SANTO ALBERICO CRESCITELLI (1863-1900)
Padre Alberico
Crescitelli, missionario del Pime, fu martirizzato in Cina nel 1900, durante
la rivolta dei Boxers. Nato ad Altavilla Irpina (Avellino) nel 1863, a 17 anni
era entrato nell'allora Pontificio seminario dei Santi Pietro e Paolo per le
missioni estere. Nel 1887, poco prima di partire per la sua destinazione, lo
Shensi meridionale, restò bloccato nel paese natale a causa di un'epidemia di
colera, nella quale si prodigò. Raggiunta con un viaggio avventuroso la Cina, si
dedicò ai cristiani del fiume Han e si spinse in altre località. Suscitò molte
conversioni. Ma nel 1900 si abbatté la tempesta contro gli occidentali e, tra
loro, i missionari. Dato che gestiva un asilo per ragazzi poveri, bisognosi di
cibo, padre Alberico venne ingiustamente accusato di essere un artefice delle
privazioni alimentari che la popolazione subiva. Il malcontento si sfogò contro
di lui. Circondato dentro la dogana di Yentsepien, venne fatto uscire,
torturato, ucciso, fatto a pezzi e gettato nel fiume. È santo dal 2000.
(Avvenire)
E' il 17 agosto del
1888 e un'altra, interminabile giornata volge al termine. Per i tiratori della
barca è stata faticosa, ma anche per padre Alberico Crescitelli e il suo
confratello padre Vincenzo Colli. E' ormai dal 30 maggio che il barcone sta
risalendo, lentamente, il fiume Han, che da Hankou porta a Xiaozhai, meta finale
dei due missionari.
Padre Alberico si è
ormai ritirato nell'angusto alloggio dei viaggiatori, una casetta con il tetto
di stuoie e con le pareti di assi così mal connesse, che lasciano libero
passaggio al vento, alla pioggia, all'afa soffocante, al fetore, al fumo acre e
accecante che penetra dalla cucina adiacente.
Da poppa provengono le
voci sommesse dei tiratori cinesi che, stanchi per il duro lavoro della
giornata, fumano oppio o tabacco, giocando a carte. Avvolto nella sudicia
coperta, accanto a padre Vincenzo che, coricatosi alla cinese, gli dà i piedi in
faccia, padre Crescitelli è sfinito. Dopo 132 giorni di nave da Marsiglia a
Shanghai, anche questo viaggio estenuante... Quanto dista ancora la missione?
Non riesce a prender sonno. Ripensa alla fatica affrontata da quei lavoratori
cinesi: «Il Signore anche oggi ci ha assistito. Non abbiamo avuto disgrazie.
Eppure mi domando come abbia potuto resistere la barca all'urto di tanti scogli.
La corrente, in alcuni punti, era così forte che ci volevano una cinquantina di
uomini per tirarla con fatica». Già da tempo hanno abbandonato il paesaggio
monotono delle vaste pianure, interrotte solo da rari salici e da poche, misere
abitazioni. Là, ai tiratori, bastava trainare lentamente la barca per mezzo di
funi di bambù, cadenzando il passo, l'uno dietro l'altro lungo le sponde del
fiume. Anche le colline incolte hanno lasciato il posto alle scoscese montagne.
Il corso del fiume si è fatto sempre più impervio. I trascinatori hanno dovuto
fare sforzi sovrumani per vincere la corrente e il timoniere ha dovuto usare
molta prudenza e abilità per impedire che lo scafo andasse a fracassarsi contro
le rocce che sporgono all'improvviso tra lo spumeggiare delle acque. E oggi, più
di una volta, i passeggeri hanno dovuto scendere dalla barca per costeggiare a
piedi il fiume, nei punti più pericolosi.
La sua mente si lascia
prendere dai ricordi, per un attimo riesce a dimenticare i disagi del viaggio e
corre ai verdi colli dell'Irpinia, che ha percorso in lungo e in largo accudendo
i poderi di suo padre. Infatti ancora ragazzino, appena finite le elementari,
suo papà, farmacista di Altavilla, in provincia di Avellino, ha scelto lui tra i
dieci figli per sorvegliare i lavoratori nei suoi poderi. E' il più forte e il
più scaltro.
