ANTONIO PETRILLI
Una vita tutta donata
per costruire un’opera di Dio
Uno dei primi focolarini
da oltre 50 anni tra i più stretti collaboratori
di Chiara Lubich
Pochi giorni prima della sua "partenza" avvenuta il 9 luglio 2001. Chiara Lubich, era andata a fargli visita. "L’ho visto felice". Lo scrive ai responsabili del Movimento nel mondo, annunciando la notizia.
"Tre giorni prima aveva ricevuto l’Unzione degli infermi in una gioia profonda, condivisa dal focolare. Stanotte, mentre recitava il rosario con un focolarino che lo assisteva, ha smesso di rispondere. E’ partito con Maria sulle labbra. Senza soffrire ha raggiunto lo Sposo. Siamo sereni com’era lui.
Che frutti i suoi! Che contributo all’Opera!".
La forza dello Spirito
L'amore
vince sul dolore. Così anche quando - dal marzo scorso - era stato
colpito da un’ischemia. In Gesù che sulla croce è giunto a gridare
l'abbandono del Padre per noi, c'è la risposta a tutto, ripeteva.
Come testimonia un focolarino che lo ha assistito, "non finiva mai di stupire la forza dello Spirito: mentre il corpo è in declino, l’anima si affina, esplode in espressioni piene di vita".
Come testimonia un focolarino che lo ha assistito, "non finiva mai di stupire la forza dello Spirito: mentre il corpo è in declino, l’anima si affina, esplode in espressioni piene di vita".
La sua ricerca
Era nato a
Napoli il 7 febbraio 1916. Suo padre era avvocato e svolgeva l'ufficio di
giudice in città. Sua madre era nativa di Vietri, nel salernitano.
Sin da piccolo amava stare all'aperto, nel parco della villa paterna a Capodimonte, un quartiere che sorgeva in un punto elevato della città.
"E proprio attraverso il fascino che la natura esercitava su di me,
Dio volle cominciare ad attirarmi a sé"
Lo annota in uno scritto autobiografico.
Un episodio: la visita insieme al padre e ai suoi fratelli all'Osservatorio astronomico di Capodimonte. L'impressione che ne prova - scrive - "è indescrivibile".
Sin da piccolo amava stare all'aperto, nel parco della villa paterna a Capodimonte, un quartiere che sorgeva in un punto elevato della città.
"E proprio attraverso il fascino che la natura esercitava su di me,
Dio volle cominciare ad attirarmi a sé"
Lo annota in uno scritto autobiografico.
Un episodio: la visita insieme al padre e ai suoi fratelli all'Osservatorio astronomico di Capodimonte. L'impressione che ne prova - scrive - "è indescrivibile".
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La contemplazione di quel cielo
che mi pareva vivo, mi fece scoprire che quelle dimensioni che componevano il cielo in armonia, si riflettevano in certo modo anche dentro di me. Da quel momento mi resi conto che esisteva dentro di me"un altro cielo", che – in maniera simile ma diversa – mi faceva contemplare l'esistenza di "un'altra Realtà". Una scoperta che mi ha accompagnato tutta la vita e che mi accese dentro un desiderio e un'aspirazione all'Universale, all'Immenso, all'Eterno. |
Aveva 8 anni
quando la famiglia si trasferisce a Roma. E’ per lui un cambiamento radicale. Un
ambiente che gli apparve "angusto e triste".
"Invece della veduta del mare e del verde della natura, potevo contemplare solo l'asfalto delle strade".
Sin da adolescente inizia una ricerca sofferta:
"Sentivo una forte spinta interiore: era un bisogno di capire il mondo che mi circondava, coglierne la sua vera essenza.
Nel disegno cerca una forma di espressione. All'Università sceglie architettura. Sin dall'inizio la carriera è promettente. E' uno degli iniziatori dell' "Associazione per un'Architettura Organica" che nel primo dopoguerra ebbe un ruolo determinante nell'evoluzione dell'architettura italiana. E' il primo segretario del nascente Ordine degli architetti.
