208° Capitolo Generale dell’Ordine dei Servi di Maria O.S.M.
" FATE QUELLO CHE VI DIRÀ "
Riflessioni e proposte
per la promozione della pietà mariana
per la promozione della pietà mariana
La Madonna di Montevergine
INTRODUZIONE
1.
Da Roma, dove stiamo celebrando
il 208° Capitolo generale, ci rivolgiamo anzitutto a voi, fratelli e sorelle
dell’Ordine, che condividete con noi la grazia e la gioia della vocazione di
Servi di santa Maria; e con deferente pensiero ci rivolgiamo pure alle Chiese
locali dove l’Ordine nostro è presente, e in collaborazione con i vescovi i
presbiteri i laici, svolge il proprio servizio e rende la sua peculiare
testimonianza; ma, per i motivi che diremo in seguito, intendiamo anche e
soprattutto venire a colloquio con le decine e decine di famiglie religiose
maschili e femminili, che vivono la propria consacrazione a Cristo guardando
espressamente a Maria come a loro immagine conduttrice; infine, non vogliamo
escludere dal nostro dialogo nessun discepolo di Gesù, che, come noi, veneri
nella beata Vergine la "madre del Signore" (cf. Lc 1, 43), e nessun uomo che,
pur non essendo credente, riconosca in Maria di Nazareth, per l’ampiezza e il
valore della sua ‘presenza’ nella civiltà umana, una "grande protagonista della
storia":1
dagli uni e dagli altri può venire a noi una illuminazione di fede o una
testimonianza di cultura e, per converso, agli uni e agli altri la nostra umile
parola potrà essere occasione per una rinnovata attenzione verso la Madre di
Gesù.
2.
L’anno del Signore 1983 è per noi "anno giubilare". In esso, infatti, ricorre
il 750° anniversario della fondazione del nostro Ordine, sorto a Firenze nel
1233, ad opera di sette mercanti di quella città. "Questi sette uomini —
leggiamo nel documento più venerando sulle nostre origini — prima di mettersi
effettivamente insieme, erano impegnati nel cambiare e nel negoziare cose
terrene secondo le regole dell’arte mercantile. Ma quando poi trovarono la perla
preziosa, o piuttosto conobbero dalla nostra Signora come procurarsi una tale
perla, cioè l’Ordine nostro [...], non solo distribuirono ai poveri quanto
possedevano, vendendolo secondo il consiglio evangelico, ma anche, con lieta
decisione, impegnarono se stessi a servire fedelmente Dio e la nostra Signora".2
Siamo davvero grati al Signore per il fervore di iniziative sorte in seno all’Ordine nostro, in occasione di questo appuntamento storico. Tutti noi — frati, monache, suore, membri degli Istituti secolari, laici — abbiamo avvertito l’esigenza che la celebrazione dell’Anno giubilare non si esaurisca in una commemorazione storica ma dia luogo a un rinnovamento spirituale, dono dello Spirito di Cristo Risorto e frutto di una generosa risposta alle sollecitazioni che ci vengono dai Sette Santi Padri e agli appelli che ci rivolge la Chiesa del nostro tempo.
In particolare, abbiamo riflettuto assiduamente sulla dimensione mariana della nostra vocazione. Infatti, come rilevano le nostre Costituzioni, "per servire il Signore e i loro fratelli, i Servi si sono dedicati fino dalle origini alla Madre di Dio, la benedetta dell’Altissimo. A lei si sono rivolti nel loro cammino verso Cristo e nell’impegno di comunicarlo agli uomini. Dal fiat dell’umile Ancella del Signore hanno appreso ad accogliere la Parola di Dio e ad essere attenti alle indicazioni dello Spirito; dalla partecipazione della Madre alla missione redentrice del Figlio, Servo sofferente di Yahveh, sono stati indotti a comprendere e sollevare le umane sofferenze".3
Fedeli, quindi, al nostro carisma di servizio, non vogliamo desistere dall’approfondire "il significato della Vergine Maria per il mondo contemporaneo".4 Arde in cuor nostro, sommessa e pure fidente, l’aspirazione a che "le nostre comunità siano una testimonianza dei valori umani ed evangelici rappresentati da Maria e del culto che la Chiesa le rende".5
E, parlando delle "nostre comunità", sentiamo di dover aggiungere: siamo ben consapevoli che il nostro Ordine è appena un’esigua porzione della santa Chiesa, ove fioriscono numerosi Istituti religiosi di spiccata spiritualità mariana. Pertanto ci siamo chiesti: perché non fare partecipi della nostra riflessione questi fratelli e sorelle che professano la stessa fede in Cristo, hanno abbracciato lo stesso genere di vita e sono animati dalla stessa pietà verso la Madre del Signore? Perché non comunicare alle Chiese locali con le quali viviamo in quotidiano rapporto le nostre trepide aspirazioni in ordine al culto alla beata Vergine?
Siamo persuasi che un impegno corale, risultante da una convergenza di ideali e di intenti, sia destinato a produrre frutti abbondanti nei nostri Istituti e a rifluire da essi con maggiore efficacia su tanti fedeli che desiderano vivere, singolarmente o in gruppi, la spiritualità mariana delle nostre famiglie. Ecco dunque, carissimi fratelli e sorelle, il motivo immediato che ci ha sollecitati a presentarvi il frutto di alcune nostre riflessioni e ad aprire con voi un dialogo fraterno.
Siamo davvero grati al Signore per il fervore di iniziative sorte in seno all’Ordine nostro, in occasione di questo appuntamento storico. Tutti noi — frati, monache, suore, membri degli Istituti secolari, laici — abbiamo avvertito l’esigenza che la celebrazione dell’Anno giubilare non si esaurisca in una commemorazione storica ma dia luogo a un rinnovamento spirituale, dono dello Spirito di Cristo Risorto e frutto di una generosa risposta alle sollecitazioni che ci vengono dai Sette Santi Padri e agli appelli che ci rivolge la Chiesa del nostro tempo.
In particolare, abbiamo riflettuto assiduamente sulla dimensione mariana della nostra vocazione. Infatti, come rilevano le nostre Costituzioni, "per servire il Signore e i loro fratelli, i Servi si sono dedicati fino dalle origini alla Madre di Dio, la benedetta dell’Altissimo. A lei si sono rivolti nel loro cammino verso Cristo e nell’impegno di comunicarlo agli uomini. Dal fiat dell’umile Ancella del Signore hanno appreso ad accogliere la Parola di Dio e ad essere attenti alle indicazioni dello Spirito; dalla partecipazione della Madre alla missione redentrice del Figlio, Servo sofferente di Yahveh, sono stati indotti a comprendere e sollevare le umane sofferenze".3
Fedeli, quindi, al nostro carisma di servizio, non vogliamo desistere dall’approfondire "il significato della Vergine Maria per il mondo contemporaneo".4 Arde in cuor nostro, sommessa e pure fidente, l’aspirazione a che "le nostre comunità siano una testimonianza dei valori umani ed evangelici rappresentati da Maria e del culto che la Chiesa le rende".5
E, parlando delle "nostre comunità", sentiamo di dover aggiungere: siamo ben consapevoli che il nostro Ordine è appena un’esigua porzione della santa Chiesa, ove fioriscono numerosi Istituti religiosi di spiccata spiritualità mariana. Pertanto ci siamo chiesti: perché non fare partecipi della nostra riflessione questi fratelli e sorelle che professano la stessa fede in Cristo, hanno abbracciato lo stesso genere di vita e sono animati dalla stessa pietà verso la Madre del Signore? Perché non comunicare alle Chiese locali con le quali viviamo in quotidiano rapporto le nostre trepide aspirazioni in ordine al culto alla beata Vergine?
Siamo persuasi che un impegno corale, risultante da una convergenza di ideali e di intenti, sia destinato a produrre frutti abbondanti nei nostri Istituti e a rifluire da essi con maggiore efficacia su tanti fedeli che desiderano vivere, singolarmente o in gruppi, la spiritualità mariana delle nostre famiglie. Ecco dunque, carissimi fratelli e sorelle, il motivo immediato che ci ha sollecitati a presentarvi il frutto di alcune nostre riflessioni e ad aprire con voi un dialogo fraterno.
3. Con questa
lettera non intendiamo trattare in modo organico e da un punto di vista
dottrinale della persona e della missione della beata Vergine nella storia della
salvezza. Non è questa la sede e non ne abbiamo i titoli. Ma, presupponendo una
corretta accettazione della dottrina del Concilio Vaticano II e del susseguente
magistero dei Romani Pontefici, soprattutto dell’Esortazione apostolica Marialis
cultus, e avendo presenti i risultati più sicuri dell’odierna ricerca
mariologica, vogliamo solo discorrere cordialmente con voi su alcuni compiti che
— a nostro avviso — attendono oggi gli Istituti religiosi e le Chiese locali
nell’ambito della promozione del culto alla Madre del Signore.
4.
Per individuare e comprendere meglio tali compiti ci sembra indispensabile
tuttavia dare uno sguardo alla crisi che in un recente passato si manifestò nel
campo della pietà mariana e di cui, in varia misura, risentirono i nostri
Istituti e numerose Chiese locali. Apertasi verso la fine degli Anni Cinquanta,
tale crisi, nel 1975, Anno Santo della Riconciliazione, poteva dirsi avviata
alla soluzione.
5.
Tuttavia, se si considera serenamente quel periodo, ci si rende conto che, per
quanto attiene alla pietà mariana, non vi fu crisi o disattenzione da parte del
magistero ecclesiastico; ché, anzi, in quegli anni per opera del Concilio
Vaticano II (1962-1965), di Paolo VI (1963-1978) e di varie Conferenze
episcopali videro la luce alcuni dei documenti mariani più belli e più
significativi di tutta la storia della Chiesa;6
né vi fu crisi nel campo della liturgia perché, come potè affermare Paolo VI,
"la riforma post-conciliare [...] ha considerato con adeguata prospettiva la
Vergine nel mistero di Cristo e, in armonia con la tradizione, le ha
riconosciuto il posto singolare che le compete nel culto cristiano, quale santa
Madre di Dio ed alma cooperatrice del Redentore";7
neppure vi fu crisi negli atteggiamenti cultuali della maggioranza dei fedeli, i
quali continuarono a venerare con amore la Madre di Cristo e a ricorrere con
fiducia alla sua materna intercessione.
Ed ancora — è importante sottolinearlo — non vi fu crisi o diminuzione della pietà mariana nelle Chiese d’Oriente: in esse avrebbe piuttosto destato sorpresa e stupore l’eventuale proposta, in sede teorica o pratica, di attenuare in qualche modo la loro antica e intensa venerazione alla gloriosa Theotokos.
Ed ancora — è importante sottolinearlo — non vi fu crisi o diminuzione della pietà mariana nelle Chiese d’Oriente: in esse avrebbe piuttosto destato sorpresa e stupore l’eventuale proposta, in sede teorica o pratica, di attenuare in qualche modo la loro antica e intensa venerazione alla gloriosa Theotokos.
6.
La crisi ebbe anzitutto connotazioni intellettuali. E fu pure una sorta di
‘crisi di rigetto’: i progressi compiuti nella ricerca biblica e patristica,
l’accentuazione data nel campo della mariologia ad alcune prospettive —
l’antropologica e l’ecumenica, l’ecclesiologica e la pneumatologica... — e il
mutamento di alcuni tipi di approccio alla figura della Vergine — la preferenza
accordata alla categoria del servizio su quella del privilegio, dell’aspetto
comunitario su quello individuale... — non sempre furono ben compresi e
correttamente applicati, per cui determinarono in non pochi casi un rifiuto di
autentici ‘valori mariani’, frettolosamente ritenuti formule stantie e superate.
‘Valori’ — diciamo — che sarebbe stato sufficiente collocare in un rinnovato
quadro teologico perché risplendessero con rinnovato fulgore. La mancanza poi di
mediazioni accorte e serene tra le riflessioni critiche degli studiosi e le
attese immediate dei pastori, diede luogo a dolorose conseguenze in campo
cultuale. Così, ad esempio:
— fu giustamente denunciato, anche da parte dei
Sommi Pontefici, il pericolo del massimalismo dottrinale,8
ma presso molti ciò determinò solo noncuranza per le verità di fede concernenti
la Vergine e, conseguentemente, incapacità di percepire che essa "per la sua
intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce [...] e riverbera i
massimi dati della fede"9
e diede luogo ad un minimismo dottrinale e pratico, del tutto sterile per la
vita dello spirito;
— furono denunciati i rischi insiti in ogni
spostamento dell’asse portante del culto cristiano: al Padre per Cristo nello
Spirito. Ma ciò produsse in molti la persuasione che il culto alla Vergine fosse
una manifestazione marginale o costituisse addirittura una deviazione più o meno
palese dalla genuina pietà cristiana. Essi cioè non si avvidero che il culto a
santa Maria — donna docile allo Spirito, discepola fedele di Cristo, sempre
volta a compiere la volontà del Padre — solo nell’alveo del ‘culto cristiano’
trova il suo vero significato e la sua valida espressione; né avvertirono che la
pietà mariana, per il radicale inserimento della Vergine nell’evento
dell’incarnazione del Verbo e nel mistero pasquale non solo non è un elemento
periferico, ma — come ebbe a dire Paolo VI — è elemento intrinseco a tale culto;10
— furono messe in risalto numerose carenze nelle
forme espressive della pietà mariana, soggette inevitabilmente all’usura del
tempo e ai mutamenti della temperie culturale, ma non ci si dispose — salvo
poche eccezioni — a sostituire le forme decadute con altre più efficaci e più
attuali. Nel campo dei pii esercizi mariani furono contrapposte, anziché
armonizzate,11
le espressioni della pietà liturgica a quelle della pietà popolare; furono
abbandonati, per i loro difetti formali, pii esercizi e pratiche che pur
contenevano valori perenni. Senza esagerazione si può dire che, in questo campo,
si sradicò senza piantare e si demolì senza ricostruire;
— fu messa in evidenza la necessità di affrontare —
anche nel campo cultuale e secondo le strutture ad esso proprie — le grandi
urgenze del mondo contemporaneo: l’evangelizzazione dei popoli e l’edificazione
della pace; la lotta contro ogni forma di oppressione e di ingiustizia; contro
l’analfabetismo e la miseria, la disoccupazione e la fame; contro il razzismo e
l’emarginazione della donna; contro gli iniqui squilibri tra nazioni ricche e
nazioni povere, e contro lo sfruttamento di queste ultime da parte delle prime.
Giustamente si sottolineava che un cristianesimo genuino non può disattendere il
gemito dei sofferenti e il grido degli oppressi. Ma indebitamente si sottese che
la pietà verso la Madre del Signore distraesse da questi impegni primari; non si
colse cioè, almeno in un primo momento, il valore profetico della figura della
Vergine in ordine all’impegno della Chiesa per l’autentica liberazione dell’uomo
e la sua promozione.
7.
Per il suo
carattere intellettuale, la crisi nel culto alla Vergine interessò anche, e
talora in larga misura, gli Istituti religiosi di tradizione e di spiritualità
mariana. Gli elementi mariani che figuravano nella tradizione dei vari Istituti
furono inevitabilmente investiti dal vento delle ragioni critiche cui abbiamo
fatto riferimento: si misero in discussione pii esercizi che non di rado
risalivano alle origini stesse dell’Istituto; si contestarono indirizzi di
spiritualità che avevano guidato la vita di numerose generazioni di religiosi e
di religiose perché — si affermava — non collimavano con gli orientamenti
espressi dai documenti conciliari; divenne meno incisiva la ‘nota mariana’
nell’azione apostolica e meno frequente la predicazione sulla Vergine; più tenui
furono gli inviti a imitare gli esempi della vita della Madonna e più contenute
le manifestazioni della gioiosa coscienza di essere suoi figli; si sorrise su
‘usanze mariane’ che ritmavano la vita interna delle comunità e sostenevano la
pietà personale dei singoli membri; si rifiutò talora la denominazione stessa
dell’Istituto, perché era ritenuta ‘devozionale’. E così via.
Non tutte queste critiche erano senza fondamento; ma spesso non si trovò la via giusta per un confronto costruttivo tra le ragioni della tradizione e le esigenze del rinnovamento. Ciò fu causa di tensioni, produsse malessere, ingenerò in molti religiosi e religiose un senso di scoraggiamento e provocò in alcuni quasi una crisi di identità.
Non tutte queste critiche erano senza fondamento; ma spesso non si trovò la via giusta per un confronto costruttivo tra le ragioni della tradizione e le esigenze del rinnovamento. Ciò fu causa di tensioni, produsse malessere, ingenerò in molti religiosi e religiose un senso di scoraggiamento e provocò in alcuni quasi una crisi di identità.
8.
Abbiamo già rilevato che gli sbandamenti nella pietà mariana non interessarono
le strutture vitali della Chiesa — il magistero, la liturgia, il senso dei
fedeli... —. La salda resistenza che esse opposero alle onde della crisi fu la
conferma di quanto radicata fosse l’antica e vitale intuizione della Chiesa,
secondo cui la figura di Maria, pur non essendo il centro, è però centrale nel
cristianesimo: è nel cuore del mistero dell’Incarnazione, nel cuore del mistero
dell’Ora. E ciò non in virtù di un’auto-persuasione dei cristiani, ma per lo
stesso sapiente disegno del Padre e la precisa volontà di Cristo.
9.
La dottrina è nota. "Volle il Padre delle misericordíe — leggiamo nella
Costituzione Lumen gentium — che l’accettazione di colei che era predestinata a
essere la madre precedesse l’Incarnazione, perché così, come una donna aveva
contribuito a dare la morte, una donna contribuisse a dare la vita. E questo
vale in modo straordinario della Madre di Gesù, la quale ha dato al mondo la
Vita stessa, che tutto rinnova".12
Non esiste altro Cristo Salvatore se non il Verbo incarnato, Gesù di Nazareth
nato da Maria per opera dello Spirito. Il Cristo che domina la storia, che ha
rappacificato con il sangue versato dalla croce il cielo e la terra (cf. Col 1,
20), che nella manifestazione ultima "verrà a giudicare i vivi e i morti",13
è nato da donna (cf. Gal 4, 4), vero uomo, che come ogni altro uomo deve dire
grazie a sua madre per il dono dell’esistenza temporale. Perciò Paolo VI,
riflettendo sul mistero dell’Incarnazione, potè pronunziare le gravi e in
apparenza audaci parole: "Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani,
cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che
unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a lui conduce";14
parole pronunziate in risposta a un preciso interrogativo: "... come è venuto
Cristo fra noi?";15
parole dette dopo aver constatato, sulla scorta del dato biblico, che egli "a
noi è venuto da Maria; lo abbiamo ricevuto da lei [...] è uomo come noi, è
nostro fratello per il ministero materno di Maria",16
e dopo aver valutato la natura e la portata del fiat della Vergine, la quale
"non fu strumento puramente passivo nelle mani di Dio, ma cooperò alla salvezza
dell’uomo con libera fede e ubbidienza".17
A considerarle bene, quelle parole non suonano tanto lode alla Vergine quanto
ammonimento ai credenti a non sovvertire i dati del disegno salvifico del Padre,
a non staccare il Frutto benedetto dalla Radice santa, a non scindere la Parola
eterna dal grembo che l’accolse e dal cuore che la custodì.
In virtù del suo radicale inserimento nel mistero dell’incarnazione del Verbo, la Vergine risulta intimamente collegata con tutta la storia della salvezza: "Il solo nome di Theotokos, Madre di Dio, — scrive il santo monaco Giovanni Damasceno — contiene tutto il mistero della salvezza".18
In virtù del suo radicale inserimento nel mistero dell’incarnazione del Verbo, la Vergine risulta intimamente collegata con tutta la storia della salvezza: "Il solo nome di Theotokos, Madre di Dio, — scrive il santo monaco Giovanni Damasceno — contiene tutto il mistero della salvezza".18
10.
La narrazione evangelica ci è familiare: Gesù, mentre era sul punto di passare
da questo mondo al Padre (cf Gv 13, 1), disse alla Madre che stava accanto alla
croce: "Donna, ecco il tuo figlio" (Gv 19, 26b). E poi rivolto al discepolo
amato, che rappresentava tutti i discepoli, soggiunse: "Ecco la tua madre" (Gv
19, 27a). Con tali parole, inserite in un tipico ‘schema di rivelazione’, Gesù
proclamò che sua madre era anche nostra madre. Perciò da quell’Ora — l’Ora del
mistero pasquale — il discepolo accolse la madre di Gesù "fra le sue cose
proprie" (Gv 19, 27b), come appunto dice il testo originale greco. Come dire:
egli ricevette Maria non solo per offrirle un alloggio domestico, ma soprattutto
riconoscendo in lei uno dei ‘valori’ della propria fede, uno dei precipui ‘beni’
spirituali che l’amore del Maestro aveva legato alla comunità dei discepoli.
Negli ultimi trent’anni l’esegesi biblica si è chinata spesso su questo passo giovanneo e ne ha sottolineato con vigore la pregnanza ecclesiale. Ma in realtà essa era già stata rilevata da una tradizione viva che, partendo almeno dal secolo III,19 si era via via arricchita, fino ai nostri giorni.20 Ci sia consentito, tra le molte che potremmo addurre in proposito, citare la testimonianza di s. Sofronio di Gerusalemme († 638): "L’insigne [discepolo] accolse in casa sua l’intemerata Madre di Dio come propria madre... Divenne figlio della Madre di Dio!".21
Il legame organico che unisce la Chiesa a Maria fu autorevolmente ribadito dal Concilio Vaticano II, quando decise di inserire la trattazione della dottrina sulla beata Vergine a termine e quasi a coronamento della propria riflessione sulla Chiesa: il celebrato cap. VIII della Lumen gentium. L’opzione fatta dall’assise conciliare autorizza, per se stessa, una conclusione: non si dà Chiesa senza Maria e, viceversa, non si comprende Maria se non "nel mistero di Cristo e della Chiesa", come appunto reca il titolo del ricordato capitolo della Lumen gentium.
Negli ultimi trent’anni l’esegesi biblica si è chinata spesso su questo passo giovanneo e ne ha sottolineato con vigore la pregnanza ecclesiale. Ma in realtà essa era già stata rilevata da una tradizione viva che, partendo almeno dal secolo III,19 si era via via arricchita, fino ai nostri giorni.20 Ci sia consentito, tra le molte che potremmo addurre in proposito, citare la testimonianza di s. Sofronio di Gerusalemme († 638): "L’insigne [discepolo] accolse in casa sua l’intemerata Madre di Dio come propria madre... Divenne figlio della Madre di Dio!".21
Il legame organico che unisce la Chiesa a Maria fu autorevolmente ribadito dal Concilio Vaticano II, quando decise di inserire la trattazione della dottrina sulla beata Vergine a termine e quasi a coronamento della propria riflessione sulla Chiesa: il celebrato cap. VIII della Lumen gentium. L’opzione fatta dall’assise conciliare autorizza, per se stessa, una conclusione: non si dà Chiesa senza Maria e, viceversa, non si comprende Maria se non "nel mistero di Cristo e della Chiesa", come appunto reca il titolo del ricordato capitolo della Lumen gentium.
***
11. A nostro parere, la ragione ultima del superamento della crisi della pietà mariana è da collocare nel rispetto che la Chiesa deve al libero e sapiente disegno di Dio. La Chiesa non può aggiungere né sottrarre nulla all’azione della grazia divina in Maria; deve solo adorare il misericordioso disegno di Dio sulla "benedetta fra le donne" (Lc 1, 42); solo proclamarne la fede invitta (cf. Lc 1, 45); solo riconoscere che l’Altissimo ha operato in lei "grandi cose" (Lc 1, 49), ma in vista di Cristo e della comunità dei fedeli; solo rallegrarsi che Dio l’abbia posta nella Chiesa come mater misericordiae22 e ministra pietatis.23
12.
Come per l’insieme della Chiesa così è avvenuto per gli Istituti religiosi: in
essi la crisi della pietà mariana appare oggi in gran parte superata. Perché gli
Istituti religiosi hanno saputo affrontare e rispondere, in conformità con la
propria tradizione e in sintonia con il rinnovamento conciliare, alla
problematica relativa al culto della beata Vergine.
Aderendo a precise disposizioni della Sede Apostolica, negli anni del post-Concilio gli Istituti religiosi hanno proceduto ad un lungo, immane lavoro di revisione delle proprie Costituzioni. Per tale revisione il Concilio aveva indicato un primordiale punto di riferimento: la sequela di Cristo quale viene proposta dal Vangelo, qualificato come la "regola suprema".24 Ciò determinò che gli Istituti si confrontassero sistematicamente con il Vangelo e da questo contatto vivo derivò ad essi una abbondante e fresca vena di genuino spirito religioso. La revisione compiuta in obbedienza alla Chiesa da uomini e donne riuniti nel nome del Signore Gesù, deve ritenersi nel suo insieme opera dello Spirito.
Per quanto attiene alla pietà mariana, essa, offrendo una pausa di riflessione e un conseguente migliore spazio prospettico, consentì di verificare ciò che nella critica del culto alla Vergine era veramente valido e ciò che era solo obiezione inconsistente.
Ma la revisione si rivelò provvidenziale per un altro motivo: avendo dato luogo a numerose ricerche di archivio, a pubblicazione di fonti, a studi monografici, a vaste consultazioni e a inchieste minuziose, essa mise gli Istituti in grado di riconoscere con maggiore sicurezza il carisma originario, di discernere gli elementi portanti della propria spiritualità mariana da altri secondari e derivati, e di apprendere da dati degni di fede la tradizione viva o sensus dell’Istituto sulla propria pietà mariana.
Aderendo a precise disposizioni della Sede Apostolica, negli anni del post-Concilio gli Istituti religiosi hanno proceduto ad un lungo, immane lavoro di revisione delle proprie Costituzioni. Per tale revisione il Concilio aveva indicato un primordiale punto di riferimento: la sequela di Cristo quale viene proposta dal Vangelo, qualificato come la "regola suprema".24 Ciò determinò che gli Istituti si confrontassero sistematicamente con il Vangelo e da questo contatto vivo derivò ad essi una abbondante e fresca vena di genuino spirito religioso. La revisione compiuta in obbedienza alla Chiesa da uomini e donne riuniti nel nome del Signore Gesù, deve ritenersi nel suo insieme opera dello Spirito.
Per quanto attiene alla pietà mariana, essa, offrendo una pausa di riflessione e un conseguente migliore spazio prospettico, consentì di verificare ciò che nella critica del culto alla Vergine era veramente valido e ciò che era solo obiezione inconsistente.
Ma la revisione si rivelò provvidenziale per un altro motivo: avendo dato luogo a numerose ricerche di archivio, a pubblicazione di fonti, a studi monografici, a vaste consultazioni e a inchieste minuziose, essa mise gli Istituti in grado di riconoscere con maggiore sicurezza il carisma originario, di discernere gli elementi portanti della propria spiritualità mariana da altri secondari e derivati, e di apprendere da dati degni di fede la tradizione viva o sensus dell’Istituto sulla propria pietà mariana.
13.
Il risultato di tale revisione è confortante. Nella quasi totalità dei casi, se
si paragonano gli elementi mariani delle Costituzioni pre-conciliari con quelli
delle Costituzioni rinnovate, questi appaiono più numerosi e più significativi:
le linee della spiritualità mariana dell’Istituto sono esposte più nitidamente,
enunciate in contesti di più ampio respiro, sostenute da un più rigoroso
fondamento biblico, documentate con opportuni rinvii alle fonti originarie.
A nostro parere non si è dato ancora sufficiente risalto a questo fatto di vasta portata ecclesiale: moltissimi Istituti hanno gioiosamente confermato la ‘nota mariana’ della loro specifica sequela di Cristo e del loro modo di essere religiosi nella Chiesa.
La ‘nota mariana’ è stata generalmente espressa nei testi costituzionali con solida impostazione e con stupenda varietà di contenuti. Così, per fare un esempio, nei suoi rapporti con i religiosi la Vergine è considerata ora come Madre amantissima che veglia sui suoi figli, ora come Sorella che condivide con essi la condizione umana e discepolare; come Maestra di vita spirituale e Modello di virtù evangeliche; come Guida verso le vette della santità e Immagine luminosa che ha anticipato in sé le realtà di grazia che persegue la vita consacrata; come Custode dei grandi valori evangelici e Ispiratrice di nuove espressioni di vita consacrata, ella che, confidando in Dio, affrontò situazioni nuove e piene di rischio; come Patrona che difende e protegge l’Istituto e i suoi singoli membri, Regina e Signora al cui servizio di amore si consacrano i religiosi per conformarsi più pienamente a Cristo.
A nostro parere non si è dato ancora sufficiente risalto a questo fatto di vasta portata ecclesiale: moltissimi Istituti hanno gioiosamente confermato la ‘nota mariana’ della loro specifica sequela di Cristo e del loro modo di essere religiosi nella Chiesa.
La ‘nota mariana’ è stata generalmente espressa nei testi costituzionali con solida impostazione e con stupenda varietà di contenuti. Così, per fare un esempio, nei suoi rapporti con i religiosi la Vergine è considerata ora come Madre amantissima che veglia sui suoi figli, ora come Sorella che condivide con essi la condizione umana e discepolare; come Maestra di vita spirituale e Modello di virtù evangeliche; come Guida verso le vette della santità e Immagine luminosa che ha anticipato in sé le realtà di grazia che persegue la vita consacrata; come Custode dei grandi valori evangelici e Ispiratrice di nuove espressioni di vita consacrata, ella che, confidando in Dio, affrontò situazioni nuove e piene di rischio; come Patrona che difende e protegge l’Istituto e i suoi singoli membri, Regina e Signora al cui servizio di amore si consacrano i religiosi per conformarsi più pienamente a Cristo.
14.
Ma le religiose e i religiosi, per i legami di comunione e di amicizia che li
uniscono ai laici, redigendo le proprie Costituzioni hanno riflettuto spesso sul
significato della figura di Maria per i fratelli e le sorelle che seguono Cristo
nella condizione laicale. Così, percorrendo i rinnovati testi legislativi, si
rileva ora l’impegno di favorire presso i laici la pietà mariana; ora il
proposito di aiutarli a scoprire nelle risposte di Maria al piano di Dio le
‘risposte evangeliche’ che meglio si adattano alla loro condizione di vita; ora
il desiderio di celebrare con essi le feste di santa Maria. E insieme, poiché la
pietà mariana dei religiosi e delle religiose affonda quasi sempre le sue radici
nell’ambiente domestico, si rileva talvolta l’intenzione di apprendere dalla
vita di tanti uomini e donne laici l’esempio di una devozione alla Vergine
semplice e tenace, temprata nella rinuncia e nella sofferenza.
15.
La considerazione del ricco contenuto mariano di molte Costituzioni rinnovate ci
ha condotto a fissare due prime conclusioni:
— salvo alcune eccezioni, il lamento che qualche
volta ancora si ode di una minore attenzione alla figura della Vergine nei nuovi
testi legislativi è semplicemente frutto di disinformazione; è dettato spesso,
sia pure in modo inconscio, più da sentimenti di nostalgia verso altre
situazioni storiche sociali ecclesiali, che da vero zelo per il culto alla
Vergine; rivela pure incapacità di cogliere i motivi profondi di un sano
rinnovamento e di aprirsi alla novità che lo Spirito suscita nella Chiesa;
rischia, infine, di divenire un atteggiamento negativo, sprezzante di un lavoro
compiuto con serietà, per obbedienza alla Sede Apostolica e da essa confermato
con il sigillo della sua approvazione;
— i ‘dati mariani’ espressi nei vari testi
legislativi costituiscono, se considerati nel loro insieme, una somma
ragguardevole di ‘esperienze mariane’ e una sorta di compendio di valide
indicazioni e di efficaci stimoli per il progresso dei membri dei nostri
Istituti nel cammino di una vita che sia essa stessa oblazione santa e culto
gradito al Padre (cf.Rm 12,1), che sia animata da un profondo impegno apostolico
e pervasa dalla sete di Dio e dalla ricerca della santità. Vogliamo dire: i
nostri Fondatori e le nostre Fondatrici, uomini e donne guidati dallo Spirito,
intuirono e sperimentarono in se stessi che la Vergine Maria, per la purezza e
l’intensià della sua risposta a Dio e per la funzione che svolge nella compagine
ecclesiale, costituisce un efficacissimo e polivalente punto di riferimento per
vivere una vita posta sotto il segno della perfetta consacrazione al Signore e
della generosa donazione ai fratelli.
16.
Gli Istituti religiosi dispongono oggi, racchiusa nei ‘dati mariani’ delle loro
Costituzioni, di una riserva immensa di stimoli per la santificazione dei propri
membri e per la loro azione apostolica. Se ci sforzeremo di attuare ciò per cui
ci siamo impegnati, la pietà verso Maria di Nazareth diverrà occasione pressante
e gradita perché diveniamo, ogni giorno più consapevolmente, veri adoratori del
Padre in Spirito e Verità (cf. Gv 4, 23-24), uomini e donne del fiat gioioso e
responsabile, quotidianamente ripetuto (cf. Lc 1, 38); perché proclamiamo
dappertutto, senza ritardi (cf. Lc 1, 39), la Buona Novella e portiamo ai
fratelli Cristo, generato e custodito nel cuore; perché imploriamo in comunione
con i vescovi e con i fratelli e le sorelle del Signore sparsi in tutto il mondo
(cf. At 1, 14 ) il dono dello Spirito e otteniamo che nella Chiesa sia
Pentecoste perenne.
17.
Dopo aver riflettuto sulla
recente crisi della pietà mariana e sul suo sostanziale superamento sia
nell’ambito ecclesiale sia negli Istituti religiosi, ci sembra utile proseguire
la nostra riflessione guardando Maria dal nostro angolo visuale ed esistenziale,
cioè dal nostro essere religiosi e in rapporto al servizio che come tali
possiamo rendere alle Chiese locali.
La beata Vergine Maria è un ‘bene’ che appartiene all’intera Chiesa e a tutte le generazioni: verso tutti i credenti in Cristo, anzi verso tutti gli uomini, essa svolge il suo ministero materno; e, per la purezza della sua adesione alla volontà del Padre e al messaggio del Figlio, a tutti — uomini e donne, vescovi presbiteri diaconi, religiosi e laici — si offre come immagine compiuta del fedele discepolo di Cristo. Già la Chiesa dei Padri aveva espresso il convincimento che la vita della Vergine costituisce un modello di vita per tutti i discepoli del signore.25 Alla luce della tradizione e della costante esperienza della Chiesa non è possibile quindi alcuna appropriazione del ‘modello mariano’ — ci si consenta l’espressione — da parte dei religiosi.
