle.
31.    Solo Cristo è la sorgente e il modello supremo della vita religiosa. Solo lui presenta con assoluta unità e profondità la realtà divina e umana di una vita sostanziata di infinito amore al Padre e di totale donazione agli uomini, suoi fratelli.
      Tuttavia i religiosi e le religiose, nonostante la loro fragilità personale, per lo stato che hanno abbracciato, si pongono in riferimento a Cristo nella categoria del prolungamento e del segno: "I religiosi pongano ogni cura — esorta il Concilio Vaticano II — affinché per mezzo loro la Chiesa abbia ogni giorno meglio da presentare Cristo ai fedeli e agli infedeli, o mentre egli contempla sul monte, o annunzia il Regno di Dio alle turbe, o risana i malati e i feriti e converte a miglior vita i peccatori, o benedice i fanciulli e fa del bene a tutti, e sempre obbedisce alla volontà del Padre che lo ha mandato".39
32.    La Vergine non genera la grazia, non ha luce propria: essa rifulge della luce di Cristo, come — secondo un paragone familiare ai Padri — la luna splende della luce del sole; essa è solo il volto che più assomiglia al volto di Cristo, splendore della gloria del Padre (cf. Eb 1, 3). La Vergine, ignara di peccato, presenta già il cuore nuovo, il cuore docile, richiesto per la Alleanza nuova che Dio avrebbe concluso con il suo popolo nuovo (cf. Ger 31, 31-34); essa già possiede il "cuore puro", che suo Figlio proclama beato e capace di "vedere Dio" (cf. Mt 5, 8).
      Per la qualità della sua risposta al dono della grazia e alla missione ricevuta da Dio, la Vergine appare agli occhi della Chiesa come modello di arcana santità.40 La Chiesa ama contemplare Maria per trarre dalle sue parole e dai suoi atteggiamenti ispirazione per le risposte che essa, a sua volta, nelle varie vicende della storia, deve dare al suo Signore; per conoscere, in anticipo e in sintesi, il suo destino di gloria.
      Anche i religiosi e le religiose amano contemplare Maria: per essi è atteggiamento abituale fissare lo sguardo sulla Vergine per apprendere da lei come vivere fecondamente la verginità consacrata, la povertà volontaria, l’ubbidienza generosa.
33.   Ma occorre precisare ulteriormente. L’esemplarità della Vergine è già un effetto della sua ‘presenza operante’ nella comunità ecclesiale; è forza che si sprigiona dalla sua persona, già glorificata e consumata nell’amore, ed induce i fedeli a conformarsi a lei per conformarsi più pienamente a Cristo. Così avviene che, per opera dello Spirito e secondo strutture di grazia che non è possibile codificare, i fedeli conformandosi al modello lo riproducono, riproducendolo lo prolungano, prolungandolo lo rendono presente in mezzo agli uomini.
34.   La beata Vergine è senza dubbio uno dei più grandi simboli del cristianesimo, intendendo per simbolo una realtà storica che, incarnando un complesso di atteggiamenti ideali, non si esaurisce nei confini della cronaca effimera; che, nell’economia della grazia, prolunga presso tutte le generazioni la sua funzione salvifica; che è suscettibile di essere sempre meglio conosciuta, ma il cui mistero sarà pienamente svelato solo alla fine dei tempi.
      Alla santa Vergine, a questa inesauribile realtà-simbolo, si sono ispirati i Fondatori e le Fondatrici di molte famiglie religiose.
      Alcuni hanno fissato la loro attenzione sull’evento capitale dell’incarnazione del Verbo e, quindi, sul fiat di Maria, pieno di ubbidienza e di fede, per mezzo del quale, nello Spirito, ella divenne Madre del Dio fatto uomo e dimora sacra della Parola; e, valorizzando l’espressione "io sono la serva del Signore" (Lc 1, 38), hanno sentito l’urgenza di attualizzarla facendo della propria vita un servizio di amore a Dio, alla Chiesa, all’uomo.
      Altri sono stati attratti dai contenuti salvifici dell’episodio della Visitazione, in cui Maria, arca nuova dell’Alleanza nuova, porta a Giovanni il Salvatore e proclama le grandi opere che Dio ha fatto in suo favore e in favore di Israele; e quindi hanno voluto farsi loro stessi portatori di Cristo agli uomini e prolungare con la loro vita il canto di ringraziamento e di liberazione.
      Altri, scorgendone l’abbondanza di prospettive, hanno voluto assumere a paradigma vitale l’episodio della presentazione di Gesù al Tempio. Hanno posto così davanti agli occhi dei loro discepoli, quale esempio costante di vita, l’amorosa osservanza della Legge da parte di Maria e di Giuseppe; l’umiltà della Vergine pura; il riscatto, pagato con due colombe, del Primogenito che tutti gli uomini avrebbe riscattato con il prezzo del suo sangue (cf. 1 Pt 1, 19; Ap 5, 9); l’incontro del Messia con il suo popolo nel Tempio, non tuttavia con i custodi del Tempio, ma con i poveri, gli anawim Simeone e Anna; e, dominante su tutto, la parola profetica che saluta Gesù "luce delle genti e gloria di Israele" (cf. Lc 2, 32) e annunzia alla Madre la partecipazione — la spada di dolore (cf. Lc 2, 35) — alla passione del Figlio.
      Altri hanno proposto ai loro figli e figlie di ispirarsi al silenzio operoso della casa di Nazareth dove Maria, nella fede, accanto a Giuseppe, è madre e discepola di Gesù, custodisce nel cuore e confronta tra loro parole ed eventi che lo riguardano (cf. Lc 2, 19. 51 ) e dove, non comprendendo talora tutta la portata di alcuni gesti del Figlio (cf. Lc 2, 50), si abbandona alla pura fede.
      Altri si sono proposti di collocarsi in sintonia vitale con l’evento dell’Ora — evento di dolore e di gloria, di morte e di vita — in cui sembrano convergere, per avverarsi in Maria, alcuni grandi vaticini: la profezia della donna (cf. Gn 3, 15) che, presso l’albero della vita, sarebbe stata chiamata a collaborare con l’Uomo nuovo alla salvezza del genere umano; le profezie riguardanti la Figlia di Sion, madre di tutti i popoli (cf. Sof 3, 14; Zc 2, 14; 9, 9; Sal 86 [87], 5-7), che, personificata da Maria, è accanto a Cristo allorché questi, innalzato sulla Croce, attira a sé tutte le genti (cf. Gv 12, 32) e riunisce insieme, nella Chiesa (cf. Gv 10, 16), "i figli di Dio che erano dispersi" (Gv 11, 52 ). In quell’Ora si compie anche per Maria la condizione necessaria per essere un vero discepolo di Cristo: seguirlo fino alla croce (cf. Lc 9, 23). Dalla contemplazione del mistero del Calvario essi hanno tratto argomento per esortare i loro figli e figlie ad essere, come Maria, presenti operosamente accanto alle croci dei fratelli, in cui si prolunga la passione di Cristo.
      Altri hanno vivamente desiderato che le loro comunità fossero altrettanti cenacoli dove i religiosi e le religiose, idealmente radunati attorno a "Maria, la madre di Gesù" (At 1, 14 ), nella comunione con i successori degli apostoli e con tutti i fratelli del Signore, fossero assidui e concordi nella preghiera per implorare sulla Chiesa il dono incessante dello Spirito.
      Altri infine hanno trovato motivo ispiratore per la loro vita consacrata in alcuni interventi di grazia che Dio ha operato in Maria e che fanno parte della nostra professione di fede: la Concezione immacolata, in cui la Chiesa riconosce il suo segreto inizio e vede, come in purissimo specchio, la sua immagine di sposa senza macchia né ruga (cf. Ef 5, 27 ); 41 l’Assunzione al cielo, in cui contempla già avverato il destino di gloria che l’attende; la Verginità feconda, che essa assume a norma per mantenere integra la fede ed esclusivo e vigile il suo amore a Cristo.
35.    Questi sono soltanto alcuni esempi. Ma si riferiscono non a fatti marginali, bensì ad esperienze esistenziali, che hanno progressivamente arricchito la vita della Chiesa e che interessano cospicui gruppi ecclesiali; esperienze suscitate da un carisma fondazionale, utile "per l’edificazione della comunità" (1 Cor 14,12) e, come tale, riconosciuto dalla Sede Apostolica; esperienze che hanno prodotto e producono frutti di santità.
***
Siamo ora in condizioni migliori per rispondere alla domanda che ci eravamo posti dianzi: i religiosi e le religiose che, in virtù di un loro impegno stabile, radicato in un carisma suscitato dallo Spirito, pongono in essere azioni di vita evangelica ispirate espressamente a Maria, prolungano la "presenza operante" della Vergine nella Chiesa e la manifestano. Ne sono un segno.
      La Vergine che, assunta in cielo, è tuttora al servizio dell’opera della salvezza e veglia sulla Chiesa, la visita, la conforta,42 svolge il suo compito materno anche attraverso la parola, l’azione, il cuore dei religiosi e delle religiose a lei consacrati.


36.   Non è da temere che l’attenzione portata dalle religiose e dai religiosi a questo o a quell’episodio riguardante la Vergine, fino ad assumerlo come motivo ispiratore della loro vita consacrata, possa distrarli dal loro impegno fondamentale: la sequela di Cristo e il servizio alla Chiesa. Si sarà osservato infatti che quegli episodi si riferiscono anzitutto a Cristo: a lui quindi rinviano in primo luogo; e sono altresì episodi che hanno profondi risvolti ecclesiali: alla Chiesa dunque essi necessariamente rimandano. Possiamo veramente affermare: non vi è episodio evangelico riguardante Maria che non possa e non debba essere letto in rapporto al mistero di Cristo e della Chiesa.
37.    Come Giovanni Battista (cf. Gv 1, 29-31), come Andrea (cf. Gv 1, 41-42), Filippo (cf. Gv 1, 45) e Pietro (cf. Gv 6, 68-69), Maria è un testimone di Cristo: come essi, la Vergine rinvia a lui, il nuovo Legislatore, e ai suoi precetti: "Fate quello che vi dirà" (Gv 2, 5). Anche in virtù del ‘comandamento’ della Vergine, nel quale alcuni esegeti avvertono echi delle formule di alleanza,43 noi sentiamo che Cristo è l’unico assoluto, l’unica via che conduce al Padre (cf. Gv 14, 6). Tale è la funzione della pietà mariana nella Chiesa. Essa è mirabilmente espressa nel noto tipo iconografico della Odighitria, della Vergine cioè che indica che Gesù è la Via.
      Ma anche Gesù, in un certo senso, rinvia alla Madre. Infatti, quando contempliamo Cristo nella concretezza della sua vicenda umana e salvifica, dalla culla alla croce, accanto a lui troviamo Maria. Nell’infanzia del Signore, ai Magi venuti dall’Oriente si offre la visione "del bambino con Maria sua madre" (Mt 2,11); morendo sulla croce, Gesù addita la Madre a Giovanni dicendogli: "Ecco la tua madre" (Gv 19, 27). Nella tradizione monastico-religiosa queste parole e questi gesti del Signore sono stati interpretati come indicazione di una via per l’incontro con lui.



38.  Dopo aver fatto alcune considerazioni sulla recente crisi nella venerazione alla beata Vergine e sul superamento di essa (prima parte), e dopo aver rilevato la consonanza profonda tra la vita di Maria e la vita religiosa (seconda parte), desideriamo proseguire la nostra riflessione indicando alcuni compiti che oggi — a nostro avviso — attendono le Chiese locali e gli Istituti religiosi in ordine alla promozione del culto alla Madre e Serva del Signore.
      Comprendeteci ancora, voi vescovi, nostri padri e amici, e voi religiosi e religiose, nostri fratelli e sorelle: siamo perfettamente consapevoli della pochezza della nostra voce, che tuttavia la vostra condiscendente attenzione rende fiduciosa e il comune amore per la Vergine rende audace.


39.   Solo la conoscenza profonda consente l’amore profondo. Perciò ci sembra che il primo compito da affrontare in vista di un corretto sviluppo della pietà mariana tra noi e presso il popolo cristiano sia quello di acquisire una conoscenza profonda della figura della Vergine "nel mistero di Cristo e della Chiesa" e della sua missione nell’opera della salvezza. Tale compito è perfettamente consono al carisma dei nostri Istituti e sommamente utile, se non necessario, nei confronti delle Chiese locali presso le quali svolgiamo il nostro servizio.
      Certo, il Padre che tiene nascosti i segreti del Regno ai sapienti e agli intelligenti e li rivela ai piccoli (cf. Mt 11, 25), può condurre ad una approfondita conoscenza di Maria le anime che a lui si affidano con filiale semplicità. Ma questa è via riservata al libero dono di Dio. Alla maggior parte di noi, chiamati a rendere testimonianza alla figura della Vergine in una società che spesso non ne comprende il significato, è necessario avere una conoscenza meditata di Maria di Nazareth: conoscenza che soltanto può dare uno studio rigoroso e sistematico, adattato alla condizione dei singoli soggetti e ai vari periodi della formazione.
40.   Perché, diciamolo francamente: molti presbiteri, molti religiosi e religiose, molti altri operatori pastorali sono ancora disinformati in rapporto sia a documenti fondamentali del Magistero sulla beata Vergine sia ai progressi più significativi — e talora da anni pacificamente posseduti dagli studiosi — compiuti dalla mariologia nei suoi vari settori.
      Le conseguenze di tale disinformazione sono molteplici: la predicazione sulla Vergine non si rinnova e non presenta incisivamente il significato della figura di Maria di Nazareth per l’uomo contemporaneo; i contenuti essenziali, irrinunciabili del Magistero e della Tradizione rischiano di non essere accettati perché trasmessi con moduli non più correnti nel linguaggio teologico; gli indirizzi e le prospettive indicati dalla Lumen gentium si fanno strada faticosamente; si trascurano le sorgenti bibliche per abbeverarsi ai rigagnoli di pie tradizioni e di incerte visioni; si lasciano da parte i tesori della patristica e si ripetono luoghi comuni coniati in epoche di minor rigore teologico; ci si arrocca, intransigentemente e con una certa ‘durezza di cuore’, su posizioni contrapposte e di reciproco sospetto — ‘conservatrici’ e ‘progressiste’, si diceva in un tempo non lontano — , quando a dissiparle sarebbe sufficiente uno studio sereno e aperto, senza preconcetti e alla luce del Magistero, dei dati della divina Scrittura e della santa Tradizione; il movimento ecumenico, per quanto li concerne, subisce battute d’arresto; continua a mancare quella necessaria mediazione, cui abbiamo fatto cenno, tra le ricerche degli studiosi e le urgenze dei pastori; si emargina Maria di Nazareth dalla propria vita e dalla propria pietà semplicemente perché non la si conosce.
      Non vorremmo aver tracciato un quadro troppo fosco della situazione. Esso è limitato — lo ripetiamo — a quei luoghi, a quei fratelli e sorelle, presso i quali si constata una oggettiva e persistente disinformazione. Ma è sempre un limite che a voi e a noi, per il comune amore alla Chiesa e alla Vergine, appare ancora troppo vasto.
41.   A questo proposito noi, servi e serve di santa Maria, vogliamo esprimere la nostra gratitudine e ammirazione per quei frati che alla fine del secolo XLX, in un momento in cui l’Ordine era molto ridotto numericamente, con coraggio e lungimiranza fondarono nell’Urbe il Collegio s. Alessio Falconieri (a. 1896) e gli affidarono anche il compito di promuovere gli studi sulla santa Vergine. Con ciò essi posero una delle più solide basi per la rinascita dell’Ordine e gli fornirono gli strumenti per un più qualificato servizio alla Chiese locali e, talora, alla stessa Sede Apostolica. Nel 1901, il rettore del Collegio s. Alessio, fra Alessio M. Lépicier, professore di dogmatica all’Urbaniana — futuro Priore generale e membro del collegio cardinalizio — pubblicava il Tractatus de beatissima Virgine Maria Matre Dei, ridando negli ambienti scolastici romani posto e dignità allo studio teologico di santa Maria.44
      L’esempio di fra Alessio M. Lépicier fu seguito da vari frati, tra cui emerge fra Gabriele M. Roschini († 1977 ), che collaborò efficacemente alla diffusione del pensiero e dell’interesse mariologico. Così, attraverso varie vicende, dal Collegio s. Alessio è nata la Facoltà Teologica "Marianum". Ci sia consentito esprimere qui la nostra riconoscenza a Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI per la paterna attenzione con cui incoraggiarono gli sviluppi della nostra Facoltà fino a istituire presso di essa il dottorato in sacra teologia con specializzazione in mariologia (7 marzo 1965) e a decorarla con il titolo di ‘pontificia’ (1 gennaio 1971).
      L’Ordine ritiene l’attività della Facoltà " Marianum" come un suo servizio apostolico nel campo della ricerca teologica. E da parte sua la Facoltà, con il suo complesso di strutture docenti, con la Biblioteca specializzata, con la rivista Marianum che cerca di essere presente nel dibattito mariologico, intende "promuovere particolarmente, secondo la missione dell’Ordine nella Chiesa, la conoscenza, l’insegnamento, il progresso scientifico e pastorale del pensiero cristiano sulla Madre di Dio".45 Nei confronti delle Chiese locali, degli Istituti religiosi e degli uomini di cultura, la Facoltà si pone come un organismo fraternamente aperto, sia nella componente docente sia in quella discente, alla collaborazione di studiosi e alunni desiderosi di condividere i suoi scopi istituzionali.
42.   Ma proprio per l’attenzione che dedichiamo agli studi mariologici, siamo in grado di comprendere che l’apporto del nostro Ordine in questo campo è solo un umile contributo che si aggiunge a quello di molti altri Istituti religiosi. Pur sapendo di riuscire necessariamente incompleti, non possiamo passare sotto silenzio l’opera svolta dall’Ordine dei Frati Minori, cui è affidata la direzione della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (Roma); dei Frati Minori Conventuali, sostenitori dell’Accademia dell’Immacolata (Roma); della Società di Maria (Marianisti), promotrice, tra l’altro, della Marian Library (Dayton, Ohio, U.S.A.); dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, che curano la pubblicazione della prestigiosa rivista Ephemerides Mariologicae (Madrid); della Società Salesiana di s. Giovanni Bosco, che ha dato vita all’Accademia Mariana Salesiana (Roma); della Compagnia di Maria (Monfortani) che a Roma ha eretto il Centro Mariano Monfortano e a Parigi pubblica l’efficace periodico Cahiers Marials; dei Fratelli Maristi, che hanno fondato il Centro di Spiritualità Mariana di Belo Horizonte (Brasile); dei teologi dell’Ordine benedettino, della Compagnia di Gesù, dell’Ordine dei Frati Predicatori, di ambedue gli Ordini Carmelitani e di tanti altri Istituti, che sono efficacemente presenti, con numerose pubblicazioni, nella ricerca mariologica; della Pia Società di s. Paolo, che nei suoi programmi editoriali dedica largo spazio alle pubblicazioni di indole mariologica. Ed ancora dobbiamo rilevare che all’attività delle Società Mariologiche che fioriscono in varie nazioni, i religiosi partecipano in gran numero e ne sono spesso i principali animatori. Ricordiamo infine gli studiosi della Prelatura della Santa Croce, editori dell’importante rivista Scripta de Maria (Saragozza).
      E poiché sappiamo quale impiego di persone e di mezzi richieda il mantenimento di tali opere, la nostra parola vuole essere anche espressione di ammirazione e di ringraziamento per questi fratelli e sorelle e, se fosse il caso, di incoraggiamento a proseguire con rigore e con tenacia l’attività che li ha resi tanto benemeriti nella Chiesa.
43.   L’importanza dello studio in ordine alla promozione del culto alla Vergine è tale che una conclusione si impone per se stessa: favorire dappertutto e ai vari livelli formativi, presso i laici, i religiosi e le religiose, i ministri della Chiesa, lo studio della mariologia e favorire pure le istituzioni che tale studio rendono possibile.
      "La cristologia è anche una mariologia", proclama incisivamente un recente documento della S. Congregazione per l’Educazione Cattolica.46 Potremmo chiosarlo aggiungendo: l’ecclesiologia, la pneumatologia sono anch’esse una mariologia.47 A chiunque consideri le questioni dottrinali connesse con la figura di Colei che i fratelli orientali chiamano "corona dei dogmi" e l’utilità pastorale che deriva da una genuina pietà mariana, la mariologia apparirà una disciplina non marginale ma degna di rilevante attenzione.