"Invece della veduta del mare e del verde della natura, potevo contemplare solo l'asfalto delle strade".
Sin da adolescente inizia una ricerca sofferta:
"Sentivo una forte spinta interiore: era un bisogno di capire il mondo che mi circondava, coglierne la sua vera essenza.
Nel disegno cerca una forma di espressione. All'Università sceglie architettura. Sin dall'inizio la carriera è promettente. E' uno degli iniziatori dell' "Associazione per un'Architettura Organica" che nel primo dopoguerra ebbe un ruolo determinante nell'evoluzione dell'architettura italiana. E' il primo segretario del nascente Ordine degli architetti.
L’incontro con Dio Amore
Il 7
dicembre 1949, vigilia dell’Immacolata, si trova – quasi suo malgrado – in una
grande processione che culminava in Piazza s. Pietro. Annota infatti: "di
solito rifuggivo da tutto quel che aveva ‘odore di sacrestia". Ma
non può dire di no ad un invito che gli era stato rivolto. Vedendo che tutti
pregavano e chiedevano qualcosa, Antonio si sente spinto a chiedere a Maria di
indicargli una strada per farsi santo.
Qualche giorno dopo, il 16 dicembre, Giulio Marchesi, un compagno di ginnasio che Antonio non vedeva da 15 anni, gli telefona e gli parla dei Movimento dei Focolari, invitandolo ad una riunione che si sarebbe fatta quella sera stessa. Titubante, vi partecipa. Qualche giorno dopo va in focolare, dove incontra Chiara con alcune delle sue compagne. Segnerà un momento decisivo per la sua vita.
Ad un tratto Chiara mi chiese se avevo qualche domanda da farle. Mi colse impreparato… Le chiesi come mai, pur essendo in apparenza così diverse, si avvertisse in lei e nelle sue compagne, quando parlavano, un unico timbro che le accomunava.
Mi parlò di Dio come di un sole che illumina ogni uomo,
così che ciascuno è collegato da un raggio del suo amore.
E disse che ognuno nella vita, dovrebbe cercare di camminare sempre
su questo raggio che esprime la volontà di Dio su di lui.
Se ciascuno di noi cammina nel suo raggio, siamo tutte distinte - diceva -
ma anche unite, perché facciamo tutte la volontà di Dio.
E diventiamo anche tutte in certo modo uguali,
perché ogni raggio diventa, per così dire, un pezzetto di sole.
Essendo architetto, forse io avevo bisogno di un’immagine.
Non avevo mai pensato Dio così: come amore che tutti univa e uguagliava attirandoli a Sé. Quel Dio amore mi affascinò.
Da quel momento, quel Dio, in tutto il suo splendore entrò nella mia vita".
Qualche giorno dopo, il 16 dicembre, Giulio Marchesi, un compagno di ginnasio che Antonio non vedeva da 15 anni, gli telefona e gli parla dei Movimento dei Focolari, invitandolo ad una riunione che si sarebbe fatta quella sera stessa. Titubante, vi partecipa. Qualche giorno dopo va in focolare, dove incontra Chiara con alcune delle sue compagne. Segnerà un momento decisivo per la sua vita.
Ad un tratto Chiara mi chiese se avevo qualche domanda da farle. Mi colse impreparato… Le chiesi come mai, pur essendo in apparenza così diverse, si avvertisse in lei e nelle sue compagne, quando parlavano, un unico timbro che le accomunava.
Mi parlò di Dio come di un sole che illumina ogni uomo,
così che ciascuno è collegato da un raggio del suo amore.
E disse che ognuno nella vita, dovrebbe cercare di camminare sempre
su questo raggio che esprime la volontà di Dio su di lui.
Se ciascuno di noi cammina nel suo raggio, siamo tutte distinte - diceva -
ma anche unite, perché facciamo tutte la volontà di Dio.
E diventiamo anche tutte in certo modo uguali,
perché ogni raggio diventa, per così dire, un pezzetto di sole.
Essendo architetto, forse io avevo bisogno di un’immagine.