Per anni si dedica
volentieri a questo lavoro, ma nel 1878, all'età di quindici anni, decide di
riprendere gli studi. Già da qualche tempo ruba un po' di ore al gioco e scappa
nella biblioteca del canonico Raffaele Crescitelli per leggere avidamente libri
di storia, ascesi, liturgia, fino a far diventare la lettura il suo "hobby"
preferito.
Ricorda ancora, come
se fosse ieri, la partenza di suo fratello Luigi per il servizio militare.
Alberico è stato dichiarato inabile e discute con la mamma di questo
"privilegio". Così un discorso tira l'altro e, finalmente, ha il coraggio di
confidarle il desiderio che coltiva da due anni: poter diventare missionario.
I ricordi vagano lungo
gli anni di seminario. Ricorda quel lontano 8 novembre del 1880, che ha segnato
il suo ingresso nel Pontificio Seminario dei SS. Apostoli Pietro e Paolo di
Roma. E la fatica, la passione nello studiare latino, filosofia, teologia,
alternate alla gioia delle vacanze al suo paese d'origine. Ma non può
dimenticare anche la triste estate del 1883, quando suo padre e sua sorella
Rosina, rimasero sepolti tra le macerie di Casamicciola, durante un violento
terremoto. Né l'epidemia di colera scoppiata nel 1887 in Campania, subito dopo
la sua ordinazione sacerdotale. Già destinato in Cina, tornato a casa per
quell'ultima vacanza, deve rimandare la partenza. Per quattro lunghi ed
estenuanti mesi si dedica all'assistenza e alla cura dei colerosi del suo paese.
E ancora una volta, i suoi ricordi sono invasi dalla morte che ha già conosciuta
sul volto di tanti amici.
Le grida dei cinesi lo
richiamano dal suo malinconico dormiveglia. Il treccino del confratello gli
solletica i piedi. Per farsi cinesi tra i cinesi, i due missionari si sono
adeguati pure nell'abbigliamento. Così, prima di salire sul barcone, si sono
lasciati trasformare dalle forbici del barbiere e dalle cure del sarto. Padre
Alberico ride tra sé. Lui, che fin da bambino ha avuto problemi di calvizie,
ora, a venticinque anni, si ritrova rasato a zero, con un ciuffo in mezzo alla
nuca, intrecciato alla rinfusa, corto e ridicolo. Per ovviare all'inconveniente
è costretto a portare un cappellino aderente, provvisto di una treccina
posticcia. E che dire del vestito lungo fino ai piedi, dalle maniche
larghissime? Ripensa alla foto che ha spedito a suo fratello Luigi: «Quasi
irriconoscibile, agghindato in questo modo, eppure sono proprio io!».
Lasciandosi cullare da
questi pensieri, prende sonno. Questa volta però, a svegliarlo, sono voci
italiane, frammiste alle urla della folla radunatasi sulla sponda del fiume. E'
il 18 agosto 1888. Il sole è già alto. Finalmente, dopo 81 giorni di navigazione
sul Han, i padri Crescitelli e Colli sono arrivati a Xiaozhai, cittadina di
antica cristianità, dove ad aspettarli ci sono i confratelli, già sul posto da
tre anni.
Una decina di giorni
per riposarsi dall'estenuante viaggio e poi i due missionari si trasferiscono a
Hanzhong, sede del vicariato apostolico dello Shaanxi meridionale, per
sottoporsi «alla tortura intellettuale dello studio del cinese». Dopo solo nove
mesi di tirocinio, viene affidato a padre Alberico il distretto di Sijiaying,
che si estende tra le vallate e le colline che circondano il fiume Han: mille
cristiani sparsi in sette villaggi. Molto attivo nella cura dei cristiani e la
formazione dei catecumeni, percorre in lungo e in largo il territorio a lui
assegnato. Viaggia tra i monti scoscesi e le pianure melmose, tutte coperte di
risaie. Cavalca a fatica, a causa di una sua malattia congenita, si arrampica
per sentieri impervi, è costretto, suo malgrado, a salire in portantina. Il
continuo viaggiare lo obbliga ad accettare di frequente alloggi di fortuna anche
presso i "pagani", perché i cristiani che vivono sui monti sono poverissimi. Una
camera di paglia, una stanza "affumicata", un retrobottega umido e oscuro, un
ospizio freddo e malsicuro... Prova a dormire e a celebrare messa ovunque.