La beata Vergine Maria è un ‘bene’ che appartiene all’intera Chiesa e a tutte le generazioni: verso tutti i credenti in Cristo, anzi verso tutti gli uomini, essa svolge il suo ministero materno; e, per la purezza della sua adesione alla volontà del Padre e al messaggio del Figlio, a tutti — uomini e donne, vescovi presbiteri diaconi, religiosi e laici — si offre come immagine compiuta del fedele discepolo di Cristo. Già la Chiesa dei Padri aveva espresso il convincimento che la vita della Vergine costituisce un modello di vita per tutti i discepoli del signore.25 Alla luce della tradizione e della costante esperienza della Chiesa non è possibile quindi alcuna appropriazione del ‘modello mariano’ — ci si consenta l’espressione — da parte dei religiosi.
Una responsabilità storica
18. Gli esegeti rilevano nei testi neotestamentari — soprattutto nei Vangeli di Luca e di Giovanni — tracce indubbie di venerazione verso la Madre di Gesù da parte delle prime comunità cristiane; i patrologi segnalano che da scritti dei secoli II e III emergono non poche testimonianze di una crescente attenzione delle Chiese verso santa Maria, attenzione che si traduce in un atteggiamento di rispettoso ossequio verso la sua dignità di Madre di Cristo e di nuova Eva; da parte loro gli archeologi hanno rinvenuto segni di pietà mariana in reperti di varia natura, risalenti ai secoli II e III e localizzati soprattutto in Palestina e a Roma. Possediamo pertanto un notevole complesso di testimonianze che ci assicura che nell’età pre-nicena, cioè prima del sorgere di forme organizzate di ‘vita religiosa’, esisteva già nella Chiesa una venerazione dai contorni abbastanza ben definiti verso la Madre del Salvatore. È innegabile tuttavia che, sia in Oriente sia in Occidente, il successivo sviluppo della dottrina e della pietà mariana si deve in gran parte all’intuizione, all’impegno, all’amore di uomini e donne consacrati a Dio nella vita religiosa: nell’epoca patristica, nei circoli ascetici; nell’Evo Medio, nei cenobi monastici e nelle comunità dei nuovi Ordini di vita evangelico-apostolica, i quali hanno, tutti, una spiccata venerazione per la Vergine gloriosa; nell’età moderna e nell’epoca contemporanea, in numerose Congregazioni e Istituti di più definito impegno apostolico, nei quali spesso il carisma mariano è asserito con vigore. Se passassimo in rassegna i Santi, uomini e donne, che nella stima dei fedeli e nel giudizio della storia si sono distinti per una peculiare ‘nota mariana’, constateremmo che la maggior parte di essi furono religiosi.
18. Gli esegeti rilevano nei testi neotestamentari — soprattutto nei Vangeli di Luca e di Giovanni — tracce indubbie di venerazione verso la Madre di Gesù da parte delle prime comunità cristiane; i patrologi segnalano che da scritti dei secoli II e III emergono non poche testimonianze di una crescente attenzione delle Chiese verso santa Maria, attenzione che si traduce in un atteggiamento di rispettoso ossequio verso la sua dignità di Madre di Cristo e di nuova Eva; da parte loro gli archeologi hanno rinvenuto segni di pietà mariana in reperti di varia natura, risalenti ai secoli II e III e localizzati soprattutto in Palestina e a Roma. Possediamo pertanto un notevole complesso di testimonianze che ci assicura che nell’età pre-nicena, cioè prima del sorgere di forme organizzate di ‘vita religiosa’, esisteva già nella Chiesa una venerazione dai contorni abbastanza ben definiti verso la Madre del Salvatore. È innegabile tuttavia che, sia in Oriente sia in Occidente, il successivo sviluppo della dottrina e della pietà mariana si deve in gran parte all’intuizione, all’impegno, all’amore di uomini e donne consacrati a Dio nella vita religiosa: nell’epoca patristica, nei circoli ascetici; nell’Evo Medio, nei cenobi monastici e nelle comunità dei nuovi Ordini di vita evangelico-apostolica, i quali hanno, tutti, una spiccata venerazione per la Vergine gloriosa; nell’età moderna e nell’epoca contemporanea, in numerose Congregazioni e Istituti di più definito impegno apostolico, nei quali spesso il carisma mariano è asserito con vigore. Se passassimo in rassegna i Santi, uomini e donne, che nella stima dei fedeli e nel giudizio della storia si sono distinti per una peculiare ‘nota mariana’, constateremmo che la maggior parte di essi furono religiosi.
19.
Nei monasteri furono dipinte
le mirabili icone, splendenti di una misteriosa ‘presenza’ della Theotokos e
portatrici di un singolare messaggio di bellezza e di dottrina; in essi
fiorirono l’innografia e l’omiletica mariana, ebbero origine e si affermarono
alcune significative feste della Vergine e la consuetudine di dedicare a lei il
sabato; ad essi si riallacciano l’uso di salutare la Vergine al termine delle
Ore canoniche e soprattutto il solenne ossequio alla Regina di misericordia che
conclude l’ufficiatura quotidiana, la pratica dell’Angelus Domini al mattino a
mezzogiorno alla sera, la diffusione dei piccoli uffici a santa Maria. Religiosi
furono la maggior parte dei più attenti studiosi della figura della Vergine e
molti dei più ferventi difensori dei suoi privilegi; matrice ‘religiosa’ ebbero
quasi tutti i trattati di spiritualità mariana e i pii esercizi mariani più
diffusi tra il popolo cristiano; religiosi furono e sono i custodi di molti
santuari dedicati alla Vergine e i promotori di innumerevoli associazioni
mariane.
Tutto ciò deve essere recepito da noi, religiosi e religiose, non come motivo di una insipiente e sterile auto-esaltazione, ma come dato storico su cui riflettere, come invito a non disperdere un ‘patrimonio di famiglia’, come stimolo a proseguire l’opera dei ‘padri’, avviata da secoli.
Tutto ciò deve essere recepito da noi, religiosi e religiose, non come motivo di una insipiente e sterile auto-esaltazione, ma come dato storico su cui riflettere, come invito a non disperdere un ‘patrimonio di famiglia’, come stimolo a proseguire l’opera dei ‘padri’, avviata da secoli.
20.
Dal pontificato di Pio IX
(1846-1878), i Sommi Pontefici, nell’esercizio del loro magistero universale,
sono intervenuti frequentemente per salvaguardare e incrementare la pietà
mariana presso i fedeli. Come i Vescovi di Roma, così hanno fatto i Vescovi di
molte Chiese locali. Ad essi, certo, spetta anzitutto questo compito. Ma, senza
timore di cedere alla retorica, possiamo affermare che sui religiosi, non per
motivi di ordine dottrinale o di governo pastorale ma per il peso di una
tradizione plurisecolare, incombe la ‘responsabilità storica’ di custodire
fedelmente la pietà verso la Madre del Signore e di promuoverne un corretto
sviluppo: una responsabilità che non vogliamo disattendere, un peso che, come il
"giogo" e il "carico" della legge di Gesù (cf. Mt 11, 30), sentiamo dolce e
leggero.
21.
Già ne abbiamo fatto cenno:
la vita di Maria può essere assunta da tutti i discepoli del Signore a norma di
vita evangelica. Tuttavia, a causa della sua vocazione unica e irripetibile e
delle circostanze singolari in cui essa fu attuata, l’esemplarità di Maria, vera
madre e vergine intatta, si esercita in modo diverso sui diversi stati di vita:
in un modo, ad esempio, sulla vita di coloro che vivono nel matrimonio, in un
altro sulla vita di quelli che hanno abbracciato il celibato per il Regno. Per
altro "il matrimonio e la verginità — osserva Giovanni Paolo II — sono i due
modi di esprimere e di vivere l’unico mistero dell’alleanza di Dio con il suo
popolo".26
22.
Coloro che sono uniti nel
santo matrimonio sentono che Maria e Giuseppe, per la comunione di fede di
affetti e di vita, costituiscono per essi un luminoso punto di riferimento.
Infatti la nascita di Gesù, figlio di Dio e figlio dell’uomo, avviene in seno ad
una famiglia costituita secondo la legge del Signore, formata da un uomo giusto
(cf. Mt 1, 19) della stirpe di Davide (cf. Mt 1, 20; Lc 1, 27) e da una donna
oggetto del favore divino (cf. Lc 1, 28). Dopo che Giuseppe, secondo l’ordine
dell’angelo, ebbe preso con sé Maria sua sposa (cf. Mt 1, 20. 24), la loro vita
appare segnata da una profonda comunione sponsale: insieme affrontano i disagi
provocati dal censimento decretato da Cesare Augusto (cf. Lc 2,1-5); insieme,
nella gioia e nella povertà (cf. Lc 2,7), vivono l’evento salvifico della
nascita di Gesù; insieme appaiono nel compimento del segno dato dall’angelo ai
pastori (cf. Lc 2, 16); insieme compiono i riti prescritti dalla legge del
Signore: la circoncisione del bambino e l’imposizione del nome (cf. Lc 2, 21 );
la presentazione del neonato al Tempio (cf. Lc 2, 27) e la "loro purificazione"
(Lc 2, 22); dopo le parole di Simeone (cf. Lc 2, 29-32), insieme "il padre e la
madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui" (Lc 2, 33 ) e
insieme furono benedetti dal santo vegliardo (cf. Lc 2, 34); insieme
affrontarono la dura prova della persecuzione di Erode e della fuga in Egitto (cf.
Mt 2, 13-15); tornati a Nazareth, insieme "si recavano tutti gli anni a
Gerusalemme per la festa della Pasqua" (Lc 2, 41); con gli stessi sentimenti di
dolore vissero l’episodio profetico dello smarrimento di Gesù (cf. Lc 2, 48):
insieme lo cercarono, lo trovarono, restarono pieni di stupore (cf. ibid. ); con
essi fece Gesù ritorno a Nazareth e ad essi, come figlio, era sottomesso (cf. Lc
2, 51); insieme vissero là una vita umile, nascosta, operosa, tale che Gesù potè
essere ritenuto "il figlio del carpentiere" (Mt 13, 55) o, semplicemente, "il
carpentiere" (Mc 6, 3).
Per tutto ciò la casa di Nazareth è rimasta nella memoria storica della Chiesa come il luogo esemplare dove si apprende "cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e inviolabile".27 In particolare Maria, per la sua maternità fisica e per l’opera educatrice nei confronti del bambino Gesù, è celebrata come modello delle madri cristiane.
A questo punto ci permettiamo di formulare un duplice auspicio:
Per tutto ciò la casa di Nazareth è rimasta nella memoria storica della Chiesa come il luogo esemplare dove si apprende "cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e inviolabile".27 In particolare Maria, per la sua maternità fisica e per l’opera educatrice nei confronti del bambino Gesù, è celebrata come modello delle madri cristiane.
A questo punto ci permettiamo di formulare un duplice auspicio:
— che coloro che vivono nel
matrimonio o si preparano a contrarlo realizzino il loro progetto di comunione e
di amore anche alla luce della vita sponsale di Giuseppe e di Maria. Essa appare
singolarmente caratterizzata da due tratti: fu vissuta "secondo la legge del
Signore" e fu espressione di una concorde volontà di affrontare insieme — lo
abbiamo visto — gli avvenimenti grandi o piccoli che ad essi si offrivano.
Ripensando poi all’esperienza del matrimonio verginale di Maria e di Giuseppe,
gli sposi cristiani potranno cogliere il significato ultimo della sessualità —
che anche da Maria e da Giuseppe, sia pure in termini unici, è stata vissuta28
— e vivere la loro reciproca donazione come momento di profonda comunione di
amore e di arcana partecipazione al mistero della vita, nell’ambito di un
ordinamento che viene dal Signore;
— che dopo le molti voci, per lo più
di teologi celibi, che lungo i secoli hanno illustrato i vari aspetti della
maternità di Maria, essa sia illustrata anche dalla voce di donne portatrici
della stessa esperienza antropologica.
23.
Eppure questa donna, Maria,
così profondamente madre, è stata considerata fin dal secolo II la ‘vergine’ per
antonomasia, la "Vergine del Signore".29
Molto presto furono colte dalla riflessione cristiana le implicazioni dogmatiche
della sua verginità e, a partire dal secolo III, Maria fu presentata
prevalentemente come il modello o l’immagine suprema della verginità consacrata.
Perché questo? perché la singolare connessione, che abbiamo rilevato nei paragrafi precedenti, tra ‘pietà mariana’ e ‘vita religiosa’? Il Concilio Vaticano II offre una risposta ricca di implicazioni: i consigli evangelici evangelici che i religiosi volontariamente abbracciano "hanno la capacità di maggiormente conformare il cristiano al genere di vita verginale e povera, che Cristo Signore scelse per sé e che la sua Vergine Madre abbracciò".30 Esiste quindi una sintonia profonda tra l’essenza evangelica della ‘vita religiosa’ e alcuni elementi fondamentali della ‘vita della Vergine’ quale è attestata dal Vangelo. Questa sintonia spiega la connessione secolare e cordiale tra ‘pietà mariana’ e ‘vita consacrata’. Vivendo, quanto alla sua essenza, lo stesso "genere di vita" di Maria, i religiosi sono in grado di comprendere con più immediatezza alcuni ‘valori’ della figura della Vergine e di coglierne esistenzialmente sfumature che ad altri, a tutta prima, sfuggono.
Perché questo? perché la singolare connessione, che abbiamo rilevato nei paragrafi precedenti, tra ‘pietà mariana’ e ‘vita religiosa’? Il Concilio Vaticano II offre una risposta ricca di implicazioni: i consigli evangelici evangelici che i religiosi volontariamente abbracciano "hanno la capacità di maggiormente conformare il cristiano al genere di vita verginale e povera, che Cristo Signore scelse per sé e che la sua Vergine Madre abbracciò".30 Esiste quindi una sintonia profonda tra l’essenza evangelica della ‘vita religiosa’ e alcuni elementi fondamentali della ‘vita della Vergine’ quale è attestata dal Vangelo. Questa sintonia spiega la connessione secolare e cordiale tra ‘pietà mariana’ e ‘vita consacrata’. Vivendo, quanto alla sua essenza, lo stesso "genere di vita" di Maria, i religiosi sono in grado di comprendere con più immediatezza alcuni ‘valori’ della figura della Vergine e di coglierne esistenzialmente sfumature che ad altri, a tutta prima, sfuggono.
24.
Alla luce dell’esperienza
storica e della constatata ‘sintonia profonda’ tra il "genere di vita" di Maria
e la vita consacrata, possiamo dire, senza farne tuttavia un assioma, che dove
si vive con impegno la proposta evangelica della vita religiosa là fiorisce un
genuino culto verso la Madre di Gesù; e, viceversa, dove vige una corretta pietà
verso la beata Vergine là si incontrano le condizioni favorevoli perché germogli
la vita consacrata. Forse si spiega così il fenomeno in atto presso alcuni
gruppi di uomini e di donne appartenenti a Chiese della Riforma: hanno
restaurato con rigore forme e strutture di vita proprie della tradizione
monastico-religiosa, e tra esse il celibato per il Regno, e hanno riscoperto nel
contempo il significato e il valore della figura di Maria in ordine alla ‘vita
cristiana’.
25.
Per la sua condizione
anagrafica Maria è una ‘donna laica’, se pure appartenente a un popolo di
consacrati (cf. Dt 14, 2). Eppure la tradizione ecclesiale, riflettendo sui dati
evangelici, ama presentare Maria come la ‘donna consacrata’ per eccellenza, come
l’espressione più pura e più alta, dopo Cristo, di una consacrazione personale a
Dio e alla causa della salvezza Consacrata dall’azione santificante dello
Spirito fin dal Concepimento immacolato e poi dalla presenza ineffabile del
Verbo nel suo grembo verginale, Maria, a sua volta, si consacrò liberamente e
totalmente a Dio rispondendo generosamente alla sua chiamata.31
Alla luce dei dati neotestamentari si può dire che, in virtù della sua singolare
consacrazione, tutto nella vita di Maria appare riferito a Dio, tutto esprime un
rapporto con il Padre con il Figlio e con lo Spirito, tutto risulta orientato
alla salvezza degli uomini.
26.
Gli esegeti ci informano che
la pericope lucana dell’Annuncio a Maria (1, 26-38) non è da leggersi solo come
un tipico ‘annuncio di nascita’ ma anche come un caratteristico ‘racconto di
vocazione’: vocazione alla maternità messianica, ma vocazione intesa sempre come
‘chiamata personale’ che esige una ‘risposta personale’. E gli stessi esegeti
osservano che nessun racconto di vocazione presenta un dialogo così articolato e
così rispettoso della libertà dell’uomo come quello che si svolge tra Gabriele e
Maria, e ancora che nessuno si conclude con una formula così espressiva di
adesione piena alla volontà del Signore come quella con cui la Vergine aderisce
al progetto divino: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che
hai detto" (Lc 1, 38).
27.
Su questa parola della
Vergine i religiosi e le religiose, sulla scorta dell’insegnamento dei Padri,
hanno molto meditato. Lungo i secoli hanno approfondito il significato delfiat
di Maria ed hanno messo in evidenza come esso sia riverbero della parola
primordiale per cui furono fatti la luce e l’uomo (cf. Gn 1, 3.26),.fiat
pronunziato perché lo Spirito formasse nel suo grembo verginale Cristo, la Luce
vera e il vero Uomo nuovo; come sia risposta obbediente che si pone in antitesi
al letale diniego di Eva; come sia eco della formula del ‘patto sinaitico’ (cf.
Es 19, 8) e, in un certo senso, suo primo avveramento nell’economia della nuova
Alleanza; incontro mirabile tra la parola che il Figlio pronunzia entrando nel
mondo (cf. Eb 10, 5-7; Sal 39 [40], 8-9) e quella che la Vergine dice
accogliendolo nel suo seno (cf. Lc 1, 38); ‘consenso nuziale’ poiché, in seguito
a quella parola, il Verbo unì indissolubilmente la sua natura divina alla nostra
umana nel grembo di Maria; paradigma di ogni maternità di grazia nella Chiesa,
che solo avviene nella fede e nello Spirito; parola di accettazione
incondizionata che, accogliendo un messaggio di liberazione (cf. Lc 1, 31-33 ),
diviene un impegno di servizio; parola di misericordia che la Vergine,
privilegiata figlia di Adamo ma solidale con tutti gli uomini, pronunzia in loro
favore.32
Ovviamente non tutte queste ‘letture’ del fiat di Maria sono riconducibili al senso letterale del testo biblico, ma documentano l’attenzione che la Chiesa e i religiosi di tutti i tempi hanno prestato a quella parola decisiva.
Ovviamente non tutte queste ‘letture’ del fiat di Maria sono riconducibili al senso letterale del testo biblico, ma documentano l’attenzione che la Chiesa e i religiosi di tutti i tempi hanno prestato a quella parola decisiva.
28.
Siamo sicuri che voi, vescovi
presbiteri diaconi, e voi, fratelli e sorelle laici, ci comprendete.
Sulla base di una consolidata tradizione e senza alcuna pretesa di monopolizzare il modello, noi, religiosi e religiose, interpretiamo la vocazione alla ‘vita consacrata’ nelle sue modalità — chiamata personale di Dio — e nei suoi contenuti — la sequela di Cristo in una vita verginale umile obbediente, posta al servizio della Chiesa... — alla luce della vocazione di Maria. Riteniamo cioè che Dio prolunga alcuni aspetti della vocazione di Maria nella vocazione delle vergini e dei religiosi: ciò che in Maria fu vocazione alla maternità messianica, generazione di Cristo nel cuore e nella carne, nei religiosi è chiamata alla fecondità verginale nello spirito che genera Cristo attraverso l’accoglimento della Parola e il compimento della volontà del Padre (cf. Mt 12, 49-50).
E interpretiamo pure la nostra ‘consacrazione religiosa’ alla luce della consacrazione di Maria: la radicalità con cui ella "consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di lui, e con lui, con la grazia di Dio onnipotente"33 è dinanzi a noi quale norma per vivere con coerenza l’impegno di amore assunto verso Cristo e verso gli uomini, e per rimanere fedeli alla parola data.
Sulla base di una consolidata tradizione e senza alcuna pretesa di monopolizzare il modello, noi, religiosi e religiose, interpretiamo la vocazione alla ‘vita consacrata’ nelle sue modalità — chiamata personale di Dio — e nei suoi contenuti — la sequela di Cristo in una vita verginale umile obbediente, posta al servizio della Chiesa... — alla luce della vocazione di Maria. Riteniamo cioè che Dio prolunga alcuni aspetti della vocazione di Maria nella vocazione delle vergini e dei religiosi: ciò che in Maria fu vocazione alla maternità messianica, generazione di Cristo nel cuore e nella carne, nei religiosi è chiamata alla fecondità verginale nello spirito che genera Cristo attraverso l’accoglimento della Parola e il compimento della volontà del Padre (cf. Mt 12, 49-50).
E interpretiamo pure la nostra ‘consacrazione religiosa’ alla luce della consacrazione di Maria: la radicalità con cui ella "consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di lui, e con lui, con la grazia di Dio onnipotente"33 è dinanzi a noi quale norma per vivere con coerenza l’impegno di amore assunto verso Cristo e verso gli uomini, e per rimanere fedeli alla parola data.
29.
La Chiesa pellegrina sulla terra vive della consolante assicurazione del suo
Signore: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,
20b). Il Cristo risorto che siede glorioso alla destra del Padre è nondimeno
costantemente presente nella Chiesa, sua sposa. Anzi, sappiamo che, immerso nel
mistero della morte e risurrezione di Cristo (cf. Rm 6, 3-11), ogni battezzato è
stato trasformato in Cristo, Cristo vive in lui (cf. Gal 2, 20) e lui è dimora
di Cristo (cf. Gv 14, 23 ).
Analogamente la Vergine assunta in cielo, che regna gloriosa accanto al Figlio, "Re dei re e Signore dei signori" (Ap 19,16), è efficacemente presente nella vita della Chiesa. Il Concilio Vaticano II, facendo sua la perenne tradizione della Chiesa, lo insegna con vigore e chiarezza: "assunta in cielo [Maria] non ha deposto questa funzione di salvezza, ma con la sua molteplice intercessione continua a ottenerci le grazie della salute eterna. Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata".34 È noto peraltro che la teologia contemporanea riconsidera, senza ripudiarne i contenuti tradizionali, la dottrina della mediazione di Maria in termini di esercizio della maternità spirituale e, richiamandosi ai Padri, parla volentieri di ‘presenza’ di Maria nella vita della Chiesa.35 Anche nel magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II ricorre con frequenza l’espressione "presenza operante" per indicare il modo concreto e arcano con cui la Vergine, possedendo già "lo splendore dei corpi celesti" (1 Cor 15, 40) e quindi non soggetta a condizionamenti di tempo e di spazio, partecipa all’attività e alla vita della Chiesa nella sua fase terrestre e temporale.36
Analogamente la Vergine assunta in cielo, che regna gloriosa accanto al Figlio, "Re dei re e Signore dei signori" (Ap 19,16), è efficacemente presente nella vita della Chiesa. Il Concilio Vaticano II, facendo sua la perenne tradizione della Chiesa, lo insegna con vigore e chiarezza: "assunta in cielo [Maria] non ha deposto questa funzione di salvezza, ma con la sua molteplice intercessione continua a ottenerci le grazie della salute eterna. Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata".34 È noto peraltro che la teologia contemporanea riconsidera, senza ripudiarne i contenuti tradizionali, la dottrina della mediazione di Maria in termini di esercizio della maternità spirituale e, richiamandosi ai Padri, parla volentieri di ‘presenza’ di Maria nella vita della Chiesa.35 Anche nel magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II ricorre con frequenza l’espressione "presenza operante" per indicare il modo concreto e arcano con cui la Vergine, possedendo già "lo splendore dei corpi celesti" (1 Cor 15, 40) e quindi non soggetta a condizionamenti di tempo e di spazio, partecipa all’attività e alla vita della Chiesa nella sua fase terrestre e temporale.36
30.
La multiforme presenza di Cristo nella Chiesa si manifesta attraverso una
molteplice varietà di segni. Essi sono noti e su di essi sono state scritte —
dai Santi Padri, dai teologi, dai Vescovi di Roma — pagine splendide.37
Ma, esistono segni della presenza della Vergine nella vita della Chiesa? Crediamo di sì.38 E tra questi segni — ci domandiamo — , sono da annoverare le religiose e i religiosi che, per libera scelta, sono particolarmente vincolati alla Madre di Cristo e da lei prendono ispirazione e modello di vita? Vogliamo rispondere con cautela, sollecitando fin d’ora l’apporto della riflessione di altri fratelli e sorelle.
Ma, esistono segni della presenza della Vergine nella vita della Chiesa? Crediamo di sì.38 E tra questi segni — ci domandiamo — , sono da annoverare le religiose e i religiosi che, per libera scelta, sono particolarmente vincolati alla Madre di Cristo e da lei prendono ispirazione e modello di vita? Vogliamo rispondere con cautela, sollecitando fin d’ora l’apporto della riflessione di altri fratelli e sorelle.
31.
Solo Cristo è la sorgente e il modello supremo della vita religiosa. Solo lui
presenta con assoluta unità e profondità la realtà divina e umana di una vita
sostanziata di infinito amore al Padre e di totale donazione agli uomini, suoi
fratelli.
Tuttavia i religiosi e le religiose, nonostante la loro fragilità personale, per lo stato che hanno abbracciato, si pongono in riferimento a Cristo nella categoria del prolungamento e del segno: "I religiosi pongano ogni cura — esorta il Concilio Vaticano II — affinché per mezzo loro la Chiesa abbia ogni giorno meglio da presentare Cristo ai fedeli e agli infedeli, o mentre egli contempla sul monte, o annunzia il Regno di Dio alle turbe, o risana i malati e i feriti e converte a miglior vita i peccatori, o benedice i fanciulli e fa del bene a tutti, e sempre obbedisce alla volontà del Padre che lo ha mandato".39
Tuttavia i religiosi e le religiose, nonostante la loro fragilità personale, per lo stato che hanno abbracciato, si pongono in riferimento a Cristo nella categoria del prolungamento e del segno: "I religiosi pongano ogni cura — esorta il Concilio Vaticano II — affinché per mezzo loro la Chiesa abbia ogni giorno meglio da presentare Cristo ai fedeli e agli infedeli, o mentre egli contempla sul monte, o annunzia il Regno di Dio alle turbe, o risana i malati e i feriti e converte a miglior vita i peccatori, o benedice i fanciulli e fa del bene a tutti, e sempre obbedisce alla volontà del Padre che lo ha mandato".39
32.
La Vergine non genera la grazia, non ha luce propria: essa rifulge della luce di
Cristo, come — secondo un paragone familiare ai Padri — la luna splende della
luce del sole; essa è solo il volto che più assomiglia al volto di Cristo,
splendore della gloria del Padre (cf. Eb 1, 3). La Vergine, ignara di peccato,
presenta già il cuore nuovo, il cuore docile, richiesto per la Alleanza nuova
che Dio avrebbe concluso con il suo popolo nuovo (cf. Ger 31, 31-34); essa già
possiede il "cuore puro", che suo Figlio proclama beato e capace di "vedere Dio"
(cf. Mt 5, 8).
Per la qualità della sua risposta al dono della grazia e alla missione ricevuta da Dio, la Vergine appare agli occhi della Chiesa come modello di arcana santità.40 La Chiesa ama contemplare Maria per trarre dalle sue parole e dai suoi atteggiamenti ispirazione per le risposte che essa, a sua volta, nelle varie vicende della storia, deve dare al suo Signore; per conoscere, in anticipo e in sintesi, il suo destino di gloria.
Anche i religiosi e le religiose amano contemplare Maria: per essi è atteggiamento abituale fissare lo sguardo sulla Vergine per apprendere da lei come vivere fecondamente la verginità consacrata, la povertà volontaria, l’ubbidienza generosa.
Per la qualità della sua risposta al dono della grazia e alla missione ricevuta da Dio, la Vergine appare agli occhi della Chiesa come modello di arcana santità.40 La Chiesa ama contemplare Maria per trarre dalle sue parole e dai suoi atteggiamenti ispirazione per le risposte che essa, a sua volta, nelle varie vicende della storia, deve dare al suo Signore; per conoscere, in anticipo e in sintesi, il suo destino di gloria.
Anche i religiosi e le religiose amano contemplare Maria: per essi è atteggiamento abituale fissare lo sguardo sulla Vergine per apprendere da lei come vivere fecondamente la verginità consacrata, la povertà volontaria, l’ubbidienza generosa.
33.
Ma occorre precisare ulteriormente. L’esemplarità della Vergine è già un effetto
della sua ‘presenza operante’ nella comunità ecclesiale; è forza che si
sprigiona dalla sua persona, già glorificata e consumata nell’amore, ed induce i
fedeli a conformarsi a lei per conformarsi più pienamente a Cristo. Così avviene
che, per opera dello Spirito e secondo strutture di grazia che non è possibile
codificare, i fedeli conformandosi al modello lo riproducono, riproducendolo lo
prolungano, prolungandolo lo rendono presente in mezzo agli uomini.
34.
La beata Vergine è senza dubbio uno dei più grandi simboli del cristianesimo,
intendendo per simbolo una realtà storica che, incarnando un complesso di
atteggiamenti ideali, non si esaurisce nei confini della cronaca effimera; che,
nell’economia della grazia, prolunga presso tutte le generazioni la sua funzione
salvifica; che è suscettibile di essere sempre meglio conosciuta, ma il cui
mistero sarà pienamente svelato solo alla fine dei tempi.
Alla santa Vergine, a questa inesauribile realtà-simbolo, si sono ispirati i Fondatori e le Fondatrici di molte famiglie religiose.
Alcuni hanno fissato la loro attenzione sull’evento capitale dell’incarnazione del Verbo e, quindi, sul fiat di Maria, pieno di ubbidienza e di fede, per mezzo del quale, nello Spirito, ella divenne Madre del Dio fatto uomo e dimora sacra della Parola; e, valorizzando l’espressione "io sono la serva del Signore" (Lc 1, 38), hanno sentito l’urgenza di attualizzarla facendo della propria vita un servizio di amore a Dio, alla Chiesa, all’uomo.
Altri sono stati attratti dai contenuti salvifici dell’episodio della Visitazione, in cui Maria, arca nuova dell’Alleanza nuova, porta a Giovanni il Salvatore e proclama le grandi opere che Dio ha fatto in suo favore e in favore di Israele; e quindi hanno voluto farsi loro stessi portatori di Cristo agli uomini e prolungare con la loro vita il canto di ringraziamento e di liberazione.
Altri, scorgendone l’abbondanza di prospettive, hanno voluto assumere a paradigma vitale l’episodio della presentazione di Gesù al Tempio. Hanno posto così davanti agli occhi dei loro discepoli, quale esempio costante di vita, l’amorosa osservanza della Legge da parte di Maria e di Giuseppe; l’umiltà della Vergine pura; il riscatto, pagato con due colombe, del Primogenito che tutti gli uomini avrebbe riscattato con il prezzo del suo sangue (cf. 1 Pt 1, 19; Ap 5, 9); l’incontro del Messia con il suo popolo nel Tempio, non tuttavia con i custodi del Tempio, ma con i poveri, gli anawim Simeone e Anna; e, dominante su tutto, la parola profetica che saluta Gesù "luce delle genti e gloria di Israele" (cf. Lc 2, 32) e annunzia alla Madre la partecipazione — la spada di dolore (cf. Lc 2, 35) — alla passione del Figlio.
Altri hanno proposto ai loro figli e figlie di ispirarsi al silenzio operoso della casa di Nazareth dove Maria, nella fede, accanto a Giuseppe, è madre e discepola di Gesù, custodisce nel cuore e confronta tra loro parole ed eventi che lo riguardano (cf. Lc 2, 19. 51 ) e dove, non comprendendo talora tutta la portata di alcuni gesti del Figlio (cf. Lc 2, 50), si abbandona alla pura fede.
Altri si sono proposti di collocarsi in sintonia vitale con l’evento dell’Ora — evento di dolore e di gloria, di morte e di vita — in cui sembrano convergere, per avverarsi in Maria, alcuni grandi vaticini: la profezia della donna (cf. Gn 3, 15) che, presso l’albero della vita, sarebbe stata chiamata a collaborare con l’Uomo nuovo alla salvezza del genere umano; le profezie riguardanti la Figlia di Sion, madre di tutti i popoli (cf. Sof 3, 14; Zc 2, 14; 9, 9; Sal 86 [87], 5-7), che, personificata da Maria, è accanto a Cristo allorché questi, innalzato sulla Croce, attira a sé tutte le genti (cf. Gv 12, 32) e riunisce insieme, nella Chiesa (cf. Gv 10, 16), "i figli di Dio che erano dispersi" (Gv 11, 52 ). In quell’Ora si compie anche per Maria la condizione necessaria per essere un vero discepolo di Cristo: seguirlo fino alla croce (cf. Lc 9, 23). Dalla contemplazione del mistero del Calvario essi hanno tratto argomento per esortare i loro figli e figlie ad essere, come Maria, presenti operosamente accanto alle croci dei fratelli, in cui si prolunga la passione di Cristo.
Altri hanno vivamente desiderato che le loro comunità fossero altrettanti cenacoli dove i religiosi e le religiose, idealmente radunati attorno a "Maria, la madre di Gesù" (At 1, 14 ), nella comunione con i successori degli apostoli e con tutti i fratelli del Signore, fossero assidui e concordi nella preghiera per implorare sulla Chiesa il dono incessante dello Spirito.
Altri infine hanno trovato motivo ispiratore per la loro vita consacrata in alcuni interventi di grazia che Dio ha operato in Maria e che fanno parte della nostra professione di fede: la Concezione immacolata, in cui la Chiesa riconosce il suo segreto inizio e vede, come in purissimo specchio, la sua immagine di sposa senza macchia né ruga (cf. Ef 5, 27 ); 41 l’Assunzione al cielo, in cui contempla già avverato il destino di gloria che l’attende; la Verginità feconda, che essa assume a norma per mantenere integra la fede ed esclusivo e vigile il suo amore a Cristo.
Alla santa Vergine, a questa inesauribile realtà-simbolo, si sono ispirati i Fondatori e le Fondatrici di molte famiglie religiose.
Alcuni hanno fissato la loro attenzione sull’evento capitale dell’incarnazione del Verbo e, quindi, sul fiat di Maria, pieno di ubbidienza e di fede, per mezzo del quale, nello Spirito, ella divenne Madre del Dio fatto uomo e dimora sacra della Parola; e, valorizzando l’espressione "io sono la serva del Signore" (Lc 1, 38), hanno sentito l’urgenza di attualizzarla facendo della propria vita un servizio di amore a Dio, alla Chiesa, all’uomo.