Non avevo mai pensato Dio così: come amore che tutti univa e uguagliava attirandoli a Sé. Quel Dio amore mi affascinò.
Da quel momento, quel Dio, in tutto il suo splendore entrò nella mia vita".
Una
chiamata irresistibile
Il giorno di Natale di quello stesso anno 1949 Antonio si trova a Trento con il
primo gruppo di Roma che aveva conosciuto il Movimento. Con Chiara ci sono tutti
i primi focolarini e le prime focolarine. Un episodio.
Vien chiesto a Chiara di narrare loro quanto accadde quel 13 maggio 1944 quando un terribile bombardamento distrusse la città di Trento e la casa dove lei abitava con la famiglia. Un fatto che segnerà un’esperienza decisiva: mentre i genitori sfollavano dalla città, decide di restare a Trento, per custodire il seme del Movimento nascente. Comunica loro quella interminabile notte passata all’addiaccio che sintetizza in due sole parole: "lacrime e stelle". Poi i colloqui, in mezzo alle macerie, prima col padre e poi con la madre. Così Antonio ricorda quel momento:
Vien chiesto a Chiara di narrare loro quanto accadde quel 13 maggio 1944 quando un terribile bombardamento distrusse la città di Trento e la casa dove lei abitava con la famiglia. Un fatto che segnerà un’esperienza decisiva: mentre i genitori sfollavano dalla città, decide di restare a Trento, per custodire il seme del Movimento nascente. Comunica loro quella interminabile notte passata all’addiaccio che sintetizza in due sole parole: "lacrime e stelle". Poi i colloqui, in mezzo alle macerie, prima col padre e poi con la madre. Così Antonio ricorda quel momento:
"Mentre lei parlava, avevo l’impressione che quel racconto mi si imprimesse dentro a caratteri di fuoco. Chiara ad un tratto disse che Dio, quella notte, la chiamò a fare una scelta, tagliando affetti, sentimenti, tutto, per seguirlo. L’impressione che provai fu di trovarmi, da solo a solo con Gesù e che lui si stesse servendo delle parole di Chiara per chiedere anche a me di lasciare genitori, fratelli, casa, lavoro, per seguirlo. Dovette trattarsi di una grazia, perché mai prima avevo pensato ad alcunché di simile. Mi sentivo anche del tutto libero di decidere. Quella chiamata era irresistibile, era così straordinaria, così incredibile che scoppiai in un pianto che era tutto e solo gioia." |
Il suo contributo nel Movimento
Ben presto insieme ad altri giovani che avevano fatto la stessa scelta, fa parte
del primo focolare di Roma. Ricopre molti incarichi. Dà il suo contributo nel
portare Dio e la luce del Vangelo per il rinnovamento del mondo
dell'architettura e dell'arte che gli viene affidato. Più tardi, per 5 anni
dirige la rivista Città Nuova. Nel '61 fa il primo viaggio negli Stati Uniti
ponendo le basi del movimento in quel continente. Nel '63 diviene sacerdote. E'
responsabile del Movimento a Roma e poi a Trento. E' tra i consiglieri generali
dell'apostolato del Movimento. Diventa uno dei più stretti collaboratori di
Chiara. Importante il suo apporto alla stesura degli Statuti, specie per quanto
riguarda i "Vescovi amici del Movimento dei Focolari".
Dal ’76 infatti, ne accompagna la nascita e gli sviluppi.
Tra i molti messaggi giunti da tutto il mondo dalla famiglia dei Focolari, non mancano quelli di Cardinali e vescovi:
Dal ’76 infatti, ne accompagna la nascita e gli sviluppi.