Ma se il suo spirito
di adattamento è davvero ammirevole, sofferenze d'altro genere lo tormentano.
Tra le prove a cui è sottoposto, forse la più dura è quella causata
dall'inefficacia apparente delle sue fatiche: «I cinesi si dimostrano
indifferenti, se non addirittura ostili». Tuttavia scrive a suo fratello: «Chi è
felice su questa terra? Tu spesso ti sei creduto assai infelice, eppure quanti
più infelici di te! Io pure sono un uomo soggetto a tante miserie. Ho anche
momenti di tedio, di abbattimento, di disillusione, di tentazione, di pericoli
forse ignorati e di prova. Chi sulla terra può sottrarsene? Eppure finora io mi
credo meno infelice della generalità degli uomini: in qualunque paese si vive,
la provvidenza proporziona i patimenti alle nostre forze, per poterli sopportare
e si sta meglio quando si sta dove Dio ci vuole. Attualmente sto benissimo». E
così fa catechesi, difende i deboli, che assiste e aiuta, insegna agricoltura,
compra appezzamenti di terreno per dare una fonte di sostentamento ai poveri e
ai vagabondi. Ciò nonostante, non sempre è accolto con entusiasmo, o almeno
rispettosamente. Il suo ottimismo, infatti, è davvero sconcertante, benché in
tutta la Cina ci sia in atto una sottile forma di persecuzione contro i
cristiani e i missionari stranieri, considerati pedine assoldate dalle grandi
potenze e complici della loro politica di penetrazione nel Celeste Impero.
Anche in Italia
cominciano a giungere notizie allarmanti di disordini e persecuzioni, ma padre
Alberico, nel 1896, scrive a sua madre preoccupata: «Cosa temete? Sono nelle
mani di Dio... Dunque si faccia la sua volontà e basta... Purché il Signore mi
dia la forza, qualunque cosa avvenga è il meglio per me». E ancora: «Non ti
impensierire per me, se senti che nelle altre province della Cina sono avvenute
delle stragi, se pensi a ciò che altre volte ti ho scritto, ti persuaderai che
qui non c'è nulla da temere, a meno che non capitino circostanze del tutto
impreviste. I cristiani, ad eccezione di altri vicariati, sono uniti e i pagani
ci temono e ci rispettano, né osano farci ingiuria alcuna. Di più l'indole del
popolo è pacifica e in generale pagani e cristiani vanno d'accordo. Riguardo ai
mandarini, per quanto in cuore ci vogliano male, devono sapere che, se hanno
delle segrete istruzioni per ostacolarci, la corte imperiale non vuole certo si
arrivi a persecuzioni che mettano il governo in imbarazzo. Per se stessi, poi,
sono interessati a mantenere l'ordine, perché essendo i cristiani in numero
considerevole e uniti, andarli a stuzzicare sarebbe pericoloso per il mandarino
che rischierebbe di perdere il posto. Qui è pur noto che anche sotto le più
fiere persecuzioni, il mandarino di qui mitigò in pratica gli editti imperiali.
Di veri massacri qui in Shangyuanguan, da che vi sono cristiani, non ve ne sono
mai stati. Solo si sa che un prete cinese morì martire, ma per mano del
mandarino, quando la persecuzione infieriva. Nello stesso tempo molti furono
bastonati, esiliati, ma nessuno fu mai torturato».
Intanto, però,
schiacciato il movimento riformatore nel 1898, la lotta anti-straniera esplode
apertamente e prendono sempre più piede varie società segrete nazionaliste, tra
cui la Società dei Boxer, all'inizio tacitamente sostenuta e appoggiata da
alcuni esponenti del governo, poi ufficialmente incoraggiata dall'imperatrice
stessa. Così, proprio quando queste due forze si coalizzano, i massacri e gli
attacchi si sviluppano a macchia d'olio, soprattutto nello Shaanxi, dove dal
dicembre 1889 era stato posto come governatore Yu Xian, acerrimo nemico degli
stranieri e protettore dei Boxer. Essi creano centri di addestramento,
distruggono tratti della ferrovia e abbattono i pali del telegrafo, simboli
dell'ingerenza straniera. Si accaniscono, in particolare, contro i cristiani
che, denigrati e oltraggiati, perdono sempre più diritti sociali e umani.