L’annuncio della Parola

44.   L’ultima parola di Gesù agli undici apostoli: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 19) non segna una conclusione ma un inizio: l’apertura della missione universale della Chiesa. Quella parola si è incisa profondamente nel cuore della Chiesa e in ogni tempo urge, sostiene, guida il suo impegno missionario. Lungo i secoli molti discepoli e discepole del Signore hanno sentito come Paolo l’urgenza di annunciare la Buona Novella: "Non è per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!" (1 Cor 9,16).
      Riflettendo ora sull’attività missionaria della Chiesa dall’angolo visuale in cui ci siamo collocati — il compito dei religiosi nella promozione della pietà mariana — , ci sembra di dover sottolineare due fatti:
— attualmente l’impegno missionario della Chiesa è sostenuto prevalentemente dagli Istituti religiosi. La Chiesa lo ha affidato a loro, ed essi l’hanno accettato come un’espressione consona al loro carisma istituzionale. Sono infatti pochi gli Istituti religiosi che non hanno un’esplicita attività missionaria, mentre sono molti quelli sorti con lo scopo precipuo di portare la luce della fede a coloro che giacciono ancora nelle tenebre dell’ignoranza;
— molti Istituti missionari hanno nel loro stesso titolo una ‘nota mariana’, pongono la loro attività evangelizzatrice sotto la protezione della Vergine e dichiarano di prendere da lei esempio e ispirazione per lo svolgimento del loro specifico servizio apostolico.
Ciò, a nostro avviso, non è senza significato: rivela ancora una volta come Maria sia profondamente inserita nel mistero di Cristo, oggetto primordiale dell’evangelizzazione, e della Chiesa, soggetto agente della medesima; e mostra altresì come la Vergine, per la sua funzione materna ed esemplare, abbia anticipato in sé la missione della Chiesa: accogliere e annunciare la Parola.
45.   La ragione ultima per cui Maria è salutata Guida e Stella dell’evangelizzazione48 non è di natura meramente devozionale ma rigorosamente biblica. Infatti, secondo gli studiosi della Sacra Scrittura, alcuni episodi evangelici contengono indicazioni profonde di un rapporto variamente esemplare di Maria nei confronti della Chiesa in ordine all’accoglimento-annuncio della Parola.
      Maria, la prima evangelizzata. La Vergine di Nazareth, quale futura madre del Messia e personificazione della Figlia di Sion, riceve per prima la gioiosa Buona Notizia: lo Spirito Santo, energia dell’Altissimo, scenderà su di lei, e da lei nascerà il Salvatore delle genti (cf. Lc 1, 26-38). Con fede Maria accolse questa parola del Signore e la fede divenne "per lei premessa e via alla maternità divina".49
      Maria, la prima evangelizzatrice. Ma la Parola accolta nell’intimo erompe in annuncio, in canto, in profezia: sulle montagne della Giudea, Maria, adombrata dallo Spirito e pregna del Verbo, proclama le grandi cose compiute in lei dall’Onnipotente e reca a Giovanni il Salvatore (cf. Lc 1, 39-56). In quell’episodio alcuni esegeti avvertono anche un’eco, se pur lontana, del tripudio per l’annuncio della liberazione di Gerusalemme: "Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: "Regna il tuo Dio"" (Is 52, 7).
46.   Nell’episodio dei Magi venuti dall’Oriente per rendere omaggio al Messia (cf. Mt 2, 1-12), possiamo vedere significata non solo la vocazione di tutte le nazioni alla fede, ma anche la funzione che, sull’esempio di Maria, dovrà svolgere la Chiesa: mostrare Cristo alle genti, essere luogo per l’incontro con lui.
      È probabile infatti che l’evangelista Matteo, scrivendo l’episodio dell’adorazione dei Magi, si sia ispirato a Isaia 60,1-9, il canto che celebra Gerusalemme capitale dell’universo; e che, strutturando il suo racconto, egli abbia operato una significativa trasposizione di elementi. In esso, infatti, a Gerusalemme, la Città-madre su cui risplende la gloria del Signore (cf. Is 60, 1-2), subentra Maria-madre sulle cui ginocchia siede il Bambino; al posto del Signore, a cui tutte le nazioni rendono omaggio — che per i testi del giudaismo prescristiano è già il Re messianico — , è lo stesso bambino Gesù, che riceve l’ossequio e l’adorazione dei Magi; in luogo dei re e delle principesse che, secondo la parola profetica, "con la faccia a terra si prostreranno davanti a te, baceranno la polvere dei tuoi piedi" (Is 49, 23; cf. 60, 14), e dei ricchi mercanti che con stuoli di cammelli giungono a Gerusalemme "portando oro e incenso" (Is 60, 6), stanno i Magi, i quali "entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro tesori e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra" (Mt 2, 11). Questo incontro-adorazione non avviene tuttavia nella vecchia Gerusalemme, i cui capi hanno rigettato il Messia (cf. Mt 2, 3; 23, 37-38), ma nella ‘casa’ di Betlemme, che sembra essere figura della Chiesa. È importante comunque rilevare che, secondo la densa pagina di Matteo, i Magi — le primizie dei pagani — allorché si aprono alla fede e incontrano Gesù, posano il loro sguardo pure sulla figura di Maria: "videro il bambino con Maria sua madre" (Mt 2, 11). Così avviene ogni volta che gli uomini vengono a Cristo ed entrano nella sua casa — la Chiesa — : là incontrano lui con Maria, la madre.50
47.   Abbiamo già ricordato l’importanza della parola del Risorto agli Undici in ordine al compito ecclesiale dell’evangelizzazione: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni [...] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 19). Ma ci sembra utile richiamarla per rilevare che essa si colloca in una ‘teofania’ — l’apparizione agli Undici in Galilea "sul monte che Gesù aveva loro fissato" (Mt 28, 16) — , che l’evangelista descrive ricalcando lo schema della teofania del monte Sinai, dove si concluse l’Antica Alleanza (cf. Es 19, 1-9).
      Nell’intenzione di Matteo, il monte dell’apparizione di Galilea (cf. Mt 28,16-20) è il Sinai della Nuova Alleanza. A Gesù, glorificato dal Padre, sono riconosciuti i titoli e le prerogative proprie del Signore nell’Antico Testamento: il dominio universale (cf. Mt 28, 18-19 e Es 19, 5 ) ; l’adorazione (cf. Mt 28, 17 e Es 3, 12 ; 24,1. 9-1 1) ; la relazione di una nuova Legge ("... tutto ciò che vi ho comandato", Mt 28, 20a: "... tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Signore", Es 19, 7b).
      Ne consegue che l’impegno assunto dall’antico popolo d’Israele nei confronti della Legge del Signore: "Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!" (Es 19,8), diviene ora vocazione e prerogativa del nuovo popolo di Dio, formatosi, attorno a Gesù, da discepoli provenienti da tutte le genti: "ammaestrate tutte le nazioni [...] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 19a. 20a).
      Ma, come osservano alcuni esegeti, la rivelazione di Cana (cf. Gv 2, 1-12) è stata scritta anch’essa guardando alla ‘teofania del Sinai’ (cf. Es 19, 1-9). Ora non è chi non veda la singolare affinità che esiste tra la formula della promessa di Israele ("Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo", Es 19, 8), l’ordine dato dal Risorto agli Undici (insegnare ad osservare ciò che egli ha comandato, cf. Mt 28, 20a) e la parola di Maria ai servi delle nozze di Cana ("Quanto egli vi dirà, fatelo", Gv 2, 5b).
      Ciò che Giovanni pone sulle labbra della Madre, Matteo lo presenta come compito affidato da Cristo agli apostoli, cioè alla Chiesa: Maria e la Chiesa si incontrano nel condurre gli uomini all’obbedienza del Vangelo di Cristo. Maria e la Chiesa rinviano alla sola Legge che salva: la parola di Gesù (cf. Gv 6, 68).
48.   Nell’ambito della riflessione su ‘pietà mariana e annuncio della Parola’ dobbiamo considerare ancora un testo — Atti 1, 13-14 —, che presenta gli apostoli "insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui" (At 1,14), in attesa dell’adempimento della promessa del Signore: "sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni" (At 1,5; cf. Lc 24, 49).
      È stato più volte rilevato che lo stesso Luca ha scritto il Vangelo dell’infanzia di Gesù (i primi due capitoli del Terzo Vangelo), documento fondamentale sulla Parola che si è fatta carne, e il Vangelo dell’infanzia della Chiesa (Atti degli apostoli), puntuale resoconto della crescita e della diffusione della Parola (cf. At 6, 7): da Gerusalemme alla Giudea, a Samaria, fino ai confini della terra.
      E sembra che Luca abbia istituito un significativo parallelismo tra gli episodi dell’Annunciazione-Visitazione (Terzo Vangelo) e quelli della Pentecoste-Diffusione della Parola (Libro degli Atti). La Parola-Spirito, ricevuta dapprima nell’intimità — da Maria nella casa di Nazareth, dalla comunità apostolica "nel piano superiore" (cf. At 1,13) di una casa gerosolimitana —, deve essere poi, per la forza dello Spirito, proclamata ben oltre le mura domestiche: a tutte le generazioni, senza limiti né di tempo né di spazio.
      Da una parte Maria, nella quale è disceso lo Spirito Santo, energia dell’Altissimo (cf. Lc 1, 35), sente la necessità di proclamare le "grandi cose" che ha fatto in lei l’Onnipotente: lascia quindi la casa di Nazareth e si reca nella montagna, in una città della Giudea (cf. Lc 1, 39); dall’altra gli apostoli, sui quali nel giorno della Pentecoste è discesa l’"energia dell’alto" (Lc 24, 49) e sono stati "tutti pieni di Spirito Santo", cominciano a parlare in altre lingue (cf. At 2, 4), davanti a "Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo" (At 2, 5 ): lasciano cioè il loro ritiro e, corroborati dallo Spirito, annunciano con franchezza l’opera della salvezza compiuta da Dio nella morte-risurrezione di Cristo (cf. At 2, 14-39; 4, 31).51
      Maria e la Chiesa sono al servizio della Parola. Per l’una e per l’altra "è cosa gloriosa rivelare le opere di Dio" (Tb 12, 11). Ma, anche in questo campo, la Vergine Madre Maria ha preceduto la Vergine Madre Chiesa: la fede, la docilità allo Spirito, la gratitudine e il coraggio, la sollecitudine premurosa della prima saranno ‘atteggiamenti esemplari’ per la seconda, impegnata fino alla fine dei tempi a manifestare a tutte le genti "la multiforme sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore" (Ef 3,10-11).
* * *
49.   Alla luce dei rapporti che intercorrono tra la missione della Vergine e l’annuncio della Parola non è difficile, fratelli e sorelle, stabilire alcune conclusioni di indole pastorale:
— non è possible estraniare la pietà mariana dall’impegno missionario. Una illuminata pietà verso santa Maria ci deve rendere sensibili ai gravi ed urgenti problemi dell’annuncio della Parola; ci deve spingere ad assumere, nei confronti della Parola, lo stesso atteggiamento di Maria di Nazareth: l’accoglimento pieno di fede, che non si risolve tuttavia in un possesso intimistico, ma si prolunga in proclamazione piena di zelo;
— è necessario che le espressioni della nostra pietà mariana siano impregnate, più di quanto non lo siano ora, delle tematiche proprie della missione evangelizzatrice della Chiesa;
— è da valorizzare il metodo missionario che nel passato ha dato eccellenti risultati: mettere in luce, fin dal primo annuncio della fede, il posto singolare di Maria nella storia della salvezza;
— è necessario che nell’azione evangelizzatrice venga ripetuto da noi l’atteggiamento della Chiesa in ogni sua opera apostolica: guardare alla Vergine che "nella sua vita fu modello di quell’amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli, che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini".52