Altri sono stati attratti dai contenuti salvifici dell’episodio della Visitazione, in cui Maria, arca nuova dell’Alleanza nuova, porta a Giovanni il Salvatore e proclama le grandi opere che Dio ha fatto in suo favore e in favore di Israele; e quindi hanno voluto farsi loro stessi portatori di Cristo agli uomini e prolungare con la loro vita il canto di ringraziamento e di liberazione.
Altri, scorgendone l’abbondanza di prospettive, hanno voluto assumere a paradigma vitale l’episodio della presentazione di Gesù al Tempio. Hanno posto così davanti agli occhi dei loro discepoli, quale esempio costante di vita, l’amorosa osservanza della Legge da parte di Maria e di Giuseppe; l’umiltà della Vergine pura; il riscatto, pagato con due colombe, del Primogenito che tutti gli uomini avrebbe riscattato con il prezzo del suo sangue (cf. 1 Pt 1, 19; Ap 5, 9); l’incontro del Messia con il suo popolo nel Tempio, non tuttavia con i custodi del Tempio, ma con i poveri, gli anawim Simeone e Anna; e, dominante su tutto, la parola profetica che saluta Gesù "luce delle genti e gloria di Israele" (cf. Lc 2, 32) e annunzia alla Madre la partecipazione — la spada di dolore (cf. Lc 2, 35) — alla passione del Figlio.
Altri hanno proposto ai loro figli e figlie di ispirarsi al silenzio operoso della casa di Nazareth dove Maria, nella fede, accanto a Giuseppe, è madre e discepola di Gesù, custodisce nel cuore e confronta tra loro parole ed eventi che lo riguardano (cf. Lc 2, 19. 51 ) e dove, non comprendendo talora tutta la portata di alcuni gesti del Figlio (cf. Lc 2, 50), si abbandona alla pura fede.
Altri si sono proposti di collocarsi in sintonia vitale con l’evento dell’Ora — evento di dolore e di gloria, di morte e di vita — in cui sembrano convergere, per avverarsi in Maria, alcuni grandi vaticini: la profezia della donna (cf. Gn 3, 15) che, presso l’albero della vita, sarebbe stata chiamata a collaborare con l’Uomo nuovo alla salvezza del genere umano; le profezie riguardanti la Figlia di Sion, madre di tutti i popoli (cf. Sof 3, 14; Zc 2, 14; 9, 9; Sal 86 [87], 5-7), che, personificata da Maria, è accanto a Cristo allorché questi, innalzato sulla Croce, attira a sé tutte le genti (cf. Gv 12, 32) e riunisce insieme, nella Chiesa (cf. Gv 10, 16), "i figli di Dio che erano dispersi" (Gv 11, 52 ). In quell’Ora si compie anche per Maria la condizione necessaria per essere un vero discepolo di Cristo: seguirlo fino alla croce (cf. Lc 9, 23). Dalla contemplazione del mistero del Calvario essi hanno tratto argomento per esortare i loro figli e figlie ad essere, come Maria, presenti operosamente accanto alle croci dei fratelli, in cui si prolunga la passione di Cristo.
Altri hanno vivamente desiderato che le loro comunità fossero altrettanti cenacoli dove i religiosi e le religiose, idealmente radunati attorno a "Maria, la madre di Gesù" (At 1, 14 ), nella comunione con i successori degli apostoli e con tutti i fratelli del Signore, fossero assidui e concordi nella preghiera per implorare sulla Chiesa il dono incessante dello Spirito.
Altri infine hanno trovato motivo ispiratore per la loro vita consacrata in alcuni interventi di grazia che Dio ha operato in Maria e che fanno parte della nostra professione di fede: la Concezione immacolata, in cui la Chiesa riconosce il suo segreto inizio e vede, come in purissimo specchio, la sua immagine di sposa senza macchia né ruga (cf. Ef 5, 27 ); 41 l’Assunzione al cielo, in cui contempla già avverato il destino di gloria che l’attende; la Verginità feconda, che essa assume a norma per mantenere integra la fede ed esclusivo e vigile il suo amore a Cristo.
35.
Questi sono soltanto alcuni esempi. Ma si riferiscono non a fatti marginali,
bensì ad esperienze esistenziali, che hanno progressivamente arricchito la vita
della Chiesa e che interessano cospicui gruppi ecclesiali; esperienze suscitate
da un carisma fondazionale, utile "per l’edificazione della comunità" (1 Cor
14,12) e, come tale, riconosciuto dalla Sede Apostolica; esperienze che hanno
prodotto e producono frutti di santità.
***
Siamo ora in condizioni migliori per rispondere alla
domanda che ci eravamo posti dianzi: i religiosi e le religiose che, in virtù di
un loro impegno stabile, radicato in un carisma suscitato dallo Spirito, pongono
in essere azioni di vita evangelica ispirate espressamente a Maria, prolungano
la "presenza operante" della Vergine nella Chiesa e la manifestano. Ne sono un
segno.
La Vergine che, assunta in cielo, è tuttora al servizio dell’opera della salvezza e veglia sulla Chiesa, la visita, la conforta,42 svolge il suo compito materno anche attraverso la parola, l’azione, il cuore dei religiosi e delle religiose a lei consacrati.
La Vergine che, assunta in cielo, è tuttora al servizio dell’opera della salvezza e veglia sulla Chiesa, la visita, la conforta,42 svolge il suo compito materno anche attraverso la parola, l’azione, il cuore dei religiosi e delle religiose a lei consacrati.
36.
Non è da temere che l’attenzione portata dalle religiose e dai religiosi a
questo o a quell’episodio riguardante la Vergine, fino ad assumerlo come motivo
ispiratore della loro vita consacrata, possa distrarli dal loro impegno
fondamentale: la sequela di Cristo e il servizio alla Chiesa. Si sarà osservato
infatti che quegli episodi si riferiscono anzitutto a Cristo: a lui quindi
rinviano in primo luogo; e sono altresì episodi che hanno profondi risvolti
ecclesiali: alla Chiesa dunque essi necessariamente rimandano. Possiamo
veramente affermare: non vi è episodio evangelico riguardante Maria che non
possa e non debba essere letto in rapporto al mistero di Cristo e della Chiesa.
37.
Come Giovanni Battista (cf. Gv 1, 29-31), come Andrea (cf. Gv 1, 41-42), Filippo
(cf. Gv 1, 45) e Pietro (cf. Gv 6, 68-69), Maria è un testimone di Cristo: come
essi, la Vergine rinvia a lui, il nuovo Legislatore, e ai suoi precetti: "Fate
quello che vi dirà" (Gv 2, 5). Anche in virtù del ‘comandamento’ della Vergine,
nel quale alcuni esegeti avvertono echi delle formule di alleanza,43
noi sentiamo che Cristo è l’unico assoluto, l’unica via che conduce
al Padre (cf. Gv 14, 6). Tale è la funzione della pietà mariana nella Chiesa.
Essa è mirabilmente espressa nel noto tipo iconografico della Odighitria, della
Vergine cioè che indica che Gesù è la Via.
Ma anche Gesù, in un certo senso, rinvia alla Madre. Infatti, quando contempliamo Cristo nella concretezza della sua vicenda umana e salvifica, dalla culla alla croce, accanto a lui troviamo Maria. Nell’infanzia del Signore, ai Magi venuti dall’Oriente si offre la visione "del bambino con Maria sua madre" (Mt 2,11); morendo sulla croce, Gesù addita la Madre a Giovanni dicendogli: "Ecco la tua madre" (Gv 19, 27). Nella tradizione monastico-religiosa queste parole e questi gesti del Signore sono stati interpretati come indicazione di una via per l’incontro con lui.
Ma anche Gesù, in un certo senso, rinvia alla Madre. Infatti, quando contempliamo Cristo nella concretezza della sua vicenda umana e salvifica, dalla culla alla croce, accanto a lui troviamo Maria. Nell’infanzia del Signore, ai Magi venuti dall’Oriente si offre la visione "del bambino con Maria sua madre" (Mt 2,11); morendo sulla croce, Gesù addita la Madre a Giovanni dicendogli: "Ecco la tua madre" (Gv 19, 27). Nella tradizione monastico-religiosa queste parole e questi gesti del Signore sono stati interpretati come indicazione di una via per l’incontro con lui.
SU ALCUNI COMPITI CHE OGGI
ATTENDONO
LE CHIESE LOCALI E GLI ISTITUTI RELIGIOSI
IN ORDINE ALLA PROMOZIONE DEL CULTO ALLA BEATA VERGINE
LE CHIESE LOCALI E GLI ISTITUTI RELIGIOSI
IN ORDINE ALLA PROMOZIONE DEL CULTO ALLA BEATA VERGINE
38.
Dopo aver fatto alcune considerazioni
sulla recente crisi nella venerazione alla beata Vergine e sul superamento di
essa (prima parte), e dopo aver rilevato la consonanza profonda tra la vita di
Maria e la vita religiosa (seconda parte), desideriamo proseguire la nostra
riflessione indicando alcuni compiti che oggi — a nostro avviso — attendono le
Chiese locali e gli Istituti religiosi in ordine alla promozione del culto alla
Madre e Serva del Signore.
Comprendeteci ancora, voi vescovi, nostri padri e amici, e voi religiosi e religiose, nostri fratelli e sorelle: siamo perfettamente consapevoli della pochezza della nostra voce, che tuttavia la vostra condiscendente attenzione rende fiduciosa e il comune amore per la Vergine rende audace.
Comprendeteci ancora, voi vescovi, nostri padri e amici, e voi religiosi e religiose, nostri fratelli e sorelle: siamo perfettamente consapevoli della pochezza della nostra voce, che tuttavia la vostra condiscendente attenzione rende fiduciosa e il comune amore per la Vergine rende audace.
39.
Solo la conoscenza profonda consente l’amore profondo. Perciò ci sembra che il
primo compito da affrontare in vista di un corretto sviluppo della pietà mariana
tra noi e presso il popolo cristiano sia quello di acquisire una conoscenza
profonda della figura della Vergine "nel mistero di Cristo e della Chiesa" e
della sua missione nell’opera della salvezza. Tale compito è perfettamente
consono al carisma dei nostri Istituti e sommamente utile, se non necessario,
nei confronti delle Chiese locali presso le quali svolgiamo il nostro servizio.
Certo, il Padre che tiene nascosti i segreti del Regno ai sapienti e agli intelligenti e li rivela ai piccoli (cf. Mt 11, 25), può condurre ad una approfondita conoscenza di Maria le anime che a lui si affidano con filiale semplicità. Ma questa è via riservata al libero dono di Dio. Alla maggior parte di noi, chiamati a rendere testimonianza alla figura della Vergine in una società che spesso non ne comprende il significato, è necessario avere una conoscenza meditata di Maria di Nazareth: conoscenza che soltanto può dare uno studio rigoroso e sistematico, adattato alla condizione dei singoli soggetti e ai vari periodi della formazione.
Certo, il Padre che tiene nascosti i segreti del Regno ai sapienti e agli intelligenti e li rivela ai piccoli (cf. Mt 11, 25), può condurre ad una approfondita conoscenza di Maria le anime che a lui si affidano con filiale semplicità. Ma questa è via riservata al libero dono di Dio. Alla maggior parte di noi, chiamati a rendere testimonianza alla figura della Vergine in una società che spesso non ne comprende il significato, è necessario avere una conoscenza meditata di Maria di Nazareth: conoscenza che soltanto può dare uno studio rigoroso e sistematico, adattato alla condizione dei singoli soggetti e ai vari periodi della formazione.
40.
Perché, diciamolo francamente: molti presbiteri, molti religiosi e religiose,
molti altri operatori pastorali sono ancora disinformati in rapporto sia a
documenti fondamentali del Magistero sulla beata Vergine sia ai progressi più
significativi — e talora da anni pacificamente posseduti dagli studiosi —
compiuti dalla mariologia nei suoi vari settori.
Le conseguenze di tale disinformazione sono molteplici: la predicazione sulla Vergine non si rinnova e non presenta incisivamente il significato della figura di Maria di Nazareth per l’uomo contemporaneo; i contenuti essenziali, irrinunciabili del Magistero e della Tradizione rischiano di non essere accettati perché trasmessi con moduli non più correnti nel linguaggio teologico; gli indirizzi e le prospettive indicati dalla Lumen gentium si fanno strada faticosamente; si trascurano le sorgenti bibliche per abbeverarsi ai rigagnoli di pie tradizioni e di incerte visioni; si lasciano da parte i tesori della patristica e si ripetono luoghi comuni coniati in epoche di minor rigore teologico; ci si arrocca, intransigentemente e con una certa ‘durezza di cuore’, su posizioni contrapposte e di reciproco sospetto — ‘conservatrici’ e ‘progressiste’, si diceva in un tempo non lontano — , quando a dissiparle sarebbe sufficiente uno studio sereno e aperto, senza preconcetti e alla luce del Magistero, dei dati della divina Scrittura e della santa Tradizione; il movimento ecumenico, per quanto li concerne, subisce battute d’arresto; continua a mancare quella necessaria mediazione, cui abbiamo fatto cenno, tra le ricerche degli studiosi e le urgenze dei pastori; si emargina Maria di Nazareth dalla propria vita e dalla propria pietà semplicemente perché non la si conosce.
Non vorremmo aver tracciato un quadro troppo fosco della situazione. Esso è limitato — lo ripetiamo — a quei luoghi, a quei fratelli e sorelle, presso i quali si constata una oggettiva e persistente disinformazione. Ma è sempre un limite che a voi e a noi, per il comune amore alla Chiesa e alla Vergine, appare ancora troppo vasto.
Le conseguenze di tale disinformazione sono molteplici: la predicazione sulla Vergine non si rinnova e non presenta incisivamente il significato della figura di Maria di Nazareth per l’uomo contemporaneo; i contenuti essenziali, irrinunciabili del Magistero e della Tradizione rischiano di non essere accettati perché trasmessi con moduli non più correnti nel linguaggio teologico; gli indirizzi e le prospettive indicati dalla Lumen gentium si fanno strada faticosamente; si trascurano le sorgenti bibliche per abbeverarsi ai rigagnoli di pie tradizioni e di incerte visioni; si lasciano da parte i tesori della patristica e si ripetono luoghi comuni coniati in epoche di minor rigore teologico; ci si arrocca, intransigentemente e con una certa ‘durezza di cuore’, su posizioni contrapposte e di reciproco sospetto — ‘conservatrici’ e ‘progressiste’, si diceva in un tempo non lontano — , quando a dissiparle sarebbe sufficiente uno studio sereno e aperto, senza preconcetti e alla luce del Magistero, dei dati della divina Scrittura e della santa Tradizione; il movimento ecumenico, per quanto li concerne, subisce battute d’arresto; continua a mancare quella necessaria mediazione, cui abbiamo fatto cenno, tra le ricerche degli studiosi e le urgenze dei pastori; si emargina Maria di Nazareth dalla propria vita e dalla propria pietà semplicemente perché non la si conosce.
Non vorremmo aver tracciato un quadro troppo fosco della situazione. Esso è limitato — lo ripetiamo — a quei luoghi, a quei fratelli e sorelle, presso i quali si constata una oggettiva e persistente disinformazione. Ma è sempre un limite che a voi e a noi, per il comune amore alla Chiesa e alla Vergine, appare ancora troppo vasto.
41.
A questo proposito noi, servi e serve di santa Maria, vogliamo esprimere la
nostra gratitudine e ammirazione per quei frati che alla fine del secolo XLX, in
un momento in cui l’Ordine era molto ridotto numericamente, con coraggio e
lungimiranza fondarono nell’Urbe il Collegio s. Alessio Falconieri (a. 1896) e
gli affidarono anche il compito di promuovere gli studi sulla santa Vergine. Con
ciò essi posero una delle più solide basi per la rinascita dell’Ordine e gli
fornirono gli strumenti per un più qualificato servizio alla Chiese locali e,
talora, alla stessa Sede Apostolica. Nel 1901, il rettore del Collegio s.
Alessio, fra Alessio M. Lépicier, professore di dogmatica all’Urbaniana — futuro
Priore generale e membro del collegio cardinalizio — pubblicava il Tractatus de
beatissima Virgine Maria Matre Dei, ridando negli ambienti scolastici romani
posto e dignità allo studio teologico di santa Maria.44
L’esempio di fra Alessio M. Lépicier fu seguito da vari frati, tra cui emerge fra Gabriele M. Roschini († 1977 ), che collaborò efficacemente alla diffusione del pensiero e dell’interesse mariologico. Così, attraverso varie vicende, dal Collegio s. Alessio è nata la Facoltà Teologica "Marianum". Ci sia consentito esprimere qui la nostra riconoscenza a Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI per la paterna attenzione con cui incoraggiarono gli sviluppi della nostra Facoltà fino a istituire presso di essa il dottorato in sacra teologia con specializzazione in mariologia (7 marzo 1965) e a decorarla con il titolo di ‘pontificia’ (1 gennaio 1971).
L’Ordine ritiene l’attività della Facoltà " Marianum" come un suo servizio apostolico nel campo della ricerca teologica. E da parte sua la Facoltà, con il suo complesso di strutture docenti, con la Biblioteca specializzata, con la rivista Marianum che cerca di essere presente nel dibattito mariologico, intende "promuovere particolarmente, secondo la missione dell’Ordine nella Chiesa, la conoscenza, l’insegnamento, il progresso scientifico e pastorale del pensiero cristiano sulla Madre di Dio".45 Nei confronti delle Chiese locali, degli Istituti religiosi e degli uomini di cultura, la Facoltà si pone come un organismo fraternamente aperto, sia nella componente docente sia in quella discente, alla collaborazione di studiosi e alunni desiderosi di condividere i suoi scopi istituzionali.
L’esempio di fra Alessio M. Lépicier fu seguito da vari frati, tra cui emerge fra Gabriele M. Roschini († 1977 ), che collaborò efficacemente alla diffusione del pensiero e dell’interesse mariologico. Così, attraverso varie vicende, dal Collegio s. Alessio è nata la Facoltà Teologica "Marianum". Ci sia consentito esprimere qui la nostra riconoscenza a Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI per la paterna attenzione con cui incoraggiarono gli sviluppi della nostra Facoltà fino a istituire presso di essa il dottorato in sacra teologia con specializzazione in mariologia (7 marzo 1965) e a decorarla con il titolo di ‘pontificia’ (1 gennaio 1971).
L’Ordine ritiene l’attività della Facoltà " Marianum" come un suo servizio apostolico nel campo della ricerca teologica. E da parte sua la Facoltà, con il suo complesso di strutture docenti, con la Biblioteca specializzata, con la rivista Marianum che cerca di essere presente nel dibattito mariologico, intende "promuovere particolarmente, secondo la missione dell’Ordine nella Chiesa, la conoscenza, l’insegnamento, il progresso scientifico e pastorale del pensiero cristiano sulla Madre di Dio".45 Nei confronti delle Chiese locali, degli Istituti religiosi e degli uomini di cultura, la Facoltà si pone come un organismo fraternamente aperto, sia nella componente docente sia in quella discente, alla collaborazione di studiosi e alunni desiderosi di condividere i suoi scopi istituzionali.
42.
Ma proprio per l’attenzione che dedichiamo agli studi mariologici, siamo in
grado di comprendere che l’apporto del nostro Ordine in questo campo è solo un
umile contributo che si aggiunge a quello di molti altri Istituti religiosi. Pur
sapendo di riuscire necessariamente incompleti, non possiamo passare sotto
silenzio l’opera svolta dall’Ordine dei Frati Minori, cui è affidata la
direzione della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (Roma); dei Frati
Minori Conventuali, sostenitori dell’Accademia dell’Immacolata (Roma); della
Società di Maria (Marianisti), promotrice, tra l’altro, della Marian Library (Dayton,
Ohio, U.S.A.); dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, che curano la
pubblicazione della prestigiosa rivista Ephemerides Mariologicae (Madrid); della
Società Salesiana di s. Giovanni Bosco, che ha dato vita all’Accademia Mariana
Salesiana (Roma); della Compagnia di Maria (Monfortani) che a Roma ha eretto il
Centro Mariano Monfortano e a Parigi pubblica l’efficace periodico Cahiers
Marials; dei Fratelli Maristi, che hanno fondato il Centro di Spiritualità
Mariana di Belo Horizonte (Brasile); dei teologi dell’Ordine benedettino, della
Compagnia di Gesù, dell’Ordine dei Frati Predicatori, di ambedue gli Ordini
Carmelitani e di tanti altri Istituti, che sono efficacemente presenti, con
numerose pubblicazioni, nella ricerca mariologica; della Pia Società di s.
Paolo, che nei suoi programmi editoriali dedica largo spazio alle pubblicazioni
di indole mariologica. Ed ancora dobbiamo rilevare che all’attività delle
Società Mariologiche che fioriscono in varie nazioni, i religiosi partecipano in
gran numero e ne sono spesso i principali animatori. Ricordiamo infine gli
studiosi della Prelatura della Santa Croce, editori dell’importante rivista
Scripta de Maria (Saragozza).
E poiché sappiamo quale impiego di persone e di mezzi richieda il mantenimento di tali opere, la nostra parola vuole essere anche espressione di ammirazione e di ringraziamento per questi fratelli e sorelle e, se fosse il caso, di incoraggiamento a proseguire con rigore e con tenacia l’attività che li ha resi tanto benemeriti nella Chiesa.
E poiché sappiamo quale impiego di persone e di mezzi richieda il mantenimento di tali opere, la nostra parola vuole essere anche espressione di ammirazione e di ringraziamento per questi fratelli e sorelle e, se fosse il caso, di incoraggiamento a proseguire con rigore e con tenacia l’attività che li ha resi tanto benemeriti nella Chiesa.
43.
L’importanza dello studio in ordine alla promozione del culto alla Vergine è
tale che una conclusione si impone per se stessa: favorire dappertutto e ai vari
livelli formativi, presso i laici, i religiosi e le religiose, i ministri della
Chiesa, lo studio della mariologia e favorire pure le istituzioni che tale
studio rendono possibile.
"La cristologia è anche una mariologia", proclama incisivamente un recente documento della S. Congregazione per l’Educazione Cattolica.46 Potremmo chiosarlo aggiungendo: l’ecclesiologia, la pneumatologia sono anch’esse una mariologia.47 A chiunque consideri le questioni dottrinali connesse con la figura di Colei che i fratelli orientali chiamano "corona dei dogmi" e l’utilità pastorale che deriva da una genuina pietà mariana, la mariologia apparirà una disciplina non marginale ma degna di rilevante attenzione.
"La cristologia è anche una mariologia", proclama incisivamente un recente documento della S. Congregazione per l’Educazione Cattolica.46 Potremmo chiosarlo aggiungendo: l’ecclesiologia, la pneumatologia sono anch’esse una mariologia.47 A chiunque consideri le questioni dottrinali connesse con la figura di Colei che i fratelli orientali chiamano "corona dei dogmi" e l’utilità pastorale che deriva da una genuina pietà mariana, la mariologia apparirà una disciplina non marginale ma degna di rilevante attenzione.
L’annuncio della Parola
44.
L’ultima parola di Gesù agli undici apostoli: "Andate e ammaestrate tutte le
nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,
insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 19) non
segna una conclusione ma un inizio: l’apertura della missione universale della
Chiesa. Quella parola si è incisa profondamente nel cuore della Chiesa e in ogni
tempo urge, sostiene, guida il suo impegno missionario. Lungo i secoli molti
discepoli e discepole del Signore hanno sentito come Paolo l’urgenza di
annunciare la Buona Novella: "Non è per me un vanto predicare il vangelo; è un
dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!" (1 Cor 9,16).
Riflettendo ora sull’attività missionaria della Chiesa dall’angolo visuale in cui ci siamo collocati — il compito dei religiosi nella promozione della pietà mariana — , ci sembra di dover sottolineare due fatti:
Riflettendo ora sull’attività missionaria della Chiesa dall’angolo visuale in cui ci siamo collocati — il compito dei religiosi nella promozione della pietà mariana — , ci sembra di dover sottolineare due fatti:
— attualmente l’impegno missionario della Chiesa è
sostenuto prevalentemente dagli Istituti religiosi. La Chiesa lo ha affidato a
loro, ed essi l’hanno accettato come un’espressione consona al loro carisma
istituzionale. Sono infatti pochi gli Istituti religiosi che non hanno
un’esplicita attività missionaria, mentre sono molti quelli sorti con lo scopo
precipuo di portare la luce della fede a coloro che giacciono ancora nelle
tenebre dell’ignoranza;
— molti Istituti missionari hanno nel loro stesso
titolo una ‘nota mariana’, pongono la loro attività evangelizzatrice sotto la
protezione della Vergine e dichiarano di prendere da lei esempio e ispirazione
per lo svolgimento del loro specifico servizio apostolico.
Ciò, a nostro avviso, non è senza significato:
rivela ancora una volta come Maria sia profondamente inserita nel mistero di
Cristo, oggetto primordiale dell’evangelizzazione, e della Chiesa, soggetto
agente della medesima; e mostra altresì come la Vergine, per la sua funzione
materna ed esemplare, abbia anticipato in sé la missione della Chiesa:
accogliere e annunciare la Parola.
45.
La ragione ultima per cui Maria è salutata Guida e Stella dell’evangelizzazione48
non è di natura meramente devozionale ma rigorosamente biblica. Infatti, secondo
gli studiosi della Sacra Scrittura, alcuni episodi evangelici contengono
indicazioni profonde di un rapporto variamente esemplare di Maria nei confronti
della Chiesa in ordine all’accoglimento-annuncio della Parola.
Maria, la prima evangelizzata. La Vergine di Nazareth, quale futura madre del Messia e personificazione della Figlia di Sion, riceve per prima la gioiosa Buona Notizia: lo Spirito Santo, energia dell’Altissimo, scenderà su di lei, e da lei nascerà il Salvatore delle genti (cf. Lc 1, 26-38). Con fede Maria accolse questa parola del Signore e la fede divenne "per lei premessa e via alla maternità divina".49
Maria, la prima evangelizzatrice. Ma la Parola accolta nell’intimo erompe in annuncio, in canto, in profezia: sulle montagne della Giudea, Maria, adombrata dallo Spirito e pregna del Verbo, proclama le grandi cose compiute in lei dall’Onnipotente e reca a Giovanni il Salvatore (cf. Lc 1, 39-56). In quell’episodio alcuni esegeti avvertono anche un’eco, se pur lontana, del tripudio per l’annuncio della liberazione di Gerusalemme: "Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: "Regna il tuo Dio"" (Is 52, 7).
Maria, la prima evangelizzata. La Vergine di Nazareth, quale futura madre del Messia e personificazione della Figlia di Sion, riceve per prima la gioiosa Buona Notizia: lo Spirito Santo, energia dell’Altissimo, scenderà su di lei, e da lei nascerà il Salvatore delle genti (cf. Lc 1, 26-38). Con fede Maria accolse questa parola del Signore e la fede divenne "per lei premessa e via alla maternità divina".49
Maria, la prima evangelizzatrice. Ma la Parola accolta nell’intimo erompe in annuncio, in canto, in profezia: sulle montagne della Giudea, Maria, adombrata dallo Spirito e pregna del Verbo, proclama le grandi cose compiute in lei dall’Onnipotente e reca a Giovanni il Salvatore (cf. Lc 1, 39-56). In quell’episodio alcuni esegeti avvertono anche un’eco, se pur lontana, del tripudio per l’annuncio della liberazione di Gerusalemme: "Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: "Regna il tuo Dio"" (Is 52, 7).
46.
Nell’episodio dei Magi venuti dall’Oriente per rendere omaggio al Messia (cf. Mt
2, 1-12), possiamo vedere significata non solo la vocazione di tutte le nazioni
alla fede, ma anche la funzione che, sull’esempio di Maria, dovrà svolgere la
Chiesa: mostrare Cristo alle genti, essere luogo per l’incontro con lui.
È probabile infatti che l’evangelista Matteo, scrivendo l’episodio dell’adorazione dei Magi, si sia ispirato a Isaia 60,1-9, il canto che celebra Gerusalemme capitale dell’universo; e che, strutturando il suo racconto, egli abbia operato una significativa trasposizione di elementi. In esso, infatti, a Gerusalemme, la Città-madre su cui risplende la gloria del Signore (cf. Is 60, 1-2), subentra Maria-madre sulle cui ginocchia siede il Bambino; al posto del Signore, a cui tutte le nazioni rendono omaggio — che per i testi del giudaismo prescristiano è già il Re messianico — , è lo stesso bambino Gesù, che riceve l’ossequio e l’adorazione dei Magi; in luogo dei re e delle principesse che, secondo la parola profetica, "con la faccia a terra si prostreranno davanti a te, baceranno la polvere dei tuoi piedi" (Is 49, 23; cf. 60, 14), e dei ricchi mercanti che con stuoli di cammelli giungono a Gerusalemme "portando oro e incenso" (Is 60, 6), stanno i Magi, i quali "entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro tesori e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra" (Mt 2, 11). Questo incontro-adorazione non avviene tuttavia nella vecchia Gerusalemme, i cui capi hanno rigettato il Messia (cf. Mt 2, 3; 23, 37-38), ma nella ‘casa’ di Betlemme, che sembra essere figura della Chiesa. È importante comunque rilevare che, secondo la densa pagina di Matteo, i Magi — le primizie dei pagani — allorché si aprono alla fede e incontrano Gesù, posano il loro sguardo pure sulla figura di Maria: "videro il bambino con Maria sua madre" (Mt 2, 11). Così avviene ogni volta che gli uomini vengono a Cristo ed entrano nella sua casa — la Chiesa — : là incontrano lui con Maria, la madre.50
È probabile infatti che l’evangelista Matteo, scrivendo l’episodio dell’adorazione dei Magi, si sia ispirato a Isaia 60,1-9, il canto che celebra Gerusalemme capitale dell’universo; e che, strutturando il suo racconto, egli abbia operato una significativa trasposizione di elementi. In esso, infatti, a Gerusalemme, la Città-madre su cui risplende la gloria del Signore (cf. Is 60, 1-2), subentra Maria-madre sulle cui ginocchia siede il Bambino; al posto del Signore, a cui tutte le nazioni rendono omaggio — che per i testi del giudaismo prescristiano è già il Re messianico — , è lo stesso bambino Gesù, che riceve l’ossequio e l’adorazione dei Magi; in luogo dei re e delle principesse che, secondo la parola profetica, "con la faccia a terra si prostreranno davanti a te, baceranno la polvere dei tuoi piedi" (Is 49, 23; cf. 60, 14), e dei ricchi mercanti che con stuoli di cammelli giungono a Gerusalemme "portando oro e incenso" (Is 60, 6), stanno i Magi, i quali "entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro tesori e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra" (Mt 2, 11). Questo incontro-adorazione non avviene tuttavia nella vecchia Gerusalemme, i cui capi hanno rigettato il Messia (cf. Mt 2, 3; 23, 37-38), ma nella ‘casa’ di Betlemme, che sembra essere figura della Chiesa. È importante comunque rilevare che, secondo la densa pagina di Matteo, i Magi — le primizie dei pagani — allorché si aprono alla fede e incontrano Gesù, posano il loro sguardo pure sulla figura di Maria: "videro il bambino con Maria sua madre" (Mt 2, 11). Così avviene ogni volta che gli uomini vengono a Cristo ed entrano nella sua casa — la Chiesa — : là incontrano lui con Maria, la madre.50
47.
Abbiamo già ricordato l’importanza della parola del Risorto agli Undici in
ordine al compito ecclesiale dell’evangelizzazione: "Andate e ammaestrate tutte
le nazioni [...] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt
28, 19). Ma ci sembra utile richiamarla per rilevare che essa si colloca in una
‘teofania’ — l’apparizione agli Undici in Galilea "sul monte che Gesù aveva loro
fissato" (Mt 28, 16) — , che l’evangelista descrive ricalcando lo schema della
teofania del monte Sinai, dove si concluse l’Antica Alleanza (cf. Es 19, 1-9).
Nell’intenzione di Matteo, il monte dell’apparizione di Galilea (cf. Mt 28,16-20) è il Sinai della Nuova Alleanza. A Gesù, glorificato dal Padre, sono riconosciuti i titoli e le prerogative proprie del Signore nell’Antico Testamento: il dominio universale (cf. Mt 28, 18-19 e Es 19, 5 ) ; l’adorazione (cf. Mt 28, 17 e Es 3, 12 ; 24,1. 9-1 1) ; la relazione di una nuova Legge ("... tutto ciò che vi ho comandato", Mt 28, 20a: "... tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Signore", Es 19, 7b).
Ne consegue che l’impegno assunto dall’antico popolo d’Israele nei confronti della Legge del Signore: "Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!" (Es 19,8), diviene ora vocazione e prerogativa del nuovo popolo di Dio, formatosi, attorno a Gesù, da discepoli provenienti da tutte le genti: "ammaestrate tutte le nazioni [...] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 19a. 20a).
Ma, come osservano alcuni esegeti, la rivelazione di Cana (cf. Gv 2, 1-12) è stata scritta anch’essa guardando alla ‘teofania del Sinai’ (cf. Es 19, 1-9). Ora non è chi non veda la singolare affinità che esiste tra la formula della promessa di Israele ("Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo", Es 19, 8), l’ordine dato dal Risorto agli Undici (insegnare ad osservare ciò che egli ha comandato, cf. Mt 28, 20a) e la parola di Maria ai servi delle nozze di Cana ("Quanto egli vi dirà, fatelo", Gv 2, 5b).
Ciò che Giovanni pone sulle labbra della Madre, Matteo lo presenta come compito affidato da Cristo agli apostoli, cioè alla Chiesa: Maria e la Chiesa si incontrano nel condurre gli uomini all’obbedienza del Vangelo di Cristo. Maria e la Chiesa rinviano alla sola Legge che salva: la parola di Gesù (cf. Gv 6, 68).
Nell’intenzione di Matteo, il monte dell’apparizione di Galilea (cf. Mt 28,16-20) è il Sinai della Nuova Alleanza. A Gesù, glorificato dal Padre, sono riconosciuti i titoli e le prerogative proprie del Signore nell’Antico Testamento: il dominio universale (cf. Mt 28, 18-19 e Es 19, 5 ) ; l’adorazione (cf. Mt 28, 17 e Es 3, 12 ; 24,1. 9-1 1) ; la relazione di una nuova Legge ("... tutto ciò che vi ho comandato", Mt 28, 20a: "... tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Signore", Es 19, 7b).