Tra i molti messaggi giunti da tutto il mondo dalla famiglia dei Focolari, non mancano quelli di Cardinali e vescovi:
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"E’ con la sua vita, più che leggendo i libri, che ho capito che
cosa è un focolarino sacerdote:
uno che è sempre al servizio, con una umiltà mariana che viene dal suo cuore unito a Maria". Così il card. François Xavier Nguyên Van Thuân, presidente del Pontificio Consiglio Justitia et Pax che ha presieduto la celebrazione liturgica per l’ultimo saluto ad Antonio, al Centro di Rocca di Papa. l card. Francis Arinze, Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso lo descrive come un "sacerdote di alta statura spirituale e umana." |
"Traspariva in lui un'anima profondamente mariana, la totale
fedeltà alla spiritualità, al carisma dell'unità. Lo scrive il card. Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga e coordinatore dei Convegni dei "Vescovi amici dei Focolari". Da Londra, i Vescovi anglicani John Dennis e Robin Smith testimoniano la sua presenza di servizio, il suo amore squisito, fino nei piccoli dettagli, durante i vari incontri avuti con lui. |
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Il vescovo brasiliano di Sao Luis
de Montes Belos, mons. Washington Cruz, lo definisce "grande nell'amore,
dono di Dio per la Chiesa".
Nel gennaio scorso, all’annuale incontro europeo dei focolarini, Antonio confida loro di aver rinnovato in modo nuovo la sua donazione a Dio:
"Sono venuto qui per dire il mio sì a Gesù crocefisso e abbandonato
con tutta l’anima, con tutta la vita, con tutte le forze", con tutto il mio cuore…
o faccio questo o io sono fallito".
Un sì che ha punteggiato tutta la sua vita, e che ha ripetuto con sempre maggiore radicalità sino all’ultimo respiro.
Nel gennaio scorso, all’annuale incontro europeo dei focolarini, Antonio confida loro di aver rinnovato in modo nuovo la sua donazione a Dio:
"Sono venuto qui per dire il mio sì a Gesù crocefisso e abbandonato
con tutta l’anima, con tutta la vita, con tutte le forze", con tutto il mio cuore…
o faccio questo o io sono fallito".
Un sì che ha punteggiato tutta la sua vita, e che ha ripetuto con sempre maggiore radicalità sino all’ultimo respiro.
Antonio, una
vita per un carisma
di Guglielmo Boselli
Antonio Petrilli, uno dei primi compagni di Chiara Lubich, ha donato ogni attimo della sua esistenza per la costruzione del Movimento dei focolari.
Pochi giorni prima
aveva telefonato al caporedattore di Città nuova: "Ora che ho un po' più di
tempo, posso fare qualcosa per il giornale?". In realtà gli sarebbe stato
impossibile; era ormai debilitato, poteva muoversi solo appoggiandosi a un
carrello, faticava anche a nutrirsi.
Ma urgeva dentro di lui ancora quella stessa molla che lo aveva sempre spinto a donarsi a servizio dell'ideale di vita che lo aveva "preso", nel fiore dell'età, alla fine del '49.
Antonio Petrilli era già un architetto affermato, quando, nel dicembre di quell'anno, ricevette una telefonata da Giulio Marchesi, un antico compagno di studi di cui aveva perso i contatti da ben 25 anni. Racconta egli stesso: "Quel che mi disse quasi mi sbalordì: mi parlò di un movimento cattolico - il Movimento dei focolari - iniziato a Trento da una giovane, Chiara Lubich, con alcune ragazze, e mi invitò a una riunione che una di loro avrebbe tenuto quella sera. La cosa mi parve così insolita e così fuori dai miei schemi che non sapevo cosa rispondergli. Dover ascoltare una conferenza religiosa e per di più tenuta da una ragazza!".
Ma alla fine accettò di andare: "Giulio mi presentò la ragazza che ci avrebbe parlato: si chiamava Graziella ed era ancor più giovane di quel che mi aspettavo, con due lunghe trecce di capelli biondi".
Affiorò subito in lui il senso critico.
E da principio non capì granché di quel che lei diceva. Ma "a un certo punto sentii citare una frase di Gesù che già conoscevo: "Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini non entrerete nel regno dei cieli". E quasi a commento di quelle parole pronunciate da Graziella mi colpì l'espressione di una ragazza seduta davanti a lei. Seppi poi che si chiamava Renata: ascoltava così attenta che pareva pendesse dalle sue labbra e il suo sguardo era così semplice e puro che pareva una bambina.