Fedeltà alla riforma liturgica

50.   Il nostro Capitolo generale si avvia alla sua conclusione mentre la Chiesa si appresta a commemorare il ventesimo anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium, promulgata il 4 dicembre 1963. Quel documento ha avuto conseguenze di immensa portata nella vita della Chiesa cattolica di rito latino: da esso discende la riforma liturgica post-conciliare che è da ritenersi uno dei più grandi avvenimenti ecclesiali del secolo XX. L’Ordine nostro ha vissuto intensamente la riforma liturgica: con gioia, con speranza, con tensione.
      Il nostro riferimento alla Costituzione liturgica non è tuttavia commemorativo. Ci riferiamo ad essa perché riteniamo che i suoi principi siano validi ed efficaci: spesso attendono solo di essere attuati; perché essa ha consentito il rinnovamento della nostra liturgia e della nostra pietà mariana; perché il denso art. 103 ha lasciato una traccia significativa nel cap. I delle nostre Costituzioni;53 perché è impossibile fare un discorso sulla pietà mariana senza inquadrarlo nel più ampio discorso liturgico.
51.   Ma prima di iniziare la riflessione sui rapporti tra la pietà mariana e la liturgia, ci sembra di dover fare un cenno alla religiosità popolare. Essa è stata talvolta disprezzata e fatta oggetto di gravi riserve: veniva indicata, ad esempio, come uno dei ‘luoghi’ in cui facilmente si produce una pericolosa frattura tra religione e fede.
      Negli Anni Settanta la religiosità popolare è stata fatta oggetto di numerosi studi e di essa hanno trattato varie Conferenze episcopali e gli stessi Vescovi di Roma. Da questo complesso di studi e di interventi è derivato un consenso notevole sulla nozione di pietà popolare e sui suoi valori: "Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fìno all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione".54 Ma la pietà popolare presenta pure limiti e rischi: "È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni cultuali senza impegnare una autentica adesione di fede".55
52.   Nell’ambito della pietà popolare, i fedeli intuiscono facilmente il legame che intercorre tra Cristo e Maria; con semplicità venerano la Madonna come l’immacolata Madre di Dio; con gioia la riconoscono Madre degli uomini e vivono il loro rapporto con lei in termini di affettuosa relazione materno-filiale; comprendono vitalmente il significato della povertà di Maria e del suo dolore; da lei apprendono pazienza e mitezza, ma sanno che Maria nella sua vita fu una donna forte, che non stava dalla parte dei potenti; sanno pure che la Madre di Gesù è buona e che vive in cielo presso il suo Figlio, quindi ricorrono fiduciosi alla sua intercessione ed implorano il suo aiuto; amano celebrare le sue feste, recarsi in pellegrinaggio ai suoi santuari, cantare in suo onore.
53.   Spesso noi religiosi veniamo a contatto con culture diverse da quelle del nostro paese d’origine. Quando ciò avvenga, dinanzi alla pietà mariana popolare è necessario assumere un atteggiamento di rispetto e di stima: lo esige la ‘cultura’ del popolo in cui essa si radica.
      Occorre poi conoscere le radici culturali su cui poggia l’immagine ‘popolare’ — cioè di quel determinato popolo — di Maria e le espressioni cultuali in cui si manifesta. Solo così si possono mettere in luce i valori della pietà mariana popolare e compiere quella operazione di ‘purificazione’ che tutti reclamano, ma che spesso non si compie o si attua in modo errato: rifiutando tutto con la conseguenza di disorientare gli animi e di mortificare la cultura di un popolo.
      Nel campo specifico della pietà mariana più che opporre alla pietà popolare la liturgia dobbiamo favorirne la mutua e feconda compenetrazione. Così, da una parte, la liturgia potrà incanalare con lucidità e prudenza la vitalità e i valori della religiosità popolare; dall’altra, la religione del popolo, con la sua grande ricchezza simbolica ed espressiva, potrà fornire alla liturgia spunti e materiali per il suo impegno creativo.56
54.   Strettamente collegato con il discorso sulla pietà mariana popolare, se pur non del tutto coincidente, è quello sui pii esercizi mariani: esistono infatti pii esercizi, per così dire, eruditi, che non hanno radici popolari.
      Quasi dieci anni fa la Sede Apostolica rivolgeva ai religiosi un preciso invito a rinnovare gli esercizi di pietà mariana: "è compito delle Conferenze episcopali, dei responsabili delle comunità locali, delle varie Famiglie religiose, restaurare sapientemente pratiche ed esercizi di venerazione verso la beata Vergine e assecondare l’impulso creativo di quanti, per genuina ispirazione religiosa o per sensibilità pastorale, desiderano dare vita a nuove forme".57 Oltre all’invito, furono offerti orientamenti, criteri, principi atti a ridare vigore a quei pii esercizi.58
      Ci sembra quindi doveroso chiederci: come è stato accolto quell’invito? Che cosa è stato fatto? Non abbiamo elementi sufficienti per dare una risposta adeguata. Certamente alcuni Istituti hanno rinnovato con sapienza le espressioni della propria pietà mariana; si ha tuttavia l’impressione che nella maggior parte di essi ciò non sia avvenuto. Ma l’invito è sempre là, vivo, senza scadenze, pronto per essere accolto in ogni momento.
      Non possiamo addentrarci nella problematica della non facile convivenza tra pii esercizi e azioni liturgiche. Ci limiteremo ad alcune osservazioni:
— riteniamo che non sia penetrata sufficientemente nella nostra prassi cultuale la norma conciliare secondo cui i pii esercizi, "tenendo conto dei tempi liturgici, siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, da essa traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano".59A questa norma, rispondono sempre i nostri ‘pii esercizi mariani’? Sono introduzione o eco o prolungamento delle azioni liturgiche? Purtroppo si ha l’impressione che spesso prosperino ai margini della liturgia;
— a nostro parere l’avvenire dei pii esercizi mariani dipende in gran parte dalla loro qualità e dalla loro capacità di operare un sano recupero di forme valide del passato e, ancor più, di rispondere alle istanze che via via emergono nella vita ecclesiale;
— la distinzione, pur legittima, tra religiosità popolare e liturgia non deve portare ad escludere praticamente la nota ‘popolare’ dalla liturgia facendo di quest’ultima, più o meno inconsciamente, un’espressione cultuale elitaria. Ciò sarebbe contrario all’intima natura della liturgia, la quale deve essere essa stessa ‘popolare’, cioè propria dell’intero popolo di Dio e adatta a tutte le sue componenti.
55.   Venendo ora a trattare più direttamente di ‘liturgia e pietà mariana’ ci pare necessario ricordare, anzitutto a noi stessi, che la liturgia è il luogo naturale e più appropriato per la venerazione alla Madre del Signore. Le celebrazioni liturgiche sono esse stesse, in molte occasioni e sotto molti aspetti, memoria cultuale della Benedetta fra le donne.
a.   Nel culto alla beata Trinità. Nella celebrazione dei divini misteri, la venerazione alla beata Vergine confluisce e quasi si annulla nel culto che rendiamo al Padre al Figlio e allo Spirito, anzi là alle nostre voci impure si associa la voce pura di santa Mar¹a per glorificare con noi la gloriosa Trinità.
b.   Nella celebrazione del mistero pasquale. Nel compiersi dell’azione liturgica, la pietà mariana si immerge nella celebrazione del mistero pasquale e si pone in attesa del dono dello Spirito, perché ogni genuina celebrazione liturgica è — in vario modo e in misura varia — attualizzazione della Pasqua del Signore ed effusione di grazia dello Spirito.
c.   Nella memoria rituale della storia della salvezza. Nella liturgia, la pietà mariana trova la sua inquadratura più felice: la storia della salvezza, condensata e vissuta dalla Chiesa nel segno dell’Anno liturgico. Così, nella celebrazione annuale del mistero di Cristo — dall’Avvento alla Parusia — la memoria di santa Maria ritorna ora come annuncio profetico in parole figure fatti dell’Antico Testamento, ora come presenza attiva della Madre accanto al Figlio in avvenimenti di immensa portata salvifica — l’Incarnazione-Natale-Epifania, la Pasqua-Pentecoste —, ora come proiezione dinamica verso le realtà ultime, che in lei già si sono compiute.
d.   Nell’ascolto della Parola. Nella liturgia, la pietà mariana incontra la divina Parola. La celebrazione del Mistero, per la presenza dello Spirito, è lo spazio privilegiato per la proclamazione e l’interpretazione dei testi biblici riguardanti Maria di Nazareth. Così ogni anno, poiché nel tessuto biblico una parola richiama tutte le altre e nel ritmo ciclico l’interpretazione antica si congiunge con l’intuizione nuova, sul frammento — Maria — viene proiettata la luce della Totalità.
e.   Nella Comunione dei Santi. Nella liturgia, Maria non è celebrata isolatamente ma nella Comunione dei Santi; là, essa appare in collegamento vitale con i suoi progenitori, con i martiri, le vergini e gli innumerevoli discepoli che lungo i secoli hanno reso testimonianza a Cristo. In questo ambito, la Vergine appare via via figlia di Adamo, sorella nostra, madre dei discepoli; la sua figura acquista giuste proporzioni, la sua missione risulta sottolineata in ciò che ha di unico e di esclusivo, il suo rapporto con la Chiesa viene enunciato con varietà di aspetti. Diremo di più: tutto il cosmo è collegato a Cristo, tutto da lui proviene (cf. Gv 1, 2; Col 1, 16), da lui e in lui è stato salvato, a lui deve essere ricondotto perché egli lo offra al Padre (cf. 1 Cor 15, 23-28). Per la liturgia, Maria è il frammento del cosmo, che lo Spirito ha già riportato compiutamente a Cristo: ella è definitivamente inserita in Cristo, "primogenito di ogni creatura" (Col 1, 15), ed è collegata con il resto della creazione, che lo Spirito va riconducendo a Cristo, proprio attraverso la celebrazione del Mistero.
f.   Nell’attesa della Parusia. Nella celebrazione dei santi misteri la pietà mariana acquista una dimensione essenziale alla liturgia: quella escatologica. La liturgia infatti è proiezione incoercibile verso le ‘realtà ultime’; è attesa vigile del Signore che è venuto, viene e verrà; in essa risuona con ritmo frequente l’implorazione ultima della Rivelazione: "Vieni, Signore Gesù" (Ap 22, 20). Considerata nella prospettiva escatologica, la Vergine appare come santa Maria del triplice Avvento: attese infatti la venuta del Messia — pienezza dei tempi, che in lei coincise con il tempo del parto (nascita di Cristo) —; attese la venuta dello Spirito, che si compì nell’avvento pentecostale (nascita della Chiesa); attese la venuta gloriosa di Cristo, che per lei si attuò nell’assunzione in cielo del suo corpo e della sua anima verginali (nascita di Maria alla vita celeste).
56.   Alla luce della straordinaria capacità della liturgia di collocare in un quadro efficace e significativo le espressioni di venerazione a santa Maria, si comprende l’esortazione conciliare a promuovere "il culto, specialmente liturgico, verso la beata Vergine";60 e, per converso, non si comprende la disattenzione verso la liturgia di molti operatori pastorali, che pur intendono favorire la pietà mariana. A questo proposito desideriamo, fratelli e sorelle, manifestarvi fino in fondo il nostro pensiero: l’attuale risveglio nella pietà mariana potrebbe risultare anomalo se ignorasse o trascurasse la matrice liturgica.
      Vogliamo ora esprimere la nostra adesione a due proposte avanzate da alcuni vescovi e da vari studiosi:
— che in modo discreto e sapiente sia esplicitato nella liturgia romana del Triduo pasquale un elemento che le è intrinseco: la partecipazione della Madre alla passione del Figlio.61 Ciò è conforme alla natura intima della liturgia, che è celebrazione degli eventi salvifici nella loro totalità; è conforme alla narrazione evangelica (cf. Gv 19, 25-27), che è intesa da molti esegeti come un enunciato biblico, in senso proprio, della maternità spirituale di Maria; è consono alla tradizione liturgica se, al riguardo, si tengono presenti le rispettive celebrazioni del Rito bizantino e di altri Riti orientali;62 è rispondente, infine, alle attese dei fedeli. Non accogliere questo desiderio potrebbe condurre ad accentuare il distacco tra liturgia e pietà popolare là dove, invece, si intravede possibile e legittimo un fecondo interscambio;
— che sia salvaguardato il carattere proprio dei Cinquanta giorni pasquali. Nell’ordinamento liturgico quei giorni, compresi tra due effusioni dello Spirito (cf. Gv 20, 19-23 e At 2, 1-12), sono tempo del Paraclito: riverbero e prolungamento dei misteri celebrati nella Notte sacratissima, contemplazione del Cristo risorto e della sua gloria alla destra del Padre, memoria attualizzante dell’evento pentecostale. Nel tempo pasquale la pietà mariana non deve essere occasione, neanche indiretta, per distogliere l’attenzione dei fedeli da questi misteri salvifici. Deve, semmai, mostrare la potenza della Pasqua di Cristo e il dono dello Spirito operanti in Maria. D’altra parte è auspicabile che la liturgia pasquale, sul Filo conduttore del dato biblico (cf. At 1, 14), sviluppi cultualmente il rapporto arcano esistente tra lo Spirito, la Chiesa e Maria.63
57.   Con queste note non abbiamo certamente esaurito la trattazione dei complessi rapporti tra ‘liturgia e pietà mariana’. Abbiamo solo voluto manifestare la necessità di rimanere fedeli allo spirito della liturgia e ai principi della riforma promossa dal Concilio Vaticano II. E proprio per fedeltà alla riforma liturgica, che ne ha sottolineato la funzione,64 vogliamo fare un cenno al valore del ‘silenzio’ nelle manifestazioni della pietà mariana, siano esse liturgiche o extraliturgiche. A questo cenno ci sollecitano la fisionomia spirituale della Vergine, la natura autentica della liturgia, lo stile genuino della vita religiosa.
58.   Lo stile della Vergine. Siamo persuasi che le manifestazioni di pietà verso santa Maria debbano avere, per così dire, lo stile stesso della Vergine: stile fatto di ascolto, di silenzio, di riflessione sapienziale.
      I Padri della Chiesa amavano dire che dall’infinito silenzio di Dio è stata generata la Parola eterna; e che pure dal silenzio del cuore della Vergine è scaturita la parola — fiat —, premessa umana all’incarnazione del Verbo.
      La duplice notazione lucana sul silenzio riflessivo di Maria (cf. Lc 2, 19. 51b), è stata oggetto di diligente studio da parte degli esegeti contemporanei e di amorosa attenzione da parte di uomini spirituali di tutti i tempi.65 Essa apre profondi spiragli sulla vita interiore della Vergine: nel suo silenzio, Maria appare quale donna sapiente che ricorda e attualizza, interpreta e confronta, alla luce dell’evento pasquale, parole e fatti avvenuti nella nascita e nell’infanzia del Figlio; che si interroga sul significato di parole oscure, sulle quali si proietta l’ombra della croce (cf. Lc 2, 34-35; 48-50), e accoglie i silenzi di Dio con il suo silenzio adorante.
      Nel silenzio, il cuore della Vergine appare quale arca, in cui si conserva la ‘memoria’ degli interventi di Dio nella storia di Israele; quale luogo in cui, richiamati dalla riflessione, confluiscono i tempi di ‘prima’ — di Adamo, di Abramo, di Davide — e da cui si diparte il tempo di ‘dopo’ — di Cristo e della Chiesa — ; quale terra, in cui è stato seminato il buon seme che porterà frutti abbondanti; quale scrigno, dove sono custodite parole di cui lo Spirito darà progressivamente alla Vergine stessa e alla Chiesa l’intelligenza piena e dove è depositata la legge del Signore, luce e norma di vita.
59.   I1 valore esemplare dell’atteggiamento riflessivo della Vergine in ordine al compito ecclesiale della penetrazione della Parola è già stato efficacemente messo in luce: Maria, "‘Madre muta del Verbo silente’[...] prefigurava quel lungo lavorio di memoria e di intensa ruminazione che costituisce l’anima della Tradizione della Chiesa".66 Ma tale valore esemplare possiamo estenderlo alla celebrazione dei divini misteri: là, la Chiesa proclama la Parola di Dio, che solo nell’attento ascolto e nella riflessione penetrante può essere vitalmente compresa; là, essa celebra sotto il velo dei santi segni gli avvenimenti della nostra salvezza: un velo che solo si dischiude se la mente si apre al Mistero, se la volontà si uniforma al disegno di Dio, se la voce concorda con il cuore.67
60.   Nella liturgia il silenzio non è espressione di inerzia, ma è elemento strutturale della celebrazione: favorisce il raccoglimento da cui germoglia la preghiera personale; consente che l’orazione di colui che presiede diventi con verità e autenticità preghiera di tutta l’assemblea; facilita l’assimilazione della Parola proclamata e l’ascolto della voce dello Spirito; è ambito sacro che immette nell’adorazione e nella lode di Dio: "Tibi silentium laus", secondo un motto di derivazione biblica.68
      Ma vi è di più: la celebrazione liturgica è celebrazione "in Spirito", ed il silenzio — segno biblico e liturgico del Paraclito69 — è anche via alla comunione con lo Spirito agente nei divini misteri e, attraverso di lui, alla comunione con i partecipanti all’assemblea cultuale.
61.   Il silenzio è stato sempre ritenuto una componente qualificante della vita monastico-religiosa, un mezzo particolarmente effìcace per progredire nella via dell’identificazione con Cristo. Non vi è regola monastica o testo costituzionale che non faccia riferimento all’importanza del silenzio. Se nei testi legislativi leggiamo, ad esempio: "... dobbiamo cercare nel silenzio della cella un mezzo per conoscerci, liberarci dall’egoismo e acquistare quell’atteggiamento di amore a Dio e alle creature, che costituisce il termine del nostro cammino religioso",70 l’odierno magistero della Chiesa afferma nondimeno: "la ricerca dell’intimità con Dio comporta il bisogno, veramente vitale, di un silenzio di tutto l’essere, sia per coloro che devono trovare Dio anche in mezzo al frastuono, sia per i contemplativi".71 Il silenzio dunque, che mai deve abbandonare il religioso nello svolgimento delle sue varie attività, deve a maggior ragione avvolgerlo quando partecipa alla sacra liturgia.
62.   Da questa convergenza di indicazioni possiamo trarre una duplice conclusione:
— la Vergine del silenzio e dell’ascolto costituisce un invito a interiorizzare la Parola e a celebrare la liturgia penetrandone il Mistero;
— noi, religiosi e religiose, siamo chiamati ad imprimere alle nostre celebrazioni mariane un tono e uno stile che favoriscano il silenzio riflessivo; ad avvolgerle, per così dire, di quel santo segno del silenzio, che rende intimo il Trascendente, udibile il gemito dello Spirito, sperimentabile la presenza della Parola.
 
La via della bellezza

63.   Discorrendo sui modi con cui noi religiosi possiamo concorrere alla promozione, qualitativa più che quantitativa, del culto alla Vergine, non ci è difficile indicarne uno, non nuovo tuttavia, ché anzi appartiene alla nostra ‘eredità familiare’:
— fare della pietà mariana uno spazio santo e un’occasione propizia per la contemplazione della Bellezza increata — Dio —, del suo splendore divino-umano — Cristo —, dell’opera precipua dello Spirito di Bellezza — la Vergine Maria —;
— fare della pietà mariana un luogo propizio per il festoso incontro di tutte le espressioni della creazione artistica.
64.   Dio, il Santo e il Vivente, è la Bellezza suprema. La sua parola è poetica, cioè creatrice: dal nulla trae l’essere, dal caos l’armonia, dalla tenebra la luce; le opere delle sue mani sono ‘belle-buone’, secondo il senso pregnante del termine usato nel racconto biblico della creazione (cf. Gn 1, 9. 12. 25. 31);72 e, quando attraverso il suo Santo Spirito parla agli uomini con il linguaggio degli uomini, la sua parola è essa stessa altissima poesia e riveste spesso le più smaglianti forme letterarie.
      Vorremmo sostare, fratelli e sorelle, nella contemplazione della bellezza di Cristo, ma dobbiamo abbreviare la nostra riflessione. Ci limiteremo a contemplarne la bellezza nel suo essere, che è irradiazione della gloria del Padre e impronta della sua sostanza (cf. Eb 1, 3 ), e nello splendore della luce che lo avvolge (cf. Mc 9, 2-3); a ricordare, sulla scorta dei Santi Padri, che a Cristo va riferito l’elogio reso alla Sapienza "più bella del sole" (Sap 7, 29), "riflesso della luce perenne, specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà" (ibid., 26); la lode delle fattezze dell’Amato, per cui la Sposa esclama: "Come sei bello, mio diletto" (Ct 1, 16); la celebrazione delle sembianze del Re messianico: "Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per sempre" (Sal 44 [45], 3).
65.   Si sa: dinanzi alla bellezza superna che rifulge nella Vergine, il credente è preso dallo stupore: "Come cantare le tue lodi, santa Vergine Maria?", s’interroga la liturgia.73
      Non senza commozione ogni anno, nell’ufficiatura del Giovedì Santo, rileggiamo un antichissimo testo — l’Omelia pasquale di Melitone di Sardi († 190 ca.) —, in cui Maria è chiamata "la bella agnella".74
E con gioia consideriamo come i fratelli d’Oriente, cosìsensibili al mistero della bellezza, chiamino la Spirito Santo l’Iconografo divino e ritengano che l’’icone’ capolavoro di Dio sia la gloriosa Theotokos: "Volendo creare un’immagine della bellezza assoluta — scrive Gregorio Palamas († 1359) — e manifestare chiaramente agli angeli e agli uomini la potenza della sua arte, Dio ha fatto veramente Maria tutta bella. Egli ha riunito in lei le bellezze particolari distribuite alle altre creature e l’ha costituita come comune ornamento di tutti gli esseri visibili e invisibilí".75
      E venendo ai tempi nostri, alla Chiesa latina, possiamo ascoltare la voce di un Vescovo di Roma, Paolo VI († 1978); egli che, come è noto, invitò i cultori di mariologia a non trascurare la ‘via della bellezza’,76 vedeva in Maria "un capolavoro di bellezza umana, non ricercata nel solo modello formale, ma realizzata nell’intrinseca ed incomparabile capacità di esprimere lo Spirito nella carne, la sembianza divina nel volto umano, la Bellezza invisibile nella figura corporea".77
66.   A questo punto, per completare la nostra riflessione, ci sembra di dover aggiungere alcune osservazioni.
      Anzitutto è necessario fugare ogni perplessità sulla natura della via pulchritudinis: essa non consiste in un esercizio intellettuale e non è un cammino riservato agli spiriti raffinati.
      La ‘via della bellezza’ è via di severo impegno ascetico: Filocalìa, cioè "amore alla bellezza", s’intitola significativamente uno dei libri di ascesi più diffusi nell’Oriente cristiano.
      La scoperta e la fruizione della bellezza suppongono la vittoria in noi, conseguita spesso faticosamente, della verità sulla menzogna, della bontà sulla cattiveria, dell’amore sull’odio; implicano il superamento delle divisioni e delle lacerazioni perché nel nostro intimo si faccia unità e armonia.
      La bellezza è splendore della bontà e della verità. Perciò Maria è bella: è bella allorché con cuore umile (bonitas) e con parola vera (veritas) accoglie la volontà di Dio e si lascia possedere dallo Spirito di pace; quando nel suo grembo verginale si ricompone l’unità tra Dio e l’uomo, la terra e il cielo; quando con la sua semplicità e la sua umiltà cancella un’antica doppiezza e una folle superbia.
      Maria è bella perché lo Spirito l’ha sottratta al dominio del peccato: il titolo di Tuttasanta, tipico della Tradizione orientale, e quello di Tota pulchra, caratteristico della liturgia romana, designano la stessa realtà ed hanno la stessa motivazione: in Maria non vi è macchia di peccato.78
      La ‘via della bellezza’ è cammino di illuminazione e sforzo di trasparenza; è lotta contro il peccato nel quale i Santi Padri e la liturgia vedono la somma bruttura; è progressiva liberazione dal male e crescente immissione nella verità e santità di Dio: per tutto ciò la ‘via della bellezza’ si configura come ‘via di salvezza’.
67.   Bisogna poi rilevare che la ‘via della bellezza’, restando aderente alla Parola, consente di integrare in un’unica visione armonica la figura evangelica di Maria con gli enunciati della fede che a lei si riferiscono.
      Come Paolo discerne in Gesù, "nato da donna, nato sotto la legge" (Gal 4, 4), l’Uomo nuovo (cf. 1 Cor 15, 45) e il Signore della gloria (cf. 1 Cor 2, 8), così la Chiesa ha intuito in Maria di Nazareth, donna umile, la Donna nuova preparata da Dio per Cristo e per l’umanità. In Maria la ‘donna reale’ e la ‘donna ideale’ coincidono. Sorretto dalla fede, il credente contempla attuati in Maria i suoi più alti ideali religiosi e umani:
— in lei, nella sua Concezione immacolata, vede restituita l’umanita all’innocenza originaria e alla bellezza primigenia, e compiuto il simbolo della ‘vergine terra’;
— in lei, nella sua fedeltà a Dio, scorge il vertice spirituale di Israele, l’immagine dell’Alleanza non infranta;
— in lei, nella sua docilità allo Spirito, contempla l’ideale del discepolo, vede la trama più pura del dialogo tra Dio e l’uomo, il rapporto più armomco tra natura e grazia;
— in lei, nella sua maternità verginale, vede realizzato l’ideale della Sposa fedele, della Vergine integra, della Madre feconda; ammira divenuta reale l’aspirazione impossibile: l’unione dell’onore della verginità con la gioia della maternità;79 e si stupisce di vedere attuato nel frutto di quella maternità l’altro prodigio: Dio nell’uomo e l’uomo in Dio;
— in lei, nella sua pietà soccorrevole, vede colmata l’attesa di ogni uomo ferito dal dolore o dal male: ritrovare l’abbraccio della madre che lo accolga, lo comprenda, lo rigeneri;
— in lei, nella sua Assunzione gloriosa, contempla avverata la sua aspirazione più intima: il superamento della morte nella vita; e scorge il segno di una "speranza a tutti accessibile".80
68.   Questa ‘immagine’ della Vergine non è — come talvolta si legge — il risultato di una oggettivazione inconscia delle aspirazioni profonde dell’uomo, né il frutto di una cristianizzazione sistematica di miti pagani: è ‘icone’ disegnata dallo Spirito per illustrare un dono di Dio agli uomini; è documento facilmente intelligibile del modo con cui Dio, che ha fatto l’uomo a sua immagine (cf. Gn 1, 26-27), risponde ai bisogni del cuore umano; è, infine, trascrizione dei dati della Sacra Scrittura con il linguaggio della fede e della poesia.
      In questo campo dobbiamo guardarci, fratelli e sorelle, dalla finzione letteraria: essa, staccandosi dalla Parola, rimane sterile ed è ingannatrice. Ma, al seguito dei Santi Padri, dobbiamo apprezzare lo sguardo poetico che, sorretto dalla fede, si posa sulla Parola. Tale sguardo, intuitivo e penetrante, si trasforma in parola poetica, che rende udibili ai fratelli di fede vibrazioni nascoste nella Parola divina.
69.   Ci sembra importante rilevare ancora che l’‘immagine Maria’ non trattiene in sé lo sguardo e la parola che le sono rivolte: li rinvia verso l’‘immagine Cristo’, verso l’‘immagine Chiesa’, verso l’Artefice divino: — verso Cristo, la sola compiuta "immagine del Dio invisibile" (Col 1, 15), la sola che realizza l’armonia perfetta;
— verso la Chiesa, perché l’’immagine Maria’ è anticipazione dell’’immagine Chiesa’, che Dio disegna e compie nel corso del tempo salvifico. Così lo sguardo rivolto all’immagine di Maria, madre della Luce, si prolunga in uno sguardo verso la "Donna vestita di sole" (cf. Ap 12, 1), la Chiesa, che genera le membra del Cristo totale; come pure lo sguardo indirizzato a Maria, Vergine Sposa splendente di bellezza, continua nella contemplazione della Gerusalemme celeste, la Chiesa che "scende da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo" (Ap 21,2);
— verso l’Artefice divino, perché ogni discepolo del Signore, abituato ad arguire dalla bellezza della creazione l’ineffabile bellezza del Creatore, contemplando l’arcana bellezza di Maria, tanto più è condotto a magnificare l’insondabile bellezza di Dio.
70.   Ci sembra che noi religiosi, per la tradizione di cui siamo portatori, dobbiamo cooperare attivamente allo sforzo di rendere operative alcune esigenze della via pulchritudinis:
— la rivalutazione del linguaggio simbolico e della poetica biblica; l’educazione allo sguardo poetico e al gusto artistico; il ricorso all’intuizione; la sollecita riconciliazione dell’Arte con la Fede: così il ‘mistero del culto’ tornerà a fecondare le espressioni artistiche;
— l’eliminazione dai segni attraverso i quali esprimiamo la nostra pietà mariana — il segno spazio, il segno parola, il segno canto, i1 segno colore... — di tutto ciò che è brutto e oleografico, ripetitivo e fittizio.
71. Dicevamo, fratelli e sorelle, che la via della bellezza non è cammino riservato agli specialisti: "è accessibile a tutti, anche alle anime semplici",81 soprattutto ai puri di cuore che colgono la bellezza "dei gigli del campo" e con Gesù comprendono che "neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro" (Mt 6, 29); via, aggiungiamo, preferenziale per i religiosi, che s. Agostino, al termine della sua Regola, chiama "innamorati della bellezza spirituale".82
      La ‘via della bellezza’ è, infine, una ‘via filiale’: i figli infatti, per consuetudine di vita e per disposizione di amore, scoprono nella propria madre tratti di profonda bellezza, che ad altri restano nascosti. Perciò, poiché con Gesù, "primogenito tra molti fratelli" (Rm 8, 29), chiamiamo Maria ‘madre’ — sia pure su un diverso piano di realtà —, ci sembra di poter fare nostre le parole che il b. Amedeo di Losanna († 1159) pone sulle labbra del Figlio in lode della Madre: ""Tu sei tutta bella, o madre mia, e in te non v’è macchia alcuna" (Ct 4, 7 ). Tu sei bella, le dice: bella nei pensieri, bella nelle parole, bella nelle azioni; bella dalla nascita fino alla morte; bella nella concezione verginale, bella nel parto divino, bella nella porpora della mia passione, bella soprattutto nello splendore della mia risurrezione".83