Ne consegue che l’impegno assunto dall’antico popolo d’Israele nei confronti della Legge del Signore: "Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!" (Es 19,8), diviene ora vocazione e prerogativa del nuovo popolo di Dio, formatosi, attorno a Gesù, da discepoli provenienti da tutte le genti: "ammaestrate tutte le nazioni [...] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 19a. 20a).
Ma, come osservano alcuni esegeti, la rivelazione di Cana (cf. Gv 2, 1-12) è stata scritta anch’essa guardando alla ‘teofania del Sinai’ (cf. Es 19, 1-9). Ora non è chi non veda la singolare affinità che esiste tra la formula della promessa di Israele ("Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo", Es 19, 8), l’ordine dato dal Risorto agli Undici (insegnare ad osservare ciò che egli ha comandato, cf. Mt 28, 20a) e la parola di Maria ai servi delle nozze di Cana ("Quanto egli vi dirà, fatelo", Gv 2, 5b).
Ciò che Giovanni pone sulle labbra della Madre, Matteo lo presenta come compito affidato da Cristo agli apostoli, cioè alla Chiesa: Maria e la Chiesa si incontrano nel condurre gli uomini all’obbedienza del Vangelo di Cristo. Maria e la Chiesa rinviano alla sola Legge che salva: la parola di Gesù (cf. Gv 6, 68).
48.
Nell’ambito della riflessione su ‘pietà mariana e annuncio della Parola’
dobbiamo considerare ancora un testo — Atti 1, 13-14 —, che presenta gli
apostoli "insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e con i
fratelli di lui" (At 1,14), in attesa dell’adempimento della promessa del
Signore: "sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni" (At 1,5; cf.
Lc 24, 49).
È stato più volte rilevato che lo stesso Luca ha scritto il Vangelo dell’infanzia di Gesù (i primi due capitoli del Terzo Vangelo), documento fondamentale sulla Parola che si è fatta carne, e il Vangelo dell’infanzia della Chiesa (Atti degli apostoli), puntuale resoconto della crescita e della diffusione della Parola (cf. At 6, 7): da Gerusalemme alla Giudea, a Samaria, fino ai confini della terra.
E sembra che Luca abbia istituito un significativo parallelismo tra gli episodi dell’Annunciazione-Visitazione (Terzo Vangelo) e quelli della Pentecoste-Diffusione della Parola (Libro degli Atti). La Parola-Spirito, ricevuta dapprima nell’intimità — da Maria nella casa di Nazareth, dalla comunità apostolica "nel piano superiore" (cf. At 1,13) di una casa gerosolimitana —, deve essere poi, per la forza dello Spirito, proclamata ben oltre le mura domestiche: a tutte le generazioni, senza limiti né di tempo né di spazio.
Da una parte Maria, nella quale è disceso lo Spirito Santo, energia dell’Altissimo (cf. Lc 1, 35), sente la necessità di proclamare le "grandi cose" che ha fatto in lei l’Onnipotente: lascia quindi la casa di Nazareth e si reca nella montagna, in una città della Giudea (cf. Lc 1, 39); dall’altra gli apostoli, sui quali nel giorno della Pentecoste è discesa l’"energia dell’alto" (Lc 24, 49) e sono stati "tutti pieni di Spirito Santo", cominciano a parlare in altre lingue (cf. At 2, 4), davanti a "Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo" (At 2, 5 ): lasciano cioè il loro ritiro e, corroborati dallo Spirito, annunciano con franchezza l’opera della salvezza compiuta da Dio nella morte-risurrezione di Cristo (cf. At 2, 14-39; 4, 31).51
Maria e la Chiesa sono al servizio della Parola. Per l’una e per l’altra "è cosa gloriosa rivelare le opere di Dio" (Tb 12, 11). Ma, anche in questo campo, la Vergine Madre Maria ha preceduto la Vergine Madre Chiesa: la fede, la docilità allo Spirito, la gratitudine e il coraggio, la sollecitudine premurosa della prima saranno ‘atteggiamenti esemplari’ per la seconda, impegnata fino alla fine dei tempi a manifestare a tutte le genti "la multiforme sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore" (Ef 3,10-11).
È stato più volte rilevato che lo stesso Luca ha scritto il Vangelo dell’infanzia di Gesù (i primi due capitoli del Terzo Vangelo), documento fondamentale sulla Parola che si è fatta carne, e il Vangelo dell’infanzia della Chiesa (Atti degli apostoli), puntuale resoconto della crescita e della diffusione della Parola (cf. At 6, 7): da Gerusalemme alla Giudea, a Samaria, fino ai confini della terra.
E sembra che Luca abbia istituito un significativo parallelismo tra gli episodi dell’Annunciazione-Visitazione (Terzo Vangelo) e quelli della Pentecoste-Diffusione della Parola (Libro degli Atti). La Parola-Spirito, ricevuta dapprima nell’intimità — da Maria nella casa di Nazareth, dalla comunità apostolica "nel piano superiore" (cf. At 1,13) di una casa gerosolimitana —, deve essere poi, per la forza dello Spirito, proclamata ben oltre le mura domestiche: a tutte le generazioni, senza limiti né di tempo né di spazio.
Da una parte Maria, nella quale è disceso lo Spirito Santo, energia dell’Altissimo (cf. Lc 1, 35), sente la necessità di proclamare le "grandi cose" che ha fatto in lei l’Onnipotente: lascia quindi la casa di Nazareth e si reca nella montagna, in una città della Giudea (cf. Lc 1, 39); dall’altra gli apostoli, sui quali nel giorno della Pentecoste è discesa l’"energia dell’alto" (Lc 24, 49) e sono stati "tutti pieni di Spirito Santo", cominciano a parlare in altre lingue (cf. At 2, 4), davanti a "Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo" (At 2, 5 ): lasciano cioè il loro ritiro e, corroborati dallo Spirito, annunciano con franchezza l’opera della salvezza compiuta da Dio nella morte-risurrezione di Cristo (cf. At 2, 14-39; 4, 31).51
Maria e la Chiesa sono al servizio della Parola. Per l’una e per l’altra "è cosa gloriosa rivelare le opere di Dio" (Tb 12, 11). Ma, anche in questo campo, la Vergine Madre Maria ha preceduto la Vergine Madre Chiesa: la fede, la docilità allo Spirito, la gratitudine e il coraggio, la sollecitudine premurosa della prima saranno ‘atteggiamenti esemplari’ per la seconda, impegnata fino alla fine dei tempi a manifestare a tutte le genti "la multiforme sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore" (Ef 3,10-11).
* * *
49.
Alla luce dei rapporti che intercorrono tra la missione della Vergine e
l’annuncio della Parola non è difficile, fratelli e sorelle, stabilire alcune
conclusioni di indole pastorale:
— non è possible estraniare la pietà mariana
dall’impegno missionario. Una illuminata pietà verso santa Maria ci deve rendere
sensibili ai gravi ed urgenti problemi dell’annuncio della Parola; ci deve
spingere ad assumere, nei confronti della Parola, lo stesso atteggiamento di
Maria di Nazareth: l’accoglimento pieno di fede, che non si risolve tuttavia in
un possesso intimistico, ma si prolunga in proclamazione piena di zelo;
— è necessario che le espressioni della nostra pietà
mariana siano impregnate, più di quanto non lo siano ora, delle tematiche
proprie della missione evangelizzatrice della Chiesa;
— è da valorizzare il metodo missionario che nel
passato ha dato eccellenti risultati: mettere in luce, fin dal primo annuncio
della fede, il posto singolare di Maria nella storia della salvezza;
— è necessario che nell’azione evangelizzatrice
venga ripetuto da noi l’atteggiamento della Chiesa in ogni sua opera apostolica:
guardare alla Vergine che "nella sua vita fu modello di quell’amore materno, del
quale devono essere animati tutti quelli, che nella missione apostolica della
Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini".52
Fedeltà alla riforma liturgica
50.
Il nostro Capitolo generale si avvia alla sua conclusione mentre la Chiesa si
appresta a commemorare il ventesimo anniversario della Costituzione Sacrosanctum
Concilium, promulgata il 4 dicembre 1963. Quel documento ha avuto conseguenze di
immensa portata nella vita della Chiesa cattolica di rito latino: da esso
discende la riforma liturgica post-conciliare che è da ritenersi uno dei più
grandi avvenimenti ecclesiali del secolo XX. L’Ordine nostro ha vissuto
intensamente la riforma liturgica: con gioia, con speranza, con tensione.
Il nostro riferimento alla Costituzione liturgica non è tuttavia commemorativo. Ci riferiamo ad essa perché riteniamo che i suoi principi siano validi ed efficaci: spesso attendono solo di essere attuati; perché essa ha consentito il rinnovamento della nostra liturgia e della nostra pietà mariana; perché il denso art. 103 ha lasciato una traccia significativa nel cap. I delle nostre Costituzioni;53 perché è impossibile fare un discorso sulla pietà mariana senza inquadrarlo nel più ampio discorso liturgico.
Il nostro riferimento alla Costituzione liturgica non è tuttavia commemorativo. Ci riferiamo ad essa perché riteniamo che i suoi principi siano validi ed efficaci: spesso attendono solo di essere attuati; perché essa ha consentito il rinnovamento della nostra liturgia e della nostra pietà mariana; perché il denso art. 103 ha lasciato una traccia significativa nel cap. I delle nostre Costituzioni;53 perché è impossibile fare un discorso sulla pietà mariana senza inquadrarlo nel più ampio discorso liturgico.
51.
Ma prima di iniziare la riflessione sui rapporti tra la pietà mariana e la
liturgia, ci sembra di dover fare un cenno alla religiosità popolare. Essa è
stata talvolta disprezzata e fatta oggetto di gravi riserve: veniva indicata, ad
esempio, come uno dei ‘luoghi’ in cui facilmente si produce una pericolosa
frattura tra religione e fede.
Negli Anni Settanta la religiosità popolare è stata fatta oggetto di numerosi studi e di essa hanno trattato varie Conferenze episcopali e gli stessi Vescovi di Roma. Da questo complesso di studi e di interventi è derivato un consenso notevole sulla nozione di pietà popolare e sui suoi valori: "Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fìno all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione".54 Ma la pietà popolare presenta pure limiti e rischi: "È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni cultuali senza impegnare una autentica adesione di fede".55
Negli Anni Settanta la religiosità popolare è stata fatta oggetto di numerosi studi e di essa hanno trattato varie Conferenze episcopali e gli stessi Vescovi di Roma. Da questo complesso di studi e di interventi è derivato un consenso notevole sulla nozione di pietà popolare e sui suoi valori: "Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fìno all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione".54 Ma la pietà popolare presenta pure limiti e rischi: "È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni cultuali senza impegnare una autentica adesione di fede".55
52.
Nell’ambito della pietà popolare, i fedeli intuiscono facilmente il legame che
intercorre tra Cristo e Maria; con semplicità venerano la Madonna come
l’immacolata Madre di Dio; con gioia la riconoscono Madre degli uomini e vivono
il loro rapporto con lei in termini di affettuosa relazione materno-filiale;
comprendono vitalmente il significato della povertà di Maria e del suo dolore;
da lei apprendono pazienza e mitezza, ma sanno che Maria nella sua vita fu una
donna forte, che non stava dalla parte dei potenti; sanno pure che la Madre di
Gesù è buona e che vive in cielo presso il suo Figlio, quindi ricorrono
fiduciosi alla sua intercessione ed implorano il suo aiuto; amano celebrare le
sue feste, recarsi in pellegrinaggio ai suoi santuari, cantare in suo onore.
53.
Spesso noi religiosi veniamo a contatto con culture diverse da quelle del nostro
paese d’origine. Quando ciò avvenga, dinanzi alla pietà mariana popolare è
necessario assumere un atteggiamento di rispetto e di stima: lo esige la
‘cultura’ del popolo in cui essa si radica.
Occorre poi conoscere le radici culturali su cui poggia l’immagine ‘popolare’ — cioè di quel determinato popolo — di Maria e le espressioni cultuali in cui si manifesta. Solo così si possono mettere in luce i valori della pietà mariana popolare e compiere quella operazione di ‘purificazione’ che tutti reclamano, ma che spesso non si compie o si attua in modo errato: rifiutando tutto con la conseguenza di disorientare gli animi e di mortificare la cultura di un popolo.
Nel campo specifico della pietà mariana più che opporre alla pietà popolare la liturgia dobbiamo favorirne la mutua e feconda compenetrazione. Così, da una parte, la liturgia potrà incanalare con lucidità e prudenza la vitalità e i valori della religiosità popolare; dall’altra, la religione del popolo, con la sua grande ricchezza simbolica ed espressiva, potrà fornire alla liturgia spunti e materiali per il suo impegno creativo.56
Occorre poi conoscere le radici culturali su cui poggia l’immagine ‘popolare’ — cioè di quel determinato popolo — di Maria e le espressioni cultuali in cui si manifesta. Solo così si possono mettere in luce i valori della pietà mariana popolare e compiere quella operazione di ‘purificazione’ che tutti reclamano, ma che spesso non si compie o si attua in modo errato: rifiutando tutto con la conseguenza di disorientare gli animi e di mortificare la cultura di un popolo.
Nel campo specifico della pietà mariana più che opporre alla pietà popolare la liturgia dobbiamo favorirne la mutua e feconda compenetrazione. Così, da una parte, la liturgia potrà incanalare con lucidità e prudenza la vitalità e i valori della religiosità popolare; dall’altra, la religione del popolo, con la sua grande ricchezza simbolica ed espressiva, potrà fornire alla liturgia spunti e materiali per il suo impegno creativo.56
54.
Strettamente collegato con il discorso sulla pietà mariana popolare, se pur non
del tutto coincidente, è quello sui pii esercizi mariani: esistono infatti pii
esercizi, per così dire, eruditi, che non hanno radici popolari.
Quasi dieci anni fa la Sede Apostolica rivolgeva ai religiosi un preciso invito a rinnovare gli esercizi di pietà mariana: "è compito delle Conferenze episcopali, dei responsabili delle comunità locali, delle varie Famiglie religiose, restaurare sapientemente pratiche ed esercizi di venerazione verso la beata Vergine e assecondare l’impulso creativo di quanti, per genuina ispirazione religiosa o per sensibilità pastorale, desiderano dare vita a nuove forme".57 Oltre all’invito, furono offerti orientamenti, criteri, principi atti a ridare vigore a quei pii esercizi.58
Ci sembra quindi doveroso chiederci: come è stato accolto quell’invito? Che cosa è stato fatto? Non abbiamo elementi sufficienti per dare una risposta adeguata. Certamente alcuni Istituti hanno rinnovato con sapienza le espressioni della propria pietà mariana; si ha tuttavia l’impressione che nella maggior parte di essi ciò non sia avvenuto. Ma l’invito è sempre là, vivo, senza scadenze, pronto per essere accolto in ogni momento.
Non possiamo addentrarci nella problematica della non facile convivenza tra pii esercizi e azioni liturgiche. Ci limiteremo ad alcune osservazioni:
Quasi dieci anni fa la Sede Apostolica rivolgeva ai religiosi un preciso invito a rinnovare gli esercizi di pietà mariana: "è compito delle Conferenze episcopali, dei responsabili delle comunità locali, delle varie Famiglie religiose, restaurare sapientemente pratiche ed esercizi di venerazione verso la beata Vergine e assecondare l’impulso creativo di quanti, per genuina ispirazione religiosa o per sensibilità pastorale, desiderano dare vita a nuove forme".57 Oltre all’invito, furono offerti orientamenti, criteri, principi atti a ridare vigore a quei pii esercizi.58
Ci sembra quindi doveroso chiederci: come è stato accolto quell’invito? Che cosa è stato fatto? Non abbiamo elementi sufficienti per dare una risposta adeguata. Certamente alcuni Istituti hanno rinnovato con sapienza le espressioni della propria pietà mariana; si ha tuttavia l’impressione che nella maggior parte di essi ciò non sia avvenuto. Ma l’invito è sempre là, vivo, senza scadenze, pronto per essere accolto in ogni momento.
Non possiamo addentrarci nella problematica della non facile convivenza tra pii esercizi e azioni liturgiche. Ci limiteremo ad alcune osservazioni:
— riteniamo che non sia penetrata sufficientemente
nella nostra prassi cultuale la norma conciliare secondo cui i pii esercizi,
"tenendo conto dei tempi liturgici, siano ordinati in modo da essere in armonia
con la sacra liturgia, da essa traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa,
data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano".59A
questa norma, rispondono sempre i nostri ‘pii esercizi mariani’? Sono
introduzione o eco o prolungamento delle azioni liturgiche? Purtroppo si ha
l’impressione che spesso prosperino ai margini della liturgia;
— a nostro parere l’avvenire dei pii esercizi
mariani dipende in gran parte dalla loro qualità e dalla loro capacità di
operare un sano recupero di forme valide del passato e, ancor più, di rispondere
alle istanze che via via emergono nella vita ecclesiale;
— la distinzione, pur legittima, tra religiosità
popolare e liturgia non deve portare ad escludere praticamente la nota
‘popolare’ dalla liturgia facendo di quest’ultima, più o meno inconsciamente,
un’espressione cultuale elitaria. Ciò sarebbe contrario all’intima natura della
liturgia, la quale deve essere essa stessa ‘popolare’, cioè propria dell’intero
popolo di Dio e adatta a tutte le sue componenti.
55.
Venendo ora a trattare più direttamente di ‘liturgia e pietà mariana’ ci pare
necessario ricordare, anzitutto a noi stessi, che la liturgia è il luogo
naturale e più appropriato per la venerazione alla Madre del Signore. Le
celebrazioni liturgiche sono esse stesse, in molte occasioni e sotto molti
aspetti, memoria cultuale della Benedetta fra le donne.
a. Nel culto alla beata Trinità. Nella
celebrazione dei divini misteri, la venerazione alla beata Vergine confluisce e
quasi si annulla nel culto che rendiamo al Padre al Figlio e allo Spirito, anzi
là alle nostre voci impure si associa la voce pura di santa Mar¹a per
glorificare con noi la gloriosa Trinità.
b. Nella celebrazione del mistero pasquale. Nel
compiersi dell’azione liturgica, la pietà mariana si immerge nella celebrazione
del mistero pasquale e si pone in attesa del dono dello Spirito, perché ogni
genuina celebrazione liturgica è — in vario modo e in misura varia —
attualizzazione della Pasqua del Signore ed effusione di grazia dello Spirito.
c. Nella memoria rituale della storia della
salvezza. Nella liturgia, la pietà mariana trova la sua inquadratura più felice:
la storia della salvezza, condensata e vissuta dalla Chiesa nel segno dell’Anno
liturgico. Così, nella celebrazione annuale del mistero di Cristo — dall’Avvento
alla Parusia — la memoria di santa Maria ritorna ora come annuncio profetico in
parole figure fatti dell’Antico Testamento, ora come presenza attiva della Madre
accanto al Figlio in avvenimenti di immensa portata salvifica — l’Incarnazione-Natale-Epifania,
la Pasqua-Pentecoste —, ora come proiezione dinamica verso le realtà ultime, che
in lei già si sono compiute.
d. Nell’ascolto della Parola. Nella liturgia, la
pietà mariana incontra la divina Parola. La celebrazione del Mistero, per la
presenza dello Spirito, è lo spazio privilegiato per la proclamazione e
l’interpretazione dei testi biblici riguardanti Maria di Nazareth. Così ogni
anno, poiché nel tessuto biblico una parola richiama tutte le altre e nel ritmo
ciclico l’interpretazione antica si congiunge con l’intuizione nuova, sul
frammento — Maria — viene proiettata la luce della Totalità.
e. Nella Comunione dei Santi. Nella liturgia,
Maria non è celebrata isolatamente ma nella Comunione dei Santi; là, essa appare
in collegamento vitale con i suoi progenitori, con i martiri, le vergini e gli
innumerevoli discepoli che lungo i secoli hanno reso testimonianza a Cristo. In
questo ambito, la Vergine appare via via figlia di Adamo, sorella nostra, madre
dei discepoli; la sua figura acquista giuste proporzioni, la sua missione
risulta sottolineata in ciò che ha di unico e di esclusivo, il suo rapporto con
la Chiesa viene enunciato con varietà di aspetti. Diremo di più: tutto il cosmo
è collegato a Cristo, tutto da lui proviene (cf. Gv 1, 2; Col 1, 16), da lui e
in lui è stato salvato, a lui deve essere ricondotto perché egli lo offra al
Padre (cf. 1 Cor 15, 23-28). Per la liturgia, Maria è il frammento del cosmo,
che lo Spirito ha già riportato compiutamente a Cristo: ella è definitivamente
inserita in Cristo, "primogenito di ogni creatura" (Col 1, 15), ed è collegata
con il resto della creazione, che lo Spirito va riconducendo a Cristo, proprio
attraverso la celebrazione del Mistero.
f. Nell’attesa della Parusia. Nella celebrazione
dei santi misteri la pietà mariana acquista una dimensione essenziale alla
liturgia: quella escatologica. La liturgia infatti è proiezione incoercibile
verso le ‘realtà ultime’; è attesa vigile del Signore che è venuto, viene e
verrà; in essa risuona con ritmo frequente l’implorazione ultima della
Rivelazione: "Vieni, Signore Gesù" (Ap 22, 20). Considerata nella prospettiva
escatologica, la Vergine appare come santa Maria del triplice Avvento: attese
infatti la venuta del Messia — pienezza dei tempi, che in lei coincise con il
tempo del parto (nascita di Cristo) —; attese la venuta dello Spirito, che si
compì nell’avvento pentecostale (nascita della Chiesa); attese la venuta
gloriosa di Cristo, che per lei si attuò nell’assunzione in cielo del suo corpo
e della sua anima verginali (nascita di Maria alla vita celeste).
56.
Alla luce della straordinaria capacità della liturgia di collocare in un quadro
efficace e significativo le espressioni di venerazione a santa Maria, si
comprende l’esortazione conciliare a promuovere "il culto, specialmente
liturgico, verso la beata Vergine";60
e, per converso, non si comprende la disattenzione verso la liturgia di molti
operatori pastorali, che pur intendono favorire la pietà mariana. A questo
proposito desideriamo, fratelli e sorelle, manifestarvi fino in fondo il nostro
pensiero: l’attuale risveglio nella pietà mariana potrebbe risultare anomalo se
ignorasse o trascurasse la matrice liturgica.
Vogliamo ora esprimere la nostra adesione a due proposte avanzate da alcuni vescovi e da vari studiosi:
Vogliamo ora esprimere la nostra adesione a due proposte avanzate da alcuni vescovi e da vari studiosi:
— che in modo discreto e sapiente sia esplicitato
nella liturgia romana del Triduo pasquale un elemento che le è intrinseco: la
partecipazione della Madre alla passione del Figlio.61
Ciò è conforme alla natura intima della liturgia, che è celebrazione degli
eventi salvifici nella loro totalità; è conforme alla narrazione evangelica (cf.
Gv 19, 25-27), che è intesa da molti esegeti come un enunciato biblico, in senso
proprio, della maternità spirituale di Maria; è consono alla tradizione
liturgica se, al riguardo, si tengono presenti le rispettive celebrazioni del
Rito bizantino e di altri Riti orientali;62
è rispondente, infine, alle attese dei fedeli. Non accogliere questo desiderio
potrebbe condurre ad accentuare il distacco tra liturgia e pietà popolare là
dove, invece, si intravede possibile e legittimo un fecondo interscambio;
— che sia salvaguardato il carattere proprio dei
Cinquanta giorni pasquali. Nell’ordinamento liturgico quei giorni, compresi tra
due effusioni dello Spirito (cf. Gv 20, 19-23 e At 2, 1-12), sono tempo del
Paraclito: riverbero e prolungamento dei misteri celebrati nella Notte
sacratissima, contemplazione del Cristo risorto e della sua gloria alla destra
del Padre, memoria attualizzante dell’evento pentecostale. Nel tempo pasquale la
pietà mariana non deve essere occasione, neanche indiretta, per distogliere
l’attenzione dei fedeli da questi misteri salvifici. Deve, semmai, mostrare la
potenza della Pasqua di Cristo e il dono dello Spirito operanti in Maria.
D’altra parte è auspicabile che la liturgia pasquale, sul Filo conduttore del
dato biblico (cf. At 1, 14), sviluppi cultualmente il rapporto arcano esistente
tra lo Spirito, la Chiesa e Maria.63
57.
Con queste note non abbiamo certamente esaurito la trattazione dei complessi
rapporti tra ‘liturgia e pietà mariana’. Abbiamo solo voluto manifestare la
necessità di rimanere fedeli allo spirito della liturgia e ai principi della
riforma promossa dal Concilio Vaticano II. E proprio per fedeltà alla riforma
liturgica, che ne ha sottolineato la funzione,64
vogliamo fare un cenno al valore del ‘silenzio’ nelle manifestazioni della pietà
mariana, siano esse liturgiche o extraliturgiche. A questo cenno ci sollecitano
la fisionomia spirituale della Vergine, la natura autentica della liturgia, lo
stile genuino della vita religiosa.
58.
Lo stile della Vergine. Siamo persuasi che le manifestazioni di pietà verso
santa Maria debbano avere, per così dire, lo stile stesso della Vergine: stile
fatto di ascolto, di silenzio, di riflessione sapienziale.
I Padri della Chiesa amavano dire che dall’infinito silenzio di Dio è stata generata la Parola eterna; e che pure dal silenzio del cuore della Vergine è scaturita la parola — fiat —, premessa umana all’incarnazione del Verbo.
La duplice notazione lucana sul silenzio riflessivo di Maria (cf. Lc 2, 19. 51b), è stata oggetto di diligente studio da parte degli esegeti contemporanei e di amorosa attenzione da parte di uomini spirituali di tutti i tempi.65 Essa apre profondi spiragli sulla vita interiore della Vergine: nel suo silenzio, Maria appare quale donna sapiente che ricorda e attualizza, interpreta e confronta, alla luce dell’evento pasquale, parole e fatti avvenuti nella nascita e nell’infanzia del Figlio; che si interroga sul significato di parole oscure, sulle quali si proietta l’ombra della croce (cf. Lc 2, 34-35; 48-50), e accoglie i silenzi di Dio con il suo silenzio adorante.
Nel silenzio, il cuore della Vergine appare quale arca, in cui si conserva la ‘memoria’ degli interventi di Dio nella storia di Israele; quale luogo in cui, richiamati dalla riflessione, confluiscono i tempi di ‘prima’ — di Adamo, di Abramo, di Davide — e da cui si diparte il tempo di ‘dopo’ — di Cristo e della Chiesa — ; quale terra, in cui è stato seminato il buon seme che porterà frutti abbondanti; quale scrigno, dove sono custodite parole di cui lo Spirito darà progressivamente alla Vergine stessa e alla Chiesa l’intelligenza piena e dove è depositata la legge del Signore, luce e norma di vita.
I Padri della Chiesa amavano dire che dall’infinito silenzio di Dio è stata generata la Parola eterna; e che pure dal silenzio del cuore della Vergine è scaturita la parola — fiat —, premessa umana all’incarnazione del Verbo.
La duplice notazione lucana sul silenzio riflessivo di Maria (cf. Lc 2, 19. 51b), è stata oggetto di diligente studio da parte degli esegeti contemporanei e di amorosa attenzione da parte di uomini spirituali di tutti i tempi.65 Essa apre profondi spiragli sulla vita interiore della Vergine: nel suo silenzio, Maria appare quale donna sapiente che ricorda e attualizza, interpreta e confronta, alla luce dell’evento pasquale, parole e fatti avvenuti nella nascita e nell’infanzia del Figlio; che si interroga sul significato di parole oscure, sulle quali si proietta l’ombra della croce (cf. Lc 2, 34-35; 48-50), e accoglie i silenzi di Dio con il suo silenzio adorante.
Nel silenzio, il cuore della Vergine appare quale arca, in cui si conserva la ‘memoria’ degli interventi di Dio nella storia di Israele; quale luogo in cui, richiamati dalla riflessione, confluiscono i tempi di ‘prima’ — di Adamo, di Abramo, di Davide — e da cui si diparte il tempo di ‘dopo’ — di Cristo e della Chiesa — ; quale terra, in cui è stato seminato il buon seme che porterà frutti abbondanti; quale scrigno, dove sono custodite parole di cui lo Spirito darà progressivamente alla Vergine stessa e alla Chiesa l’intelligenza piena e dove è depositata la legge del Signore, luce e norma di vita.
59.
I1 valore esemplare dell’atteggiamento riflessivo della Vergine in ordine al
compito ecclesiale della penetrazione della Parola è già stato efficacemente
messo in luce: Maria, "‘Madre muta del Verbo silente’[...] prefigurava quel
lungo lavorio di memoria e di intensa ruminazione che costituisce l’anima della
Tradizione della Chiesa".66
Ma tale valore esemplare possiamo estenderlo alla celebrazione dei divini
misteri: là, la Chiesa proclama la Parola di Dio, che solo nell’attento ascolto
e nella riflessione penetrante può essere vitalmente compresa; là, essa celebra
sotto il velo dei santi segni gli avvenimenti della nostra salvezza: un velo che
solo si dischiude se la mente si apre al Mistero, se la volontà si uniforma al
disegno di Dio, se la voce concorda con il cuore.67
60.
Nella liturgia il silenzio non è espressione di inerzia, ma è elemento
strutturale della celebrazione: favorisce il raccoglimento da cui germoglia la
preghiera personale; consente che l’orazione di colui che presiede diventi con
verità e autenticità preghiera di tutta l’assemblea; facilita l’assimilazione
della Parola proclamata e l’ascolto della voce dello Spirito; è ambito sacro che
immette nell’adorazione e nella lode di Dio: "Tibi silentium laus", secondo un
motto di derivazione biblica.68
Ma vi è di più: la celebrazione liturgica è celebrazione "in Spirito", ed il silenzio — segno biblico e liturgico del Paraclito69 — è anche via alla comunione con lo Spirito agente nei divini misteri e, attraverso di lui, alla comunione con i partecipanti all’assemblea cultuale.
Ma vi è di più: la celebrazione liturgica è celebrazione "in Spirito", ed il silenzio — segno biblico e liturgico del Paraclito69 — è anche via alla comunione con lo Spirito agente nei divini misteri e, attraverso di lui, alla comunione con i partecipanti all’assemblea cultuale.
61.
Il silenzio è stato sempre ritenuto una componente qualificante della vita
monastico-religiosa, un mezzo particolarmente effìcace per progredire nella via
dell’identificazione con Cristo. Non vi è regola monastica o testo
costituzionale che non faccia riferimento all’importanza del silenzio. Se nei
testi legislativi leggiamo, ad esempio: "... dobbiamo cercare nel silenzio della
cella un mezzo per conoscerci, liberarci dall’egoismo e acquistare quell’atteggiamento
di amore a Dio e alle creature, che costituisce il termine del nostro cammino
religioso",70
l’odierno magistero della Chiesa afferma nondimeno: "la ricerca dell’intimità
con Dio comporta il bisogno, veramente vitale, di un silenzio di tutto l’essere,
sia per coloro che devono trovare Dio anche in mezzo al frastuono, sia per i
contemplativi".71
Il silenzio dunque, che mai deve abbandonare il religioso nello svolgimento
delle sue varie attività, deve a maggior ragione avvolgerlo quando partecipa
alla sacra liturgia.
62.
Da questa convergenza di indicazioni possiamo trarre una duplice conclusione:
— la Vergine del silenzio e dell’ascolto costituisce
un invito a interiorizzare la Parola e a celebrare la liturgia penetrandone il
Mistero;
— noi, religiosi e religiose, siamo chiamati ad
imprimere alle nostre celebrazioni mariane un tono e uno stile che favoriscano
il silenzio riflessivo; ad avvolgerle, per così dire, di quel santo segno del
silenzio, che rende intimo il Trascendente, udibile il gemito dello Spirito,
sperimentabile la presenza della Parola.
La via della bellezza
63.
Discorrendo sui modi con cui noi religiosi possiamo concorrere alla promozione,
qualitativa più che quantitativa, del culto alla Vergine, non ci è difficile
indicarne uno, non nuovo tuttavia, ché anzi appartiene alla nostra ‘eredità
familiare’:
— fare della pietà mariana uno spazio santo e
un’occasione propizia per la contemplazione della Bellezza increata — Dio —, del
suo splendore divino-umano — Cristo —, dell’opera precipua dello Spirito di
Bellezza — la Vergine Maria —;
— fare della pietà mariana un luogo propizio per il
festoso incontro di tutte le espressioni della creazione artistica.
64.
Dio, il Santo e il Vivente, è la Bellezza suprema. La sua parola è poetica, cioè
creatrice: dal nulla trae l’essere, dal caos l’armonia, dalla tenebra la luce;
le opere delle sue mani sono ‘belle-buone’, secondo il senso pregnante del
termine usato nel racconto biblico della creazione (cf. Gn 1, 9. 12. 25. 31);72
e, quando attraverso il suo Santo Spirito parla agli uomini con il linguaggio
degli uomini, la sua parola è essa stessa altissima poesia e riveste spesso le
più smaglianti forme letterarie.
Vorremmo sostare, fratelli e sorelle, nella contemplazione della bellezza di Cristo, ma dobbiamo abbreviare la nostra riflessione. Ci limiteremo a contemplarne la bellezza nel suo essere, che è irradiazione della gloria del Padre e impronta della sua sostanza (cf. Eb 1, 3 ), e nello splendore della luce che lo avvolge (cf. Mc 9, 2-3); a ricordare, sulla scorta dei Santi Padri, che a Cristo va riferito l’elogio reso alla Sapienza "più bella del sole" (Sap 7, 29), "riflesso della luce perenne, specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà" (ibid., 26); la lode delle fattezze dell’Amato, per cui la Sposa esclama: "Come sei bello, mio diletto" (Ct 1, 16); la celebrazione delle sembianze del Re messianico: "Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per sempre" (Sal 44 [45], 3).
Vorremmo sostare, fratelli e sorelle, nella contemplazione della bellezza di Cristo, ma dobbiamo abbreviare la nostra riflessione. Ci limiteremo a contemplarne la bellezza nel suo essere, che è irradiazione della gloria del Padre e impronta della sua sostanza (cf. Eb 1, 3 ), e nello splendore della luce che lo avvolge (cf. Mc 9, 2-3); a ricordare, sulla scorta dei Santi Padri, che a Cristo va riferito l’elogio reso alla Sapienza "più bella del sole" (Sap 7, 29), "riflesso della luce perenne, specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà" (ibid., 26); la lode delle fattezze dell’Amato, per cui la Sposa esclama: "Come sei bello, mio diletto" (Ct 1, 16); la celebrazione delle sembianze del Re messianico: "Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per sempre" (Sal 44 [45], 3).