E' proprio in questo
contesto che padre Alberico, nel 1900, viene trasferito in un nuovo distretto,
Ningqiang. Un posto selvaggio, tra i monti solcati da torrenti e strette valli,
dove la maggior parte della popolazione è costituita da discendenti di
condannati ai lavori forzati e all'esilio a causa dei delitti commessi. Un
luogo, quindi, che lontano dalla sorveglianza del governo e di difficile
accesso, favorisce il pullulare di società segrete, ostili a qualunque forma di
autorità legale. Per di più questa zona, quando vi giunge padre Crescitelli, è
devastata anche da una terribile carestia.
Padre Alberico conosce
bene quello a cui sta andando incontro, ma è pronto a tutto: «Chissà come andrà
in quel lontano distretto; comunque sia, la vita e la morte stanno nelle mani di
Dio: non cade foglia che Dio non voglia... State di buon animo e non vi prendete
pensiero per me. Io sono nelle mani di Dio e sono contento. C'è il mio angelo
custode che ha cura di me... Mi aspetta un lavoro enorme, meglio così, piuttosto
che soffrire di noia per disoccupazione!».
E così si rimette in
viaggio attraverso un territorio sconosciuto. Durante il tragitto viene subito a
contatto con la realtà dolorosa di cui ha tanto sentito parlare. Lungo la strada
è tutto un succedersi di rovine: case diroccate e con i tetti scoperchiati per
venderne le tegole; immondizie abbandonate un po' ovunque, dalle quali sbucano
bambini macilenti, dagli occhi lividi e infossati, donne che tra i rifiuti, come
"cadaveri ambulanti", sono alla ricerca di qualcosa da vendere o da mangiare.
Non c'è nulla per sfamarsi e molti sono costretti a macinare la corteccia degli
alberi per mangiarla impastata con radici di erbe e cotta. Secondo le leggi
imperiali, i granai pubblici avrebbero dovuto garantire il sostentamento della
popolazione in periodo di carestia, ma le milizie irregolari li hanno già
saccheggiati. Molti granai delle province vicine sono ancora intatti, ma nessuno
si preoccupa del trasporto. Fortunatamente l'autorità locale, che ha chiesto a
Pechino il condono delle tasse e aiuti alimentari, riesce a ottenere che i
soldati imperiali portino riso nella zona.
Ma ai cristiani viene
negato ogni aiuto. Secondo Teng, un prepotente che spadroneggia nella zona,
arricchitosi con l'usura e ostile al cristianesimo, essi hanno tradito la Cina,
non sono più cinesi, ma "diavoli stranieri" che seguono le dottrine occidentali.
Non hanno più, quindi, alcun diritto da rivendicare nella società cinese. Padre
Crescitelli si oppone con tutte le forze a questi soprusi. Ricorre al mandarino
della città, che gli dà ragione, scatenando però sullo straniero l'odio e il
desiderio di vendetta dei maggiorenti.
La situazione si fa
sempre più critica e cominciano a circolare voci vaghe e inquietanti. Si trama
la sua morte. Ma padre Alberico sembra non accorgersi di nulla. Anzi,
soddisfatto per aver ottenuto il sussidio anche per i cristiani, benché ridotto
della metà e corrisposto in grano anziché in riso, il 10 luglio 1900 scrive al
vicario apostolico: «A Yanzibian regna una pace giammai vista e i litigi sono
finiti come per incanto». Una strana calma prima dell'uragano.
Mentre intorno a padre
Crescitelli avviene tutto questo, il 5 luglio viene emanato a Pechino un decreto
imperiale con cui si stabilisce la pena di morte per i cristiani che non
rinunciano alla loro religione e il rinvio in patria per tutti i missionari
stranieri. Il viceré dello Shaanxi non pubblica il decreto, ma ai nemici del
padre, che ne giungono ugualmente a conoscenza, non sembra vero di potersi
sbarazzare del missionario con l'approvazione dell'imperatrice e con la
connivenza del mandarino di Ningaiang decidono di ucciderlo.