L’Opzione per i poveri

72.   Cristo è la nostra vera e suprema ricchezza, e somma miseria è per noi essere senza Cristo. Dinanzi a lui e alle esigenze del Regno tutto diviene secondario: padre e madre, moglie e figli, fratelli e sorelle, patrimonio e perfino la propria vita (cf. Lc 14,26.33). Chi antepone anche uno solo di questi valori al valore supremo — Cristo e il Regno — non può essere discepolo del Signore. E poiché, di fatto, l’attaccamento ai beni di questo mondo indurisce il cuore dell’uomo fino a chiuderlo nei confronti della persona stessa di Cristo (cf. Lc 18,18-27) e a renderlo insensibile alle necessità dei fratelli (cf. 1 Gv 3,17; Gc 2,14-16; Lc 16,19-21), si comprende perché i Vangeli e le Lettere apostoliche con tanta insistenza e con tanta energia mettano in guardia i discepoli dal pericolo di porre le ricchezze al centro della propria vita. Perché quando ciò avviene si incorre in una grave forma di idolatria: al posto di Dio, Amore che si diffonde nei cuori (cf. Rm 5,5), si adora l’idolo dell’oro e dell’argento — "disonesta ricchezza" (Lc 16,9) —, sterile e chiuso in tenebroso egoismo. E si comprende perché l’Apostolo ammonisca: "L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali" (1 Tm 6,10).
73.   Gesù non ha condannato in se stessi i beni di questo mondo. Ma, in antitesi alle forme di vita dominate dalla bramosia della ricchezze, egli scelse per sé una vita segnata da una radicale povertà. Lo stesso evento dell’Incarnazione, per l’assunzione da parte del Verbo della "condizione di servo" (Fil 2,7), si configura come un mistero di povertà e di kenosis. Peraltro l’Apostolo scrivendo ai Corinzi chiarisce il senso ultimo della povertà di Cristo: "conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8,9). Non è necessario scrutare a lungo i Vangeli per scoprirvi la povertà di Cristo; essa ci balza davanti agli occhi: nacque povero (cf. Lc 2,7), poveramente visse (cf. Lc 9,58), poveramente morì (cf. Mc 15,24); dell’annuncio della Buona Novella ai poveri fece il segno per riconoscere l’avvento del Regno messianico (cf. Lc 7,22); proclamò beati i poveri in spirito, dichiarando che di essi è il Regno dei cieli (cf. Mt 5,3); volle che gli araldi del Regno non si procurassero né oro, né argento, né moneta di rame, né bisaccia di viaggio (cf. Mt 10,9-10).
74.   Analogamente la Madre di Gesù, nella concretezza della sua vicenda evangelica, ci appare come una donna povera, la cui vita fu contrassegnata da una duplice povertà: povertà secondo le categorie sociologiche e povertà secondo le categorie del Regno, in lei armonicamente coincidenti.
75.   La povertà sociologica di Maria si offre subito allo sguardo del lettore dei Vangeli: Maria nasce povera nella disprezzata regione di Galilea — la semipagana "Galilea delle genti" (Mt 4,15) —, a Nazareth, una borgata che non conta nulla nella storia di Israele (cf. Gv 1,46; 7,52); è promessa sposa a Giuseppe, un umile carpentiere (cf. Lc 1,27; Mt 13,55); dà alla luce il suo Figlio in una grotta-stalla e lo depone "in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo" (Lc 2,7); lo riscatta con l’offerta dei poveri (cf. Lc 2,24); quando il Figlio è perseguitato dai potenti deve fuggire in un paese straniero, dove conosce i disagi dell’esilio (cf. Mt 2,13); ritornata a Nazareth, vive oscuramente, per molti anni, la vita dei poveri; durante la vita pubblica del Figlio nulla modifica la sua condizione di semplice donna del popolo, aumenta invece la sua partecipazione al mistero del "segno di contraddizione": esperimenta l’ostilità dei concittadini nei confronti del Figlio: "lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte [...] per gettarlo giù dal precipizio" (Lc 4,29); constata l’incomprensione degli stessi parenti: "i suoi [...] uscirono a prenderlo, poiché dicevano: "È fuori di sé"" (Mc 3,21); vive il dramma della morte del Figlio, crocifisso tra "due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra" (Lc 23,33).
76.   Ma Maria spicca soprattutto per l’intensità con cui visse la spiritualità dei ‘poveri di Jahvé’. La Vergine "primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza":84
— donna lieta nel servizio del Signore (cf. Lc 1, 38.46-48), fedele nell’osservanza della legge (cf. Lc 2,22-24.27.39), docile alla volontà di Dio (cf. Lc 1,38);
— donna premurosa verso Elisabetta nell’offrirle il suo aiuto, nel rallegrarsi con lei per il dono della maternità, nel proclamare la gratuità dei doni di Dio (cf. Lc 1, 39-56);
— donna beata per la sua fede (cf. Lc 1, 45), benedetta per il frutto del suo grembo (cf. Lc 1, 42), esemplare per la fiducia nell’adempimento delle promesse fatte ai Padri (cf. Lc 1, 55);
— donna del saluto santificante (cf. Lc 1, 40-41. 44), del canto riconoscente (cf. Lc 1, 46-55), della parola decisa (cf. Lc 1, 38; Gv 2, 5), del silenzio riflessivo (cf. Lc 2, 19. 51b);
— donna partecipe della sorte del suo popolo (cf. Lc 1, 54), solidale con gli umili di cuore — Simeone e Anna, i pastori e i saggi venuti da lontano — e con gli oppressi (cf. Lc 1, 52-53; Mt 2, 16-18), attenta alle necessità del prossimo (cf. Gv 2, 3) e sollecita verso la nuova comunità dei discepoli di Gesù (cf. Gv 2, 1-12; At 1, 14);
— donna dal cuore umile, semplice, fidente in Dio (cf. Lc 1, 48) che, avendo ricevuto misericordia, proclama la misericordia del Signore e ne esalta la potenza liberatrice (cf. Lc 1, 51-53).
77.   Sappiamo che la credibilità delle Chiese locali e degli Istituti religiosi si gioca in gran parte sulla genuinità della loro testimonianza di povertà evangelica. Dal rendere tale testimonianza nessuno è dispensato: essa è richiesta, sia pure in vario modo, a tutti i discepoli del Signore. E per quanto riguarda noi religiosi sappiamo che "su questo punto i nostri contemporanei" ci "interrogano con particolare insistenza".85
      Dopo aver contemplato la figura evangelica di Maria, "donna povera", sentiamo che anche da essa ci giunge un pressante invito a compiere una chiara opzione in favore dei poveri e a porre in atto un serio sforzo per vivere una vita sobria, libera da possessi e da poteri, partecipe dei disagi di una effettiva povertà.
      Per quanto concerne la pietà mariana, la nostra riflessione ci ha portati a concludere: il culto alla beata Vergine, se si vuole che non si perda nell’astrattezza o sia confinato in dimensioni puramente individuali, deve essere permeato dai contenuti del messaggio evangelico sulla povertà. Vogliamo dire: deve essere occasione per predicare a coloro che sono sociologicamente ricchi e a coloro che sono sociologicamente poveri l’unico evangelium paupertatis, cioè la subordinazione dei beni di questo mondo ai valori del Regno e la loro primordiale destinazione al servizio e alla promozione dell’uomo; deve essere momento cultuale per l’annuncio del messaggio del Magnificat e delle Beatitudini, per il rifiuto di ogni "compromesso con qualsiasi forma di ingiustizia sociale"86 e per la denuncia di ogni forma di oppressione dei poveri; ambito orante per sollevare i cuori sfiduciati verso Dio che "solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero" (Sal 112 [113], 7) e per ascoltare il "grido dei poveri" (Gb 34, 28) che si leva "più incalzante che mai [...] dalla loro indigenza personale e dalla loro miseria collettiva";87 deve essere ammonimento a non presentare certe situazioni sociali come espressione della ‘volontà di Dio’, quando sono soltanto effetto del peccato degli uomini.
      In questo atteggiamento cultuale — di fiducia in Dio e di denuncia dell’ingiustizia — ci ha preceduti Maria di Nazareth. Il suo inno di ringraziamento non è certo un proclama di messianismo terreno né un grido di rivolta sociale, ma non è nemmeno una preghiera disincarnata: è un canto di liberazione sgorgato dalla fede; è memoria degli interventi di Dio nella storia; è parola detta a nome di "coloro che non accettano passivamente le avverse circostanze della vita personale e sociale né sono vittime dell’‘alienazione’ — come si dice oggi — bensì proclamano con lei che Dio è "vindice degli umili" e, se è il caso, "depone i potenti dal trono"".88


78.   "Dio mandò suo Figlio, nato da donna" (Gal 4, 4), scrive Paolo intendendo probabilmente alludere all’abbassamento del Verbo che incarnandosi si fece in tutto simile a noi tranne il peccato (cf. Eb 4, 15 ). "Maria è donna", scrivono i Vescovi latino-americani volendo sicuramente sottolineare che Dio in Maria ha innalzato a sublime dignità la condizione femminile.89 Nei quasi due millenni che corrono tra queste due affermazioni si snoda la lunga e travagliata ‘questione femminile’ nella società civile e all’interno del cristianesimo. Non possiamo certo in questa nostra riflessione tracciare le tappe del suo sviluppo storico né tanto meno affrontare i numerosi e gravi problemi che oggi si pongono a proposito della condizione femminile nella Società e nella Chiesa. Vogliamo solo raccogliere alcune indicazioni provenienti da più parti e ordinate a far sì che la pietà mariana, conservando la propria fisionomia e le proprie finalità, divenga pure occasione per un valido contributo alla causa della promozione della donna.
79.   I testi evangelici ci parlano della povertà di Maria, non accennano invece ad una sua situazione di emarginazione. Nulla ci autorizza tuttavia a pensare che ella non abbia condiviso la sorte delle donne del suo tempo e della sua terra: essere serve dei loro mariti, vedersi sbarrata la strada ad ogni pur minimo progresso culturale, trovarsi senza voce nella vita sociale e politica, sentirsi addosso come una condanna atavica l’infelicità di essere donna.90
      Eppure a questa donna emarginata si rivolse Dio scavalcando — ci si consenta l’espressione — le strutture della cultura giudaica e i giudizi degli uomini, per operare in lei "grandi cose" (Lc 1, 49) e per assumerla a interlocutore qualificato in un momento culminante del dialogo della salvezza. In questo agire di Dio abbiamo un’indicazione di stile e di metodo che non possiamo trascurare. E, interpretandolo a partire dai presupposti della fede, il ‘dialogo di Nazareth’ ci appare come il momento più pregnante e il punto più alto del femminismo nella storia della salvezza.
      Questa donna emarginata è stata chiamata ad essere nella Chiesa "una presenza e un sacramentale dei lineamenti materni di Dio", come si esprime la III Conferenza generale dell’Episcopato latino-americano.91
      "In lei — prosegue il documento di Puebla — il Vangelo ha penetrato la femminilità, l’ha redenta ed esaltata [...] Maria è garanzia della grandezza femminile, indicando il modo specifico dell’essere donna con quella sua vocazione ad essere anima, donazione capace di spiritualizzare la carne e di incarnare lo spirito".92
80.   Dicevamo che non possiamo procedere qui ad una analisi della condizione femminile nel mondo contemporaneo. Essa varia notevolmente da un luogo all’altro: in alcune regioni sottosviluppate la situazione della donna non è molto cambiata da quella dei tempi di Maria di Nazareth; in altre — soprattutto nei paesi industrializzati — la donna appare affrancata in sede teorica e giuridica da molte antiche oppressioni, ma in realtà gravano ancora su di lei pregiudizi e condizionamenti secolari. Semplificando i dati della questione possiamo dire che gli obiettivi dell’‘emancipazione’ e della ‘liberazione’ della donna sono dappertutto attuali, sia pure per motivi diversi, e che il ‘movimento femminista’ e il movimento femminile, così vari nelle loro manifestazioni e nelle loro matrici culturali e filosofiche, hanno tuttora una loro ragione di essere, in vista del conseguimento di essi.
81.   A questo punto sentiamo che lo sguardo cultuale che rivolgiamo a nostra Sorella Maria di Nazareth deve prolungarsi in uno sguardo pieno di rispetto e di interessamento verso la situazione di oppressione in cui versano tante donne. La pietà mariana non può certo né in questo né in altri campi assumere toni e posizioni demagogiche, ma non può nemmeno risultare assente nei confronti di una questione che già Giovanni XXIII riteneva proposta con urgenza dai ‘segni dei tempi’.93 Perciò riteniamo che la pietà mariana, a partire dai dati della fede, si possa inserire efficacemente nel processo di promozione della donna.
82.   Anzitutto la pietà mariana è chiamata a favorire il ricupero, dove essa fosse stata offuscata, della visione cristiana della donna e della sua missione, cioè:
— a illustrare il significato, la bellezza, la fecondità della verginità consacrata per il Regno;
— a riproporre con gioia i valori profondi della vocazione alla rnaternità, intesa come misteriosa partecipazione al progetto creatore di Dio là dove la natura riceve ancora il suo soffio vivificante, come immissione responsabile nell’onda della vita a servizio dell’Umanità e della Chiesa, come realizzazione non egoistica della propria personalità;
— a ridare alla donna il senso della sua dignità, della sua "differenziazione funzionale, pur nell’identità della natura [.. ] per rapporto all’uomo",94 della sua originalità affascinante e della sua capacità di affermazione;
— a riconsegnarle la ‘memoria storica’ che l’aiuterà a scuotere da sé il senso di inferiorità per riconoscersi protagonista di tante imprese memorabili — di progresso, di libertà, di santità — nella storia dell’umanità e nella storia della salvezza.
83.   La pietà mariana poi, secondo le strutture che le sono proprie — la forza della preghiera, i convincimenti profondi che via via si formano nei cuori e si traducono quindi in azione... —, può favorire il riconoscimento pieno dei diritti civili della donna in parità con l’uomo nonché l’esercizio pratico di essi nella vita professionale, sociale e politica.95 Comprendiamo che la questione è delicata, ma riteniamo che in questo campo non possiamo nemmeno rifiutare aprioristicamente l’ascolto delle proposte dei movimenti femministi anche di quelli di matrice non cristiana. Occorre infatti discernere con sapienza apostolica (cf. 1 Ts 5, 21 ) ciò che in essi è accettabile dal punto di vista della Rivelazione e ciò che non è conforme alla divina Parola. Così, se non possiamo accettare alcune proposte radicali che qua e là affiorano — ad esempio il rifiuto dell’istituzione matrimoniale —, possiamo tuttavia condividere la denuncia di tanti subdoli progetti di mercificazione della donna che la società dei consumi pone in atto.
84.   La ricerca mariologica e la pietà mariana sono pure destinate — ci sembra — a promuovere all’interno della Chiesa l’accesso della donna a funzioni e compiti da cui finora è stata completamente o in parte esclusa, non per ragioni dottrinali bensì per motivi di indole storica e culturale. Ciò è avvenuto pure nell’ambito di mille servizi pastorali di vitale importanza, la cui dinamica non tocca la sfera della struttura gerarchica della Chiesa: in essi tuttavia i rapporti uomo-donna sembrano improntati più ai modelli di una ‘società maschilista’ che alle proposte innovatrici del messaggio evangelico.
      A questo proposito ci sembra di dover rilevare nella Chiesa un certo ritardo nel riconoscere alla donna la capacità di ricevere i ministeri — il lettorato, l’accolitato... —, i quali non appartengono all’ambito del sacramento dell’Ordine, ma sono una semplice istituzione ecclesiale. Tale non riconoscimento appare superato dall’evolversi della realtà, poiché di fatto le donne svolgono dappertutto tali ministeri o per consuetudine acquisita o per legittimo incarico dell’autorità ecclesiastica, ma sempre con carattere ‘extra-ordinario’.
      Il problema dell’accesso delle donne ai ministeri è particolarmente sentito dalle religiose di alcuni paesi. A questo proposito facciamo nostro il voto espresso dalla S. Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli: "... possiamo augurarci che le autorità rispondano all’offerta di servizio delle donne consacrate, con una simpatia attiva, in tutta la gamma — che è ampia — delle possibilità",96 e formuliamo l’auspicio che tale problema, previamente approfondito in sede dottrinale, sia affrontato non in termini di contrapposizione e di rivendicazione, ma di cooperazione e di servizio.
      E relativamente all’argomento che ci occupa, si può osservare ancora come l’autorità ecclesiastica assuma spesso nei confronti degli Istituti religiosi femminili un atteggiamento di tipo protezionistico; come tenda in non pochi casi a indirizzare il servizio di questi verso mansioni subalterne presso organismi ecclesiali maschili; come non sempre tragga tutte le conseguenze pratiche derivanti dal fatto che, quanto all’essenza della ‘vita consacrata’, gli Istituti religiosi maschili e quelli femminili si trovano in situazione di perfetta parità.
85.   Siamo lieti di affermare con voi, sorelle religiose, che le istituzioni femminili di vita consacrata, nel loro complesso, hanno contribuito in larga misura a una genuina promozione della donna. Alle origini dei vostri Istituti e lungo la loro storia troviamo spesso donne umili e forti, vere discepole di Cristo, audacemente precorritrici dei tempi, che seppero liberare se stesse e le loro sorelle da condizionamenti restrittivi, che alla loro epoca pesavano gravemente sulla donna. Tale ‘promozione’, efficace nei fatti, della quale tuttavia le stesse protagoniste non ebbero sempre piena coscienza, era a sua volta finalizzata alla promozione degli umili: diveniva diffusione della cultura, attraverso numerose istituzioni di insegnamento; soccorso al bisognoso, attraverso molteplici opere caritative, che all’aspetto assistenziale congiungevano una tensione promozionale; illuminazione dello spirito, attraverso l’annuncio del messaggio evangelico. Per tutto questo noi riteniamo che la storia della emancipazione della donna debba scriversi guardando anche alle istituzioni femminili di vita consacrata, nonostante l’eventuale presenza in esse di alcuni elementi negativi.
      E per quanto attiene alla nostra riflessione non è difficile rilevare che alla base di tale ‘promozione’ ci sono stati quasi sempre, dopo l’amore di Cristo, un’intuizione e un impulso provenienti dalla pietà mariana di tante vostre Madri e Sorelle insigni.
86.   La pietà mariana si nutre della fede e, a sua volta, ne irradia i contenuti. Ciò fa che essa sia uno strumento particolarmente valido per la diffusione del Vangelo: "In mezzo alle nostre popolazioni — dichiara il documento di Puebla — il Vangelo è stato annunciato presentando la Vergine Maria come la sua più alta realizzazione";97 ma ciò esige da parte dei nostri Istituti e delle Chiese locali una vigile attenzione perché la pietà mariana, senza cedere a visioni unilaterali, sia eco integra della proposta cristiana e abbia la capacità di rispondere con i fatti ad alcune ricorrenti obiezioni. La pietà mariana — si afferma — ha concorso: — a formare un tipo di ‘donna cristiana’ sottomesso e rassegnato;
— a relegare la donna, con intendimenti più o meno scoperti, nella sfera domestica e privata;
— a dare alla spiritualità cristiana un’impronta sentimentale, ‘femminile’.
Si tratta di obiezioni di rilievo. Una risposta particolareggiata ad esse richiederebbe analisi storiche che qui non possiamo condurre. Ci limiteremo pertanto ad alcune osservazioni.
87.   Anzitutto si deve notare che queste deviazioni — se, dove e nella misura in cui si sono prodotte — sono da attribuire a processi degenerativi e a interpretazioni unilaterali e restrittive della pietà mariana, non sono in alcun modo effetti derivanti da essa per intrinseca necessità. La pietà mariana ne soffre: sono contro di essa, non a causa di essa. Sappiamo peraltro che quasi nessun capitolo della fede e del culto cristiani è andato esente da deviazioni più o meno gravi. Se si riflette, per esempio, alle deviazioni che la pietà eucaristica ha subito in alcuni tempi e in alcuni luoghi, si concluderà che quelle di cui ha sofferto la pietà mariana sono, a ben considerare, meno rilevanti. Ora è evidente che le alterazioni nella pietà eucaristica non sono insite nel progetto istituzionale di Cristo, sono bensì frutto della fragilità o della insipienza degli uomini.
88.   Le virtù che spesso sono state sottolineate nella pietà mariana — l’umiltà, l’obbedienza, la mitezza, l’abbandono fidente in Dio, la pazienza... —, in quanto virtù di profonde radici bibliche e di cui Cristo stesso si è proposto come modello (cf. Mt 11, 29; Gv 13, 14-15), sono valide per tutti i discepoli del Signore, per gli uomini come per le donne. L’aver supposto che esse fossero ‘riservate’ alle donne rivela una mentalità maschilista, e il fatto di averle configurate come ‘virtù passive’ denuncia una visione della realtà poco conforme al Vangelo. Come pure non si può trarre, a partire dai dati evangelici relativi a Maria, alcuna indicazione per ritenere ottimale per la donna la sua realizzazione nell’ambito del focolare domestico: ciò può costituire una legittima opzione personale, può essere ritenuto un’opportunità e anche un diritto da difendere con appositi strumenti legislativi,98 ma non può essere presentato come ‘vocazione cristiana’ prioritaria nei confronti di altre scelte. Bisognerà invece seguire con attenzione gli esiti delle ricerche di esegeti e teologi, non certo sospettabili di massimalismo mariologico, i quali dallo studio dell’entroterra dei Vangeli ritengono di poter affermare che "per Gesù Maria non era semplicemente ‘madre’ nel senso più usuale del termine. Ella svolse un ruolo molto importante durante la vita del Figlio, tanto che esercitò una sua influenza anche nelle prime comunità cristiane. Dal punto di vista storico possiamo pensare che Maria fosse una personalità di primo piano".99