65.
Si sa: dinanzi alla bellezza superna che rifulge nella Vergine, il credente è
preso dallo stupore: "Come cantare le tue lodi, santa Vergine Maria?",
s’interroga la liturgia.73
Non senza commozione ogni anno, nell’ufficiatura del Giovedì Santo, rileggiamo un antichissimo testo — l’Omelia pasquale di Melitone di Sardi († 190 ca.) —, in cui Maria è chiamata "la bella agnella".74
Non senza commozione ogni anno, nell’ufficiatura del Giovedì Santo, rileggiamo un antichissimo testo — l’Omelia pasquale di Melitone di Sardi († 190 ca.) —, in cui Maria è chiamata "la bella agnella".74
E con gioia consideriamo come i fratelli d’Oriente,
cosìsensibili al mistero della bellezza, chiamino la Spirito Santo l’Iconografo
divino e ritengano che l’’icone’ capolavoro di Dio sia la gloriosa Theotokos:
"Volendo creare un’immagine della bellezza assoluta — scrive Gregorio Palamas (†
1359) — e manifestare chiaramente agli angeli e agli uomini la potenza della sua
arte, Dio ha fatto veramente Maria tutta bella. Egli ha riunito in lei le
bellezze particolari distribuite alle altre creature e l’ha costituita come
comune ornamento di tutti gli esseri visibili e invisibilí".75
E venendo ai tempi nostri, alla Chiesa latina, possiamo ascoltare la voce di un Vescovo di Roma, Paolo VI († 1978); egli che, come è noto, invitò i cultori di mariologia a non trascurare la ‘via della bellezza’,76 vedeva in Maria "un capolavoro di bellezza umana, non ricercata nel solo modello formale, ma realizzata nell’intrinseca ed incomparabile capacità di esprimere lo Spirito nella carne, la sembianza divina nel volto umano, la Bellezza invisibile nella figura corporea".77
E venendo ai tempi nostri, alla Chiesa latina, possiamo ascoltare la voce di un Vescovo di Roma, Paolo VI († 1978); egli che, come è noto, invitò i cultori di mariologia a non trascurare la ‘via della bellezza’,76 vedeva in Maria "un capolavoro di bellezza umana, non ricercata nel solo modello formale, ma realizzata nell’intrinseca ed incomparabile capacità di esprimere lo Spirito nella carne, la sembianza divina nel volto umano, la Bellezza invisibile nella figura corporea".77
66.
A questo punto, per completare la nostra riflessione, ci sembra di dover
aggiungere alcune osservazioni.
Anzitutto è necessario fugare ogni perplessità sulla natura della via pulchritudinis: essa non consiste in un esercizio intellettuale e non è un cammino riservato agli spiriti raffinati.
La ‘via della bellezza’ è via di severo impegno ascetico: Filocalìa, cioè "amore alla bellezza", s’intitola significativamente uno dei libri di ascesi più diffusi nell’Oriente cristiano.
La scoperta e la fruizione della bellezza suppongono la vittoria in noi, conseguita spesso faticosamente, della verità sulla menzogna, della bontà sulla cattiveria, dell’amore sull’odio; implicano il superamento delle divisioni e delle lacerazioni perché nel nostro intimo si faccia unità e armonia.
La bellezza è splendore della bontà e della verità. Perciò Maria è bella: è bella allorché con cuore umile (bonitas) e con parola vera (veritas) accoglie la volontà di Dio e si lascia possedere dallo Spirito di pace; quando nel suo grembo verginale si ricompone l’unità tra Dio e l’uomo, la terra e il cielo; quando con la sua semplicità e la sua umiltà cancella un’antica doppiezza e una folle superbia.
Maria è bella perché lo Spirito l’ha sottratta al dominio del peccato: il titolo di Tuttasanta, tipico della Tradizione orientale, e quello di Tota pulchra, caratteristico della liturgia romana, designano la stessa realtà ed hanno la stessa motivazione: in Maria non vi è macchia di peccato.78
La ‘via della bellezza’ è cammino di illuminazione e sforzo di trasparenza; è lotta contro il peccato nel quale i Santi Padri e la liturgia vedono la somma bruttura; è progressiva liberazione dal male e crescente immissione nella verità e santità di Dio: per tutto ciò la ‘via della bellezza’ si configura come ‘via di salvezza’.
Anzitutto è necessario fugare ogni perplessità sulla natura della via pulchritudinis: essa non consiste in un esercizio intellettuale e non è un cammino riservato agli spiriti raffinati.
La ‘via della bellezza’ è via di severo impegno ascetico: Filocalìa, cioè "amore alla bellezza", s’intitola significativamente uno dei libri di ascesi più diffusi nell’Oriente cristiano.
La scoperta e la fruizione della bellezza suppongono la vittoria in noi, conseguita spesso faticosamente, della verità sulla menzogna, della bontà sulla cattiveria, dell’amore sull’odio; implicano il superamento delle divisioni e delle lacerazioni perché nel nostro intimo si faccia unità e armonia.
La bellezza è splendore della bontà e della verità. Perciò Maria è bella: è bella allorché con cuore umile (bonitas) e con parola vera (veritas) accoglie la volontà di Dio e si lascia possedere dallo Spirito di pace; quando nel suo grembo verginale si ricompone l’unità tra Dio e l’uomo, la terra e il cielo; quando con la sua semplicità e la sua umiltà cancella un’antica doppiezza e una folle superbia.
Maria è bella perché lo Spirito l’ha sottratta al dominio del peccato: il titolo di Tuttasanta, tipico della Tradizione orientale, e quello di Tota pulchra, caratteristico della liturgia romana, designano la stessa realtà ed hanno la stessa motivazione: in Maria non vi è macchia di peccato.78
La ‘via della bellezza’ è cammino di illuminazione e sforzo di trasparenza; è lotta contro il peccato nel quale i Santi Padri e la liturgia vedono la somma bruttura; è progressiva liberazione dal male e crescente immissione nella verità e santità di Dio: per tutto ciò la ‘via della bellezza’ si configura come ‘via di salvezza’.
67.
Bisogna poi rilevare che la ‘via della bellezza’, restando aderente alla Parola,
consente di integrare in un’unica visione armonica la figura evangelica di Maria
con gli enunciati della fede che a lei si riferiscono.
Come Paolo discerne in Gesù, "nato da donna, nato sotto la legge" (Gal 4, 4), l’Uomo nuovo (cf. 1 Cor 15, 45) e il Signore della gloria (cf. 1 Cor 2, 8), così la Chiesa ha intuito in Maria di Nazareth, donna umile, la Donna nuova preparata da Dio per Cristo e per l’umanità. In Maria la ‘donna reale’ e la ‘donna ideale’ coincidono. Sorretto dalla fede, il credente contempla attuati in Maria i suoi più alti ideali religiosi e umani:
Come Paolo discerne in Gesù, "nato da donna, nato sotto la legge" (Gal 4, 4), l’Uomo nuovo (cf. 1 Cor 15, 45) e il Signore della gloria (cf. 1 Cor 2, 8), così la Chiesa ha intuito in Maria di Nazareth, donna umile, la Donna nuova preparata da Dio per Cristo e per l’umanità. In Maria la ‘donna reale’ e la ‘donna ideale’ coincidono. Sorretto dalla fede, il credente contempla attuati in Maria i suoi più alti ideali religiosi e umani:
— in lei, nella sua Concezione immacolata, vede
restituita l’umanita all’innocenza originaria e alla bellezza primigenia, e
compiuto il simbolo della ‘vergine terra’;
— in lei, nella sua fedeltà a Dio, scorge il vertice
spirituale di Israele, l’immagine dell’Alleanza non infranta;
— in lei, nella sua docilità allo Spirito, contempla
l’ideale del discepolo, vede la trama più pura del dialogo tra Dio e l’uomo, il
rapporto più armomco tra natura e grazia;
— in lei, nella sua maternità verginale, vede
realizzato l’ideale della Sposa fedele, della Vergine integra, della Madre
feconda; ammira divenuta reale l’aspirazione impossibile: l’unione dell’onore
della verginità con la gioia della maternità;79
e si stupisce di vedere attuato nel frutto di quella maternità l’altro prodigio:
Dio nell’uomo e l’uomo in Dio;
— in lei, nella sua pietà soccorrevole, vede colmata
l’attesa di ogni uomo ferito dal dolore o dal male: ritrovare l’abbraccio della
madre che lo accolga, lo comprenda, lo rigeneri;
— in lei, nella sua Assunzione gloriosa, contempla
avverata la sua aspirazione più intima: il superamento della morte nella vita; e
scorge il segno di una "speranza a tutti accessibile".80
68.
Questa ‘immagine’ della Vergine non è — come talvolta si legge — il risultato di
una oggettivazione inconscia delle aspirazioni profonde dell’uomo, né il frutto
di una cristianizzazione sistematica di miti pagani: è ‘icone’ disegnata dallo
Spirito per illustrare un dono di Dio agli uomini; è documento facilmente
intelligibile del modo con cui Dio, che ha fatto l’uomo a sua immagine (cf. Gn
1, 26-27), risponde ai bisogni del cuore umano; è, infine, trascrizione dei dati
della Sacra Scrittura con il linguaggio della fede e della poesia.
In questo campo dobbiamo guardarci, fratelli e sorelle, dalla finzione letteraria: essa, staccandosi dalla Parola, rimane sterile ed è ingannatrice. Ma, al seguito dei Santi Padri, dobbiamo apprezzare lo sguardo poetico che, sorretto dalla fede, si posa sulla Parola. Tale sguardo, intuitivo e penetrante, si trasforma in parola poetica, che rende udibili ai fratelli di fede vibrazioni nascoste nella Parola divina.
In questo campo dobbiamo guardarci, fratelli e sorelle, dalla finzione letteraria: essa, staccandosi dalla Parola, rimane sterile ed è ingannatrice. Ma, al seguito dei Santi Padri, dobbiamo apprezzare lo sguardo poetico che, sorretto dalla fede, si posa sulla Parola. Tale sguardo, intuitivo e penetrante, si trasforma in parola poetica, che rende udibili ai fratelli di fede vibrazioni nascoste nella Parola divina.
69.
Ci sembra importante rilevare ancora che l’‘immagine Maria’ non trattiene in sé
lo sguardo e la parola che le sono rivolte: li rinvia verso l’‘immagine Cristo’,
verso l’‘immagine Chiesa’, verso l’Artefice divino: — verso Cristo, la sola
compiuta "immagine del Dio invisibile" (Col 1, 15), la sola che realizza
l’armonia perfetta;
— verso la Chiesa, perché l’’immagine Maria’ è
anticipazione dell’’immagine Chiesa’, che Dio disegna e compie nel corso del
tempo salvifico. Così lo sguardo rivolto all’immagine di Maria, madre della
Luce, si prolunga in uno sguardo verso la "Donna vestita di sole" (cf. Ap 12,
1), la Chiesa, che genera le membra del Cristo totale; come pure lo sguardo
indirizzato a Maria, Vergine Sposa splendente di bellezza, continua nella
contemplazione della Gerusalemme celeste, la Chiesa che "scende da Dio, pronta
come una sposa adorna per il suo sposo" (Ap 21,2);
— verso l’Artefice divino, perché ogni discepolo del
Signore, abituato ad arguire dalla bellezza della creazione l’ineffabile
bellezza del Creatore, contemplando l’arcana bellezza di Maria, tanto più è
condotto a magnificare l’insondabile bellezza di Dio.
70.
Ci sembra che noi religiosi, per la tradizione di cui siamo portatori, dobbiamo
cooperare attivamente allo sforzo di rendere operative alcune esigenze della via
pulchritudinis:
— la rivalutazione del linguaggio simbolico e della
poetica biblica; l’educazione allo sguardo poetico e al gusto artistico; il
ricorso all’intuizione; la sollecita riconciliazione dell’Arte con la Fede: così
il ‘mistero del culto’ tornerà a fecondare le espressioni artistiche;
— l’eliminazione dai segni attraverso i quali
esprimiamo la nostra pietà mariana — il segno spazio, il segno parola, il segno
canto, i1 segno colore... — di tutto ciò che è brutto e oleografico, ripetitivo
e fittizio.
71.
Dicevamo, fratelli e sorelle, che la via della bellezza non è cammino riservato
agli specialisti: "è accessibile a tutti, anche alle anime semplici",81
soprattutto ai puri di cuore che colgono la bellezza "dei gigli del campo" e con
Gesù comprendono che "neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come
uno di loro" (Mt 6, 29); via, aggiungiamo, preferenziale per i religiosi, che s.
Agostino, al termine della sua Regola, chiama "innamorati della bellezza
spirituale".82
La ‘via della bellezza’ è, infine, una ‘via filiale’: i figli infatti, per consuetudine di vita e per disposizione di amore, scoprono nella propria madre tratti di profonda bellezza, che ad altri restano nascosti. Perciò, poiché con Gesù, "primogenito tra molti fratelli" (Rm 8, 29), chiamiamo Maria ‘madre’ — sia pure su un diverso piano di realtà —, ci sembra di poter fare nostre le parole che il b. Amedeo di Losanna († 1159) pone sulle labbra del Figlio in lode della Madre: ""Tu sei tutta bella, o madre mia, e in te non v’è macchia alcuna" (Ct 4, 7 ). Tu sei bella, le dice: bella nei pensieri, bella nelle parole, bella nelle azioni; bella dalla nascita fino alla morte; bella nella concezione verginale, bella nel parto divino, bella nella porpora della mia passione, bella soprattutto nello splendore della mia risurrezione".83
La ‘via della bellezza’ è, infine, una ‘via filiale’: i figli infatti, per consuetudine di vita e per disposizione di amore, scoprono nella propria madre tratti di profonda bellezza, che ad altri restano nascosti. Perciò, poiché con Gesù, "primogenito tra molti fratelli" (Rm 8, 29), chiamiamo Maria ‘madre’ — sia pure su un diverso piano di realtà —, ci sembra di poter fare nostre le parole che il b. Amedeo di Losanna († 1159) pone sulle labbra del Figlio in lode della Madre: ""Tu sei tutta bella, o madre mia, e in te non v’è macchia alcuna" (Ct 4, 7 ). Tu sei bella, le dice: bella nei pensieri, bella nelle parole, bella nelle azioni; bella dalla nascita fino alla morte; bella nella concezione verginale, bella nel parto divino, bella nella porpora della mia passione, bella soprattutto nello splendore della mia risurrezione".83
L’Opzione per i poveri
72.
Cristo è la nostra vera e suprema ricchezza, e somma miseria è per noi essere
senza Cristo. Dinanzi a lui e alle esigenze del Regno tutto diviene secondario:
padre e madre, moglie e figli, fratelli e sorelle, patrimonio e perfino la
propria vita (cf. Lc 14,26.33). Chi antepone anche uno solo di questi valori al
valore supremo — Cristo e il Regno — non può essere discepolo del Signore. E
poiché, di fatto, l’attaccamento ai beni di questo mondo indurisce il cuore
dell’uomo fino a chiuderlo nei confronti della persona stessa di Cristo (cf. Lc
18,18-27) e a renderlo insensibile alle necessità dei fratelli (cf. 1 Gv 3,17;
Gc 2,14-16; Lc 16,19-21), si comprende perché i Vangeli e le Lettere apostoliche
con tanta insistenza e con tanta energia mettano in guardia i discepoli dal
pericolo di porre le ricchezze al centro della propria vita. Perché quando ciò
avviene si incorre in una grave forma di idolatria: al posto di Dio, Amore che
si diffonde nei cuori (cf. Rm 5,5), si adora l’idolo dell’oro e dell’argento —
"disonesta ricchezza" (Lc 16,9) —, sterile e chiuso in tenebroso egoismo. E si
comprende perché l’Apostolo ammonisca: "L’attaccamento al denaro è la radice di
tutti i mali" (1 Tm 6,10).
73.
Gesù non ha condannato in se stessi i beni di questo mondo. Ma, in antitesi alle
forme di vita dominate dalla bramosia della ricchezze, egli scelse per sé una
vita segnata da una radicale povertà. Lo stesso evento dell’Incarnazione, per
l’assunzione da parte del Verbo della "condizione di servo" (Fil 2,7), si
configura come un mistero di povertà e di kenosis. Peraltro l’Apostolo scrivendo
ai Corinzi chiarisce il senso ultimo della povertà di Cristo: "conoscete la
grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per
voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8,9). Non
è necessario scrutare a lungo i Vangeli per scoprirvi la povertà di Cristo; essa
ci balza davanti agli occhi: nacque povero (cf. Lc 2,7), poveramente visse (cf.
Lc 9,58), poveramente morì (cf. Mc 15,24); dell’annuncio della Buona Novella ai
poveri fece il segno per riconoscere l’avvento del Regno messianico (cf. Lc
7,22); proclamò beati i poveri in spirito, dichiarando che di essi è il Regno
dei cieli (cf. Mt 5,3); volle che gli araldi del Regno non si procurassero né
oro, né argento, né moneta di rame, né bisaccia di viaggio (cf. Mt 10,9-10).
74.
Analogamente la Madre di Gesù, nella concretezza della sua vicenda evangelica,
ci appare come una donna povera, la cui vita fu contrassegnata da una duplice
povertà: povertà secondo le categorie sociologiche e povertà secondo le
categorie del Regno, in lei armonicamente coincidenti.
75.
La povertà sociologica di Maria si offre subito allo sguardo del lettore dei
Vangeli: Maria nasce povera nella disprezzata regione di Galilea — la semipagana
"Galilea delle genti" (Mt 4,15) —, a Nazareth, una borgata che non conta nulla
nella storia di Israele (cf. Gv 1,46; 7,52); è promessa sposa a Giuseppe, un
umile carpentiere (cf. Lc 1,27; Mt 13,55); dà alla luce il suo Figlio in una
grotta-stalla e lo depone "in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro
nell’albergo" (Lc 2,7); lo riscatta con l’offerta dei poveri (cf. Lc 2,24);
quando il Figlio è perseguitato dai potenti deve fuggire in un paese straniero,
dove conosce i disagi dell’esilio (cf. Mt 2,13); ritornata a Nazareth, vive
oscuramente, per molti anni, la vita dei poveri; durante la vita pubblica del
Figlio nulla modifica la sua condizione di semplice donna del popolo, aumenta
invece la sua partecipazione al mistero del "segno di contraddizione":
esperimenta l’ostilità dei concittadini nei confronti del Figlio: "lo cacciarono
fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte [...] per gettarlo
giù dal precipizio" (Lc 4,29); constata l’incomprensione degli stessi parenti:
"i suoi [...] uscirono a prenderlo, poiché dicevano: "È fuori di sé"" (Mc 3,21);
vive il dramma della morte del Figlio, crocifisso tra "due malfattori, uno a
destra e l’altro a sinistra" (Lc 23,33).
76.
Ma Maria spicca soprattutto per l’intensità con cui visse la spiritualità dei
‘poveri di Jahvé’. La Vergine "primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i
quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza":84
— donna lieta nel servizio del Signore (cf. Lc 1,
38.46-48), fedele nell’osservanza della legge (cf. Lc 2,22-24.27.39), docile
alla volontà di Dio (cf. Lc 1,38);
— donna premurosa verso Elisabetta nell’offrirle il
suo aiuto, nel rallegrarsi con lei per il dono della maternità, nel proclamare
la gratuità dei doni di Dio (cf. Lc 1, 39-56);
— donna beata per la sua fede (cf. Lc 1, 45),
benedetta per il frutto del suo grembo (cf. Lc 1, 42), esemplare per la fiducia
nell’adempimento delle promesse fatte ai Padri (cf. Lc 1, 55);
— donna del saluto santificante (cf. Lc 1, 40-41.
44), del canto riconoscente (cf. Lc 1, 46-55), della parola decisa (cf. Lc 1,
38; Gv 2, 5), del silenzio riflessivo (cf. Lc 2, 19. 51b);
— donna partecipe della sorte del suo popolo (cf. Lc
1, 54), solidale con gli umili di cuore — Simeone e Anna, i pastori e i saggi
venuti da lontano — e con gli oppressi (cf. Lc 1, 52-53; Mt 2, 16-18), attenta
alle necessità del prossimo (cf. Gv 2, 3) e sollecita verso la nuova comunità
dei discepoli di Gesù (cf. Gv 2, 1-12; At 1, 14);
— donna dal cuore umile, semplice, fidente in Dio (cf.
Lc 1, 48) che, avendo ricevuto misericordia, proclama la misericordia del
Signore e ne esalta la potenza liberatrice (cf. Lc 1, 51-53).
77.
Sappiamo che la credibilità delle Chiese locali e degli Istituti religiosi si
gioca in gran parte sulla genuinità della loro testimonianza di povertà
evangelica. Dal rendere tale testimonianza nessuno è dispensato: essa è
richiesta, sia pure in vario modo, a tutti i discepoli del Signore. E per quanto
riguarda noi religiosi sappiamo che "su questo punto i nostri contemporanei" ci
"interrogano con particolare insistenza".85
Dopo aver contemplato la figura evangelica di Maria, "donna povera", sentiamo che anche da essa ci giunge un pressante invito a compiere una chiara opzione in favore dei poveri e a porre in atto un serio sforzo per vivere una vita sobria, libera da possessi e da poteri, partecipe dei disagi di una effettiva povertà.
Per quanto concerne la pietà mariana, la nostra riflessione ci ha portati a concludere: il culto alla beata Vergine, se si vuole che non si perda nell’astrattezza o sia confinato in dimensioni puramente individuali, deve essere permeato dai contenuti del messaggio evangelico sulla povertà. Vogliamo dire: deve essere occasione per predicare a coloro che sono sociologicamente ricchi e a coloro che sono sociologicamente poveri l’unico evangelium paupertatis, cioè la subordinazione dei beni di questo mondo ai valori del Regno e la loro primordiale destinazione al servizio e alla promozione dell’uomo; deve essere momento cultuale per l’annuncio del messaggio del Magnificat e delle Beatitudini, per il rifiuto di ogni "compromesso con qualsiasi forma di ingiustizia sociale"86 e per la denuncia di ogni forma di oppressione dei poveri; ambito orante per sollevare i cuori sfiduciati verso Dio che "solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero" (Sal 112 [113], 7) e per ascoltare il "grido dei poveri" (Gb 34, 28) che si leva "più incalzante che mai [...] dalla loro indigenza personale e dalla loro miseria collettiva";87 deve essere ammonimento a non presentare certe situazioni sociali come espressione della ‘volontà di Dio’, quando sono soltanto effetto del peccato degli uomini.
In questo atteggiamento cultuale — di fiducia in Dio e di denuncia dell’ingiustizia — ci ha preceduti Maria di Nazareth. Il suo inno di ringraziamento non è certo un proclama di messianismo terreno né un grido di rivolta sociale, ma non è nemmeno una preghiera disincarnata: è un canto di liberazione sgorgato dalla fede; è memoria degli interventi di Dio nella storia; è parola detta a nome di "coloro che non accettano passivamente le avverse circostanze della vita personale e sociale né sono vittime dell’‘alienazione’ — come si dice oggi — bensì proclamano con lei che Dio è "vindice degli umili" e, se è il caso, "depone i potenti dal trono"".88
Dopo aver contemplato la figura evangelica di Maria, "donna povera", sentiamo che anche da essa ci giunge un pressante invito a compiere una chiara opzione in favore dei poveri e a porre in atto un serio sforzo per vivere una vita sobria, libera da possessi e da poteri, partecipe dei disagi di una effettiva povertà.
Per quanto concerne la pietà mariana, la nostra riflessione ci ha portati a concludere: il culto alla beata Vergine, se si vuole che non si perda nell’astrattezza o sia confinato in dimensioni puramente individuali, deve essere permeato dai contenuti del messaggio evangelico sulla povertà. Vogliamo dire: deve essere occasione per predicare a coloro che sono sociologicamente ricchi e a coloro che sono sociologicamente poveri l’unico evangelium paupertatis, cioè la subordinazione dei beni di questo mondo ai valori del Regno e la loro primordiale destinazione al servizio e alla promozione dell’uomo; deve essere momento cultuale per l’annuncio del messaggio del Magnificat e delle Beatitudini, per il rifiuto di ogni "compromesso con qualsiasi forma di ingiustizia sociale"86 e per la denuncia di ogni forma di oppressione dei poveri; ambito orante per sollevare i cuori sfiduciati verso Dio che "solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero" (Sal 112 [113], 7) e per ascoltare il "grido dei poveri" (Gb 34, 28) che si leva "più incalzante che mai [...] dalla loro indigenza personale e dalla loro miseria collettiva";87 deve essere ammonimento a non presentare certe situazioni sociali come espressione della ‘volontà di Dio’, quando sono soltanto effetto del peccato degli uomini.
In questo atteggiamento cultuale — di fiducia in Dio e di denuncia dell’ingiustizia — ci ha preceduti Maria di Nazareth. Il suo inno di ringraziamento non è certo un proclama di messianismo terreno né un grido di rivolta sociale, ma non è nemmeno una preghiera disincarnata: è un canto di liberazione sgorgato dalla fede; è memoria degli interventi di Dio nella storia; è parola detta a nome di "coloro che non accettano passivamente le avverse circostanze della vita personale e sociale né sono vittime dell’‘alienazione’ — come si dice oggi — bensì proclamano con lei che Dio è "vindice degli umili" e, se è il caso, "depone i potenti dal trono"".88
78.
"Dio mandò suo Figlio, nato da donna" (Gal 4, 4), scrive Paolo intendendo
probabilmente alludere all’abbassamento del Verbo che incarnandosi si fece in
tutto simile a noi tranne il peccato (cf. Eb 4, 15 ). "Maria è donna", scrivono
i Vescovi latino-americani volendo sicuramente sottolineare che Dio in Maria ha
innalzato a sublime dignità la condizione femminile.89
Nei quasi due millenni che corrono tra queste due affermazioni si snoda la lunga
e travagliata ‘questione femminile’ nella società civile e all’interno del
cristianesimo. Non possiamo certo in questa nostra riflessione tracciare le
tappe del suo sviluppo storico né tanto meno affrontare i numerosi e gravi
problemi che oggi si pongono a proposito della condizione femminile nella
Società e nella Chiesa. Vogliamo solo raccogliere alcune indicazioni provenienti
da più parti e ordinate a far sì che la pietà mariana, conservando la propria
fisionomia e le proprie finalità, divenga pure occasione per un valido
contributo alla causa della promozione della donna.
79.
I testi evangelici ci parlano della povertà di Maria, non accennano invece ad
una sua situazione di emarginazione. Nulla ci autorizza tuttavia a pensare che
ella non abbia condiviso la sorte delle donne del suo tempo e della sua terra:
essere serve dei loro mariti, vedersi sbarrata la strada ad ogni pur minimo
progresso culturale, trovarsi senza voce nella vita sociale e politica, sentirsi
addosso come una condanna atavica l’infelicità di essere donna.90
Eppure a questa donna emarginata si rivolse Dio scavalcando — ci si consenta l’espressione — le strutture della cultura giudaica e i giudizi degli uomini, per operare in lei "grandi cose" (Lc 1, 49) e per assumerla a interlocutore qualificato in un momento culminante del dialogo della salvezza. In questo agire di Dio abbiamo un’indicazione di stile e di metodo che non possiamo trascurare. E, interpretandolo a partire dai presupposti della fede, il ‘dialogo di Nazareth’ ci appare come il momento più pregnante e il punto più alto del femminismo nella storia della salvezza.
Questa donna emarginata è stata chiamata ad essere nella Chiesa "una presenza e un sacramentale dei lineamenti materni di Dio", come si esprime la III Conferenza generale dell’Episcopato latino-americano.91
"In lei — prosegue il documento di Puebla — il Vangelo ha penetrato la femminilità, l’ha redenta ed esaltata [...] Maria è garanzia della grandezza femminile, indicando il modo specifico dell’essere donna con quella sua vocazione ad essere anima, donazione capace di spiritualizzare la carne e di incarnare lo spirito".92
Eppure a questa donna emarginata si rivolse Dio scavalcando — ci si consenta l’espressione — le strutture della cultura giudaica e i giudizi degli uomini, per operare in lei "grandi cose" (Lc 1, 49) e per assumerla a interlocutore qualificato in un momento culminante del dialogo della salvezza. In questo agire di Dio abbiamo un’indicazione di stile e di metodo che non possiamo trascurare. E, interpretandolo a partire dai presupposti della fede, il ‘dialogo di Nazareth’ ci appare come il momento più pregnante e il punto più alto del femminismo nella storia della salvezza.
Questa donna emarginata è stata chiamata ad essere nella Chiesa "una presenza e un sacramentale dei lineamenti materni di Dio", come si esprime la III Conferenza generale dell’Episcopato latino-americano.91
"In lei — prosegue il documento di Puebla — il Vangelo ha penetrato la femminilità, l’ha redenta ed esaltata [...] Maria è garanzia della grandezza femminile, indicando il modo specifico dell’essere donna con quella sua vocazione ad essere anima, donazione capace di spiritualizzare la carne e di incarnare lo spirito".92
80.
Dicevamo che non possiamo procedere qui ad una analisi della condizione
femminile nel mondo contemporaneo. Essa varia notevolmente da un luogo
all’altro: in alcune regioni sottosviluppate la situazione della donna non è
molto cambiata da quella dei tempi di Maria di Nazareth; in altre — soprattutto
nei paesi industrializzati — la donna appare affrancata in sede teorica e
giuridica da molte antiche oppressioni, ma in realtà gravano ancora su di lei
pregiudizi e condizionamenti secolari. Semplificando i dati della questione
possiamo dire che gli obiettivi dell’‘emancipazione’ e della ‘liberazione’ della
donna sono dappertutto attuali, sia pure per motivi diversi, e che il ‘movimento
femminista’ e il movimento femminile, così vari nelle loro manifestazioni e
nelle loro matrici culturali e filosofiche, hanno tuttora una loro ragione di
essere, in vista del conseguimento di essi.
81.
A questo punto sentiamo che lo sguardo cultuale che rivolgiamo a nostra Sorella
Maria di Nazareth deve prolungarsi in uno sguardo pieno di rispetto e di
interessamento verso la situazione di oppressione in cui versano tante donne. La
pietà mariana non può certo né in questo né in altri campi assumere toni e
posizioni demagogiche, ma non può nemmeno risultare assente nei confronti di una
questione che già Giovanni XXIII riteneva proposta con urgenza dai ‘segni dei
tempi’.93
Perciò riteniamo che la pietà mariana, a partire dai dati della fede, si possa
inserire efficacemente nel processo di promozione della donna.
82.
Anzitutto la pietà mariana è chiamata a favorire il ricupero, dove essa fosse
stata offuscata, della visione cristiana della donna e della sua missione, cioè:
— a illustrare il significato, la bellezza, la
fecondità della verginità consacrata per il Regno;
— a riproporre con gioia i valori profondi della
vocazione alla rnaternità, intesa come misteriosa partecipazione al progetto
creatore di Dio là dove la natura riceve ancora il suo soffio vivificante, come
immissione responsabile nell’onda della vita a servizio dell’Umanità e della
Chiesa, come realizzazione non egoistica della propria personalità;
— a ridare alla donna il senso della sua dignità,
della sua "differenziazione funzionale, pur nell’identità della natura [.. ] per
rapporto all’uomo",94
della sua originalità affascinante e della sua capacità di affermazione;
— a riconsegnarle la ‘memoria storica’ che l’aiuterà
a scuotere da sé il senso di inferiorità per riconoscersi protagonista di tante
imprese memorabili — di progresso, di libertà, di santità — nella storia
dell’umanità e nella storia della salvezza.
83.
La pietà mariana poi, secondo le strutture che le sono proprie — la forza della
preghiera, i convincimenti profondi che via via si formano nei cuori e si
traducono quindi in azione... —, può favorire il riconoscimento pieno dei
diritti civili della donna in parità con l’uomo nonché l’esercizio pratico di
essi nella vita professionale, sociale e politica.95
Comprendiamo che la questione è delicata, ma riteniamo che in questo campo non
possiamo nemmeno rifiutare aprioristicamente l’ascolto delle proposte dei
movimenti femministi anche di quelli di matrice non cristiana. Occorre infatti
discernere con sapienza apostolica (cf. 1 Ts 5, 21 ) ciò che in essi è
accettabile dal punto di vista della Rivelazione e ciò che non è conforme alla
divina Parola. Così, se non possiamo accettare alcune proposte radicali che qua
e là affiorano — ad esempio il rifiuto dell’istituzione matrimoniale —, possiamo
tuttavia condividere la denuncia di tanti subdoli progetti di mercificazione
della donna che la società dei consumi pone in atto.
84.
La ricerca mariologica e la pietà mariana sono pure destinate — ci sembra — a
promuovere all’interno della Chiesa l’accesso della donna a funzioni e compiti
da cui finora è stata completamente o in parte esclusa, non per ragioni
dottrinali bensì per motivi di indole storica e culturale. Ciò è avvenuto pure
nell’ambito di mille servizi pastorali di vitale importanza, la cui dinamica non
tocca la sfera della struttura gerarchica della Chiesa: in essi tuttavia i
rapporti uomo-donna sembrano improntati più ai modelli di una ‘società
maschilista’ che alle proposte innovatrici del messaggio evangelico.
A questo proposito ci sembra di dover rilevare nella Chiesa un certo ritardo nel riconoscere alla donna la capacità di ricevere i ministeri — il lettorato, l’accolitato... —, i quali non appartengono all’ambito del sacramento dell’Ordine, ma sono una semplice istituzione ecclesiale. Tale non riconoscimento appare superato dall’evolversi della realtà, poiché di fatto le donne svolgono dappertutto tali ministeri o per consuetudine acquisita o per legittimo incarico dell’autorità ecclesiastica, ma sempre con carattere ‘extra-ordinario’.
Il problema dell’accesso delle donne ai ministeri è particolarmente sentito dalle religiose di alcuni paesi. A questo proposito facciamo nostro il voto espresso dalla S. Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli: "... possiamo augurarci che le autorità rispondano all’offerta di servizio delle donne consacrate, con una simpatia attiva, in tutta la gamma — che è ampia — delle possibilità",96 e formuliamo l’auspicio che tale problema, previamente approfondito in sede dottrinale, sia affrontato non in termini di contrapposizione e di rivendicazione, ma di cooperazione e di servizio.
E relativamente all’argomento che ci occupa, si può osservare ancora come l’autorità ecclesiastica assuma spesso nei confronti degli Istituti religiosi femminili un atteggiamento di tipo protezionistico; come tenda in non pochi casi a indirizzare il servizio di questi verso mansioni subalterne presso organismi ecclesiali maschili; come non sempre tragga tutte le conseguenze pratiche derivanti dal fatto che, quanto all’essenza della ‘vita consacrata’, gli Istituti religiosi maschili e quelli femminili si trovano in situazione di perfetta parità.