L'atteggiamento suo rifletteva così perfettamente quella frase di Gesù, che mi parve di capirla solo allora".
Quello fu il primo impatto. Il secondo, e decisivo, fu l'incontro con Chiara Lubich, nel primo focolare di Roma, alla Garbatella, un rione popolare romano. "Mi parlò di Dio come di un sole che illumina ogni uomo, così che ciascuno è collegato a Dio da un raggio del suo amore. E disse che ognuno nella vita dovrebbe cercare di camminare sempre su quel raggio che esprime la volontà di Dio su di lui. Essendo architetto, forse avevo bisogno di una immagine.
Non avevo mai pensato Dio così, come un amore che tutti univa e uguagliava attirando a sé. Quel Dio-Amore mi affascinò. Di quella sera ricordo soltanto l'immagine di quel sole.
Mi restò impressa così fortemente che cancellò in me ogni altro ricordo: forse perché esprimeva la realtà che - per l'unità di Chiara con le focolarine - mi si era illuminata dentro.
La realtà di quel Dio, che da quel momento con tutto il suo splendore entrò nella mia vita. Fu come se avessi respirato l'aria di un'altissima cima, un'aria così tersa e pura che non sapevo esistesse".
Da allora, Antonio non perse tempo.
Senza esitazioni si mise a disposizione di quella nuova luce che volle approfondire in tutta la sua ricchezza di contenuti. E lo fece con la semplicità, l'immediatezza e l'umiltà interiore di un'anima assolutamente limpida; vivendo questa nuova avventura giorno dopo giorno, ora dopo ora, convinto che Dio lo si incontra nel presente, senza sciupare tempo a pensare a sé stessi; e con tutta la maturità e la completezza di giudizio e il senso dell'armonia che gli derivavano dalla sua stessa formazione umana di architetto.
Da allora è stato uno dei costruttori, accanto a Chiara Lubich, dell'Opera di Maria, come si chiamò il Movimento dei focolari. Chi gli è stato vicino in questi anni ha costatato che con lui non c'era tempo per perdere il filo della sapienza. La sua presenza riconduceva subito ad essa.
L'ho sperimentato anch'io, lavorando con lui alla fine degli anni Cinquanta a Città nuova. Sia che si occupasse di scrivere articoli sulla rivista, sia che, in seguito, svolgesse compiti di responsabilità sempre più rilevanti nel movimento.
Antonio possedeva un carattere dolce e fermo, direi mariano; rivolgeva una attenzione totale a coloro che avevano rapporti con lui; trasmetteva una pace interiore che gli veniva dalla familiarità con Dio e che, non scevra di un sottile humour, smontava le tensioni attorno a lui.
Ma come si fa a dire qualcosa di adeguato di una personalità così ricca, di una varietà di compiti così complessa, di una lucidità nel portarli felicemente a termine? È difficile definire in poche parole la sua fedeltà al carisma: una fedeltà intelligente, efficace e inscalfibile, che nasceva dalla certezza in lui dell'azione di Dio e di Maria nella costruzione dell'Opera.
Antonio era nato a Napoli nel 1916 da una famiglia agiata, di convinzioni religiose solide. Una fanciullezza serena, a continuo contatto con una natura splendida, nella villa dove abitavano a Capodimonte, con lo sfondo scintillante del mare.
Poi i suoi si trasferirono a Roma: quartiere Prati, palazzine in serie. Un cambiamento radicale di situazione: quasi "una prigione" per lui, al confronto con i grandi spazi partenopei. E a Roma gli studi in cui riusciva assai bene, gli interrogativi sui valori grandi della vita, e infine la scelta di architettura.
Era sorta allora la facoltà a Roma. Gli insegnanti appartenevano alla vecchia guardia dei sostenitori del classico, favorita dal regime di allora. Antonio e altri della sua età cercavano strade nuove. Non fu facile il primo approccio.