La cultura della vita

89.   Con l’Autore del Libro della Sapienza proclamiamo che Dio è il "Signore, amante della vita" (11, 26); con Giovanni siamo lieti di professare che nel Verbo "era la vita e la vita era la luce degli uomini" (1, 4) e che Cristo, venuto perché gli uomini "abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza" (10, 10), è egli stesso la vita (cf. 14, 6) e la risurrezione (cf. 11, 24); con la Chiesa confessiamo la nostra fede "nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita".100
      E poiché la beata Vergine ha dato alla luce Cristo-Vita e con la sua materna carità coopera alla nascita dei fedeli alla vita della grazia,101 si comprende come i testi liturgici salutino gioiosamente santa Maria quale "madre" e "sorgente della Vita" e a lei si rivolgano invocandola come "vita, dolcezza, speranza nostra".102
90.   Ma avvertiamo che la lode alla Sorgente della Vita costituisce per noi un monito a collocarci dalla parte della víta, a far sì che la pietà mariana sia essa stessa un canale di comunicazione del messaggio di vita che il cristianesimo è chiamato ad annunciare in ogni epoca della storia.
      Ai nostri giorni la tensione tra la luce e le tenebre (cf. Gv 1, 5), tra l’amore e l’odio (cf. 1 Gv 2, 8-11) si presenta come un’immensa ed immane lotta tra la cultura della vita e la cultura della morte.
91.   Cultura della morte sono "l’aggressione bellica, la violenza e il terrorismo" nonché il terrificante "accumulo di armi, specialmente atomiche, e lo scandaloso traffico di armamenti bellici d’ogni genere".103 Per cui, mentre associamo la nostra umile voce alle recenti condanne della guerra nucleare fatte da Giovanni Paolo II,104 dal VI Sinodo dei Vescovi, dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti e da altre Conferenze episcopali,105 ci sentiamo noi stessi spinti dalla nostra fede in Cristo, "Principe della pace" (Is 9, 5) e dalla nostra pietà verso la Vergine, Regina della pace, a percorrere, come la sola strada conforme al Vangelo, la via della non violenza, della promozione del disarmo, della conversione alla pace.
92.   Cultura della morte sono il disprezzo per la vita che si manifesta in tanti episodi di criminalità, la scandalosa situazione di fame per cui muoiono o contraggono gravi malattie milioni di uomini in particolare bambini, le azioni letali condotte contro i nascituri, contro gli anziani, contro i malati incurabili, il flagello della droga. Non è nostro compito né nostra intenzione trattare dei problemi morali connessi con queste situazioni umane spesso tragiche. In questa sede vogliamo solo rilevare che dalla tradizione cultuale mariana ci giunge un invito a collocarci serenamente e, per così dire, pregiudizialmente dalla parte della vita.
      Così dall’immagine della Vergine gravida — soggetto trattato dagli artisti quasi sempre con mirabile delicatezza e pietà106 — ci sembra giunga a noi l’esortazione a considerare con sommo rispetto ogni donna incinta; a vedere in ogni parto di donna un riflesso del parto di Maria, per mezzo del quale l’Uomo-Dio è entrato nella storia e dalla radice di Iesse è spuntato il Germoglio messianico (cf. Is 11, 1); a favorire ogni iniziativa volta a tutelare la vita incipiente; ad essere vicini con comprensione e misericordia alle donne che per circostanze diverse — ingiustizia della società, violenza subita, mancanza di fede... — sono tentate di adottare soluzioni di morte nei confronti del frutto che portano nel grembo.
      Così l’icone della Vergine che allatta il Bambino, e i testi liturgici che con simpatia e stupore rilevano come Maria "con un po’ di latte nutre Colui che sazia l’universo",107 oltre al messaggio dottrinale ed estetico, inviano a noi un pressante appello: non è giusto che i bambini muoiano di fame; e, per converso: è doveroso che la pietà mariana si risolva — come già avviene esemplarmente in molti casi — in attenzione verso gli orfani, in pane per i piccoli affamati, in impegno educativo per i giovani.
      Ed ancora: l’icone della Vergine addolorata ci è stimolo e guida per avvicinarci al mistero del dolore e della morte con una visione di fede, che proietta su di esso una luce di vita. Nei confronti di tale mistero infatti non abbiamo spiegazioni razionali da offrire, solo un’esperienza di fede da proporre: la Pasqua di Cristo, la morte inghiottita dalla vita (cf. 1 Cor 15, 54), la sicurezza che Dio nella sua condiscendenza trasforma "la pena del dolore in strumento di salvezza".108 Maria visse quell’esperienza accanto al Figlio. Perciò la pietà mariana ci apre alla speranza e ci spinge ad adottare ‘soluzioni di vita’, anche là dove il dolore imperversa e la morte apre i suoi varchi.
93.   La vastità e la gravità dei fenomeni cui dà luogo la cultura della morte — il pericolo della guerra nucleare, la fame nel mondo, il flagello della guerra, il razzismo, lo sterminio di popoli... — ci sgomenta e ci trascende; di fronte ad essi sentiamo di non potere contare su null’altro che sulla potenza della fede (cf. Mt 17, 19; Lc 17, 6), sull’efficacia della preghiera, sull’esempio di Colei che credette alla parola di Gabriele: "nulla è impossibile a Dio" (Lc 1, 37).

La promozione della causa ecumenica

94.   Nel 1974 Paolo VI osservava: "Per il suo carattere ecclesiale, nel culto alla Vergine si rispecchiano le preoccupazioni della Chiesa stessa, tra cui, ai nostri giorni, spicca l’ansia per la ricomposizione dell’unità dei cristiani. La pietà verso la Madre del Signore diviene, così, sensibile alle trepidazioni e agli scopi del movimento ecumenico, cioè acquista essa stessa una impronta ecumenica".109
      I responsabili delle Chiese locali e degli Istituti religiosi, cui fraternamente ci rivolgiamo, condividono certamente il nostro convincimento sulla necessità che la pietà mariana sia sensibile ai problemi dell’ecumenismo e diventi una forza promotrice dell’unione dei cristiani. Ma forse qualche lettore si domanderà: non vi è contraddizione tra la richiesta frequentemente avanzata di un corretto (ché così abbiamo scritto quasi sempre) sviluppo della pietà mariana e l’invito a promuovere, attraverso di essa, la causa ecumenica ? non sono la dottrina e la pietà mariana della Chiesa cattolica uno degli ostacoli maggiori all’unione diei cristiani?
95.   Senza dubbio alcuni punti della dottrina cattolica sulla Vergine e alcuni aspetti della pietà mariana suscitano reazioni negative in altre Chiese, specialmente in quelle della Riforma. Ma non si deve continuare pigramente a ritenere che dagli inizi del movimento ecumenico ad oggi nulla sia cambiato in questo campo. È una voce non cattolica quella che ha dichiarato: "Oggi, invece di essere una causà di divisione tra noi, la riflessione cristiana sul ruolo della Vergine Maria è divenuta causa di gioia e sorgente di preghiera".110 Noi siamo persuasi che le varie Chiese cristiane si pongano in forma più o meno trepida ed esplicita la domanda: come è possibile che noi, uniti nella confessione di Cristo unico Signore e unica sorgente di salvezza, siamo divisi proprio riguardo a sua Madre? E siamo pure persuasi che lo Spirito suggerisca alle Chiese di non eludere ma di affrontare con un serio studio il significato della figura della Vergine nella vita della Chiesa.
      Per quanto ci concerne vogliamo offrire — in primo luogo a noi stessi, servi e serve di santa Maria —, alcune indicazioni per migliorare dal punto di vista della pietà mariana, il nostro contributo alla causa ecumenica.
96.   La nostra parola vuole essere anzitutto invito ad operare in noi una profonda conversione del cuore: il movimento ecumenico farà pochi progressi tra noi cattolici se, relativamente a Maria, ci limiteremo ad attendere il ‘ritorno’ dei fratelli separati, la loro ‘conversione’ dagli ‘errori’ mariologici. Bisogna invece prima di tutto convertire i nostri cuori all’umiltà, al dialogo, al reciproco rispetto. Probabilmente nei confronti di molti nostri fratelli e sorelle, di molti laici che frequentano le nostre comunità, si deve promuovere ancora un ecumenismo ‘ad intra’: non certo per disperdere un patrimonio di fede, ma per rimuovere diffidenze e sospetti, pregiudizi e malintesi che si sono accumulati durante i secoli e che con la fede non hanno nulla a che vedere. La conversione del cuore e la capacità di ascolto sono condizioni previe per iniziare insieme un cammino verso Cristo, sotto la guida dello Spirito e il giudizio della Parola.
97.   Alla conversione del cuore bisogna aggiungere quella che qui chiameremo la purificazione degli occhi: occorre cioè che il nostro sguardo sia talmente fisso sulla divina Parola da esserne costantemente purificato (cf. Gv 15, 3) e reso limpido. Alla Parola ci rinviano, oltre agli insegnamenti dei Santi Padri, gli esempi dei grandi Legislatori monastici111 e i moniti del magistero della Chiesa.112
      La Parola è lo spazio in cui vogliamo situare ogni nostro discorso teoligico. Essa ci sollecita a condurre la riflessione dottrinale su Maria e le manifestazioni della pietà mariana nell’ambito del mistero di Cristo e della Chiesa: di Cristo, per mezzo del quale e in vista del quale "sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra" (Col 1, 16); della Chiesa, corpo di Cristo, che ha sottoposto a sé tutte le cose e su tutte ottiene il primato (cf. Ef 1, 22; Col 1, 18).
      Maria in Cristo: tale è la sola collocazione che, secondo la genuina Tradizione cattolica, consente un fondato e proficuo discorso dottrinale su Maria. La Chiesa di Roma lo ricorda spesso in autorevoli documenti: solo in vista di Cristo, in riferimento a lui, in dipendenza da lui può essere compresa la figura e la missione della beata Vergine.113
      Maria nella Comunione dei Santi: tale è la collocazione, a partire dalla quale la Chiesa di Roma ha esplicitato l’espressione più classica della sua pietà mariana: "In comunione con tutta la Chiesa — diciamo nel Canone Romano — ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo".114
      Nello spazio e nella luce della Parola ci ritroviamo largamente uniti ortodossi, anglicani, evangelici, cattolici. Riconosciamo tuttavia che la salutare adozione di questo ‘terreno comune’ non risolve immediatamente tutte le questioni: restano divergenze non lievi connesse con il problema dell’‘interpretazione della Parola’. E ciò a motivo anche di una diversa tradizione ecclesiale o di una differente situazione esistenziale.115
98.   In questa sorta di ‘ecumenismo ad intra’, alla conversione del cuore e alla purificazione degli occhi si deve aggiungere un atteggiamento di ‘comprensione’ verso i fratelli separati per le difficoltà che essi sperimentano nei confronti di alcuni punti della dottrina e della pietà mariana della Chiesa cattolica. Questa ‘comprensione’ non è da confondere con quella strategia del ‘nascondimento dei problemi’, che è uno dei peggiori nemici del vero ecumenismo.116 Essa affronta invece le questioni controverse, ma lo fa sforzandosi di comprendere le ragioni altrui.
      Sul piano dottrinale la ‘comprensione’ si traduce in disponibilità a riconsiderare, dal punto di vista cattolico, i propri enunciati dogmatici per distinguere ciò che in essi è il nucleo essenziale di fede da ciò che è solo rivestimento storico-culturale: si tratta di un’operazione teologica delicata, di cui tuttavia è stata riconosciuta la legittimità da parte del magistero ecclesiastico.117
      Sul piano cultuale essa implica la disponibilità ad accettare l’esistenza di diverse tradizioni ecclesiali e di diverse sensibilità nell’esprimere la pietà verso santa Maria. Così, ad esempio, nei confronti delle Chiese che, pur venerando la Madre del Signore, trovano difficoltà ad ammettere l’invocazione rivolta direttamente a lei, noi, che tale invocazione riteniamo legittima e quotidianamente pratichiamo, non assumeremo un atteggiamento di disapprovazione: da una parte ricorderemo che vi fu un tempo in cui essa, mentre nella liturgia delle Chiese d’Oriente era largamente usata, nella liturgia di Roma era scarsamente adottata,118 dall’altra ci sforzeremo di mostrare le ragioni che, a nostro avviso, la rendono valida.
99.   Tra le Chiese d’Oriente e la Chiesa cattolica esiste un’ampia e sostanziale convergenza riguardo alla dottrina di fede sulla beata Vergine119 e un aperto consenso sulla necessità di non trascurare la fìgura di Maria nella riflessione teologica: "Non c’è teologia cristiana — scrive un noto teologo ortodosso — senza un continuo riferimento alla persona e al ruolo della Vergine Maria nella storia della salvezza".120
      Per quanto attiene alla pietà mariana si può affermare che non solo esiste una piena convergenza tra le Chiese d’Oriente e la Chiesa di Roma, ma che essa costituisce un patrimonio comune. La Chiesa cattolica infatti non solo apprezza e ammira la pietà delle Chiese orientali verso la Theotokos, ma la ritiene un’espressione cultuale ‘propria’, poiché è celebrata da milioni di ‘suoi fedeli’, cioè cristiani a lei pienamente.uniti, in quanto la comunione o non è stata mai interrotta o da lunghi secoli è stata ristabilita.
      Come è noto la pietà mariana dell’Oriente si esprime soprattutto nel culto liturgico, in forme di alto lirismo e di profonda dottrina. Diremo di più: le celebrazioni liturgiche, nelle quali si concentra la fede e la vita di ogni Chiesa orientale, hanno in tutte le loro componenti — stile, struttura, contenuti, iconografia — un costante riferimento alla Tuttasanta. Ciò non deve sorprendere: appunto perché nelle liturgie orientali tutto si esprime e si interpreta in una prospettiva cristologica e pneamatologica, tutto diviene contemplazione e lode del ruolo svolto dalla Vergine nell’incarnazione del Verbo per opera dello Spirito Santo.
100.   A noi sembra che le Chiese d’Oriente, per l’importante ruolo che svolgono nel movimento ecumenico, possano recare un contributo decisivo al chiarimento e all’approfondimento del senso cristiano della pietà mariana.121
      In primo luogo, perché esse sono rimaste ai margini delle polemiche che, a proposito del culto alla Vergine, si sono accese tra la Chiesa cattolica e le Chiese della Riforma. La testimonianza di pietà mariana che ci giunge dall’Oriente è infatti antica, serena, non sospetta, non polemica, affonda le sue radici nella Tradizione dei Santi Padri e, per essi, nella divina Parola.
      Poi, perché la pietà mariana delle Chiese orientali non ha conosciuto le ‘deviazioni’ (distacco tra pietà liturgica e pietà popolare, fenomeni di occultamento, perdita del senso simbolico...) che si sono avute invece, in varia misura e per opposti motivi, nelle Chiese d’Occidente.
      Nel suo insieme il ricco patrimonio dottrinale e cultuale delle Chiese orientali si propone alle Chiese occidentali come un sicuro punto di riferimento perché avvenga serenamente l’assunzione nella pietà mariana di alcune istanze tipiche del nostro tempo: perché, ad esempio, la necessaria attenzione alla dimensione antropologica non sia a scapito della insostituibile e prevalente dimensione teologica; perché la giusta esigenza di uguaglianza tra l’uomo e la donna non degeneri in una deleteria mascolinizzazione di quest’ultima; perché l’interesse rivolto alla mutevole temperie culturale non si risolva in trascuratezza del permanente valore della Tradizione. E così via.
      E poiché la causa dell’unione dei cristiani è problema che ci deve stare profondamente a cuore, vorremmo che ci fosse sempre presente, fratelli e sorelle, l’ammonimento conciliare: "Sappiano tutti che il conoscere, venerare, conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli Orientali è di somma importanza per la fedele custodia dell’integra tradizione cristiana e per la riconciliazione dei cristiani d’Oriente e d’Occidente".122
101.   Notevoli invece sono i punti di divergenza tra la Chiesa cattolica e le Chiese della Riforma: il significato e la portata della cooperazione di Maria all’opera della salvezza; i dogmi della Concezione immacolata e dell’Assunzione corporea alla gloria celeste; il valore della dottrina sulla perpetua verginità di Maria; il senso e l’ambito dell’intercessione-mediazione della Vergine; la legittimità dell’invocazione a santa Maria. Su questi temi è in atto un non facile confronto tra i teologi delle varie Chiese: quel confronto vogliamo noi accompagnare con umile e tenace preghiera perché sia il Signore a chiarire il senso profondo di una tradizione che Roma ritiene una espressione concreta e genuina della vita della Parola e dello Spirito nella Chiesa.
      Ma siamo lieti di constatare che, relativamente a Maria di Nazareth, esistono pure molti punti di convergenza tra la Chiesa cattolica e le Chiese sorelle della Riforma: insieme, per una esigenza cristologica, riconosciamo che Maria è la gloriosa Theotokos che per opera dello Spirito ha generato il Cristo, Figlio di Dio, nostro Salvatore; insieme lodiamo Dio per le "grandi cose" che ha operato nella sua Serva (cf. Lc 1,49); insieme salutiamo Maria "colmata dal favore divino" (cf. Lc 1, 28) e in lei contempliamo la discepola intenta a compiere la volontà di Dio (cf. Lc 1, 38); ne apprezziamo la voce profetica e la testimonianza data a Cristo; ne lodiamo la fede, l’obbedienza, l’umiltà, il coraggio paziente, ma siamo consapevoli che tale lode rimane sterile se non è seguita da una fattiva imitazione; insieme professiamo la sua esemplarità per la Chiesa nell’ascolto della Parola e nel servizio del Signore e degli uomini; insieme ascoltiamo con rispetto la parola di Cristo al "discepolo che egli amava: [...] "Ecco la tua madre!"" (Gv 19, 26-27); insieme crediamo che Maria è alla presenza di Dio, accanto a suo Figlio "sempre vivo per intercedere" a nostro favore (cf. Eb 7, 25), e che, prima tra i Santi, prega con essi "per noi peccatori che sulla terra lottiamo e soffriamo";123 insieme riteniamo che le nostre comunità, al seguito della comunità apostolica (cf. At 1, 14), possano con lei pregare e con lei invocare lo Spirito.124
102.   Nella nostra riflessione sulla promozione del movimento ecumenico a partire dalla pietà mariana abbiamo ristretto il dialogo a noi stessi, ai nostri fratelli e sorelle, servi e serve di Maria: il tema è delicato e sentiamo di non avere titoli per allargare i confini del nostro colloquio.
      Ma se la nostra parola dovesse giungere a qualche fratello o sorella delle Chiese della Riforma, vorremmo che essa fosse intesa quale rispettoso invito a una duplice riflessione:
— se non sia giunto il momento di rimuovere ciò che alcuni teologi evangelici chiamano l’’occultamento del tema mariano’ nelle Chiese della Riforma. Al tempo dei grandi Riformatori quell’occultamento non si era prodotto: esso si produsse solo a partire dall’epoca illuministica;125
— se la pietà mariana, alla luce della Parola, non costituisca una possibilità e una opportunità offerta da Dio e radicata nel dato biblico per sviluppare la fede cristiana.
* * *
103.   Ma ritorniamo a noi. Alle tre consegne che ci siamo date — la conversione del cuore, la purificazione degli occhi, l’atteggiamento comprensivo — sentiamo di dover aggiungere altre due: la partecipazione cordiale agli sforzi interconfessionali che in vari luoghi si compiono per preparare il cammino dell’unione; e soprattutto l’impegno della preghiera: con Cristo e per Cristo, con la Chiesa e nella Chiesa. E là, in Cristo e nella Chiesa, ritroveremo la voce orante di Colei che anche fuori della Comunione cattolica è invocata come Vergine della riconciliazione.