A questo proposito ci sembra di dover rilevare nella Chiesa un certo ritardo nel riconoscere alla donna la capacità di ricevere i ministeri — il lettorato, l’accolitato... —, i quali non appartengono all’ambito del sacramento dell’Ordine, ma sono una semplice istituzione ecclesiale. Tale non riconoscimento appare superato dall’evolversi della realtà, poiché di fatto le donne svolgono dappertutto tali ministeri o per consuetudine acquisita o per legittimo incarico dell’autorità ecclesiastica, ma sempre con carattere ‘extra-ordinario’.
Il problema dell’accesso delle donne ai ministeri è particolarmente sentito dalle religiose di alcuni paesi. A questo proposito facciamo nostro il voto espresso dalla S. Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli: "... possiamo augurarci che le autorità rispondano all’offerta di servizio delle donne consacrate, con una simpatia attiva, in tutta la gamma — che è ampia — delle possibilità",96 e formuliamo l’auspicio che tale problema, previamente approfondito in sede dottrinale, sia affrontato non in termini di contrapposizione e di rivendicazione, ma di cooperazione e di servizio.
E relativamente all’argomento che ci occupa, si può osservare ancora come l’autorità ecclesiastica assuma spesso nei confronti degli Istituti religiosi femminili un atteggiamento di tipo protezionistico; come tenda in non pochi casi a indirizzare il servizio di questi verso mansioni subalterne presso organismi ecclesiali maschili; come non sempre tragga tutte le conseguenze pratiche derivanti dal fatto che, quanto all’essenza della ‘vita consacrata’, gli Istituti religiosi maschili e quelli femminili si trovano in situazione di perfetta parità.
85.
Siamo lieti di affermare con voi, sorelle religiose, che le istituzioni
femminili di vita consacrata, nel loro complesso, hanno contribuito in larga
misura a una genuina promozione della donna. Alle origini dei vostri Istituti e
lungo la loro storia troviamo spesso donne umili e forti, vere discepole di
Cristo, audacemente precorritrici dei tempi, che seppero liberare se stesse e le
loro sorelle da condizionamenti restrittivi, che alla loro epoca pesavano
gravemente sulla donna. Tale ‘promozione’, efficace nei fatti, della quale
tuttavia le stesse protagoniste non ebbero sempre piena coscienza, era a sua
volta finalizzata alla promozione degli umili: diveniva diffusione della
cultura, attraverso numerose istituzioni di insegnamento; soccorso al bisognoso,
attraverso molteplici opere caritative, che all’aspetto assistenziale
congiungevano una tensione promozionale; illuminazione dello spirito, attraverso
l’annuncio del messaggio evangelico. Per tutto questo noi riteniamo che la
storia della emancipazione della donna debba scriversi guardando anche alle
istituzioni femminili di vita consacrata, nonostante l’eventuale presenza in
esse di alcuni elementi negativi.
E per quanto attiene alla nostra riflessione non è difficile rilevare che alla base di tale ‘promozione’ ci sono stati quasi sempre, dopo l’amore di Cristo, un’intuizione e un impulso provenienti dalla pietà mariana di tante vostre Madri e Sorelle insigni.
E per quanto attiene alla nostra riflessione non è difficile rilevare che alla base di tale ‘promozione’ ci sono stati quasi sempre, dopo l’amore di Cristo, un’intuizione e un impulso provenienti dalla pietà mariana di tante vostre Madri e Sorelle insigni.
86.
La pietà mariana si nutre della fede e, a sua volta, ne irradia i contenuti. Ciò
fa che essa sia uno strumento particolarmente valido per la diffusione del
Vangelo: "In mezzo alle nostre popolazioni — dichiara il documento di Puebla —
il Vangelo è stato annunciato presentando la Vergine Maria come la sua più alta
realizzazione";97
ma ciò esige da parte dei nostri Istituti e delle Chiese locali una vigile
attenzione perché la pietà mariana, senza cedere a visioni unilaterali, sia eco
integra della proposta cristiana e abbia la capacità di rispondere con i fatti
ad alcune ricorrenti obiezioni. La pietà mariana — si afferma — ha concorso: — a
formare un tipo di ‘donna cristiana’ sottomesso e rassegnato;
— a relegare la donna, con intendimenti più o meno
scoperti, nella sfera domestica e privata;
— a dare alla spiritualità cristiana un’impronta
sentimentale, ‘femminile’.
Si tratta di obiezioni di rilievo. Una risposta
particolareggiata ad esse richiederebbe analisi storiche che qui non possiamo
condurre. Ci limiteremo pertanto ad alcune osservazioni.
87.
Anzitutto si deve notare che queste deviazioni — se, dove e nella misura in cui
si sono prodotte — sono da attribuire a processi degenerativi e a
interpretazioni unilaterali e restrittive della pietà mariana, non sono in alcun
modo effetti derivanti da essa per intrinseca necessità. La pietà mariana ne
soffre: sono contro di essa, non a causa di essa. Sappiamo peraltro che quasi
nessun capitolo della fede e del culto cristiani è andato esente da deviazioni
più o meno gravi. Se si riflette, per esempio, alle deviazioni che la pietà
eucaristica ha subito in alcuni tempi e in alcuni luoghi, si concluderà che
quelle di cui ha sofferto la pietà mariana sono, a ben considerare, meno
rilevanti. Ora è evidente che le alterazioni nella pietà eucaristica non sono
insite nel progetto istituzionale di Cristo, sono bensì frutto della fragilità o
della insipienza degli uomini.
88.
Le virtù che spesso sono state sottolineate nella pietà mariana — l’umiltà,
l’obbedienza, la mitezza, l’abbandono fidente in Dio, la pazienza... —, in
quanto virtù di profonde radici bibliche e di cui Cristo stesso si è proposto
come modello (cf. Mt 11, 29; Gv 13, 14-15), sono valide per tutti i discepoli
del Signore, per gli uomini come per le donne. L’aver supposto che esse fossero
‘riservate’ alle donne rivela una mentalità maschilista, e il fatto di averle
configurate come ‘virtù passive’ denuncia una visione della realtà poco conforme
al Vangelo. Come pure non si può trarre, a partire dai dati evangelici relativi
a Maria, alcuna indicazione per ritenere ottimale per la donna la sua
realizzazione nell’ambito del focolare domestico: ciò può costituire una
legittima opzione personale, può essere ritenuto un’opportunità e anche un
diritto da difendere con appositi strumenti legislativi,98
ma non può essere presentato come ‘vocazione cristiana’ prioritaria nei
confronti di altre scelte. Bisognerà invece seguire con attenzione gli esiti
delle ricerche di esegeti e teologi, non certo sospettabili di massimalismo
mariologico, i quali dallo studio dell’entroterra dei Vangeli ritengono di poter
affermare che "per Gesù Maria non era semplicemente ‘madre’ nel senso più usuale
del termine. Ella svolse un ruolo molto importante durante la vita del Figlio,
tanto che esercitò una sua influenza anche nelle prime comunità cristiane. Dal
punto di vista storico possiamo pensare che Maria fosse una personalità di primo
piano".99
La cultura della vita
89.
Con l’Autore del Libro della Sapienza proclamiamo che Dio è il "Signore, amante
della vita" (11, 26); con Giovanni siamo lieti di professare che nel Verbo "era
la vita e la vita era la luce degli uomini" (1, 4) e che Cristo, venuto perché
gli uomini "abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza" (10, 10), è egli stesso
la vita (cf. 14, 6) e la risurrezione (cf. 11, 24); con la Chiesa confessiamo la
nostra fede "nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita".100
E poiché la beata Vergine ha dato alla luce Cristo-Vita e con la sua materna carità coopera alla nascita dei fedeli alla vita della grazia,101 si comprende come i testi liturgici salutino gioiosamente santa Maria quale "madre" e "sorgente della Vita" e a lei si rivolgano invocandola come "vita, dolcezza, speranza nostra".102
E poiché la beata Vergine ha dato alla luce Cristo-Vita e con la sua materna carità coopera alla nascita dei fedeli alla vita della grazia,101 si comprende come i testi liturgici salutino gioiosamente santa Maria quale "madre" e "sorgente della Vita" e a lei si rivolgano invocandola come "vita, dolcezza, speranza nostra".102
90.
Ma avvertiamo che la lode alla Sorgente della Vita costituisce per noi un monito
a collocarci dalla parte della víta, a far sì che la pietà mariana sia essa
stessa un canale di comunicazione del messaggio di vita che il cristianesimo è
chiamato ad annunciare in ogni epoca della storia.
Ai nostri giorni la tensione tra la luce e le tenebre (cf. Gv 1, 5), tra l’amore e l’odio (cf. 1 Gv 2, 8-11) si presenta come un’immensa ed immane lotta tra la cultura della vita e la cultura della morte.
Ai nostri giorni la tensione tra la luce e le tenebre (cf. Gv 1, 5), tra l’amore e l’odio (cf. 1 Gv 2, 8-11) si presenta come un’immensa ed immane lotta tra la cultura della vita e la cultura della morte.
91.
Cultura della morte sono "l’aggressione bellica, la violenza e il terrorismo"
nonché il terrificante "accumulo di armi, specialmente atomiche, e lo scandaloso
traffico di armamenti bellici d’ogni genere".103
Per cui, mentre associamo la nostra umile voce alle recenti condanne della
guerra nucleare fatte da Giovanni Paolo II,104
dal VI Sinodo dei Vescovi, dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti e da
altre Conferenze episcopali,105
ci sentiamo noi stessi spinti dalla nostra fede in Cristo, "Principe della pace"
(Is 9, 5) e dalla nostra pietà verso la Vergine, Regina della pace, a
percorrere, come la sola strada conforme al Vangelo, la via della non violenza,
della promozione del disarmo, della conversione alla pace.
92.
Cultura della morte sono il disprezzo per la vita che si manifesta in tanti
episodi di criminalità, la scandalosa situazione di fame per cui muoiono o
contraggono gravi malattie milioni di uomini in particolare bambini, le azioni
letali condotte contro i nascituri, contro gli anziani, contro i malati
incurabili, il flagello della droga. Non è nostro compito né nostra intenzione
trattare dei problemi morali connessi con queste situazioni umane spesso
tragiche. In questa sede vogliamo solo rilevare che dalla tradizione cultuale
mariana ci giunge un invito a collocarci serenamente e, per così dire,
pregiudizialmente dalla parte della vita.
Così dall’immagine della Vergine gravida — soggetto trattato dagli artisti quasi sempre con mirabile delicatezza e pietà106 — ci sembra giunga a noi l’esortazione a considerare con sommo rispetto ogni donna incinta; a vedere in ogni parto di donna un riflesso del parto di Maria, per mezzo del quale l’Uomo-Dio è entrato nella storia e dalla radice di Iesse è spuntato il Germoglio messianico (cf. Is 11, 1); a favorire ogni iniziativa volta a tutelare la vita incipiente; ad essere vicini con comprensione e misericordia alle donne che per circostanze diverse — ingiustizia della società, violenza subita, mancanza di fede... — sono tentate di adottare soluzioni di morte nei confronti del frutto che portano nel grembo.
Così l’icone della Vergine che allatta il Bambino, e i testi liturgici che con simpatia e stupore rilevano come Maria "con un po’ di latte nutre Colui che sazia l’universo",107 oltre al messaggio dottrinale ed estetico, inviano a noi un pressante appello: non è giusto che i bambini muoiano di fame; e, per converso: è doveroso che la pietà mariana si risolva — come già avviene esemplarmente in molti casi — in attenzione verso gli orfani, in pane per i piccoli affamati, in impegno educativo per i giovani.
Ed ancora: l’icone della Vergine addolorata ci è stimolo e guida per avvicinarci al mistero del dolore e della morte con una visione di fede, che proietta su di esso una luce di vita. Nei confronti di tale mistero infatti non abbiamo spiegazioni razionali da offrire, solo un’esperienza di fede da proporre: la Pasqua di Cristo, la morte inghiottita dalla vita (cf. 1 Cor 15, 54), la sicurezza che Dio nella sua condiscendenza trasforma "la pena del dolore in strumento di salvezza".108 Maria visse quell’esperienza accanto al Figlio. Perciò la pietà mariana ci apre alla speranza e ci spinge ad adottare ‘soluzioni di vita’, anche là dove il dolore imperversa e la morte apre i suoi varchi.
Così dall’immagine della Vergine gravida — soggetto trattato dagli artisti quasi sempre con mirabile delicatezza e pietà106 — ci sembra giunga a noi l’esortazione a considerare con sommo rispetto ogni donna incinta; a vedere in ogni parto di donna un riflesso del parto di Maria, per mezzo del quale l’Uomo-Dio è entrato nella storia e dalla radice di Iesse è spuntato il Germoglio messianico (cf. Is 11, 1); a favorire ogni iniziativa volta a tutelare la vita incipiente; ad essere vicini con comprensione e misericordia alle donne che per circostanze diverse — ingiustizia della società, violenza subita, mancanza di fede... — sono tentate di adottare soluzioni di morte nei confronti del frutto che portano nel grembo.
Così l’icone della Vergine che allatta il Bambino, e i testi liturgici che con simpatia e stupore rilevano come Maria "con un po’ di latte nutre Colui che sazia l’universo",107 oltre al messaggio dottrinale ed estetico, inviano a noi un pressante appello: non è giusto che i bambini muoiano di fame; e, per converso: è doveroso che la pietà mariana si risolva — come già avviene esemplarmente in molti casi — in attenzione verso gli orfani, in pane per i piccoli affamati, in impegno educativo per i giovani.
Ed ancora: l’icone della Vergine addolorata ci è stimolo e guida per avvicinarci al mistero del dolore e della morte con una visione di fede, che proietta su di esso una luce di vita. Nei confronti di tale mistero infatti non abbiamo spiegazioni razionali da offrire, solo un’esperienza di fede da proporre: la Pasqua di Cristo, la morte inghiottita dalla vita (cf. 1 Cor 15, 54), la sicurezza che Dio nella sua condiscendenza trasforma "la pena del dolore in strumento di salvezza".108 Maria visse quell’esperienza accanto al Figlio. Perciò la pietà mariana ci apre alla speranza e ci spinge ad adottare ‘soluzioni di vita’, anche là dove il dolore imperversa e la morte apre i suoi varchi.
93.
La vastità e la gravità dei fenomeni cui dà luogo la cultura della morte — il
pericolo della guerra nucleare, la fame nel mondo, il flagello della guerra, il
razzismo, lo sterminio di popoli... — ci sgomenta e ci trascende; di fronte ad
essi sentiamo di non potere contare su null’altro che sulla potenza della fede (cf.
Mt 17, 19; Lc 17, 6), sull’efficacia della preghiera, sull’esempio di Colei che
credette alla parola di Gabriele: "nulla è impossibile a Dio" (Lc 1, 37).
La promozione della causa ecumenica
94.
Nel 1974 Paolo VI osservava: "Per il suo carattere ecclesiale, nel culto alla
Vergine si rispecchiano le preoccupazioni della Chiesa stessa, tra cui, ai
nostri giorni, spicca l’ansia per la ricomposizione dell’unità dei cristiani. La
pietà verso la Madre del Signore diviene, così, sensibile alle trepidazioni e
agli scopi del movimento ecumenico, cioè acquista essa stessa una impronta
ecumenica".109
I responsabili delle Chiese locali e degli Istituti religiosi, cui fraternamente ci rivolgiamo, condividono certamente il nostro convincimento sulla necessità che la pietà mariana sia sensibile ai problemi dell’ecumenismo e diventi una forza promotrice dell’unione dei cristiani. Ma forse qualche lettore si domanderà: non vi è contraddizione tra la richiesta frequentemente avanzata di un corretto (ché così abbiamo scritto quasi sempre) sviluppo della pietà mariana e l’invito a promuovere, attraverso di essa, la causa ecumenica ? non sono la dottrina e la pietà mariana della Chiesa cattolica uno degli ostacoli maggiori all’unione diei cristiani?
I responsabili delle Chiese locali e degli Istituti religiosi, cui fraternamente ci rivolgiamo, condividono certamente il nostro convincimento sulla necessità che la pietà mariana sia sensibile ai problemi dell’ecumenismo e diventi una forza promotrice dell’unione dei cristiani. Ma forse qualche lettore si domanderà: non vi è contraddizione tra la richiesta frequentemente avanzata di un corretto (ché così abbiamo scritto quasi sempre) sviluppo della pietà mariana e l’invito a promuovere, attraverso di essa, la causa ecumenica ? non sono la dottrina e la pietà mariana della Chiesa cattolica uno degli ostacoli maggiori all’unione diei cristiani?
95. Senza
dubbio alcuni punti della dottrina cattolica sulla Vergine e alcuni aspetti
della pietà mariana suscitano reazioni negative in altre Chiese, specialmente in
quelle della Riforma. Ma non si deve continuare pigramente a ritenere che dagli
inizi del movimento ecumenico ad oggi nulla sia cambiato in questo campo. È una
voce non cattolica quella che ha dichiarato: "Oggi, invece di essere una causà
di divisione tra noi, la riflessione cristiana sul ruolo della Vergine Maria è
divenuta causa di gioia e sorgente di preghiera".110
Noi siamo persuasi che le varie Chiese cristiane si pongano in forma più o meno
trepida ed esplicita la domanda: come è possibile che noi, uniti nella
confessione di Cristo unico Signore e unica sorgente di salvezza, siamo divisi
proprio riguardo a sua Madre? E siamo pure persuasi che lo Spirito suggerisca
alle Chiese di non eludere ma di affrontare con un serio studio il significato
della figura della Vergine nella vita della Chiesa.
Per quanto ci concerne vogliamo offrire — in primo luogo a noi stessi, servi e serve di santa Maria —, alcune indicazioni per migliorare dal punto di vista della pietà mariana, il nostro contributo alla causa ecumenica.
Per quanto ci concerne vogliamo offrire — in primo luogo a noi stessi, servi e serve di santa Maria —, alcune indicazioni per migliorare dal punto di vista della pietà mariana, il nostro contributo alla causa ecumenica.
96.
La nostra parola vuole essere anzitutto invito ad operare in noi una profonda
conversione del cuore: il movimento ecumenico farà pochi progressi tra noi
cattolici se, relativamente a Maria, ci limiteremo ad attendere il ‘ritorno’ dei
fratelli separati, la loro ‘conversione’ dagli ‘errori’ mariologici. Bisogna
invece prima di tutto convertire i nostri cuori all’umiltà, al dialogo, al
reciproco rispetto. Probabilmente nei confronti di molti nostri fratelli e
sorelle, di molti laici che frequentano le nostre comunità, si deve promuovere
ancora un ecumenismo ‘ad intra’: non certo per disperdere un patrimonio di fede,
ma per rimuovere diffidenze e sospetti, pregiudizi e malintesi che si sono
accumulati durante i secoli e che con la fede non hanno nulla a che vedere. La
conversione del cuore e la capacità di ascolto sono condizioni previe per
iniziare insieme un cammino verso Cristo, sotto la guida dello Spirito e il
giudizio della Parola.
97.
Alla conversione del cuore bisogna aggiungere quella che qui chiameremo la
purificazione degli occhi: occorre cioè che il nostro sguardo sia talmente fisso
sulla divina Parola da esserne costantemente purificato (cf. Gv 15, 3) e reso
limpido. Alla Parola ci rinviano, oltre agli insegnamenti dei Santi Padri, gli
esempi dei grandi Legislatori monastici111
e i moniti del magistero della Chiesa.112
La Parola è lo spazio in cui vogliamo situare ogni nostro discorso teoligico. Essa ci sollecita a condurre la riflessione dottrinale su Maria e le manifestazioni della pietà mariana nell’ambito del mistero di Cristo e della Chiesa: di Cristo, per mezzo del quale e in vista del quale "sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra" (Col 1, 16); della Chiesa, corpo di Cristo, che ha sottoposto a sé tutte le cose e su tutte ottiene il primato (cf. Ef 1, 22; Col 1, 18).
Maria in Cristo: tale è la sola collocazione che, secondo la genuina Tradizione cattolica, consente un fondato e proficuo discorso dottrinale su Maria. La Chiesa di Roma lo ricorda spesso in autorevoli documenti: solo in vista di Cristo, in riferimento a lui, in dipendenza da lui può essere compresa la figura e la missione della beata Vergine.113
Maria nella Comunione dei Santi: tale è la collocazione, a partire dalla quale la Chiesa di Roma ha esplicitato l’espressione più classica della sua pietà mariana: "In comunione con tutta la Chiesa — diciamo nel Canone Romano — ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo".114
Nello spazio e nella luce della Parola ci ritroviamo largamente uniti ortodossi, anglicani, evangelici, cattolici. Riconosciamo tuttavia che la salutare adozione di questo ‘terreno comune’ non risolve immediatamente tutte le questioni: restano divergenze non lievi connesse con il problema dell’‘interpretazione della Parola’. E ciò a motivo anche di una diversa tradizione ecclesiale o di una differente situazione esistenziale.115
La Parola è lo spazio in cui vogliamo situare ogni nostro discorso teoligico. Essa ci sollecita a condurre la riflessione dottrinale su Maria e le manifestazioni della pietà mariana nell’ambito del mistero di Cristo e della Chiesa: di Cristo, per mezzo del quale e in vista del quale "sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra" (Col 1, 16); della Chiesa, corpo di Cristo, che ha sottoposto a sé tutte le cose e su tutte ottiene il primato (cf. Ef 1, 22; Col 1, 18).
Maria in Cristo: tale è la sola collocazione che, secondo la genuina Tradizione cattolica, consente un fondato e proficuo discorso dottrinale su Maria. La Chiesa di Roma lo ricorda spesso in autorevoli documenti: solo in vista di Cristo, in riferimento a lui, in dipendenza da lui può essere compresa la figura e la missione della beata Vergine.113
Maria nella Comunione dei Santi: tale è la collocazione, a partire dalla quale la Chiesa di Roma ha esplicitato l’espressione più classica della sua pietà mariana: "In comunione con tutta la Chiesa — diciamo nel Canone Romano — ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo".114
Nello spazio e nella luce della Parola ci ritroviamo largamente uniti ortodossi, anglicani, evangelici, cattolici. Riconosciamo tuttavia che la salutare adozione di questo ‘terreno comune’ non risolve immediatamente tutte le questioni: restano divergenze non lievi connesse con il problema dell’‘interpretazione della Parola’. E ciò a motivo anche di una diversa tradizione ecclesiale o di una differente situazione esistenziale.115
98.
In questa sorta di ‘ecumenismo ad intra’, alla conversione del cuore e alla
purificazione degli occhi si deve aggiungere un atteggiamento di ‘comprensione’
verso i fratelli separati per le difficoltà che essi sperimentano nei confronti
di alcuni punti della dottrina e della pietà mariana della Chiesa cattolica.
Questa ‘comprensione’ non è da confondere con quella strategia del
‘nascondimento dei problemi’, che è uno dei peggiori nemici del vero ecumenismo.116
Essa affronta invece le questioni controverse, ma lo fa sforzandosi di
comprendere le ragioni altrui.
Sul piano dottrinale la ‘comprensione’ si traduce in disponibilità a riconsiderare, dal punto di vista cattolico, i propri enunciati dogmatici per distinguere ciò che in essi è il nucleo essenziale di fede da ciò che è solo rivestimento storico-culturale: si tratta di un’operazione teologica delicata, di cui tuttavia è stata riconosciuta la legittimità da parte del magistero ecclesiastico.117
Sul piano cultuale essa implica la disponibilità ad accettare l’esistenza di diverse tradizioni ecclesiali e di diverse sensibilità nell’esprimere la pietà verso santa Maria. Così, ad esempio, nei confronti delle Chiese che, pur venerando la Madre del Signore, trovano difficoltà ad ammettere l’invocazione rivolta direttamente a lei, noi, che tale invocazione riteniamo legittima e quotidianamente pratichiamo, non assumeremo un atteggiamento di disapprovazione: da una parte ricorderemo che vi fu un tempo in cui essa, mentre nella liturgia delle Chiese d’Oriente era largamente usata, nella liturgia di Roma era scarsamente adottata,118 dall’altra ci sforzeremo di mostrare le ragioni che, a nostro avviso, la rendono valida.
Sul piano dottrinale la ‘comprensione’ si traduce in disponibilità a riconsiderare, dal punto di vista cattolico, i propri enunciati dogmatici per distinguere ciò che in essi è il nucleo essenziale di fede da ciò che è solo rivestimento storico-culturale: si tratta di un’operazione teologica delicata, di cui tuttavia è stata riconosciuta la legittimità da parte del magistero ecclesiastico.117
Sul piano cultuale essa implica la disponibilità ad accettare l’esistenza di diverse tradizioni ecclesiali e di diverse sensibilità nell’esprimere la pietà verso santa Maria. Così, ad esempio, nei confronti delle Chiese che, pur venerando la Madre del Signore, trovano difficoltà ad ammettere l’invocazione rivolta direttamente a lei, noi, che tale invocazione riteniamo legittima e quotidianamente pratichiamo, non assumeremo un atteggiamento di disapprovazione: da una parte ricorderemo che vi fu un tempo in cui essa, mentre nella liturgia delle Chiese d’Oriente era largamente usata, nella liturgia di Roma era scarsamente adottata,118 dall’altra ci sforzeremo di mostrare le ragioni che, a nostro avviso, la rendono valida.
99.
Tra le Chiese d’Oriente e la Chiesa cattolica esiste un’ampia e sostanziale
convergenza riguardo alla dottrina di fede sulla beata Vergine119
e un aperto consenso sulla necessità di non trascurare la fìgura di Maria nella
riflessione teologica: "Non c’è teologia cristiana — scrive un noto teologo
ortodosso — senza un continuo riferimento alla persona e al ruolo della Vergine
Maria nella storia della salvezza".120
Per quanto attiene alla pietà mariana si può affermare che non solo esiste una piena convergenza tra le Chiese d’Oriente e la Chiesa di Roma, ma che essa costituisce un patrimonio comune. La Chiesa cattolica infatti non solo apprezza e ammira la pietà delle Chiese orientali verso la Theotokos, ma la ritiene un’espressione cultuale ‘propria’, poiché è celebrata da milioni di ‘suoi fedeli’, cioè cristiani a lei pienamente.uniti, in quanto la comunione o non è stata mai interrotta o da lunghi secoli è stata ristabilita.
Come è noto la pietà mariana dell’Oriente si esprime soprattutto nel culto liturgico, in forme di alto lirismo e di profonda dottrina. Diremo di più: le celebrazioni liturgiche, nelle quali si concentra la fede e la vita di ogni Chiesa orientale, hanno in tutte le loro componenti — stile, struttura, contenuti, iconografia — un costante riferimento alla Tuttasanta. Ciò non deve sorprendere: appunto perché nelle liturgie orientali tutto si esprime e si interpreta in una prospettiva cristologica e pneamatologica, tutto diviene contemplazione e lode del ruolo svolto dalla Vergine nell’incarnazione del Verbo per opera dello Spirito Santo.
Per quanto attiene alla pietà mariana si può affermare che non solo esiste una piena convergenza tra le Chiese d’Oriente e la Chiesa di Roma, ma che essa costituisce un patrimonio comune. La Chiesa cattolica infatti non solo apprezza e ammira la pietà delle Chiese orientali verso la Theotokos, ma la ritiene un’espressione cultuale ‘propria’, poiché è celebrata da milioni di ‘suoi fedeli’, cioè cristiani a lei pienamente.uniti, in quanto la comunione o non è stata mai interrotta o da lunghi secoli è stata ristabilita.
Come è noto la pietà mariana dell’Oriente si esprime soprattutto nel culto liturgico, in forme di alto lirismo e di profonda dottrina. Diremo di più: le celebrazioni liturgiche, nelle quali si concentra la fede e la vita di ogni Chiesa orientale, hanno in tutte le loro componenti — stile, struttura, contenuti, iconografia — un costante riferimento alla Tuttasanta. Ciò non deve sorprendere: appunto perché nelle liturgie orientali tutto si esprime e si interpreta in una prospettiva cristologica e pneamatologica, tutto diviene contemplazione e lode del ruolo svolto dalla Vergine nell’incarnazione del Verbo per opera dello Spirito Santo.
100.
A noi sembra che le Chiese d’Oriente, per l’importante ruolo che svolgono nel
movimento ecumenico, possano recare un contributo decisivo al chiarimento e
all’approfondimento del senso cristiano della pietà mariana.121
In primo luogo, perché esse sono rimaste ai margini delle polemiche che, a proposito del culto alla Vergine, si sono accese tra la Chiesa cattolica e le Chiese della Riforma. La testimonianza di pietà mariana che ci giunge dall’Oriente è infatti antica, serena, non sospetta, non polemica, affonda le sue radici nella Tradizione dei Santi Padri e, per essi, nella divina Parola.
Poi, perché la pietà mariana delle Chiese orientali non ha conosciuto le ‘deviazioni’ (distacco tra pietà liturgica e pietà popolare, fenomeni di occultamento, perdita del senso simbolico...) che si sono avute invece, in varia misura e per opposti motivi, nelle Chiese d’Occidente.
Nel suo insieme il ricco patrimonio dottrinale e cultuale delle Chiese orientali si propone alle Chiese occidentali come un sicuro punto di riferimento perché avvenga serenamente l’assunzione nella pietà mariana di alcune istanze tipiche del nostro tempo: perché, ad esempio, la necessaria attenzione alla dimensione antropologica non sia a scapito della insostituibile e prevalente dimensione teologica; perché la giusta esigenza di uguaglianza tra l’uomo e la donna non degeneri in una deleteria mascolinizzazione di quest’ultima; perché l’interesse rivolto alla mutevole temperie culturale non si risolva in trascuratezza del permanente valore della Tradizione. E così via.
E poiché la causa dell’unione dei cristiani è problema che ci deve stare profondamente a cuore, vorremmo che ci fosse sempre presente, fratelli e sorelle, l’ammonimento conciliare: "Sappiano tutti che il conoscere, venerare, conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli Orientali è di somma importanza per la fedele custodia dell’integra tradizione cristiana e per la riconciliazione dei cristiani d’Oriente e d’Occidente".122
In primo luogo, perché esse sono rimaste ai margini delle polemiche che, a proposito del culto alla Vergine, si sono accese tra la Chiesa cattolica e le Chiese della Riforma. La testimonianza di pietà mariana che ci giunge dall’Oriente è infatti antica, serena, non sospetta, non polemica, affonda le sue radici nella Tradizione dei Santi Padri e, per essi, nella divina Parola.
Poi, perché la pietà mariana delle Chiese orientali non ha conosciuto le ‘deviazioni’ (distacco tra pietà liturgica e pietà popolare, fenomeni di occultamento, perdita del senso simbolico...) che si sono avute invece, in varia misura e per opposti motivi, nelle Chiese d’Occidente.
Nel suo insieme il ricco patrimonio dottrinale e cultuale delle Chiese orientali si propone alle Chiese occidentali come un sicuro punto di riferimento perché avvenga serenamente l’assunzione nella pietà mariana di alcune istanze tipiche del nostro tempo: perché, ad esempio, la necessaria attenzione alla dimensione antropologica non sia a scapito della insostituibile e prevalente dimensione teologica; perché la giusta esigenza di uguaglianza tra l’uomo e la donna non degeneri in una deleteria mascolinizzazione di quest’ultima; perché l’interesse rivolto alla mutevole temperie culturale non si risolva in trascuratezza del permanente valore della Tradizione. E così via.
E poiché la causa dell’unione dei cristiani è problema che ci deve stare profondamente a cuore, vorremmo che ci fosse sempre presente, fratelli e sorelle, l’ammonimento conciliare: "Sappiano tutti che il conoscere, venerare, conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli Orientali è di somma importanza per la fedele custodia dell’integra tradizione cristiana e per la riconciliazione dei cristiani d’Oriente e d’Occidente".122
101.
Notevoli invece sono i punti di divergenza tra la Chiesa cattolica e le Chiese
della Riforma: il significato e la portata della cooperazione di Maria all’opera
della salvezza; i dogmi della Concezione immacolata e dell’Assunzione corporea
alla gloria celeste; il valore della dottrina sulla perpetua verginità di Maria;
il senso e l’ambito dell’intercessione-mediazione della Vergine; la legittimità
dell’invocazione a santa Maria. Su questi temi è in atto un non facile confronto
tra i teologi delle varie Chiese: quel confronto vogliamo noi accompagnare con
umile e tenace preghiera perché sia il Signore a chiarire il senso profondo di
una tradizione che Roma ritiene una espressione concreta e genuina della vita
della Parola e dello Spirito nella Chiesa.
Ma siamo lieti di constatare che, relativamente a Maria di Nazareth, esistono pure molti punti di convergenza tra la Chiesa cattolica e le Chiese sorelle della Riforma: insieme, per una esigenza cristologica, riconosciamo che Maria è la gloriosa Theotokos che per opera dello Spirito ha generato il Cristo, Figlio di Dio, nostro Salvatore; insieme lodiamo Dio per le "grandi cose" che ha operato nella sua Serva (cf. Lc 1,49); insieme salutiamo Maria "colmata dal favore divino" (cf. Lc 1, 28) e in lei contempliamo la discepola intenta a compiere la volontà di Dio (cf. Lc 1, 38); ne apprezziamo la voce profetica e la testimonianza data a Cristo; ne lodiamo la fede, l’obbedienza, l’umiltà, il coraggio paziente, ma siamo consapevoli che tale lode rimane sterile se non è seguita da una fattiva imitazione; insieme professiamo la sua esemplarità per la Chiesa nell’ascolto della Parola e nel servizio del Signore e degli uomini; insieme ascoltiamo con rispetto la parola di Cristo al "discepolo che egli amava: [...] "Ecco la tua madre!"" (Gv 19, 26-27); insieme crediamo che Maria è alla presenza di Dio, accanto a suo Figlio "sempre vivo per intercedere" a nostro favore (cf. Eb 7, 25), e che, prima tra i Santi, prega con essi "per noi peccatori che sulla terra lottiamo e soffriamo";123 insieme riteniamo che le nostre comunità, al seguito della comunità apostolica (cf. At 1, 14), possano con lei pregare e con lei invocare lo Spirito.124
Ma siamo lieti di constatare che, relativamente a Maria di Nazareth, esistono pure molti punti di convergenza tra la Chiesa cattolica e le Chiese sorelle della Riforma: insieme, per una esigenza cristologica, riconosciamo che Maria è la gloriosa Theotokos che per opera dello Spirito ha generato il Cristo, Figlio di Dio, nostro Salvatore; insieme lodiamo Dio per le "grandi cose" che ha operato nella sua Serva (cf. Lc 1,49); insieme salutiamo Maria "colmata dal favore divino" (cf. Lc 1, 28) e in lei contempliamo la discepola intenta a compiere la volontà di Dio (cf. Lc 1, 38); ne apprezziamo la voce profetica e la testimonianza data a Cristo; ne lodiamo la fede, l’obbedienza, l’umiltà, il coraggio paziente, ma siamo consapevoli che tale lode rimane sterile se non è seguita da una fattiva imitazione; insieme professiamo la sua esemplarità per la Chiesa nell’ascolto della Parola e nel servizio del Signore e degli uomini; insieme ascoltiamo con rispetto la parola di Cristo al "discepolo che egli amava: [...] "Ecco la tua madre!"" (Gv 19, 26-27); insieme crediamo che Maria è alla presenza di Dio, accanto a suo Figlio "sempre vivo per intercedere" a nostro favore (cf. Eb 7, 25), e che, prima tra i Santi, prega con essi "per noi peccatori che sulla terra lottiamo e soffriamo";123 insieme riteniamo che le nostre comunità, al seguito della comunità apostolica (cf. At 1, 14), possano con lei pregare e con lei invocare lo Spirito.124
102.