Poi la guerra. Antonio era ufficiale, e lo fu fino al settembre '43, quando fece una scelta decisiva. Non si presentò alle chiamate alle armi della Repubblica di Salò, vivendo in clandestinità fino alla liberazione. Alcuni mesi, rifugiato presso i verbiti, furono importanti per la sua formazione religiosa, centrata sulla "scoperta" delle radici bibliche: un momento importante di approfondimento.
Professionista impegnato, dopo la guerra, nella fase nuova di ricerca, fece parte attiva della Associazione di architettura organica, e fu segretario dell'Ordine degli architetti, che lui stesso contribuì a fondare.
Operò nella professione con l'amico architetto Pasquale Marabotto.
Ma la svolta definitiva della sua vita, quella per cui essa prese il suo pieno significato, fu quell'incontro col Movimento dei focolari nel '49. Nei suoi appunti, in cui racconta i momenti salienti della sua esperienza lunga e intensa, scrive in proposito: "A questo punto della mia storia, mi sembra di aver finito". Perché aveva trovato.
In realtà tutto incomincia: l'esperienza del primo focolare romano a piazza Lecce, con Pasquale Foresi e alcuni altri focolarini; poi in quello di Milano, le grandi Mariapoli sulle Dolomiti, l'attività giornalistica a Città nuova, l'ordinazione sacerdotale, i sofferti anni nei quali il movimento è sottoposto allo studio della chiesa, il compito assai impegnativo di assistente del movimento stesso, e poi di responsabile in alcune "zone" dei focolari in Italia e in Usa, la collaborazione alla preparazione degli statuti dell'Opera; e quella con Graziella De Luca nel seguire l'irradiazione del movimento nel mondo.
Alla fine, negli ultimi anni, ha svolto quello delicatissimo, di segretario del vasto gruppo dei vescovi amici del movimento, cattolici e di altre chiese.
Dopo una malattia al cuore che lo aveva reso alla fine forzatamente inattivo, si è spento dolcemente, nella notte dell'8 luglio, mentre con un altro focolarino che lo assisteva stava recitando il rosario.
Tutti coloro che hanno avuto rapporti diretti con lui, fossero compagni di lavoro o di impegno apostolico, fossero laici, giovani, padri o madri di famiglia, fossero persone di diverse convinzioni o sacerdoti, sono rimasti impressionati, più di ogni altra cosa, da quella che il cardinal Vlk, punto di riferimento dei vescovi amici del movimento, ha definito "la sua seconda natura: la totale fedeltà alla spiritualità, al carisma, a Chiara Lubich.
Una fedeltà mostrata nella vita, e vissuta profondamente... Anche nei rapporti personali, ogni vescovo ha sentito veramente - io lo posso dire - la sua unità affettiva ed effettiva. E questo era per noi tutti un grande dono".
A sua volta un'altra personalità della chiesa, il card. Arinze, presidente del pontificio Consiglio per il dialogo tra le religioni, ha voluto sottolineare la sua trasparenza nel servire la chiesa. L'ha fatto esprimendo la sua "felicità perché l'Opera di Maria ha avuto come membro un sacerdote di così alta statura spirituale e umana".
Ma urgeva dentro di lui ancora quella stessa molla che lo aveva sempre spinto a donarsi a servizio dell'ideale di vita che lo aveva "preso", nel fiore dell'età, alla fine del '49.
Antonio Petrilli era già un architetto affermato, quando, nel dicembre di quell'anno, ricevette una telefonata da Giulio Marchesi, un antico compagno di studi di cui aveva perso i contatti da ben 25 anni. Racconta egli stesso: "Quel che mi disse quasi mi sbalordì: mi parlò di un movimento cattolico - il Movimento dei focolari - iniziato a Trento da una giovane, Chiara Lubich, con alcune ragazze, e mi invitò a una riunione che una di loro avrebbe tenuto quella sera. La cosa mi parve così insolita e così fuori dai miei schemi che non sapevo cosa rispondergli. Dover ascoltare una conferenza religiosa e per di più tenuta da una ragazza!".
Ma alla fine accettò di andare: "Giulio mi presentò la ragazza che ci avrebbe parlato: si chiamava Graziella ed era ancor più giovane di quel che mi aspettavo, con due lunghe trecce di capelli biondi".