Comunione nella fede di Abramo
104.   Nella nostra riflessione sul mistero della frattura dell’unità tra le Chiese, non possiamo non ricordare un’altra dolorosa frattura: quella tra il cristianesimo e l’ebraismo. "Benché il cristianesimo sia nato nell’ebraismo — leggiamo in un documento recente — e abbia ricevuto da esso alcuni elementi essenziali della sua fede e del suo culto, la frattura tra le due religioni è divenuta sempre più profonda, fino a giungere quasi ad una reciproca incomprensione".126Tuttavia dopo la dichiarazione conciliare Nostra aetate del 28 ottobre 1965, sono state prese numerose iniziative "per instaurare o proseguire un dialogo rivolto ad una migliore conoscenza reciproca".127 A tali iniziative noi ci associamo e a tale dialogo vogliamo apportare, dal nostro angolo visuale — la pietà mariana — un modesto contributo.
      Ma prima di proseguire vogliamo esprimere, unendo la nostra voce alla voce di tanti sinceri cristiani, la più viva deplorazione per le persecuzioni di cui, lungo i secoli, gli ebrei sono stati oggetto e, in particolare, per gli orribili massacri da essi subiti "in Europa immediatamente prima e durante la seconda guerra mondiale".128
105.   Secondo la fede cristiana Dio, nella sua ammirabile ‘condiscendenza’, ha voluto che il suo Verbo si incarnasse in una donna ebrea, Maria di Nazareth. Per mezzo di lei e di Giuseppe, Cristo è veramente, nella sua umanità, ebreo, della stirpe di Davide: in lui si compiono le promesse fatte ad Abramo e ai Padri (cf. Lc 1, 54-55.69-70); lui è in senso pieno la "gloria di Israele" (cf. Lc 2,32), come lo saluta Simeone, e il "Figlio di Davide", come lo acclama il popolo (cf. Mt 21,9).
      Non si può comprendere pienamente Cristo se non si considerano con attenzione le sue radici ebraiche. Egli, l’Uomo nuovo e universale, venuto per denunciare ogni forma di razzismo e di emarginazione e per abbattere "il muro di separazione che era framezzo" (Ef 2,14) tra gli ebrei e i pagani, fu nondimeno un ‘rabbi’ intensamente partecipe della vita e della sorte del suo popolo: amò le sue istituzioni e le sue leggi, che non volle abolire ma portare alla loro pienezza (cf. Mt 5,17); nella sua predicazione, oltre alle parole udite dal Padre (cf. Gv 8,26), risuonano le parole apprese dai testi dei profeti; limitò la sua missione pubblica "alle pecore perdute della casa di Israele" (Mt 15,24); pianse su Gerusalemme (cf. Lc 19, 41) per le minacce incombenti su di essa e per il rifiuto che essa opponeva alla "via della pace" (Lc 19, 42), che Dio le offriva nella sua persona; ed egli che inaugurava in se stesso un culto al Padre in spirito e verità (cf. Gv 4,23), senza ‘templi’ e senza frontiere, dichiarò tuttavia alla Donna samaritana che "la salvezza viene dai Giudei" (Gv 4, 22).
106.   Analogamente, dobbiamo dire per Maria: non possiamo comprenderne pienamente la figura e la missione senza considerare la sua condizione di donna ebrea. E ciò non tanto né principalmente perché i dati forniti dall’antropologia culturale e da altre scienze ci aiutano a situare la vita di Maria in un preciso contesto sociale e storico, ma perché solo attraverso la conoscenza della spiritualità ebraica possiamo afferrare la fisionomia spirituale di Maria di Nazareth.
      La sua fede è radicata nella fede di Abramo (cf. Gn 15, 6). Il suo fiat è prolungamento e culmine del fiducioso abbandono con cui tanti pii israeliti accoglievano la volontà di Dio su di loro. Il suo amore per la "Legge del Signore" è compendio dell’attaccamento di Israele per i comandamenti di Dio, che "sono giusti, fanno gioire il cuore; [...] sono limpidi, danno luce agli occhi" (Sal 18 [19], 9). La sua umile condizione di "Serva del Signore" (Lc 1, 38. 48) riassume la condizione stessa del popolo di Israele che si riconosce "Servo del Signore" (cf. Is 49, 3). Il suo cantico è eco e sintesi di molte voci profetiche; è giubilo e ringraziamento a Dio perché egli "ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre" (Lc 1, 54-55).
107.   Ciò che per il cristianesimo è la gloria suprema di Maria — essere la madre verginale di Gesù, Verbo incarnato, Messia, Salvatore — costituisce per l’ebraismo una difficoltà umanamente insuperabile. Noi crediamo che essa sarà superata nell’ora e nel modo che Dio solo conosce. A noi, intanto, spetta il dovere della preghiera e l’obbligo di confessare con Paolo e con la tradizione cristiana che "Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio" (Rm 11, 2 ); di riflettere che "se le primizie sono sante, lo sarà anche tutta la pasta; se è santa la radice, lo saranno anche i rami" (ibid., 16); di testimoniare che gli ebrei, "quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!" (ibid., 28-29).
108.   Alla luce della fede e con le parole stesse di una donna ebrea, Elisabetta, noi riconosciamo nella giovane Myriam, madre di un bambino di nome Gesù, la "Madre del Signore" (cf. Lc 1, 43 ), donna verso la quale convergono vari vaticini e figure profetiche.
      Guidata da questo convincimento, la riflessione cristiana ha scorto nelle grandi figure femminili di Israele, nelle sue ‘madri’ — Sara, Rebecca, Rachele, Lia —, nelle sue eroine — Myriam sorella di Mosè, Debora, Giuditta, Esther, la madre dei Maccabei... —, e nelle sue figlie favorite con il dono di una maternità straordinaria — Anna, madre di Samuele, la madre del giudice Sansone.. —, prefigurazioni e anticipazioni di Maria di Nazareth.
      Nelle celebrazioni cultuali, la Chiesa ha applicato a lei, riferendoli all’evento unico della sua maternità verginale e divina, alcuni dei simboli più cari a Israele: il tabernacolo, l’arca, il tempio, il roveto ardente, la città-madre...; ed ha riconosciuto in Maria di Nazareth la personificazione della "Figlia di Sion", a cui erano stati rivolti importanti vaticini messianici (cf. Sof 3, 14-18; Zc 2, 14-17; 9, 9; Gl 2, 21-27).
      In una parola: la riflessione cristiana si è compiaciuta di riconoscere che Maria rappresenta il vertice di Israele e l’inizio della Chiesa; che lei è il punto di passaggio perché le dodici tribù diventino la Chiesa dell’Agnello fondata sui dodici apostoli: "La Vergine Maria — scrive Gerhoh di Reichersberg († 1169) — è il compimento della Sinagoga, lei, la figlia più eletta dei patriarchi; dopo il Figlio, è l’inizio della Chiesa, lei, madre degli apostoli".129
      Comprendiamo che i nostri fratelli ebrei non ci possano seguire in questa ‘lettura mariana’ di tante significative pagine del Libro sacro, ma vorremmo che vedessero in essa un segno del rispetto e dell’amore della Chiesa per il Popolo di Israele, dalla cui radice santa è nata Maria di Nazareth.
109.   Una illuminata pietà verso la beata Vergine, che tante volte salutiamo nella liturgia come "Gioia di Israele" e "Figlia di Sion", non può consentire la persistenza tra i cristiani di forme più o meno larvate di antisemitismo, anzi deve suscitare un sentimento di rispetto e di stima per il Popolo ebreo; deve favorire l’amore verso il Testamento Antico, sconfessando la disattenzione di molti fedeli verso la pagina veterotestamentaria; deve influire sull’insegnamento religioso perché "ai diversi livelli [...], nella catechesi ai fanciulli ed agli adolescenti, presenti gli ebrei e il giudaismo non solo in modo onesto e oggettivo, senza alcun pregiudizio e senza offendere nessuno, ma, più ancora, con una viva coscienza della comune eredità";130 deve, infine, divenire espressione di una attesa attiva perché giunga il giorno "in cui i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e "lo serviranno sotto lo stesso giogo" (Sof 3, 9)".131
110.   Ci resta da aggiungere una parola sui fratelli musulmani. Essi, come ricorda la dichiarazione conciliare Nostra aetate, "adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, [...] cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come si è sottomesso Abramo" e "benché non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano come profeta, ne onorano la Vergine Madre, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione".132
      Nella pietà mariana dei cristiani i dati del Corano riguardanti la beata Vergine non hanno avuto eco alcuna o l’hanno avuta in modo molto limitato: se ne comprendono i motivi storici (secolari inimicizie tra cristiani e musulmani) e dottrinali (contrasti profondi nella valutazione dei rispettivi libri sacri, la Bibbia e il Corano).
      Tuttavia a noi sembra, fratelli e sorelle, che i testi mariani del Corano meritino un’attenzione maggiore di quella che solitamente vi prestiamo. Infatti il Libro santo della fede islamica — ci dicono gli studiosi — "assegna a Maria [...] un posto di eccezione e di privilegio: un posto singolare, rilevante".133
      Secondo il Corano, Maria, prescelta da Dio per essere la madre di Cristo e da lui singolarmente favorita, è insieme con "suo Figlio un Segno per le creature":134 è donna resa pura da un singolare intervento divino; è vergine intatta e pur vera madre; strettamente associata al figlio Gesù e vincolata dalla stessa sorte, è donna "eletta su tutte le donne del creato".135 Maria pertanto non è solo un segno da ammirare, ma anche un "ideale da raggiungere e un modello da riprodurre":136 per la sua fede, la sua pietà, la sua riservatezza.
111.   Riguardo a Maria, i punti di convergenza tra il cristianesimo e l’islamismo sono numerosi; tuttavia i punti di contrasto sono anch’essi molteplici e gravi, a cominciare dalla negazione della maternità divina.
      Ciononostante pensiamo che la nostra pietà mariana debba divenire occasione propizia per ricordare con frequenza e con stima i fratelli musulmani; costituisca un momento favorevole per dimenticare, come auspica il Concilio Vaticano II, un passato segnato da non pochi dissensi e inimicizie;137 sia gradita opportunità per gioire insieme, vedendo avverata tra noi, cristiani e musulmani, la parola profetica della Vergine: "Tutte le generazioni mi chiameranno beata" (Lc 1, 48); offra, infine, una valida ragione per superare qualche esitazione cultuale eventualmente insinuatasi tra noi nei confronti della Vergine: ché sarebbe anomalo che i cristiani, avendone maggiori motivi, avessero minore venerazione dei musulmani verso Colei che "credette alle parole del suo Signore, e nei suoi Libri".138


112.   Quando si riflette a lungo su un tema, può accadere che esso si ingrandisca ai nostri occhi e, dominando lo schermo dello sguardo, impedisca di vedere altri oggetti. Così è successo probabilmente anche a noi.
      Ma è evidente che per noi, servi e serve di santa Maria, e per tutti i religiosi e le religiose l’indirizzo essenziale della pietà è quello stesso della Chiesa universale: al Padre per Cristo nello Spirito; una pietà il cui punto di riferimento, necessario e centrale, è la Pasqua del Signore, celebrata nell’Eucaristia e nella sua irradiazione nei sacramenti e nella Liturgia delle Ore;139 una pietà a cui la nostra condizione di religiosi aggiunge un altro motivo per sentirci impegnati ad offrire a Dio, come ogni discepolo, il "culto spirituale" (Rm 12, 1-2) di una vita santa.
      In questo ambito trova la sua ragione di essere, il suo significato e il suo valore la pietà mariana.
113.   Riflettendo sulla traiettoria storica della pietà mariana ci sembra di poter affermare che essa fa parte dell’esperienza cristiana: la sua ragione ultima è nella volontà salvifica di Dio; il fondamento prossimo, nella Parola scritta; le prime testimonianze, nelle comunità apostoliche, la cui vita si riflette negli scritti di Luca e di Giovanni; il suo scopo, la gloria di Dio; il suo vantaggio, la crescita nell’amore; il motivo del suo sviluppo, lo sviluppo nella conoscenza e nell’amore di Cristo. A questo proposito abbiamo trovato poche espressioni che traducano il nostro convincimento tanto felicemente quanto un pensiero di Zuinglio: "Più cresce tra gli uomini l’amore e l’onore di Gesù Cristo, più cresce l’onore e la stima verso Maria, perché essa ha generato per noi un Signore e Redentore così grande e tuttavia così amabile".140
114.   Ci siamo permessi di venire a colloquio con voi, sorelle e fratelli dell’Ordine nostro, con voi, sorelle e fratelli religiosi, con voi, vescovi presbiteri diaconi, e con voi, amici laici, su alcune questioni relative al culto della beata Vergine.
      Abbiamo riflettuto insieme su una crisi recente e sul suo superamento; su alcune consonanze profonde tra la vita di Maria e la vita religiosa; su alcuni compiti che, a nostro avviso, ci attendono oggi in ordine ad un corretto sviluppo della pietà mariana.
      Se qualche volta — contro le nostre intenzioni — il discorso è andato al di là dei modoli propri della riflessione ad alta voce, del colloquio amichevole, ve ne chiediamo scusa. Desideriamo invece dichiararvi che, considerando i vostri testi legislativi, gli studi dei vostri teologi, le testimonianze della vostra storia, molto abbiamo appreso su come si debba intendere e vivere la pietà mariana. Di ciò vi siamo profondamente grati.
115.   Ora consentiteci una parola sulla pietà mariana del nostro Ordine. Essa si è formata nell’alveo del culto cristiano quale si praticava in Occidente, nel secolo XIII. Si è abbeverata alle sorgenti della tradizione mariana del monachesimo, in particolare — sembra — dei monaci cistercensi, ed ha attinto pure alle ‘consuetudini mariane’ di altri Ordini di vita evangelico-apostolica, sorti prima del nostro.
      Le testimonianze sulla pietà mariana dei nostri primi Padri, fervente e insieme sobria, sono numerose, coeve, concordi. Per essi la Vergine era Madre amantissima, gloriosa Signora, sicuro Rifugio; di lei si professavano umili servi e "singolarmente innamorati".141
      Riteniamo la pietà mariana un carisma dell’Ordine, costantemente posseduto lungo i secoli e fedelmente trasmesso da una generazione di frati all’altra.
      Tale pietà noi esprimiamo soprattutto con la categoria del servizio, che ha profonde radici bibliche e, all’epoca dei nostri Padri, aveva assunto particolari connotazioni sociologiche.
      Come i Sette Santi serviamo Maria per meglio servire il Signore; come lei e con lei vogliamo servire gli uomini, nostri fratelli.
      Alla Vergine rivolgiamo numerosi atti di ossequio, alcuni antichi, altri più recenti; ma riteniamo che la pietà verso santa Maria consista soprattutto nell’assumere il suo stile evangelico di vita.
      Desideriamo che le espressioni della nostra pietà siano semplici, umili, frutto di comunione fraterna; e poiché il frate deve testimoniare la santità della bellezza, desideriamo pure che esse siano limpide e armoniose.
      Celebriamo tutto il mistero Vergine. Ma, secondo una viva tradizione, rivolgiamo il nostro sguardo soprattutto alla Vergine dell’Annuncio e alla Madre addolorata presso la croce del Figlio: per apprendere da lei "ad accogliere la Parola di Dio e ad essere attenti alle indicazioni dello Spirito"142 e per vivere come lei l’evento della Pasqua dell’Agnello, in cui "si consuma l’amore e sgorga la vita".143 E, riconoscendoci peccatori, spesso invochiamo santa Maria come Regina di misericordia.   Non concepiamo una pietà mariana che non si risolva in lode a Dio e non si chini con attenzione e misericordia sui fratelli bisognosi.
Tale è la nostra spiritualità mariana. Riferendosi ad essa, s. Filippo Benizi († 1285), discepolo dei Sette e loro continuatore, poteva indicare la nostra vocazione nella Chiesa, dichiarando:
 
«Siamo servi della Vergine gloriosa».144
116.   Di questo patrimonio mariano noi, frati capitolari del 208° Capitolo generale dell’Ordine, ci sentiamo insieme con voi, servi e serve di Maria, eredi e testimoni; esso vogliamo custodire e incrementare, anche attraverso questa ‘riflessione capitolare’; per esso, in comunione di ideali con i fratelli e le sorelle di molti Istituti religiosi, eleviamo il nostro ringraziamento a Dio, datore di ogni bene, a cui sia ogni onore e gloria.