Nella nostra riflessione sulla promozione del movimento ecumenico a partire
dalla pietà mariana abbiamo ristretto il dialogo a noi stessi, ai nostri
fratelli e sorelle, servi e serve di Maria: il tema è delicato e sentiamo di non
avere titoli per allargare i confini del nostro colloquio.
Ma se la nostra parola dovesse giungere a qualche fratello o sorella delle Chiese della Riforma, vorremmo che essa fosse intesa quale rispettoso invito a una duplice riflessione:
Ma se la nostra parola dovesse giungere a qualche fratello o sorella delle Chiese della Riforma, vorremmo che essa fosse intesa quale rispettoso invito a una duplice riflessione:
— se non sia giunto il momento di rimuovere ciò che
alcuni teologi evangelici chiamano l’’occultamento del tema mariano’ nelle
Chiese della Riforma. Al tempo dei grandi Riformatori quell’occultamento non si
era prodotto: esso si produsse solo a partire dall’epoca illuministica;125
— se la pietà mariana, alla luce della Parola, non
costituisca una possibilità e una opportunità offerta da Dio e radicata nel dato
biblico per sviluppare la fede cristiana.
* * *
103.
Ma ritorniamo a noi. Alle tre consegne che ci siamo date — la conversione del
cuore, la purificazione degli occhi, l’atteggiamento comprensivo — sentiamo di
dover aggiungere altre due: la partecipazione cordiale agli sforzi
interconfessionali che in vari luoghi si compiono per preparare il cammino
dell’unione; e soprattutto l’impegno della preghiera: con Cristo e per Cristo,
con la Chiesa e nella Chiesa. E là, in Cristo e nella Chiesa, ritroveremo la
voce orante di Colei che anche fuori della Comunione cattolica è invocata come
Vergine della riconciliazione.
Comunione nella fede di Abramo
104.
Nella nostra riflessione sul mistero della frattura dell’unità tra le Chiese,
non possiamo non ricordare un’altra dolorosa frattura: quella tra il
cristianesimo e l’ebraismo. "Benché il cristianesimo sia nato nell’ebraismo —
leggiamo in un documento recente — e abbia ricevuto da esso alcuni elementi
essenziali della sua fede e del suo culto, la frattura tra le due religioni è
divenuta sempre più profonda, fino a giungere quasi ad una reciproca
incomprensione".126Tuttavia
dopo la dichiarazione conciliare Nostra aetate del 28 ottobre 1965, sono state
prese numerose iniziative "per instaurare o proseguire un dialogo rivolto ad una
migliore conoscenza reciproca".127
A tali iniziative noi ci associamo e a tale dialogo vogliamo apportare, dal
nostro angolo visuale — la pietà mariana — un modesto contributo.
Ma prima di proseguire vogliamo esprimere, unendo la nostra voce alla voce di tanti sinceri cristiani, la più viva deplorazione per le persecuzioni di cui, lungo i secoli, gli ebrei sono stati oggetto e, in particolare, per gli orribili massacri da essi subiti "in Europa immediatamente prima e durante la seconda guerra mondiale".128
Ma prima di proseguire vogliamo esprimere, unendo la nostra voce alla voce di tanti sinceri cristiani, la più viva deplorazione per le persecuzioni di cui, lungo i secoli, gli ebrei sono stati oggetto e, in particolare, per gli orribili massacri da essi subiti "in Europa immediatamente prima e durante la seconda guerra mondiale".128
105.
Secondo la fede cristiana Dio, nella sua ammirabile ‘condiscendenza’, ha voluto
che il suo Verbo si incarnasse in una donna ebrea, Maria di Nazareth. Per mezzo
di lei e di Giuseppe, Cristo è veramente, nella sua umanità, ebreo, della stirpe
di Davide: in lui si compiono le promesse fatte ad Abramo e ai Padri (cf. Lc 1,
54-55.69-70); lui è in senso pieno la "gloria di Israele" (cf. Lc 2,32), come lo
saluta Simeone, e il "Figlio di Davide", come lo acclama il popolo (cf. Mt
21,9).
Non si può comprendere pienamente Cristo se non si considerano con attenzione le sue radici ebraiche. Egli, l’Uomo nuovo e universale, venuto per denunciare ogni forma di razzismo e di emarginazione e per abbattere "il muro di separazione che era framezzo" (Ef 2,14) tra gli ebrei e i pagani, fu nondimeno un ‘rabbi’ intensamente partecipe della vita e della sorte del suo popolo: amò le sue istituzioni e le sue leggi, che non volle abolire ma portare alla loro pienezza (cf. Mt 5,17); nella sua predicazione, oltre alle parole udite dal Padre (cf. Gv 8,26), risuonano le parole apprese dai testi dei profeti; limitò la sua missione pubblica "alle pecore perdute della casa di Israele" (Mt 15,24); pianse su Gerusalemme (cf. Lc 19, 41) per le minacce incombenti su di essa e per il rifiuto che essa opponeva alla "via della pace" (Lc 19, 42), che Dio le offriva nella sua persona; ed egli che inaugurava in se stesso un culto al Padre in spirito e verità (cf. Gv 4,23), senza ‘templi’ e senza frontiere, dichiarò tuttavia alla Donna samaritana che "la salvezza viene dai Giudei" (Gv 4, 22).
Non si può comprendere pienamente Cristo se non si considerano con attenzione le sue radici ebraiche. Egli, l’Uomo nuovo e universale, venuto per denunciare ogni forma di razzismo e di emarginazione e per abbattere "il muro di separazione che era framezzo" (Ef 2,14) tra gli ebrei e i pagani, fu nondimeno un ‘rabbi’ intensamente partecipe della vita e della sorte del suo popolo: amò le sue istituzioni e le sue leggi, che non volle abolire ma portare alla loro pienezza (cf. Mt 5,17); nella sua predicazione, oltre alle parole udite dal Padre (cf. Gv 8,26), risuonano le parole apprese dai testi dei profeti; limitò la sua missione pubblica "alle pecore perdute della casa di Israele" (Mt 15,24); pianse su Gerusalemme (cf. Lc 19, 41) per le minacce incombenti su di essa e per il rifiuto che essa opponeva alla "via della pace" (Lc 19, 42), che Dio le offriva nella sua persona; ed egli che inaugurava in se stesso un culto al Padre in spirito e verità (cf. Gv 4,23), senza ‘templi’ e senza frontiere, dichiarò tuttavia alla Donna samaritana che "la salvezza viene dai Giudei" (Gv 4, 22).
106.
Analogamente, dobbiamo dire per Maria: non possiamo comprenderne pienamente la
figura e la missione senza considerare la sua condizione di donna ebrea. E ciò
non tanto né principalmente perché i dati forniti dall’antropologia culturale e
da altre scienze ci aiutano a situare la vita di Maria in un preciso contesto
sociale e storico, ma perché solo attraverso la conoscenza della spiritualità
ebraica possiamo afferrare la fisionomia spirituale di Maria di Nazareth.
La sua fede è radicata nella fede di Abramo (cf. Gn 15, 6). Il suo fiat è prolungamento e culmine del fiducioso abbandono con cui tanti pii israeliti accoglievano la volontà di Dio su di loro. Il suo amore per la "Legge del Signore" è compendio dell’attaccamento di Israele per i comandamenti di Dio, che "sono giusti, fanno gioire il cuore; [...] sono limpidi, danno luce agli occhi" (Sal 18 [19], 9). La sua umile condizione di "Serva del Signore" (Lc 1, 38. 48) riassume la condizione stessa del popolo di Israele che si riconosce "Servo del Signore" (cf. Is 49, 3). Il suo cantico è eco e sintesi di molte voci profetiche; è giubilo e ringraziamento a Dio perché egli "ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre" (Lc 1, 54-55).
La sua fede è radicata nella fede di Abramo (cf. Gn 15, 6). Il suo fiat è prolungamento e culmine del fiducioso abbandono con cui tanti pii israeliti accoglievano la volontà di Dio su di loro. Il suo amore per la "Legge del Signore" è compendio dell’attaccamento di Israele per i comandamenti di Dio, che "sono giusti, fanno gioire il cuore; [...] sono limpidi, danno luce agli occhi" (Sal 18 [19], 9). La sua umile condizione di "Serva del Signore" (Lc 1, 38. 48) riassume la condizione stessa del popolo di Israele che si riconosce "Servo del Signore" (cf. Is 49, 3). Il suo cantico è eco e sintesi di molte voci profetiche; è giubilo e ringraziamento a Dio perché egli "ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre" (Lc 1, 54-55).
107.
Ciò che per il cristianesimo è la gloria suprema di Maria — essere la madre
verginale di Gesù, Verbo incarnato, Messia, Salvatore — costituisce per
l’ebraismo una difficoltà umanamente insuperabile. Noi crediamo che essa sarà
superata nell’ora e nel modo che Dio solo conosce. A noi, intanto, spetta il
dovere della preghiera e l’obbligo di confessare con Paolo e con la tradizione
cristiana che "Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da
principio" (Rm 11, 2 ); di riflettere che "se le primizie sono sante, lo sarà
anche tutta la pasta; se è santa la radice, lo saranno anche i rami" (ibid.,
16); di testimoniare che gli ebrei, "quanto alla elezione, sono amati, a causa
dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!" (ibid.,
28-29).
108.
Alla luce della fede e con le parole stesse di una donna ebrea, Elisabetta, noi
riconosciamo nella giovane Myriam, madre di un bambino di nome Gesù, la "Madre
del Signore" (cf. Lc 1, 43 ), donna verso la quale convergono vari vaticini e
figure profetiche.
Guidata da questo convincimento, la riflessione cristiana ha scorto nelle grandi figure femminili di Israele, nelle sue ‘madri’ — Sara, Rebecca, Rachele, Lia —, nelle sue eroine — Myriam sorella di Mosè, Debora, Giuditta, Esther, la madre dei Maccabei... —, e nelle sue figlie favorite con il dono di una maternità straordinaria — Anna, madre di Samuele, la madre del giudice Sansone.. —, prefigurazioni e anticipazioni di Maria di Nazareth.
Nelle celebrazioni cultuali, la Chiesa ha applicato a lei, riferendoli all’evento unico della sua maternità verginale e divina, alcuni dei simboli più cari a Israele: il tabernacolo, l’arca, il tempio, il roveto ardente, la città-madre...; ed ha riconosciuto in Maria di Nazareth la personificazione della "Figlia di Sion", a cui erano stati rivolti importanti vaticini messianici (cf. Sof 3, 14-18; Zc 2, 14-17; 9, 9; Gl 2, 21-27).
In una parola: la riflessione cristiana si è compiaciuta di riconoscere che Maria rappresenta il vertice di Israele e l’inizio della Chiesa; che lei è il punto di passaggio perché le dodici tribù diventino la Chiesa dell’Agnello fondata sui dodici apostoli: "La Vergine Maria — scrive Gerhoh di Reichersberg († 1169) — è il compimento della Sinagoga, lei, la figlia più eletta dei patriarchi; dopo il Figlio, è l’inizio della Chiesa, lei, madre degli apostoli".129
Comprendiamo che i nostri fratelli ebrei non ci possano seguire in questa ‘lettura mariana’ di tante significative pagine del Libro sacro, ma vorremmo che vedessero in essa un segno del rispetto e dell’amore della Chiesa per il Popolo di Israele, dalla cui radice santa è nata Maria di Nazareth.
Guidata da questo convincimento, la riflessione cristiana ha scorto nelle grandi figure femminili di Israele, nelle sue ‘madri’ — Sara, Rebecca, Rachele, Lia —, nelle sue eroine — Myriam sorella di Mosè, Debora, Giuditta, Esther, la madre dei Maccabei... —, e nelle sue figlie favorite con il dono di una maternità straordinaria — Anna, madre di Samuele, la madre del giudice Sansone.. —, prefigurazioni e anticipazioni di Maria di Nazareth.
Nelle celebrazioni cultuali, la Chiesa ha applicato a lei, riferendoli all’evento unico della sua maternità verginale e divina, alcuni dei simboli più cari a Israele: il tabernacolo, l’arca, il tempio, il roveto ardente, la città-madre...; ed ha riconosciuto in Maria di Nazareth la personificazione della "Figlia di Sion", a cui erano stati rivolti importanti vaticini messianici (cf. Sof 3, 14-18; Zc 2, 14-17; 9, 9; Gl 2, 21-27).
In una parola: la riflessione cristiana si è compiaciuta di riconoscere che Maria rappresenta il vertice di Israele e l’inizio della Chiesa; che lei è il punto di passaggio perché le dodici tribù diventino la Chiesa dell’Agnello fondata sui dodici apostoli: "La Vergine Maria — scrive Gerhoh di Reichersberg († 1169) — è il compimento della Sinagoga, lei, la figlia più eletta dei patriarchi; dopo il Figlio, è l’inizio della Chiesa, lei, madre degli apostoli".129
Comprendiamo che i nostri fratelli ebrei non ci possano seguire in questa ‘lettura mariana’ di tante significative pagine del Libro sacro, ma vorremmo che vedessero in essa un segno del rispetto e dell’amore della Chiesa per il Popolo di Israele, dalla cui radice santa è nata Maria di Nazareth.
109.
Una illuminata pietà verso la beata Vergine, che tante volte salutiamo nella
liturgia come "Gioia di Israele" e "Figlia di Sion", non può consentire la
persistenza tra i cristiani di forme più o meno larvate di antisemitismo, anzi
deve suscitare un sentimento di rispetto e di stima per il Popolo ebreo; deve
favorire l’amore verso il Testamento Antico, sconfessando la disattenzione di
molti fedeli verso la pagina veterotestamentaria; deve influire
sull’insegnamento religioso perché "ai diversi livelli [...], nella catechesi ai
fanciulli ed agli adolescenti, presenti gli ebrei e il giudaismo non solo in
modo onesto e oggettivo, senza alcun pregiudizio e senza offendere nessuno, ma,
più ancora, con una viva coscienza della comune eredità";130
deve, infine, divenire espressione di una attesa attiva perché giunga il giorno
"in cui i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e "lo serviranno
sotto lo stesso giogo" (Sof 3, 9)".131
110.
Ci resta da aggiungere una parola sui fratelli musulmani. Essi, come ricorda la
dichiarazione conciliare Nostra aetate, "adorano l’unico Dio, vivente e
sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra,
[...] cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche
nascosti, come si è sottomesso Abramo" e "benché non riconoscano Gesù come Dio,
lo venerano come profeta, ne onorano la Vergine Madre, Maria, e talvolta pure la
invocano con devozione".132
Nella pietà mariana dei cristiani i dati del Corano riguardanti la beata Vergine non hanno avuto eco alcuna o l’hanno avuta in modo molto limitato: se ne comprendono i motivi storici (secolari inimicizie tra cristiani e musulmani) e dottrinali (contrasti profondi nella valutazione dei rispettivi libri sacri, la Bibbia e il Corano).
Tuttavia a noi sembra, fratelli e sorelle, che i testi mariani del Corano meritino un’attenzione maggiore di quella che solitamente vi prestiamo. Infatti il Libro santo della fede islamica — ci dicono gli studiosi — "assegna a Maria [...] un posto di eccezione e di privilegio: un posto singolare, rilevante".133
Secondo il Corano, Maria, prescelta da Dio per essere la madre di Cristo e da lui singolarmente favorita, è insieme con "suo Figlio un Segno per le creature":134 è donna resa pura da un singolare intervento divino; è vergine intatta e pur vera madre; strettamente associata al figlio Gesù e vincolata dalla stessa sorte, è donna "eletta su tutte le donne del creato".135 Maria pertanto non è solo un segno da ammirare, ma anche un "ideale da raggiungere e un modello da riprodurre":136 per la sua fede, la sua pietà, la sua riservatezza.
Nella pietà mariana dei cristiani i dati del Corano riguardanti la beata Vergine non hanno avuto eco alcuna o l’hanno avuta in modo molto limitato: se ne comprendono i motivi storici (secolari inimicizie tra cristiani e musulmani) e dottrinali (contrasti profondi nella valutazione dei rispettivi libri sacri, la Bibbia e il Corano).
Tuttavia a noi sembra, fratelli e sorelle, che i testi mariani del Corano meritino un’attenzione maggiore di quella che solitamente vi prestiamo. Infatti il Libro santo della fede islamica — ci dicono gli studiosi — "assegna a Maria [...] un posto di eccezione e di privilegio: un posto singolare, rilevante".133
Secondo il Corano, Maria, prescelta da Dio per essere la madre di Cristo e da lui singolarmente favorita, è insieme con "suo Figlio un Segno per le creature":134 è donna resa pura da un singolare intervento divino; è vergine intatta e pur vera madre; strettamente associata al figlio Gesù e vincolata dalla stessa sorte, è donna "eletta su tutte le donne del creato".135 Maria pertanto non è solo un segno da ammirare, ma anche un "ideale da raggiungere e un modello da riprodurre":136 per la sua fede, la sua pietà, la sua riservatezza.
111.
Riguardo a Maria, i punti di convergenza tra il cristianesimo e l’islamismo sono
numerosi; tuttavia i punti di contrasto sono anch’essi molteplici e gravi, a
cominciare dalla negazione della maternità divina.
Ciononostante pensiamo che la nostra pietà mariana debba divenire occasione propizia per ricordare con frequenza e con stima i fratelli musulmani; costituisca un momento favorevole per dimenticare, come auspica il Concilio Vaticano II, un passato segnato da non pochi dissensi e inimicizie;137 sia gradita opportunità per gioire insieme, vedendo avverata tra noi, cristiani e musulmani, la parola profetica della Vergine: "Tutte le generazioni mi chiameranno beata" (Lc 1, 48); offra, infine, una valida ragione per superare qualche esitazione cultuale eventualmente insinuatasi tra noi nei confronti della Vergine: ché sarebbe anomalo che i cristiani, avendone maggiori motivi, avessero minore venerazione dei musulmani verso Colei che "credette alle parole del suo Signore, e nei suoi Libri".138
Ciononostante pensiamo che la nostra pietà mariana debba divenire occasione propizia per ricordare con frequenza e con stima i fratelli musulmani; costituisca un momento favorevole per dimenticare, come auspica il Concilio Vaticano II, un passato segnato da non pochi dissensi e inimicizie;137 sia gradita opportunità per gioire insieme, vedendo avverata tra noi, cristiani e musulmani, la parola profetica della Vergine: "Tutte le generazioni mi chiameranno beata" (Lc 1, 48); offra, infine, una valida ragione per superare qualche esitazione cultuale eventualmente insinuatasi tra noi nei confronti della Vergine: ché sarebbe anomalo che i cristiani, avendone maggiori motivi, avessero minore venerazione dei musulmani verso Colei che "credette alle parole del suo Signore, e nei suoi Libri".138
112.
Quando si riflette a lungo su un tema, può accadere che esso si ingrandisca ai
nostri occhi e, dominando lo schermo dello sguardo, impedisca di vedere altri
oggetti. Così è successo probabilmente anche a noi.
Ma è evidente che per noi, servi e serve di santa Maria, e per tutti i religiosi e le religiose l’indirizzo essenziale della pietà è quello stesso della Chiesa universale: al Padre per Cristo nello Spirito; una pietà il cui punto di riferimento, necessario e centrale, è la Pasqua del Signore, celebrata nell’Eucaristia e nella sua irradiazione nei sacramenti e nella Liturgia delle Ore;139 una pietà a cui la nostra condizione di religiosi aggiunge un altro motivo per sentirci impegnati ad offrire a Dio, come ogni discepolo, il "culto spirituale" (Rm 12, 1-2) di una vita santa.
In questo ambito trova la sua ragione di essere, il suo significato e il suo valore la pietà mariana.
Ma è evidente che per noi, servi e serve di santa Maria, e per tutti i religiosi e le religiose l’indirizzo essenziale della pietà è quello stesso della Chiesa universale: al Padre per Cristo nello Spirito; una pietà il cui punto di riferimento, necessario e centrale, è la Pasqua del Signore, celebrata nell’Eucaristia e nella sua irradiazione nei sacramenti e nella Liturgia delle Ore;139 una pietà a cui la nostra condizione di religiosi aggiunge un altro motivo per sentirci impegnati ad offrire a Dio, come ogni discepolo, il "culto spirituale" (Rm 12, 1-2) di una vita santa.
In questo ambito trova la sua ragione di essere, il suo significato e il suo valore la pietà mariana.
113.
Riflettendo sulla traiettoria storica della pietà mariana ci sembra di poter
affermare che essa fa parte dell’esperienza cristiana: la sua ragione ultima è
nella volontà salvifica di Dio; il fondamento prossimo, nella Parola scritta; le
prime testimonianze, nelle comunità apostoliche, la cui vita si riflette negli
scritti di Luca e di Giovanni; il suo scopo, la gloria di Dio; il suo vantaggio,
la crescita nell’amore; il motivo del suo sviluppo, lo sviluppo nella conoscenza
e nell’amore di Cristo. A questo proposito abbiamo trovato poche espressioni che
traducano il nostro convincimento tanto felicemente quanto un pensiero di
Zuinglio: "Più cresce tra gli uomini l’amore e l’onore di Gesù Cristo, più
cresce l’onore e la stima verso Maria, perché essa ha generato per noi un
Signore e Redentore così grande e tuttavia così amabile".140
114.
Ci siamo permessi di venire a colloquio con voi, sorelle e fratelli dell’Ordine
nostro, con voi, sorelle e fratelli religiosi, con voi, vescovi presbiteri
diaconi, e con voi, amici laici, su alcune questioni relative al culto della
beata Vergine.
Abbiamo riflettuto insieme su una crisi recente e sul suo superamento; su alcune consonanze profonde tra la vita di Maria e la vita religiosa; su alcuni compiti che, a nostro avviso, ci attendono oggi in ordine ad un corretto sviluppo della pietà mariana.
Se qualche volta — contro le nostre intenzioni — il discorso è andato al di là dei modoli propri della riflessione ad alta voce, del colloquio amichevole, ve ne chiediamo scusa. Desideriamo invece dichiararvi che, considerando i vostri testi legislativi, gli studi dei vostri teologi, le testimonianze della vostra storia, molto abbiamo appreso su come si debba intendere e vivere la pietà mariana. Di ciò vi siamo profondamente grati.
Abbiamo riflettuto insieme su una crisi recente e sul suo superamento; su alcune consonanze profonde tra la vita di Maria e la vita religiosa; su alcuni compiti che, a nostro avviso, ci attendono oggi in ordine ad un corretto sviluppo della pietà mariana.
Se qualche volta — contro le nostre intenzioni — il discorso è andato al di là dei modoli propri della riflessione ad alta voce, del colloquio amichevole, ve ne chiediamo scusa. Desideriamo invece dichiararvi che, considerando i vostri testi legislativi, gli studi dei vostri teologi, le testimonianze della vostra storia, molto abbiamo appreso su come si debba intendere e vivere la pietà mariana. Di ciò vi siamo profondamente grati.
115.
Ora consentiteci una parola sulla pietà mariana del nostro Ordine. Essa si è
formata nell’alveo del culto cristiano quale si praticava in Occidente, nel
secolo XIII. Si è abbeverata alle sorgenti della tradizione mariana del
monachesimo, in particolare — sembra — dei monaci cistercensi, ed ha attinto
pure alle ‘consuetudini mariane’ di altri Ordini di vita evangelico-apostolica,
sorti prima del nostro.
Le testimonianze sulla pietà mariana dei nostri primi Padri, fervente e insieme sobria, sono numerose, coeve, concordi. Per essi la Vergine era Madre amantissima, gloriosa Signora, sicuro Rifugio; di lei si professavano umili servi e "singolarmente innamorati".141
Riteniamo la pietà mariana un carisma dell’Ordine, costantemente posseduto lungo i secoli e fedelmente trasmesso da una generazione di frati all’altra.
Tale pietà noi esprimiamo soprattutto con la categoria del servizio, che ha profonde radici bibliche e, all’epoca dei nostri Padri, aveva assunto particolari connotazioni sociologiche.
Come i Sette Santi serviamo Maria per meglio servire il Signore; come lei e con lei vogliamo servire gli uomini, nostri fratelli.
Alla Vergine rivolgiamo numerosi atti di ossequio, alcuni antichi, altri più recenti; ma riteniamo che la pietà verso santa Maria consista soprattutto nell’assumere il suo stile evangelico di vita.
Desideriamo che le espressioni della nostra pietà siano semplici, umili, frutto di comunione fraterna; e poiché il frate deve testimoniare la santità della bellezza, desideriamo pure che esse siano limpide e armoniose.
Celebriamo tutto il mistero Vergine. Ma, secondo una viva tradizione, rivolgiamo il nostro sguardo soprattutto alla Vergine dell’Annuncio e alla Madre addolorata presso la croce del Figlio: per apprendere da lei "ad accogliere la Parola di Dio e ad essere attenti alle indicazioni dello Spirito"142 e per vivere come lei l’evento della Pasqua dell’Agnello, in cui "si consuma l’amore e sgorga la vita".143 E, riconoscendoci peccatori, spesso invochiamo santa Maria come Regina di misericordia. Non concepiamo una pietà mariana che non si risolva in lode a Dio e non si chini con attenzione e misericordia sui fratelli bisognosi.
Tale è la nostra spiritualità mariana. Riferendosi ad essa, s. Filippo Benizi († 1285), discepolo dei Sette e loro continuatore, poteva indicare la nostra vocazione nella Chiesa, dichiarando:
Le testimonianze sulla pietà mariana dei nostri primi Padri, fervente e insieme sobria, sono numerose, coeve, concordi. Per essi la Vergine era Madre amantissima, gloriosa Signora, sicuro Rifugio; di lei si professavano umili servi e "singolarmente innamorati".141
Riteniamo la pietà mariana un carisma dell’Ordine, costantemente posseduto lungo i secoli e fedelmente trasmesso da una generazione di frati all’altra.
Tale pietà noi esprimiamo soprattutto con la categoria del servizio, che ha profonde radici bibliche e, all’epoca dei nostri Padri, aveva assunto particolari connotazioni sociologiche.
Come i Sette Santi serviamo Maria per meglio servire il Signore; come lei e con lei vogliamo servire gli uomini, nostri fratelli.
Alla Vergine rivolgiamo numerosi atti di ossequio, alcuni antichi, altri più recenti; ma riteniamo che la pietà verso santa Maria consista soprattutto nell’assumere il suo stile evangelico di vita.
Desideriamo che le espressioni della nostra pietà siano semplici, umili, frutto di comunione fraterna; e poiché il frate deve testimoniare la santità della bellezza, desideriamo pure che esse siano limpide e armoniose.
Celebriamo tutto il mistero Vergine. Ma, secondo una viva tradizione, rivolgiamo il nostro sguardo soprattutto alla Vergine dell’Annuncio e alla Madre addolorata presso la croce del Figlio: per apprendere da lei "ad accogliere la Parola di Dio e ad essere attenti alle indicazioni dello Spirito"142 e per vivere come lei l’evento della Pasqua dell’Agnello, in cui "si consuma l’amore e sgorga la vita".143 E, riconoscendoci peccatori, spesso invochiamo santa Maria come Regina di misericordia. Non concepiamo una pietà mariana che non si risolva in lode a Dio e non si chini con attenzione e misericordia sui fratelli bisognosi.
Tale è la nostra spiritualità mariana. Riferendosi ad essa, s. Filippo Benizi († 1285), discepolo dei Sette e loro continuatore, poteva indicare la nostra vocazione nella Chiesa, dichiarando:
«Siamo servi della Vergine gloriosa».144
116.
Di questo patrimonio mariano noi, frati capitolari del 208° Capitolo generale
dell’Ordine, ci sentiamo insieme con voi, servi e serve di Maria, eredi e
testimoni; esso vogliamo custodire e incrementare, anche attraverso questa
‘riflessione capitolare’; per esso, in comunione di ideali con i fratelli e le
sorelle di molti Istituti religiosi, eleviamo il nostro ringraziamento a Dio,
datore di ogni bene, a cui sia ogni onore e gloria.
Roma, 16 novembre 1983
Ognissanti dell’Ordine dei Servi di santa Maria
Ognissanti dell’Ordine dei Servi di santa Maria
INDICE
INTRODUZIONE
(nn 1-3)
I. RIFLESSIONE SU UNA CRISI
RECENTE (nn. 4-16)
Natura e ambito della crisi nella pietà mariana (nn.
4-6)
Riflessi della crisi negli Istituti religiosi (n.
7)
Il superamento della crisi.
Maria nel cuore del Mistero cristiano (nn. 8-11)
Nel
cuore del mistero dell’Incarnazione (n. 9)
Nel cuore del mistero dell’Ora (n. 10)
Nel cuore del mistero dell’Ora (n. 10)
Il superamento della crisi negli Istituti
religiosi (nn. 12-16).
II. MARIA E LA VITA
CONSACRATA.
UNA CONSONANZA PROFONDA (nn. 17-37)
UNA CONSONANZA PROFONDA (nn. 17-37)
Una responsabilità storica (nn. 18-20)
Una consonanza profonda (nn. 21-24)
Esemplarità della Famiglia di Nazareth
(n. 22)
Immagine suprema della verginità consacrata (nn. 23-24)
Immagine suprema della verginità consacrata (nn. 23-24)
Modello della nostra vocazione e della nostra
consacrazione (nn. 25-28)
Prolungamento e segno di una «presenza» (nn.29-35)
Un grande simbolo del cristianesimo (nn.34-35)
Maria testimone di Cristo (nn. 36-37)
III. SU ALCUNI COMPITI
CHE OGGI ATTENDONO LE CHIESE LOCALI E GLI ISTITUTI RELIGIOSI IN ORDINE ALLA
PROMOZIONE DEL CULTO ALLA BEATA VERGINE
(nn. 38- 111)
Lo studio (nn. 39-43)
L’annuncio della Parola (nn. 44-49)
Prima evangelizzata ed evangelizzatrice
(n. 45)
Videro il Bambino con Maria sua Madre (n. 46)
La rivelazione di Cana (n. 47)
Con Maria in attesa dello Spirito (n. 48)
Videro il Bambino con Maria sua Madre (n. 46)
La rivelazione di Cana (n. 47)
Con Maria in attesa dello Spirito (n. 48)
Fedeltà alla riforma liturgica (nn. 50-62)
Religiosità popolare (nn. 51-54)
La pietà mariana nella liturgia (nn 55-56)
Silenzio della Vergine e silenzio liturgico (nn. 57-62)
La pietà mariana nella liturgia (nn 55-56)
Silenzio della Vergine e silenzio liturgico (nn. 57-62)
La via della bellezza (nn. 63-71)
Via di impegno ascetico (n. 66)
Via aderente alla Parola (nn. 67-70)
Via filiale (n. 71)
Via aderente alla Parola (nn. 67-70)
Via filiale (n. 71)
L’opzione per i poveri (nn. 72-77)
La questione femminile (nn. 78-88)
Pietà mariana e promozione della donna (nn. 81-83)
All’interno della Chiesa (nn. 84-85)
Pietà mariana e virtù evangeliche (nn. 86-88)
All’interno della Chiesa (nn. 84-85)
Pietà mariana e virtù evangeliche (nn. 86-88)
La cultura della vita (nn. 89-93)
La promozione della causa ecumenica (nn. 94-103)
Una profonda conversione del cuore (n. 96)
La «purificazione degli occhi» (n. 97)
Un atteggiamento di comprensione (n. 98)
Le Chiese d’Oriente (nn. 99-100)
Le Chiese della Riforma (nn. 101-102)
La «purificazione degli occhi» (n. 97)
Un atteggiamento di comprensione (n. 98)
Le Chiese d’Oriente (nn. 99-100)
Le Chiese della Riforma (nn. 101-102)
Comunione nella fede di Abramo (nn. 104-111)
I fratelli ebrei (nn. 104-109)
I fratelli musulmani (nn. 110-111)
I fratelli musulmani (nn. 110-111)
CONCLUSIONE (nn.
112-116)
Maria e i suoi Servi (nn. 115-116)
NOTE
1
Tercera Conferencia General del Episcopado Latino americano.
La evangelización en el presente y en el futuro de América Latina (= Documento di Puebla), n. 293. Celam 1979. Ci siamo serviti della versione italiana curata dall’Editrice Missionaria Italiana Bologna, 1979.
La evangelización en el presente y en el futuro de América Latina (= Documento di Puebla), n. 293. Celam 1979. Ci siamo serviti della versione italiana curata dall’Editrice Missionaria Italiana Bologna, 1979.
2
Legenda de origine Ordinis, n. 17, in Monumenta OSM,
vol. I. Bruxelles, Société de Librairie, 1897, pp. 72-73.
3
Costituzioni OSM (1977), art. 6.
4
Ibid.,
art. 7.
5
Ibid.