Affiorò subito in lui il senso critico.
E da principio non capì granché di quel che lei diceva. Ma "a un certo punto sentii citare una frase di Gesù che già conoscevo: "Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini non entrerete nel regno dei cieli". E quasi a commento di quelle parole pronunciate da Graziella mi colpì l'espressione di una ragazza seduta davanti a lei. Seppi poi che si chiamava Renata: ascoltava così attenta che pareva pendesse dalle sue labbra e il suo sguardo era così semplice e puro che pareva una bambina.
L'atteggiamento suo rifletteva così perfettamente quella frase di Gesù, che mi parve di capirla solo allora".
Quello fu il primo impatto. Il secondo, e decisivo, fu l'incontro con Chiara Lubich, nel primo focolare di Roma, alla Garbatella, un rione popolare romano. "Mi parlò di Dio come di un sole che illumina ogni uomo, così che ciascuno è collegato a Dio da un raggio del suo amore. E disse che ognuno nella vita dovrebbe cercare di camminare sempre su quel raggio che esprime la volontà di Dio su di lui. Essendo architetto, forse avevo bisogno di una immagine.
Non avevo mai pensato Dio così, come un amore che tutti univa e uguagliava attirando a sé. Quel Dio-Amore mi affascinò. Di quella sera ricordo soltanto l'immagine di quel sole.
Mi restò impressa così fortemente che cancellò in me ogni altro ricordo: forse perché esprimeva la realtà che - per l'unità di Chiara con le focolarine - mi si era illuminata dentro.
La realtà di quel Dio, che da quel momento con tutto il suo splendore entrò nella mia vita. Fu come se avessi respirato l'aria di un'altissima cima, un'aria così tersa e pura che non sapevo esistesse".
Da allora, Antonio non perse tempo.
Senza esitazioni si mise a disposizione di quella nuova luce che volle approfondire in tutta la sua ricchezza di contenuti. E lo fece con la semplicità, l'immediatezza e l'umiltà interiore di un'anima assolutamente limpida; vivendo questa nuova avventura giorno dopo giorno, ora dopo ora, convinto che Dio lo si incontra nel presente, senza sciupare tempo a pensare a sé stessi; e con tutta la maturità e la completezza di giudizio e il senso dell'armonia che gli derivavano dalla sua stessa formazione umana di architetto.
Da allora è stato uno dei costruttori, accanto a Chiara Lubich, dell'Opera di Maria, come si chiamò il Movimento dei focolari. Chi gli è stato vicino in questi anni ha costatato che con lui non c'era tempo per perdere il filo della sapienza. La sua presenza riconduceva subito ad essa.
L'ho sperimentato anch'io, lavorando con lui alla fine degli anni Cinquanta a Città nuova. Sia che si occupasse di scrivere articoli sulla rivista, sia che, in seguito, svolgesse compiti di responsabilità sempre più rilevanti nel movimento.
Antonio possedeva un carattere dolce e fermo, direi mariano; rivolgeva una attenzione totale a coloro che avevano rapporti con lui; trasmetteva una pace interiore che gli veniva dalla familiarità con Dio e che, non scevra di un sottile humour, smontava le tensioni attorno a lui.
Ma come si fa a dire qualcosa di adeguato di una personalità così ricca, di una varietà di compiti così complessa, di una lucidità nel portarli felicemente a termine? È difficile definire in poche parole la sua fedeltà al carisma: una fedeltà intelligente, efficace e inscalfibile, che nasceva dalla certezza in lui dell'azione di Dio e di Maria nella costruzione dell'Opera.
Antonio era nato a Napoli nel 1916 da una famiglia agiata, di convinzioni religiose solide. Una fanciullezza serena, a continuo contatto con una natura splendida, nella villa dove abitavano a Capodimonte, con lo sfondo scintillante del mare.
Poi i suoi si trasferirono a Roma: quartiere Prati, palazzine in serie. Un cambiamento radicale di situazione: quasi "una prigione" per lui, al confronto con i grandi spazi partenopei. E a Roma gli studi in cui riusciva assai bene, gli interrogativi sui valori grandi della vita, e infine la scelta di architettura.