Roma, 16 novembre 1983
Ognissanti dell’Ordine dei Servi di santa Maria









INDICE

INTRODUZIONE (nn 1-3)

I.   RIFLESSIONE SU UNA CRISI RECENTE (nn. 4-16)
Natura e ambito della crisi nella pietà mariana (nn. 4-6)
Riflessi della crisi negli Istituti religiosi (n. 7)
Il superamento della crisi.
Maria nel cuore del Mistero cristiano (nn. 8-11)
     Nel cuore del mistero dell’Incarnazione (n. 9)
     Nel cuore del mistero dell’Ora (n. 10)
Il superamento della crisi negli Istituti religiosi (nn. 12-16).
II.   MARIA E LA VITA CONSACRATA.
      UNA CONSONANZA PROFONDA
(nn. 17-37)
Una responsabilità storica (nn. 18-20)
Una consonanza profonda (nn. 21-24)
      Esemplarità della Famiglia di Nazareth (n. 22)
      Immagine suprema della verginità consacrata (nn. 23-24)
Modello della nostra vocazione e della nostra consacrazione (nn. 25-28)
Prolungamento e segno di una «presenza» (nn.29-35)
      Un grande simbolo del cristianesimo (nn.34-35)
Maria testimone di Cristo (nn. 36-37)
III.   SU ALCUNI COMPITI CHE OGGI ATTENDONO LE CHIESE LOCALI E GLI ISTITUTI RELIGIOSI IN ORDINE ALLA PROMOZIONE DEL CULTO ALLA BEATA VERGINE (nn. 38- 111)
Lo studio (nn. 39-43)
L’annuncio della Parola (nn. 44-49)
      Prima evangelizzata ed evangelizzatrice (n. 45)
      Videro il Bambino con Maria sua Madre (n. 46)
      La rivelazione di Cana (n. 47)
      Con Maria in attesa dello Spirito (n. 48)
Fedeltà alla riforma liturgica (nn. 50-62)
      Religiosità popolare (nn. 51-54)
      La pietà mariana nella liturgia (nn 55-56)
      Silenzio della Vergine e silenzio liturgico (nn. 57-62)
La via della bellezza (nn. 63-71)
      Via di impegno ascetico (n. 66)
      Via aderente alla Parola (nn. 67-70)
      Via filiale (n. 71)
L’opzione per i poveri (nn. 72-77)
La questione femminile (nn. 78-88)
      Pietà mariana e promozione della donna (nn. 81-83)
      All’interno della Chiesa (nn. 84-85)
      Pietà mariana e virtù evangeliche (nn. 86-88)
La cultura della vita (nn. 89-93)
La promozione della causa ecumenica (nn. 94-103)
      Una profonda conversione del cuore (n. 96)
      La «purificazione degli occhi» (n. 97)
      Un atteggiamento di comprensione (n. 98)
      Le Chiese d’Oriente (nn. 99-100)
      Le Chiese della Riforma (nn. 101-102)
Comunione nella fede di Abramo (nn. 104-111)
      I fratelli ebrei (nn. 104-109)
      I fratelli musulmani (nn. 110-111)
CONCLUSIONE (nn. 112-116)
      Maria e i suoi Servi (nn. 115-116)








NOTE

1   Tercera Conferencia General del Episcopado Latino americano.
La evangelización en el presente y en el futuro de América Latina (= Documento di Puebla), n. 293. Celam 1979. Ci siamo serviti della versione italiana curata dall’Editrice Missionaria Italiana Bologna, 1979.
2   Legenda de origine Ordinis, n. 17, in Monumenta OSM, vol. I. Bruxelles, Société de Librairie, 1897, pp. 72-73.

3   Costituzioni OSM (1977), art. 6.

4   Ibid., art. 7.

5   Ibid.

6   Del tempo del pontificato di Paolo VI (1963-1978) vanno segnalate anzitutto le sue Esortazioni apostoliche Signum magnum del 13 maggio 1967, in Acta Apostolicae Sedis 59 (1967) pp. 465-475, e Marialis cultus del 2 febbraio 1974, in Acta Apostolicae Sedis 66 (1974) pp.113-168. Poi, tra i documenti delle Conferenze episcopali, sono da ricordare: Nederlandse Bisschoppen Konferentie. Pastorale brief de Bisschoppen van Nederland del 5 ottohre 1968, in Ephemerides Mariologicae 24 (1974) pp.98-103; Conferencia Episcopal de Chile. Una señal radiante de esperanza del 12 luglio 1972, in Marianum 36 (1974) pp. 363-365; Conferentia Episcopalis Helvetica.Die Mutter Gottes im Heilsplan Gottes del 16 settembre 1973, in Marianum 36 (1974) pp. 365-369; National Conference of Catholic Bishops U.S.A. Bebold your Mother: Woman of Faith del 21 novembre 1973, in Marianum 36 (1974) pp.370-411; Conferentia Episcopalis Polonensis, Lettera pastorale sul retto ordinamento e sviluppo del culto alla santissima Vergine Maria del 8 dicembre 1974, in Marianum 37 (1975) pp. 507-511; Catholic Bishops Conference of the Philippines. Ang Mabal na Birhen. Mary in Philippine Life Today: a Pastoral Letter on the Blessed Virgin Mary del 2 febbraio 1975, in Marianum 38 (1976) pp. 407-434.

7   Paolo VI. Esortazione apostolica Marialis cultus per il retto ordinamento e sviluppo del culto della beata Vergine Maria, in Acta Apostolicae Sedis 66 (1974) PP. 113-168, n. 15.

8   Cf. Pio XII. Lettera enciclica Ad caeli Reginam, in Acta Apostolicae Sedis 46 (1954) p. 637; Giovanni XXIII. Allocuzione al clero romano (24 novembre 1960), in Acta Apostolicae Sedis 52 (1960) p. 969.

9   Concilio Vaticano II. Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, in Acta Apostolicae Sedis 57 (1965) pp. 5-71, n. 65.
10   Cf. Marialis cultus, n. 56 e Introduzione.

11   Cf. Concilio Vaticano II. Costituzione sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium in Acta Apostolicae Sedis 56 (1964) pp. 97-138, n. 13; Marialis cultus, n. 31.

12   N.56.

13   Concilio Ecumenico Constantinopolitano I (anno 381). Professione di fede, in Enchiridion Symbolorum..., ed. H. Denzinger e A. Schönmetzer. Roma, Herder, 1965, n. 150.

14   Omelia ai fedeli di Sardegna, presso il Santuario di Nostra Signora di Bonaria (24 aprile 1970), in Acta Apostolicae Sedis 62 (1970) pp. 300-301.

15   Ibid.

16   Ibid.

17   Lumen gentium, n. 56.

18   De fide orthodoxa III, 12, in PG 94, 1029 C.

19   Origene. Commento al Vangelo di Giovanni I, 4, in SC 120, p. 58.

20   Cf. Th. Köhler. Les principales interprétations traditionnelles de Jn 19, 25-27 pendant les douze premiers siècles, in Études Mariales 16 (1959) pp. 119-155, H. Barré.La maternité spirituelle de Marie dans la pensée médiévale, in Études Mariales 16 (1959) pp. 87-104, B. Duda. "Ecce mater tua" (Jo. 19, 26-27) in documentis Romanorum Pontificum in Maria in Sacra Scriptura, vol. V. Romae, Pont. Academia Mariana Internationalis, 1967, pp. 235-289.

21  Anacreontica. XI.In Ioannem Theologum, vv. 77-87, in PG 87, 3, 3789.

22   Il titolo Mater misericordiae è usato con una certa frequenza nella liturgia romana. Oltre che nella celebre antifona Salve Regina, esso figura nell’inno Salve, mater misericordiae (Liturgia delle Ore, Presentazione della b. Vergine Maria, 21 novembre, Ufficio delle letture). L’origine del titolo sembra doversi ricollegare all’opera di s. Oddone di Cluny († 942). Il titolo indica sia che Maria è la madre di Gesù, la misericordia incarnata, sia che ella stessa è madre sommamente misericordiosa.

23   Ordo coronandi imaginem b. Mariae Virginis. Editio typica. Città del Vaticano, Typis Polyglottis Vaticanis, 1981, n. 41, p. 28. Il titolo si riallaccia all’espressione biblica "Serva (ancilla, ministra) del Signore" (Lc 1, 38). Come tale, Maria "consacrò totalmente se stessa [...] alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di lui e con lui" (Lumen gentium, n. 56), cioè al servizio del mysterium pietatis (cf. 1 Tm 3,16).

24   Concilio Vaticano II. Decreto sul rinnovamento della vita religiosa, Perfectae caritatis,.in Acta Apostolicae Sedis 58 (1966) pp. 702-712, n. 2 a).

25   Per una buona rassegna di testi si veda J. A. De Aldama, S.I. Los orígenes del culto mariano de imitación, in Estudios Marianos 36 (1972) pp. 75-93.

26   Giovanni Paolo II. Esortazione apostolica sui compiti della famiglia cristiana nel mondo moderno, Familiaris consortio, in Acta Apostolicae Sedis 74 (1982) pp. 81-191, n. 16.

27   Paolo VI. Allocuzione a Nazareth (5 gennaio 1964), in Acta Apostolicae Sedis 56 (1964) p. 168.

28   Per sessualità, da distinguere accuratamente da genitalità, si intende qui il fatto che ogni essere umano — uomo o donna — è profondamente marcato non solo nel corpo ma anche nella vita psichica e nella vita spirituale dal proprio sesso, maschile o femminile. Ciò determina che ogni persona, in forza del proprio sesso, si collochi in un modo peculiare di fronte a se stesso, agli individui dello stesso sesso e a quelli di sesso diverso.

29   Natività di Maria o Protovangelo di Giacomo IX, 1, in Los Evangelios Apócrifos (ed S. Otero). Madrid, La Editorial Católica, 1963, p. 152 (BAC 148). Per uno studio sul significato dell’espressione "Vergine del Signore", cf. J. A. De Aldama, S.I. María en la patrística de los siglos I y II. Madrid, La Editorial Católica, 1970, pp. 342-356 (BAC 300).

30   Lumen gentium, n. 46.

31   Cf. Ibid., n. 56.

32   Questa interpretazione è frequente nei secoli XII-XIII: il fiat della Vergine, oltre che espressione dell’accoglimento amoroso della volontà di Dio, è una parola di misericordia (verbum miserationis) in favore degli uomini. Si veda, ad esempio, S. Bernardo. Homilia IV, 8, in Opera omnia, vol. 4. Roma, Edit. Cisterc., 1966, p. 53.

33   Lumen gentium, n. 56.

34   Ibid., n. 62.

35   Cf. S. Germano di Costantinopoli. Oratio I in Dormitionem sanctae Dei Genetricis, in PG 98, 344 D e 345 BC.

36   Qui ci limitiamo a citare un significativo testo di Giovanni Paolo II: "... Maria è presente nella Chiesa, a stimolare la santità dei suoi figli migliori, a indirizzarli su vie eroiche di donazione evangelica e missionaria, a favore dei poveri, dei piccoli, dei semplici, dei sofferenti, di coloro che attendono il messaggio di Cristo" (Discorso ai collaboratori nel governo centrale della Chiesa, n. 31, in Acta Apostolicae Sedis 72 [1980] p. 664).

37   Si veda l’eccellente riassunto di Paolo VI sulla varietà di segni con cui si manifesta la presenza di Cristo nella vita della Chiesa: Lettera enciclica Mysterium fidei, in Acta Apostolicae Sedis 57 ( 1965 ) pp. 762-764.

38   Non pochi teologi ritengono che i santuari mariani, luoghi dove i fedeli accorrono numerosi per venerare la memoria di santa Maria e ricorrere alla sua intercessione, ma anche luoghi dove si annuncia la Parola, risuona l’invito alla conversione e si celebra il sacrarnento della penitenza, siano da ritenere ‘segni’ della presenza materna della Vergine nella vita della Chiesa. A maggior ragione ciò si deve affermare delle ‘apparizioni’ autentiche della Madonna: tali manifestazioni soprannaturali, quando godono dell’approvazione dell’autorità ecclesiastica e producono con continuità frutti di vita cristiana, costituiscono una testimonianza particolare dell’amore con cui la Vergine già glorificata accompagna il cammino dei suoi figli ancora pellegrini sulla terra. Anche l’Anno liturgico, riproponendo ciclicamente e celebrando mistericamente gli eventi salvifici della vita di Cristo, cui è indissolubilmente associata la Vergine (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 103 ), diventa indirettamente un ‘segno’ della presenza di Maria nella vita della Chiesa.

39   Lumen gentium, n. 46.

40   Cf. Lumen gentium, n. 64.

41   Cf. Messale Romano, Prefazio dell’Immacolata, 8 dicembre.

42   "Tu visiti e vegli su tutti, o Madre di Dio. Anche se i nostri occhi non ti possono vedere, o Tuttasanta, tu abiti in mezzo a noi e ti manifesti in vari modi a quanti sono degni di te" (S. Germano di costantinopoli. Oratio I in Dormitionem sanctae Dei Genetricis, in PG 98, 345 A). Da parte sua la liturgia romana prega: "Veni, invamen saeculi, / sordes aufer piaculi, /ac visitando populum / poenae tolle periculum" (Liturgia delle Ore, Visitazione della b. Vergine Maria, 31 maggio, Ufficio delle letture, inno Veni praecelsa Domina, del sec. XIII).

43   Questa ‘lettura’ di Giovanni 2, 5 è stata sostanzialmente accolta nel magistero dei Romani Pontefici. Cf. Marialis cultus, n. 57; Giovanni Paolo II. Allocuzione alla preghiera dell’Angelus (17 luglio 1983), in L’Osservatore Romano, 18-19 luglio 1983, pp. 1-2.

44   Alla prima edizione del Tractatus del p. Lépicier (Parigi 1901) seguirono altre quattro: la quinta (Roma 1926) risulta notevolmente accresciuta.

45   Statuti della Pontificia Facoltà Teologica ‘Marianum’, n. 2 b).

46   Lettera circolare su alcuni aspetti più urgenti della formazione spirituale nei seminari (6 gennaio 1980), II, 4, in Enchiridion Vaticanum 7, n. 85.

47   Queste affermazioni non sono ovviamente da intendere nel senso che lo studio del mistero di Cristo, dello Spirito, della Chiesa siano presupposti per la conoscenza di Maria di Nazaret, ma nel senso che un accurato studio dell’evento Cristo, dell’azione dello Spirito, della natura e della missione della Chiesa non può prescindere dal considerare il posto che la Vergine occupa in essi.

48   Cf. Paolo VI. Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi circa l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, in Acta Apostolicae Sedis 68 (1976) pp. 5-96, n. 82.

49   Marialis cultus, n. 17.

50   Fino dai secoli V-VI, la liturgia romana, proponendo Isaia 60, 1-9 e Matteo 2, 1-12 quali letture per la solennità dell’Epifania, ne ha intuito il rapporto. L’esegesi qui esposta, che vede nella ‘casa di Betlemme’ (cf. Mt 2, 11) una figura della Chiesa, riscuote crescente interesse tra gli studiosi. Essa tuttavia non è nuova. Il nucleo essenziale si trova già in Ireneo, per il quale la casa a cui sono condotti i Magi per incontrare l’Emmanuele ("ad Emmanuel") è la "casa di Giacobbe", ovviamente la Chiesa (cf. Adversus Haereses III, 9, 2, in SC 211, p. 106). Questa interpretazione passa ai teologi medievali; la incontriamo, ad esempio, in Rabano Mauro († 856): "Secondo il senso mistico, i tre Magi stanno a significare il popolo dei Gentili discendente dai tre figli di Noè, che viene alla fede in Cristo dalle tre parti del mondo. La stessa, poi, significa la parola dei profeti, che mostra senza errore la nascita del Signore. Erode è tipo del diavolo, il quale, conosciuta la nascita del Salvatore, gli muove persecuzione, preparando la morte temporale alle membra di lui. Da Erode si distaccano i Magi, quando le genti abbandonano l’idolatria e vengono alla casa nella quale c’è Cristo, vale a dire la Chiesa cattolica, la quale, rimanendo vergine, genera ogni giorno figli a Dio" (Commentaria in Matthaeum I, cap. 2, in PL 107, 760 D).

51   La presenza attiva dello Spirito Santo sia nell’incarnazione del Verbo sia nell’evento della Pentecoste è stata vista in reciproco rapporto dal Concilio Vaticano II: cf. Lumen gentium, n. 59 e Decreto sull’attività missionaria della Chiesa, Ad gentes, in Acta Apostolicae Sedis 58 (1966) pp. 947-990, n. 4.