6
Del tempo del pontificato di Paolo VI (1963-1978) vanno segnalate anzitutto le
sue Esortazioni apostoliche Signum magnum del 13 maggio 1967, in Acta
Apostolicae Sedis 59 (1967) pp. 465-475, e Marialis cultus del 2
febbraio 1974, in Acta Apostolicae Sedis 66 (1974) pp.113-168. Poi, tra i
documenti delle Conferenze episcopali, sono da ricordare: Nederlandse
Bisschoppen Konferentie. Pastorale brief de Bisschoppen van Nederland del
5 ottohre 1968, in Ephemerides Mariologicae 24 (1974) pp.98-103;
Conferencia Episcopal de Chile. Una señal radiante de esperanza del 12
luglio 1972, in Marianum 36 (1974) pp. 363-365; Conferentia Episcopalis
Helvetica.Die Mutter Gottes im Heilsplan Gottes del 16 settembre 1973, in
Marianum 36 (1974) pp. 365-369; National Conference of Catholic Bishops
U.S.A. Bebold your Mother: Woman of Faith del 21 novembre 1973, in
Marianum 36 (1974) pp.370-411; Conferentia Episcopalis Polonensis,
Lettera pastorale sul retto ordinamento e sviluppo del culto alla santissima
Vergine Maria del 8 dicembre 1974, in Marianum 37 (1975) pp. 507-511;
Catholic Bishops Conference of the Philippines. Ang Mabal na Birhen. Mary in
Philippine Life Today: a Pastoral Letter on the Blessed Virgin Mary del 2
febbraio 1975, in Marianum 38 (1976) pp. 407-434.
7
Paolo VI.
Esortazione apostolica Marialis cultus per il retto ordinamento e
sviluppo del culto della beata Vergine Maria, in Acta Apostolicae Sedis
66 (1974) PP. 113-168, n. 15.
8
Cf. Pio XII.
Lettera enciclica Ad caeli Reginam, in Acta Apostolicae Sedis 46
(1954) p. 637; Giovanni XXIII. Allocuzione al clero romano (24 novembre 1960),
in Acta Apostolicae Sedis 52 (1960) p. 969.
9
Concilio Vaticano II. Costituzione dogmatica sulla Chiesa,
Lumen gentium, in Acta Apostolicae Sedis 57 (1965) pp. 5-71, n. 65.
10
Cf. Marialis cultus, n. 56 e Introduzione.
11
Cf. Concilio Vaticano II. Costituzione sulla sacra
liturgia, Sacrosanctum Concilium in Acta Apostolicae Sedis 56
(1964) pp. 97-138, n. 13; Marialis cultus, n. 31.
12
N.56.
13
Concilio Ecumenico Constantinopolitano I (anno 381).
Professione di fede, in Enchiridion Symbolorum..., ed. H. Denzinger e
A. Schönmetzer. Roma, Herder, 1965, n. 150.
14
Omelia ai fedeli di Sardegna, presso il Santuario di Nostra
Signora di Bonaria (24 aprile 1970), in Acta Apostolicae Sedis 62 (1970)
pp. 300-301.
15
Ibid.
16
Ibid.
17
Lumen gentium, n. 56.
18
De fide orthodoxa III, 12, in PG 94, 1029 C.
19
Origene. Commento al Vangelo di Giovanni I, 4, in SC
120, p. 58.
20
Cf. Th. Köhler. Les principales interprétations
traditionnelles de Jn 19, 25-27 pendant les douze premiers siècles, in
Études Mariales 16 (1959) pp. 119-155, H. Barré.La maternité spirituelle
de Marie dans la pensée médiévale, in Études Mariales 16 (1959) pp.
87-104, B. Duda. "Ecce mater tua" (Jo. 19, 26-27) in documentis Romanorum
Pontificum in Maria in Sacra Scriptura, vol. V. Romae, Pont. Academia
Mariana Internationalis, 1967, pp. 235-289.
21
Anacreontica. XI.In Ioannem Theologum, vv. 77-87,
in PG 87, 3, 3789.
22
Il titolo Mater misericordiae è usato con una certa
frequenza nella liturgia romana. Oltre che nella celebre antifona Salve
Regina, esso figura nell’inno Salve, mater misericordiae (Liturgia
delle Ore, Presentazione della b. Vergine Maria, 21 novembre, Ufficio delle
letture). L’origine del titolo sembra doversi ricollegare all’opera di s. Oddone
di Cluny († 942). Il titolo indica sia che Maria è la madre di Gesù, la
misericordia incarnata, sia che ella stessa è madre sommamente misericordiosa.
23
Ordo coronandi imaginem b. Mariae Virginis. Editio
typica. Città del Vaticano, Typis Polyglottis Vaticanis, 1981, n. 41, p. 28. Il
titolo si riallaccia all’espressione biblica "Serva (ancilla, ministra)
del Signore" (Lc 1, 38). Come tale, Maria "consacrò totalmente se stessa
[...] alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della
redenzione sotto di lui e con lui" (Lumen gentium, n. 56), cioè al
servizio del mysterium pietatis (cf. 1 Tm 3,16).
24
Concilio Vaticano II. Decreto sul rinnovamento della vita
religiosa, Perfectae caritatis,.in Acta Apostolicae Sedis 58
(1966) pp. 702-712, n. 2 a).
25
Per una buona rassegna di testi si veda J. A. De Aldama, S.I.
Los orígenes del culto mariano de imitación, in Estudios Marianos
36 (1972) pp. 75-93.
26 Giovanni
Paolo II. Esortazione apostolica sui compiti della famiglia cristiana nel mondo
moderno, Familiaris consortio, in Acta Apostolicae Sedis 74 (1982)
pp. 81-191, n. 16.
27
Paolo VI. Allocuzione a Nazareth (5 gennaio 1964), in Acta
Apostolicae Sedis 56 (1964) p. 168.
28
Per sessualità, da distinguere accuratamente da genitalità, si
intende qui il fatto che ogni essere umano — uomo o donna — è profondamente
marcato non solo nel corpo ma anche nella vita psichica e nella vita spirituale
dal proprio sesso, maschile o femminile. Ciò determina che ogni persona, in
forza del proprio sesso, si collochi in un modo peculiare di fronte a se stesso,
agli individui dello stesso sesso e a quelli di sesso diverso.
29
Natività di Maria o Protovangelo di
Giacomo IX, 1, in Los Evangelios Apócrifos (ed S. Otero). Madrid, La
Editorial Católica, 1963, p. 152 (BAC 148). Per uno studio sul significato
dell’espressione "Vergine del Signore", cf. J. A. De Aldama, S.I. María en la
patrística de los siglos I y II. Madrid, La Editorial Católica, 1970, pp.
342-356 (BAC 300).
30
Lumen gentium, n. 46.
31
Cf. Ibid., n. 56.
32
Questa interpretazione è frequente nei secoli XII-XIII: il
fiat della Vergine, oltre che espressione dell’accoglimento amoroso della
volontà di Dio, è una parola di misericordia (verbum miserationis) in
favore degli uomini. Si veda, ad esempio, S. Bernardo. Homilia IV, 8, in
Opera omnia, vol. 4. Roma, Edit. Cisterc., 1966, p. 53.
33
Lumen gentium, n. 56.
34
Ibid., n. 62.
35
Cf. S. Germano di Costantinopoli. Oratio I in Dormitionem
sanctae Dei Genetricis, in PG 98, 344 D e 345 BC.
36
Qui ci limitiamo a citare un significativo testo di Giovanni
Paolo II: "... Maria è presente nella Chiesa, a stimolare la santità dei
suoi figli migliori, a indirizzarli su vie eroiche di donazione evangelica e
missionaria, a favore dei poveri, dei piccoli, dei semplici, dei sofferenti, di
coloro che attendono il messaggio di Cristo" (Discorso ai collaboratori nel
governo centrale della Chiesa, n. 31, in Acta Apostolicae Sedis 72 [1980]
p. 664).
37
Si veda l’eccellente riassunto di Paolo VI sulla varietà di
segni con cui si manifesta la presenza di Cristo nella vita della Chiesa:
Lettera enciclica Mysterium fidei, in Acta Apostolicae Sedis 57 (
1965 ) pp. 762-764.
38
Non pochi teologi ritengono che i santuari mariani, luoghi dove
i fedeli accorrono numerosi per venerare la memoria di santa Maria e ricorrere
alla sua intercessione, ma anche luoghi dove si annuncia la Parola, risuona
l’invito alla conversione e si celebra il sacrarnento della penitenza, siano da
ritenere ‘segni’ della presenza materna della Vergine nella vita della Chiesa. A
maggior ragione ciò si deve affermare delle ‘apparizioni’ autentiche della
Madonna: tali manifestazioni soprannaturali, quando godono dell’approvazione
dell’autorità ecclesiastica e producono con continuità frutti di vita cristiana,
costituiscono una testimonianza particolare dell’amore con cui la Vergine già
glorificata accompagna il cammino dei suoi figli ancora pellegrini sulla terra.
Anche l’Anno liturgico, riproponendo ciclicamente e celebrando mistericamente
gli eventi salvifici della vita di Cristo, cui è indissolubilmente associata la
Vergine (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 103 ), diventa indirettamente un
‘segno’ della presenza di Maria nella vita della Chiesa.
39
Lumen gentium, n. 46.
40
Cf. Lumen gentium, n. 64.
41
Cf. Messale Romano, Prefazio dell’Immacolata, 8
dicembre.
42
"Tu visiti e vegli su tutti, o Madre di Dio. Anche se i
nostri occhi non ti possono vedere, o Tuttasanta, tu abiti in mezzo a noi e ti
manifesti in vari modi a quanti sono degni di te" (S. Germano di costantinopoli.
Oratio I in Dormitionem sanctae Dei Genetricis, in PG 98, 345 A). Da
parte sua la liturgia romana prega: "Veni, invamen saeculi, / sordes aufer
piaculi, /ac visitando populum / poenae tolle periculum" (Liturgia
delle Ore, Visitazione della b. Vergine Maria, 31 maggio, Ufficio delle
letture, inno Veni praecelsa Domina, del sec. XIII).
43
Questa ‘lettura’ di Giovanni 2, 5 è stata sostanzialmente
accolta nel magistero dei Romani Pontefici. Cf. Marialis cultus, n. 57;
Giovanni Paolo II. Allocuzione alla preghiera dell’Angelus (17 luglio 1983), in
L’Osservatore Romano, 18-19 luglio 1983, pp. 1-2.
44
Alla prima edizione del Tractatus del p. Lépicier
(Parigi 1901) seguirono altre quattro: la quinta (Roma 1926) risulta
notevolmente accresciuta.
45
Statuti della Pontificia Facoltà Teologica ‘Marianum’,
n. 2 b).
46
Lettera circolare su alcuni aspetti più urgenti della
formazione spirituale nei seminari (6 gennaio 1980), II, 4, in
Enchiridion Vaticanum 7, n. 85.
47
Queste affermazioni non sono ovviamente da intendere nel senso
che lo studio del mistero di Cristo, dello Spirito, della Chiesa siano
presupposti per la conoscenza di Maria di Nazaret, ma nel senso che un accurato
studio dell’evento Cristo, dell’azione dello Spirito, della natura e della
missione della Chiesa non può prescindere dal considerare il posto che la
Vergine occupa in essi.
48
Cf. Paolo VI. Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi
circa l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, in Acta Apostolicae Sedis
68 (1976) pp. 5-96, n. 82.
49
Marialis cultus, n. 17.
50
Fino dai secoli V-VI, la liturgia romana, proponendo Isaia 60,
1-9 e Matteo 2, 1-12 quali letture per la solennità dell’Epifania, ne ha intuito
il rapporto. L’esegesi qui esposta, che vede nella ‘casa di Betlemme’ (cf. Mt
2, 11) una figura della Chiesa, riscuote crescente interesse tra gli studiosi.
Essa tuttavia non è nuova. Il nucleo essenziale si trova già in Ireneo, per il
quale la casa a cui sono condotti i Magi per incontrare l’Emmanuele ("ad
Emmanuel") è la "casa di Giacobbe", ovviamente la Chiesa (cf. Adversus
Haereses III, 9, 2, in SC 211, p. 106). Questa interpretazione passa ai
teologi medievali; la incontriamo, ad esempio, in Rabano Mauro († 856): "Secondo
il senso mistico, i tre Magi stanno a significare il popolo dei Gentili
discendente dai tre figli di Noè, che viene alla fede in Cristo dalle tre parti
del mondo. La stessa, poi, significa la parola dei profeti, che mostra senza
errore la nascita del Signore. Erode è tipo del diavolo, il quale, conosciuta la
nascita del Salvatore, gli muove persecuzione, preparando la morte temporale
alle membra di lui. Da Erode si distaccano i Magi, quando le genti abbandonano
l’idolatria e vengono alla casa nella quale c’è Cristo, vale a dire la Chiesa
cattolica, la quale, rimanendo vergine, genera ogni giorno figli a Dio" (Commentaria
in Matthaeum I, cap. 2, in PL 107, 760 D).
51
La presenza attiva dello Spirito Santo sia nell’incarnazione
del Verbo sia nell’evento della Pentecoste è stata vista in reciproco rapporto
dal Concilio Vaticano II: cf. Lumen gentium, n. 59 e Decreto
sull’attività missionaria della Chiesa, Ad gentes, in Acta Apostolicae
Sedis 58 (1966) pp. 947-990, n. 4.
52
Lumen gentium, n. 65.
53
Cf. art. 7.
54
Evangelii nuntiandi, n. 48.
55
Ibid.
56
Cf. Documento di Puebla, n. 465.
57
Marialis cultus, n. 40.
58
Cf. ibid., nn. 25-37.
59
Sacrosanctum Concilium, n. 13.
60
Lumen gentium, n. 67.
61
Mons. E. Manfredini, arcivescovo di Bologna, scrive:
"Constatando che il nuovo ‘Ordo [lectionum]’ assegna alla memoria
dell’Addolorata le stesse letture del venerdì santo [...1 e quindi suggerisce di
attingere dall’evento drammatico celebrato in quel giorno il significato della
celebrazione della Madre dei dolori, viene spontaneo chiedersi se non sarebbe
molto opportuno [...1 trovare un modo proprio e una forma specifica per
presentare con maggiore evidenza alla coscienza del Popolo di Dio la
partecipazione di Maria al mistero della croce di Cristo nella stessa ‘feria
sexta in passione Domini’.
Una simile sottolineatura, anziché diminuire il senso del valore unico del sacrificio di Gesù nel venerdì santo, lo farebbe interiorizzare secondo quell’autentica comprensione di fede che la comunità ecclesiale riesce progressivamente ad assimilare quando si accosta al mistero della croce, associandosi ad esso nell’atteggiamento stesso di Maria al Calvario" (Analisi tematica del lezionario per le celebrazioni mariane, in Aa.Vv. Il Messale Romano del Vaticano II. Orazionale e lezionario. Vol. II. Leumann [Torino], LDC, 1981, p. 130); cf. M. Magrassi, O.S.B., arcivescovo di Bari. Maria e la Chiesa una sola madre. Noci, Edizioni ‘La Scala’, 1977, p. 22; J. Castellano, O.C.D. La Vergine nella liturgia, in Aa.Vv. Maria mistero di grazia. Roma, Pontificio Istituto di spiritualità del Teresianum, 1974, pp. 104-108; A. Bergamini. Cristo festa della Chiesa. Storia-teologia-spiritualità-pastorale dell’Anno Liturgico. Roma, Ed. Paoline, 1982, p. 395 e relativa nota 2; T. de Urkiri, C.M.F. Para avanzar en la pastoral litúrgico-mariana. Madrid, Editorial Alpuerto, 1980, pp. 28-45.
Una simile sottolineatura, anziché diminuire il senso del valore unico del sacrificio di Gesù nel venerdì santo, lo farebbe interiorizzare secondo quell’autentica comprensione di fede che la comunità ecclesiale riesce progressivamente ad assimilare quando si accosta al mistero della croce, associandosi ad esso nell’atteggiamento stesso di Maria al Calvario" (Analisi tematica del lezionario per le celebrazioni mariane, in Aa.Vv. Il Messale Romano del Vaticano II. Orazionale e lezionario. Vol. II. Leumann [Torino], LDC, 1981, p. 130); cf. M. Magrassi, O.S.B., arcivescovo di Bari. Maria e la Chiesa una sola madre. Noci, Edizioni ‘La Scala’, 1977, p. 22; J. Castellano, O.C.D. La Vergine nella liturgia, in Aa.Vv. Maria mistero di grazia. Roma, Pontificio Istituto di spiritualità del Teresianum, 1974, pp. 104-108; A. Bergamini. Cristo festa della Chiesa. Storia-teologia-spiritualità-pastorale dell’Anno Liturgico. Roma, Ed. Paoline, 1982, p. 395 e relativa nota 2; T. de Urkiri, C.M.F. Para avanzar en la pastoral litúrgico-mariana. Madrid, Editorial Alpuerto, 1980, pp. 28-45.
62 Si
veda in proposito: S. Salaville. Marie dans la liturgie byzantine ou
gréco-slave, in H. du Manoir (ed. ). Maria, Etudes sur la Sainte
Vierge, vol. I. Paris, Beauchesne, 1949 pp. 266-271; A. Kniazeff. La
Theotobos dans les offices hyzantins du temps pascal, in Irénikon 34
(1969) pp. 21-44.
63
"...sarebbe certamente auspicabile che [nella liturgia romana]
il ricordo della Vergine si affacciasse anche nelle celebrazioni pasquali e
pentecostali" (M. Magrassi, O.S.B. Op. cit., pp. 22-23).
64
Cf. Sacrosanctum Concilium, n 30. Sulla funzione e il
valore riconosciuti al silenzio dai vari documenti liturgici e dai rituali
promulgati tra il 1968 e il 1973, cf. D. Sartore, C.S.J. Il silenzio come
‘parte dell’azione liturgica’, in Aa.Vv. Mysterion. Nella
celebrazione del Mistero di Cristo la vita della Chiesa. Leumann (Torino), LDC,
1981, pp. 289-305.
65
Per una puntuale rassegna degli studi contemporanei su Luca 2,
19.51b e per un’antologia di testi dal secolo III ai nostri tempi, cf. A. Serra.
Sapienza e contemplazione di Maria secondo Luca 2, 19. 51b. Roma,
Edizioni Marianum, 1982.
66
H. de Lubac. Meditazione sulla Chiesa. Milano, Edizioni
Paoline, 1963, pp. 426-427.
67
Una delle intuizioni più rilevanti della Marialis cultus
è quella di presentare Maria quale "modello dell’atteggiamento spirituale con
cui la Chiesa celebra e vive i divini misteri" (n. 16). L’Esortazione apostolica
osserva che "l’esemplarità della beata Vergine in questo campo deriva dal fatto
che ella è riconosciuta eccellentissimo modello della Chiesa nell’ordine della
fede, della carità e della perfetta unione con Cristo" (ibid. ). In questo testo
tuttavia non si fa menzione esplicita dell’atteggiamento riflessivo, che è senza
dubbio uno degli aspetti esemplari più notevoli di Maria nel campo cultuale.
68
"A te, Signore, la lode silenziosa". Per l’origine e il
significato di questo motto, che deriva dalla lettura masoretica del Salmo 64
[65], 2, cf. I. Cecchetti. ‘Tibi silentium laus’, in Aa.Vv.
Miscellanea liturgica in honorem L. Cuniberti Moblberg, vol. II. Roma,
Edizioni Desclée, 1949, pp. 521-570.
69
Come è noto, nella celebrazione di alcuni sacramenti —
confermazione, ordinazione dei vescovi dei presbiteri e dei diaconi, unzione
degli infermi... — il gesto dell’imposizione delle mani che precede
l’invocazione dello Spirito Santo avviene nell’assoluto silenzio. Anche vari
segni biblici dello Spirito Santo sono ‘silenziosi’: l’alito e la brezza, l’olio
il profumo l’unguento, l’ombra e la rugiada...
70
Costituzioni OSM (1977), art. 31.
71
Paolo VI. Esortazione apostolica sul rinnovamento della vita
religiosa secondo le norme del Concilio Vaticano II, Evangelica testificatio,
in Acta Apostolicae Sedis 63 (1971) pp. 497-526, n. 46.
72
Il termine ebraico tôb che qualifica, una dopo l’altra, le
opere della creazione (cf. Gn 1, 4. 10. 12.18. 21. 25. 31) è reso dai LXX
con l’aggettivo kalón: "era cosa buona", che assomma in sé i significati di ‘bello’,
‘buono’, ‘ben riuscito’.
73
Liturgia delle Ore, Solennità di Maria Ss. Madre di Dio,
1 gennaio, Ufficio delle letture, responsorio 2.
74
N. 71, v. 513, in SC 123, p. 98.
75
Homilia XXXVII. In Dormitionem Deiparae semperque Virginis
Mariae, in PG 151, 468 A.
76
Allocuzione ai partecipanti al VII Congresso Mariologico
Internazionale (Roma 16 maggio 1975), in Acta Apostolicae Sedis 67 (1975)
p. 338.
77
Omelia in S. Pietro in occasione del X anniversario della
chiusura del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1975), in Insegnamenti di Paolo
VI, vol. XIII. Città del Vaticano, Libreria Lditrice Vaticana, 1975, pp.
1493-1494.
78
Molto nota a questo proposito è l’antifona "Tota pulchra es,
Maria, et macula originalis non est in te" (Liturgia delle Ore,
Immacolata Concezione della b. Vergine Maria, 8 dicembre, II Vespri, antifona
1).
79
Tra i testi più noti si può citare l’antifona: "Genuit puerpera
Regem, cui nomen aeternum, et gaudia matris habens cum virginitatis honore;
nec primam similem visa est, nec habere sequentem" (Liturgia delle Ore,
Solennità di Maria Ss. Madre di Dio, 1 gennaio, Lodi, antifona 3).
80
Paolo VI. Omelia in S. Pietro in occasione della celebrazione
del centenario dell’Azione Cattolica Italiana (8 dicembre 1968), in
Insegnamenti di Paolo VI, vol. VI. Città del Vaticano, Libreria Editrice
Vaticana, 1969, p. 632.
81
Paolo VI. Allocuzione ai partecipanti al VII Congresso
Mariologco Internazionale (Roma 16 maggio 1975), in Acta Apostolicae Sedis
67 (1975) p. 338.
82
Regula ad servos Dei, cap. VIII, n. 48, in La Regola
(ed. A. Trapè). Testo latino italiano. Milano, Editrice Ancora, 1971, p. 267.
83
Huit homélies mariales. Hom. VII, 234-239, in SC 72, pp.
198. 200. Si sarà rilevato che il b. Amedeo ravvisa la bellezza della Vergine
nei suoi atteggiamenti morali (nei pensieri, nelle parole, nelle azioni) e nella
sua partecipazione agli eventi salvifici di Cristo (la nascita, la morte, la
risurrezione). in epoche di decadenza del pensiero teologico, la bellezza della
Vergine sarà inopportunamente cercata nei tratti fisici, fantasiosamente
immaginati e descritti.
84
Lumen gentium, n. 55.
85
Evangelica testificatio, n. 16.
86
Ibid., n. 18.
87
Ibid., n. 17.
88
Giovanni Paolo II. Omelia ai fedeli messicani, presso il
Santuario di Zapopán (30 gennaio 1979), in Acta Apostolicae Sedis 71
(1979) p. 230.
89
Documento di Puebla, n. 299.
90
Sulla condizione della donna nel mondo biblico, cf. L. Zucker.
Voce Woman, in Encyclopaedia Judaica, vol. 16. Jerusalem 1971,
col. 623-628, C. Gancho. Voce Donna in Enciclopedia della Bibbia,
vol. 2. Leumann (Torino), LDC, 1969, col 998-1002.
91
Documento di Puebla, n. 291.
92
Ibid., n. 299.
93
Cf. Lettera enciclica Pacem in terris, in Acta
Apostolicae Sedis 55 (1963 ) pp. 267-268.
94
Paolo VI. Allocuzione al Convegno dei giuristi cattolici
d’Italia (7 novembre 1974 ) in Insegnamenti di Paolo VI, vol. XII. Città
del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1975, p. 1248.
95
Cf. Ibid., p. 1249.
96
Documento Funzione della donna nell’evangelizzazione (19
novembre 1975), V. La donna nella liturgia e nei ministeri, in Enchiridion
Vaticanum 5, n. 1572.
97
N. 282.
98
Cf. Familiaris consortio, n. 59.
99
A. Müller Discorso di fede sulla Madre di Gesù. Un
tentativo di mariologia in prospettiva contemporanea. Brescia, Queriniana,
1983, p. 49.
100
Concilio Ecumenico Costantinopolitano I (anno 381), in
Enchiridion Symbolorum, n. 150.
101
Cf. S. Agostino. De sancta virginitate, 6, in PL 40,
399; Lumen gentium, nn. 53. 61.
102
Liturgia delle Ore, antifona Salve Regina.
L’attribuzione alla Vergine del termine vita determinò la scomparsa
dell’uso di questa celebre antifona nelle Chiese della Riforma. Effettivamente
tale termine, che in senso assoluto conviene solo a Cristo (cf. Gv 14,
6), applicato alla Vergine poteva dare luogo a fraintendimenti. Bene colse
invece il significato e il valore della sua applicazione a Maria il primo
commentatore della Salve, l’abate cistercense Goffredo d’Auxerre († 1188
ca. ), secondo cui la Vergine è per noi vita in forza del valore
esemplare della sua testimonianza: "vita, nell’esempio di perfetta condotta e di
totale santità"; "vita, se imitiamo, pur nella nostra fragilità, la sua vita";
"vita nostra per educarci alla vita" (In Nativitate b. Virginis, Sermo IV,
in ed. J.M. Canal. Salve Regina misericordiae. Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 1963, pp. 212-213).
103
VI Sinodo dei Vescovi (anno 1983). Messaggio al mondo,
in L’Osservatore Romano, 28 ottobre 1983, p. 1.
104
Cf. Allocuzione agli scienziati e ai rappresentanti delle
Nazioni Unite (Hiroshima, 25 febbraio 1981), in Insegnamenti di Giovanni
Paolo II, vol IV/1. Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1981,
pp. 540-549; Omelia all’aeroporto di Coventry (30 maggio 1982), in Acta
Apostolicae Sedis 74 (1982) pp. 926-931; Messaggio alla II Sessione speciale
delle Nazioni Unite per il disarmo (7 giugno 1982), in Insegnamenti di
Giovanni Paolo II, vol. V/2. Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana,
1982, pp. 2131-2143; Allocuzione al Centro Europeo per la Ricerca Nucleare
(Ginevra, 15 giugno 1982), n. 9, in Acta Apostolicae Sedis 74 (1982) pp.
1010-1012.
105
Lettera pastorale The Challenge of Peace: God’s Promise and
Our Response del 3 maggio 1983; Lettera dei Vescovi dei Paesi Bassi La
pace nella giustizia del 5 maggio 1983; Lettera dei Vescovi del Belgio
Disarmare per costruire la pace del luglio 1983; Lettera dei Vescovi del
Giappone. L’aspirazione alla pace, missione evangelica della Chiesa
giapponese del 9 luglio 1983; Lettera della Conferenza Episcopale di Francia
Vincere la pace dell’8 novembre 1983.
106
Cf. G.M. Lechner, O.S.B. Maria Gravida. Zum
Schwangerschftsmotiv in der bildenden Kunst. München-Zürich, Verlag Schnell und
Steiner, 1981. Ci piace ricordare qui l’affresco di Vitale da Bologna La
Vergine nell’attesa del parto (1355), che si ammira nella basilica di Santa
Maria dei Servi di Bologna, una delle più antiche e venerate chiese dell’Ordine.
107
Liturgia delle Ore, Natale del Signore, 25 dicembre,
Lodi, inno.
108 Proprium
Officiorum O.S.M., Solennità della b. Vergine Addolorata, 15 settembre, I
Vespri, antifona 1.
109
Marialis cultus, n. 32.
110
Dr. Ross Mackenzie, presbiteriano. Dichiarazione riportata da
R. Laurentin. Bulletin sur la Vierge Marie, in Revue des sciences
philosophiques et théologiques 65 (1981), pp. 330-331.
111
Per essi la Sacra Scrittura è il libro che il monaco deve
meditare instancabilmente "leggere giorno e notte, scrutando ognuna delle sue
sillabe e delle sue lettere" (S. Girolamo. Tractatus de Psalmo 131, in
CCL 78, p. 274), regola e specchio su cui modellare la propria vita, alimento —
quasi carne e sangue di Cristo, al pari dell’Eucaristia — di cui nutrirsi. Per
una sintesi dell’uso della Bibbia presso i monaci, cf. G. M. Colombas, O.S.B.
El monacato primitivo, vol. II. La espiritualidad. Madrid, La
Editorial Católica, 1975, pp. 75-94 (BAC 376).
112
"In primo luogo [i religiosi] abbiano quotidianamente tra le
mani la Sacra Scrittura affinché dalla lettura e dalla meditazione dei Libri
Sacri imparino "la sovreminente scienza di Gesù Cristo" (Fil 3, 8)" (Perfectae
caritatis, n. 6).
113
"Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da
lui dipende: in vista di lui Dio Padre, da tutta l’eternità, la scelse Madre
tutta santa e la ornò di doni dello Spirito a nessun altro concessi" (Marialis
cultus, n. 25).
114
Messale Romano, Prece eucaristica I o Canone Romano,
Communicantes.
115
Ognuno di noi quando accosta i ‘testi mariani’ della Sacra
Scrittura, oltre ad una pre-comprensione conseguente alla propria formazione
intellettuale, si trova ad avere nel confronti di essi una diversa
pre-disposizione derivante dalla confessione cristiana cui appartiene e dalla
sua condizione esistenziale. Così, ad esempio, noi frati Servi di Maria —
religiosi, cattolici, sorti nell’ambito del movimento evangelico-apostolico
medievale, depositari di una ‘eredità mariana’ — avvertiamo in quei testi echi e
risonanze che facilmente sfuggono ad altri lettori di differente tradizione
spirituale.
116
Cf. Concilio Vaticano II. Decreto su l’ecumenismo, Unitatis
redintegratio, in Acta Apostolicae Sedis 57 (1965) pp. 90-112, n. 11;
Segretariato per l’unione dei cristiani. Direttorio ecumenico, Parte II,
in Acta Apostolicae Sedis 62 (1970) pp. 705-724, n. 76 c.
117
Cf. S. Congregazione per la dottrina della fede. Declaratio
circa catholicam doctrinam de Ecclesia contra nonnullos errores hodiernos
tuendam, specialmente il n. 5 (De notione infallibilitatis Ecclesiae non
corrumpenda), in Acta Apostolicae Sedis 65 (1973) pp. 402-404.
118
A questo proposito sarà sufficiente ricordare che, nella stessa
epoca — fine del secolo IV, in cui la liturgia sira per opera di s. Efrem (†
373) e della sua scuola ha introdotto numerosi inni rivolti direttamente alla
Vergine, la liturgia romana non ha ancora introdotto nelle sue ufficiature testi
con simile indirizzo. Ciò avverrà solo a partire dal secolo VII.
119
La divergenza riguarda solo i dogmi della Concezione immacolata
e dell’Assunzione della Vergine in corpo e anima al cielo. Ma, più che i
contenuti dottrinali, il dissenso concerne la procedura della definizione da
parte dei Vescovi di Roma — rispettivamente Pio IX nel 1854 e Pio XII nel 1950 —
avvenuta in una situazione di ‘Chiesa divisa’.
120
N. Nissiotis. Maria nella teologia ortodossa, in
Concilium 19 (1983) n. 8, p. 66 [1260].
121
I teologi ortodossi riconoscono che, in campo ecumenico, "per
l’eccessivo timore di creare un ulteriore motivo di divisione e di dare scandalo
alla coscienza di colleghi e fratelli di altre tradizioni cristiane", sono stati
troppo cauti nei loro riferimenti alla beata Vergme. Oggi sembrano orientarsi,
proprio per motivi ecumenici, ad abbandonare tanta cautela: "Una teologia
orientata ecumenicamente che resti priva di riferimenti alla mariologia è una
riflessione teologica individualistica, antropocentrica e mutilata, perché
mcapace di penetrare dinamicamente i cuori e le menti che cercano l’unità in
Cristo per mezzo dell’unico Spirito, sulla base di un approccio pienamente
ecclesiologico" (N. Nissiotis. Art. cit., 67-68 [1261-1262].
122
Unitatis redintegratio, n. 15.
123
Dichiarazione ecumenica al Congresso Mariologico
Internazionale di Saragozza (9 ottobre 1979), n. 4, in Marianum 42
(1980) p. 305. È necessario tuttavia avvertire che i firmatari della
Dichiarazione sottoscrissero a titolo personale, se pur dichiararono di aver
"lavorato con la preoccupazione costante di esprimere la fede della loro Chiesa"
(Ibid., nota preliminare alle firme).
124
Cf. Dichiarazione ecumenica al Congresso Mariologico
Internazionale di Malta (15 settembre 1983), n. 5, in L’Osservatore
Romano, 18 settembre 1983, p. 2.
125
A questo proposito si veda J.-P. Gabus. Point de vue
protestant sur les études mariologiques et la piété mariale, in Marianum
44 (1982) pp. 475-509, in particolare pp. 480-482.
126
Segretariato per l’unità dei cristiani. Orientamenti e
saggerimenti per l’applicazione della dichiarazione ‘Nostra aetate’ (n. 4),
in Acta Apostolicae Sedis 67 (1975) p. 73.
127
Ibid.
128
Ibid.
129
De gloria et honore Filii hominis X, 1, in PL 194, 1105.
130
Giovanni Paolo II. Allocuzione ai delegati delle Conferenze
episcopali per i rapporti con l’ebraismo (6 marzo 1982), in Insegnamenti di
Giovanni Paolo II, vol. V/1. Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana,
1982, p. 746.
131
Concilio Vaticano II. Dichiarazione sulla Chiesa e le religioni
non cristiane, Nostra aetate, in Acta Apostolicae Sedis 58 (1966)
pp. 740-744, n. 4.
132
N. 3.
133
N. Geagea, O.C.D. Maria, segno ed esempio secondo il Corano,
in Acta Congressus Mariologici-Mariani Internationalis in Croatia anno 1971
celebrati, vol. V. Romae, Pont. Academia Mariana Internationalis, 1972, p.
3.69.
134
Il Corano. Sura XXI, 91 (trad. di A. Bausani). Firenze,
Sansoni, 1978, p. 238.
135
Ibid. Sura III, 42, pp. 39-40.
136
N. Geagea. Art. cit., p. 381.
137
Cf. Nostra aetate, n. 3.
138
Il Corano. Sura LXVI, 12, p. 433.
139
Cf. Costituzioni OSM (1977), art. 24.
140
Citato da J.-P. Gabus. Art cit., p. 481.
141
Legenda de origine Ordinis, n. 18, in Monumenta OSM,
vol. I. Bruxelles, Société Belge de Librairie, 1897, p. 73.
142
Costituzioni OSM (1977), art. 6.
143
Vigilia de Domina. Ufficio dei Servi a santa Maria.
Romae, Curia Generalis OSM, 1980, p. 61.
144
Legenda beati Philippi, n. 8, in Monumenta OSM,
vol. II. Bruxelles, Société Belge de Librairie, 1898, p. 71.
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