Era sorta allora la facoltà a Roma. Gli insegnanti appartenevano alla vecchia guardia dei sostenitori del classico, favorita dal regime di allora. Antonio e altri della sua età cercavano strade nuove. Non fu facile il primo approccio.
Poi la guerra. Antonio era ufficiale, e lo fu fino al settembre '43, quando fece una scelta decisiva. Non si presentò alle chiamate alle armi della Repubblica di Salò, vivendo in clandestinità fino alla liberazione. Alcuni mesi, rifugiato presso i verbiti, furono importanti per la sua formazione religiosa, centrata sulla "scoperta" delle radici bibliche: un momento importante di approfondimento.
Professionista impegnato, dopo la guerra, nella fase nuova di ricerca, fece parte attiva della Associazione di architettura organica, e fu segretario dell'Ordine degli architetti, che lui stesso contribuì a fondare.
Operò nella professione con l'amico architetto Pasquale Marabotto.
Ma la svolta definitiva della sua vita, quella per cui essa prese il suo pieno significato, fu quell'incontro col Movimento dei focolari nel '49. Nei suoi appunti, in cui racconta i momenti salienti della sua esperienza lunga e intensa, scrive in proposito: "A questo punto della mia storia, mi sembra di aver finito". Perché aveva trovato.
In realtà tutto incomincia: l'esperienza del primo focolare romano a piazza Lecce, con Pasquale Foresi e alcuni altri focolarini; poi in quello di Milano, le grandi Mariapoli sulle Dolomiti, l'attività giornalistica a Città nuova, l'ordinazione sacerdotale, i sofferti anni nei quali il movimento è sottoposto allo studio della chiesa, il compito assai impegnativo di assistente del movimento stesso, e poi di responsabile in alcune "zone" dei focolari in Italia e in Usa, la collaborazione alla preparazione degli statuti dell'Opera; e quella con Graziella De Luca nel seguire l'irradiazione del movimento nel mondo.
Alla fine, negli ultimi anni, ha svolto quello delicatissimo, di segretario del vasto gruppo dei vescovi amici del movimento, cattolici e di altre chiese.
Dopo una malattia al cuore che lo aveva reso alla fine forzatamente inattivo, si è spento dolcemente, nella notte dell'8 luglio, mentre con un altro focolarino che lo assisteva stava recitando il rosario.
Tutti coloro che hanno avuto rapporti diretti con lui, fossero compagni di lavoro o di impegno apostolico, fossero laici, giovani, padri o madri di famiglia, fossero persone di diverse convinzioni o sacerdoti, sono rimasti impressionati, più di ogni altra cosa, da quella che il cardinal Vlk, punto di riferimento dei vescovi amici del movimento, ha definito "la sua seconda natura: la totale fedeltà alla spiritualità, al carisma, a Chiara Lubich.
Una fedeltà mostrata nella vita, e vissuta profondamente... Anche nei rapporti personali, ogni vescovo ha sentito veramente - io lo posso dire - la sua unità affettiva ed effettiva. E questo era per noi tutti un grande dono".
A sua volta un'altra personalità della chiesa, il card. Arinze, presidente del pontificio Consiglio per il dialogo tra le religioni, ha voluto sottolineare la sua trasparenza nel servire la chiesa. L'ha fatto esprimendo la sua "felicità perché l'Opera di Maria ha avuto come membro un sacerdote di così alta statura spirituale e umana".
Fonte :
www.cittanuova.it
Dalla testimonianza di Antonio si capisce che Dio si serve anche della natura (i raggi del sole) per far capire chi siamo noi e chi è Lui. Grazie, Antonio, per la tua fedeltà al Carisma fino alla fine. E
RispondiEliminaringrazio Dio per averci fatto dono di una persona così.
Grazie! Conservo una sua lettera...ora dal Paradiso continui a starci accanto per giungere con lui all'Unico Amore.
RispondiElimina