52   Lumen gentium, n. 65.

53   Cf. art. 7.

54   Evangelii nuntiandi, n. 48.

55   Ibid.

56   Cf. Documento di Puebla, n. 465.

57   Marialis cultus, n. 40.

58   Cf. ibid., nn. 25-37.

59   Sacrosanctum Concilium, n. 13.

60   Lumen gentium, n. 67.

61   Mons. E. Manfredini, arcivescovo di Bologna, scrive: "Constatando che il nuovo ‘Ordo [lectionum]’ assegna alla memoria dell’Addolorata le stesse letture del venerdì santo [...1 e quindi suggerisce di attingere dall’evento drammatico celebrato in quel giorno il significato della celebrazione della Madre dei dolori, viene spontaneo chiedersi se non sarebbe molto opportuno [...1 trovare un modo proprio e una forma specifica per presentare con maggiore evidenza alla coscienza del Popolo di Dio la partecipazione di Maria al mistero della croce di Cristo nella stessa ‘feria sexta in passione Domini’.
      Una simile sottolineatura, anziché diminuire il senso del valore unico del sacrificio di Gesù nel venerdì santo, lo farebbe interiorizzare secondo quell’autentica comprensione di fede che la comunità ecclesiale riesce progressivamente ad assimilare quando si accosta al mistero della croce, associandosi ad esso nell’atteggiamento stesso di Maria al Calvario" (Analisi tematica del lezionario per le celebrazioni mariane, in Aa.Vv. Il Messale Romano del Vaticano II. Orazionale e lezionario. Vol. II. Leumann [Torino], LDC, 1981, p. 130); cf. M. Magrassi, O.S.B., arcivescovo di Bari. Maria e la Chiesa una sola madre. Noci, Edizioni ‘La Scala’, 1977, p. 22; J. Castellano, O.C.D. La Vergine nella liturgia, in Aa.Vv. Maria mistero di grazia. Roma, Pontificio Istituto di spiritualità del Teresianum, 1974, pp. 104-108; A. Bergamini. Cristo festa della Chiesa. Storia-teologia-spiritualità-pastorale dell’Anno Liturgico. Roma, Ed. Paoline, 1982, p. 395 e relativa nota 2; T. de Urkiri, C.M.F. Para avanzar en la pastoral litúrgico-mariana. Madrid, Editorial Alpuerto, 1980, pp. 28-45.

62   Si veda in proposito: S. Salaville. Marie dans la liturgie byzantine ou gréco-slave, in H. du Manoir (ed. ). Maria, Etudes sur la Sainte Vierge, vol. I. Paris, Beauchesne, 1949 pp. 266-271; A. Kniazeff. La Theotobos dans les offices hyzantins du temps pascal, in Irénikon 34 (1969) pp. 21-44.

63   "...sarebbe certamente auspicabile che [nella liturgia romana] il ricordo della Vergine si affacciasse anche nelle celebrazioni pasquali e pentecostali" (M. Magrassi, O.S.B. Op. cit., pp. 22-23).

64   Cf. Sacrosanctum Concilium, n 30. Sulla funzione e il valore riconosciuti al silenzio dai vari documenti liturgici e dai rituali promulgati tra il 1968 e il 1973, cf. D. Sartore, C.S.J. Il silenzio come ‘parte dell’azione liturgica’, in Aa.Vv. Mysterion. Nella celebrazione del Mistero di Cristo la vita della Chiesa. Leumann (Torino), LDC, 1981, pp. 289-305.

65   Per una puntuale rassegna degli studi contemporanei su Luca 2, 19.51b e per un’antologia di testi dal secolo III ai nostri tempi, cf. A. Serra. Sapienza e contemplazione di Maria secondo Luca 2, 19. 51b. Roma, Edizioni Marianum, 1982.

66   H. de Lubac. Meditazione sulla Chiesa. Milano, Edizioni Paoline, 1963, pp. 426-427.

67   Una delle intuizioni più rilevanti della Marialis cultus è quella di presentare Maria quale "modello dell’atteggiamento spirituale con cui la Chiesa celebra e vive i divini misteri" (n. 16). L’Esortazione apostolica osserva che "l’esemplarità della beata Vergine in questo campo deriva dal fatto che ella è riconosciuta eccellentissimo modello della Chiesa nell’ordine della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo" (ibid. ). In questo testo tuttavia non si fa menzione esplicita dell’atteggiamento riflessivo, che è senza dubbio uno degli aspetti esemplari più notevoli di Maria nel campo cultuale.

68   "A te, Signore, la lode silenziosa". Per l’origine e il significato di questo motto, che deriva dalla lettura masoretica del Salmo 64 [65], 2, cf. I. Cecchetti. ‘Tibi silentium laus’, in Aa.Vv. Miscellanea liturgica in honorem L. Cuniberti Moblberg, vol. II. Roma, Edizioni Desclée, 1949, pp. 521-570.

69   Come è noto, nella celebrazione di alcuni sacramenti — confermazione, ordinazione dei vescovi dei presbiteri e dei diaconi, unzione degli infermi... — il gesto dell’imposizione delle mani che precede l’invocazione dello Spirito Santo avviene nell’assoluto silenzio. Anche vari segni biblici dello Spirito Santo sono ‘silenziosi’: l’alito e la brezza, l’olio il profumo l’unguento, l’ombra e la rugiada...

70   Costituzioni OSM (1977), art. 31.

71   Paolo VI. Esortazione apostolica sul rinnovamento della vita religiosa secondo le norme del Concilio Vaticano II, Evangelica testificatio, in Acta Apostolicae Sedis 63 (1971) pp. 497-526, n. 46.

72   Il termine ebraico tôb che qualifica, una dopo l’altra, le opere della creazione (cf. Gn 1, 4. 10. 12.18. 21. 25. 31) è reso dai LXX con l’aggettivo kalón: "era cosa buona", che assomma in sé i significati di ‘bello’, ‘buono’, ‘ben riuscito’.

73   Liturgia delle Ore, Solennità di Maria Ss. Madre di Dio, 1 gennaio, Ufficio delle letture, responsorio 2.

74   N. 71, v. 513, in SC 123, p. 98.

75   Homilia XXXVII. In Dormitionem Deiparae semperque Virginis Mariae, in PG 151, 468 A.

76   Allocuzione ai partecipanti al VII Congresso Mariologico Internazionale (Roma 16 maggio 1975), in Acta Apostolicae Sedis 67 (1975) p. 338.

77   Omelia in S. Pietro in occasione del X anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1975), in Insegnamenti di Paolo VI, vol. XIII. Città del Vaticano, Libreria Lditrice Vaticana, 1975, pp. 1493-1494.

78   Molto nota a questo proposito è l’antifona "Tota pulchra es, Maria, et macula originalis non est in te" (Liturgia delle Ore, Immacolata Concezione della b. Vergine Maria, 8 dicembre, II Vespri, antifona 1).

79   Tra i testi più noti si può citare l’antifona: "Genuit puerpera Regem, cui nomen aeternum, et gaudia matris habens cum virginitatis honore; nec primam similem visa est, nec habere sequentem" (Liturgia delle Ore, Solennità di Maria Ss. Madre di Dio, 1 gennaio, Lodi, antifona 3).

80   Paolo VI. Omelia in S. Pietro in occasione della celebrazione del centenario dell’Azione Cattolica Italiana (8 dicembre 1968), in Insegnamenti di Paolo VI, vol. VI. Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1969, p. 632.

81   Paolo VI. Allocuzione ai partecipanti al VII Congresso Mariologco Internazionale (Roma 16 maggio 1975), in Acta Apostolicae Sedis 67 (1975) p. 338.

82   Regula ad servos Dei, cap. VIII, n. 48, in La Regola (ed. A. Trapè). Testo latino italiano. Milano, Editrice Ancora, 1971, p. 267.

83   Huit homélies mariales. Hom. VII, 234-239, in SC 72, pp. 198. 200. Si sarà rilevato che il b. Amedeo ravvisa la bellezza della Vergine nei suoi atteggiamenti morali (nei pensieri, nelle parole, nelle azioni) e nella sua partecipazione agli eventi salvifici di Cristo (la nascita, la morte, la risurrezione). in epoche di decadenza del pensiero teologico, la bellezza della Vergine sarà inopportunamente cercata nei tratti fisici, fantasiosamente immaginati e descritti.

84   Lumen gentium, n. 55.

85   Evangelica testificatio, n. 16.

86   Ibid., n. 18.

87   Ibid., n. 17.

88   Giovanni Paolo II. Omelia ai fedeli messicani, presso il Santuario di Zapopán (30 gennaio 1979), in Acta Apostolicae Sedis 71 (1979) p. 230.

89   Documento di Puebla, n. 299.

90   Sulla condizione della donna nel mondo biblico, cf. L. Zucker. Voce Woman, in Encyclopaedia Judaica, vol. 16. Jerusalem 1971, col. 623-628, C. Gancho. Voce Donna in Enciclopedia della Bibbia, vol. 2. Leumann (Torino), LDC, 1969, col 998-1002.

91   Documento di Puebla, n. 291.

92   Ibid., n. 299.

93   Cf. Lettera enciclica Pacem in terris, in Acta Apostolicae Sedis 55 (1963 ) pp. 267-268.

94   Paolo VI. Allocuzione al Convegno dei giuristi cattolici d’Italia (7 novembre 1974 ) in Insegnamenti di Paolo VI, vol. XII. Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1975, p. 1248.

95   Cf. Ibid., p. 1249.

96   Documento Funzione della donna nell’evangelizzazione (19 novembre 1975), V. La donna nella liturgia e nei ministeri, in Enchiridion Vaticanum 5, n. 1572.

97   N. 282.

98   Cf. Familiaris consortio, n. 59.

99   A. Müller Discorso di fede sulla Madre di Gesù. Un tentativo di mariologia in prospettiva contemporanea. Brescia, Queriniana, 1983, p. 49.

100   Concilio Ecumenico Costantinopolitano I (anno 381), in Enchiridion Symbolorum, n. 150.

101   Cf. S. Agostino. De sancta virginitate, 6, in PL 40, 399; Lumen gentium, nn. 53. 61.

102   Liturgia delle Ore, antifona Salve Regina. L’attribuzione alla Vergine del termine vita determinò la scomparsa dell’uso di questa celebre antifona nelle Chiese della Riforma. Effettivamente tale termine, che in senso assoluto conviene solo a Cristo (cf. Gv 14, 6), applicato alla Vergine poteva dare luogo a fraintendimenti. Bene colse invece il significato e il valore della sua applicazione a Maria il primo commentatore della Salve, l’abate cistercense Goffredo d’Auxerre († 1188 ca. ), secondo cui la Vergine è per noi vita in forza del valore esemplare della sua testimonianza: "vita, nell’esempio di perfetta condotta e di totale santità"; "vita, se imitiamo, pur nella nostra fragilità, la sua vita"; "vita nostra per educarci alla vita" (In Nativitate b. Virginis, Sermo IV, in ed. J.M. Canal. Salve Regina misericordiae. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1963, pp. 212-213).

103   VI Sinodo dei Vescovi (anno 1983). Messaggio al mondo, in L’Osservatore Romano, 28 ottobre 1983, p. 1.

104   Cf. Allocuzione agli scienziati e ai rappresentanti delle Nazioni Unite (Hiroshima, 25 febbraio 1981), in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol IV/1. Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1981, pp. 540-549; Omelia all’aeroporto di Coventry (30 maggio 1982), in Acta Apostolicae Sedis 74 (1982) pp. 926-931; Messaggio alla II Sessione speciale delle Nazioni Unite per il disarmo (7 giugno 1982), in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. V/2. Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1982, pp. 2131-2143; Allocuzione al Centro Europeo per la Ricerca Nucleare (Ginevra, 15 giugno 1982), n. 9, in Acta Apostolicae Sedis 74 (1982) pp. 1010-1012.

105   Lettera pastorale The Challenge of Peace: God’s Promise and Our Response del 3 maggio 1983; Lettera dei Vescovi dei Paesi Bassi La pace nella giustizia del 5 maggio 1983; Lettera dei Vescovi del Belgio Disarmare per costruire la pace del luglio 1983; Lettera dei Vescovi del Giappone. L’aspirazione alla pace, missione evangelica della Chiesa giapponese del 9 luglio 1983; Lettera della Conferenza Episcopale di Francia Vincere la pace dell’8 novembre 1983.

106   Cf. G.M. Lechner, O.S.B. Maria Gravida. Zum Schwangerschftsmotiv in der bildenden Kunst. München-Zürich, Verlag Schnell und Steiner, 1981. Ci piace ricordare qui l’affresco di Vitale da Bologna La Vergine nell’attesa del parto (1355), che si ammira nella basilica di Santa Maria dei Servi di Bologna, una delle più antiche e venerate chiese dell’Ordine.

107   Liturgia delle Ore, Natale del Signore, 25 dicembre, Lodi, inno.

108   Proprium Officiorum O.S.M., Solennità della b. Vergine Addolorata, 15 settembre, I Vespri, antifona 1.

109   Marialis cultus, n. 32.

110   Dr. Ross Mackenzie, presbiteriano. Dichiarazione riportata da R. Laurentin. Bulletin sur la Vierge Marie, in Revue des sciences philosophiques et théologiques 65 (1981), pp. 330-331.

111   Per essi la Sacra Scrittura è il libro che il monaco deve meditare instancabilmente "leggere giorno e notte, scrutando ognuna delle sue sillabe e delle sue lettere" (S. Girolamo. Tractatus de Psalmo 131, in CCL 78, p. 274), regola e specchio su cui modellare la propria vita, alimento — quasi carne e sangue di Cristo, al pari dell’Eucaristia — di cui nutrirsi. Per una sintesi dell’uso della Bibbia presso i monaci, cf. G. M. Colombas, O.S.B. El monacato primitivo, vol. II. La espiritualidad. Madrid, La Editorial Católica, 1975, pp. 75-94 (BAC 376).

112   "In primo luogo [i religiosi] abbiano quotidianamente tra le mani la Sacra Scrittura affinché dalla lettura e dalla meditazione dei Libri Sacri imparino "la sovreminente scienza di Gesù Cristo" (Fil 3, 8)" (Perfectae caritatis, n. 6).

113   "Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da lui dipende: in vista di lui Dio Padre, da tutta l’eternità, la scelse Madre tutta santa e la ornò di doni dello Spirito a nessun altro concessi" (Marialis cultus, n. 25).

114   Messale Romano, Prece eucaristica I o Canone Romano, Communicantes.

115   Ognuno di noi quando accosta i ‘testi mariani’ della Sacra Scrittura, oltre ad una pre-comprensione conseguente alla propria formazione intellettuale, si trova ad avere nel confronti di essi una diversa pre-disposizione derivante dalla confessione cristiana cui appartiene e dalla sua condizione esistenziale. Così, ad esempio, noi frati Servi di Maria — religiosi, cattolici, sorti nell’ambito del movimento evangelico-apostolico medievale, depositari di una ‘eredità mariana’ — avvertiamo in quei testi echi e risonanze che facilmente sfuggono ad altri lettori di differente tradizione spirituale.

116   Cf. Concilio Vaticano II. Decreto su l’ecumenismo, Unitatis redintegratio, in Acta Apostolicae Sedis 57 (1965) pp. 90-112, n. 11; Segretariato per l’unione dei cristiani. Direttorio ecumenico, Parte II, in Acta Apostolicae Sedis 62 (1970) pp. 705-724, n. 76 c.

117   Cf. S. Congregazione per la dottrina della fede. Declaratio circa catholicam doctrinam de Ecclesia contra nonnullos errores hodiernos tuendam, specialmente il n. 5 (De notione infallibilitatis Ecclesiae non corrumpenda), in Acta Apostolicae Sedis 65 (1973) pp. 402-404.

118   A questo proposito sarà sufficiente ricordare che, nella stessa epoca — fine del secolo IV, in cui la liturgia sira per opera di s. Efrem († 373) e della sua scuola ha introdotto numerosi inni rivolti direttamente alla Vergine, la liturgia romana non ha ancora introdotto nelle sue ufficiature testi con simile indirizzo. Ciò avverrà solo a partire dal secolo VII.

119   La divergenza riguarda solo i dogmi della Concezione immacolata e dell’Assunzione della Vergine in corpo e anima al cielo. Ma, più che i contenuti dottrinali, il dissenso concerne la procedura della definizione da parte dei Vescovi di Roma — rispettivamente Pio IX nel 1854 e Pio XII nel 1950 — avvenuta in una situazione di ‘Chiesa divisa’.

120   N. Nissiotis. Maria nella teologia ortodossa, in Concilium 19 (1983) n. 8, p. 66 [1260].

121   I teologi ortodossi riconoscono che, in campo ecumenico, "per l’eccessivo timore di creare un ulteriore motivo di divisione e di dare scandalo alla coscienza di colleghi e fratelli di altre tradizioni cristiane", sono stati troppo cauti nei loro riferimenti alla beata Vergme. Oggi sembrano orientarsi, proprio per motivi ecumenici, ad abbandonare tanta cautela: "Una teologia orientata ecumenicamente che resti priva di riferimenti alla mariologia è una riflessione teologica individualistica, antropocentrica e mutilata, perché mcapace di penetrare dinamicamente i cuori e le menti che cercano l’unità in Cristo per mezzo dell’unico Spirito, sulla base di un approccio pienamente ecclesiologico" (N. Nissiotis. Art. cit., 67-68 [1261-1262].

122   Unitatis redintegratio, n. 15.

123   Dichiarazione ecumenica al Congresso Mariologico Internazionale di Saragozza (9 ottobre 1979), n. 4, in Marianum 42 (1980) p. 305. È necessario tuttavia avvertire che i firmatari della Dichiarazione sottoscrissero a titolo personale, se pur dichiararono di aver "lavorato con la preoccupazione costante di esprimere la fede della loro Chiesa" (Ibid., nota preliminare alle firme).

124   Cf. Dichiarazione ecumenica al Congresso Mariologico Internazionale di Malta (15 settembre 1983), n. 5, in L’Osservatore Romano, 18 settembre 1983, p. 2.

125   A questo proposito si veda J.-P. Gabus. Point de vue protestant sur les études mariologiques et la piété mariale, in Marianum 44 (1982) pp. 475-509, in particolare pp. 480-482.

126   Segretariato per l’unità dei cristiani. Orientamenti e saggerimenti per l’applicazione della dichiarazione ‘Nostra aetate’ (n. 4), in Acta Apostolicae Sedis 67 (1975) p. 73.
127   Ibid.

128   Ibid.

129   De gloria et honore Filii hominis X, 1, in PL 194, 1105.

130   Giovanni Paolo II. Allocuzione ai delegati delle Conferenze episcopali per i rapporti con l’ebraismo (6 marzo 1982), in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. V/1. Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1982, p. 746.

131   Concilio Vaticano II. Dichiarazione sulla Chiesa e le religioni non cristiane, Nostra aetate, in Acta Apostolicae Sedis 58 (1966) pp. 740-744, n. 4.

132   N. 3.

133   N. Geagea, O.C.D. Maria, segno ed esempio secondo il Corano, in Acta Congressus Mariologici-Mariani Internationalis in Croatia anno 1971 celebrati, vol. V. Romae, Pont. Academia Mariana Internationalis, 1972, p. 3.69.

134   Il Corano. Sura XXI, 91 (trad. di A. Bausani). Firenze, Sansoni, 1978, p. 238.

135   Ibid. Sura III, 42, pp. 39-40.

136   N. Geagea. Art. cit., p. 381.

137   Cf. Nostra aetate, n. 3.

138   Il Corano. Sura LXVI, 12, p. 433.

139   Cf. Costituzioni OSM (1977), art. 24.
140   Citato da J.-P. Gabus. Art cit., p. 481.

141   Legenda de origine Ordinis, n. 18, in Monumenta OSM, vol. I. Bruxelles, Société Belge de Librairie, 1897, p. 73.

142   Costituzioni OSM (1977), art. 6.

143   Vigilia de Domina. Ufficio dei Servi a santa Maria. Romae, Curia Generalis OSM, 1980, p. 61.

144   Legenda beati Philippi, n. 8, in Monumenta OSM, vol. II. Bruxelles, Société Belge de Librairie, 1898, p. 71.








Fonte :  www.testimariani.net

















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