I catecumeni però,
avvertito il pericolo, si affrettano ad avvisarlo perché si allontani dalla
zona, ma a lui sembra indecoroso e ingiusto abbandonare i suoi cristiani proprio
nel momento di maggiore difficoltà e si trattiene a Tsinkanping, a solo mezzo
chilometro, circa, da Yanzibian. Il 20 luglio la guardia territoriale di
Talanhuo saccheggia la casa del catechista e padre Alberico, accorgendosi che la
sua presenza è causa d'una violenza ancora maggiore, decide a malincuore di
lasciare la missione per mettersi sotto la protezione delle autorità mandarinali.
Triste e amareggiato, raccoglie i suoi pochi averi in due ceste e a cavallo,
accompagnato dal suo catechista e da alcuni cristiani, si avvia verso la
campagna.
Ma è troppo tardi. Sta
scendendo la sera e inaspettatamente si vede venir incontro il doganiere Jao
che, con insistenza, lo invita a pernottare presso di lui perché, dice, le
strade sono insicure mentre alla dogana non c'è nulla da temere. Il missionario
finisce per accettare. Più tardi però, assalito da tristi presentimenti e
sollecitato più che mai dalle preghiere dei suoi compagni, che hanno compreso il
tranello, cerca di rimettersi in viaggio. «Sulla via ci sono centinaia di armati
che ti aspettano, questo è l'unico luogo sicuro», ribadisce il doganiere,
convincendolo definitivamente a restare.
Si è fatto buio,
ormai, quando, nel profondo silenzio della notte, risuonano tre colpi di
mortaio. E' il segnale convenuto: numerose persone si accalcano alla porta del
doganiere per prelevare il "diavolo europeo". Il doganiere, ipocritamente
addolorato, si avvicina al missionario: «Vedi quanta gente si è radunata contro
di te? Mi è impossibile difenderti, l'unica via di scampo, se ti riesce, è
quella porta di servizio che dà sul monte», e lo spinge fuori di casa. Ma dove
scappare? La parete della montagna, a ridosso della casa, è troppo impervia.
Padre Alberico sa di non avere scampo. Si inginocchia e prega.
Ormai la folla in
tumulto gli è addosso: «Perch‚ fate così? - domanda padre Crescitelli ai suoi
assalitori. - Che male vi ho fatto? Se avete qualche cosa contro di me, qualche
accusa da farmi, parlate, conducetemi dall'autorità». Per tutta risposta un
terribile fendente per poco non gli stacca il braccio sinistro e un altro,
diretto alla testa, lo ferisce al naso e alle labbra. Stordito dai colpi di
bastone e dalle ferite, viene dapprima trascinato, poi, data la robusta
corporatura, obbligano un catecumeno a caricarselo sulle spalle. Infine, dopo
averlo legato mani e piedi e sospeso a un tronco, lo trasportano come una bestia
da macello.
Deposto al centro del
mercato di Yanzibian, padre Alberico vi rimane in balia della folla inferocita,
che lo sottopone a innumerevoli sevizie. Così passa la notte, alternando momenti
di delirio a momenti di lucidità, durante i quali prega per i suoi aguzzini, che
intanto ingannano il tempo ubriacandosi e giocando.
Si fa mattino e il
sole è già alto quando gli assassini decidono di mettere fine alle torture. Ma
mentre discutono come ammazzare il missionario, arriva un mandarino militare,
avvisato la sera precedente dai catecumeni. Ha con sé venti soldati, ma subito
si accorge che, di fronte alla folla esaltata, non sono sufficienti per
riportare l'ordine e aiutare il padre. Si limita, perciò, a esortarli perché non
lo uccidano, e intanto cerca un mezzo per trasportare padre Alberico da un
medico. Ma mentre il funzionario, con i suoi soldati, è in cerca di una barella,
il padre viene trascinato con una corda fin sulla riva del fiume, che scorre
presso il mercato e lì decapitato, tagliato a pezzi e gettato nella corrente.
E' appena passato il
mezzogiorno del 21 luglio 1900. Padre Alberico Crescitelli ha 37 anni. Come lui,
durante la rivoluzione dei Boxer, sono stati uccisi, in Cina, migliaia di
cristiani.
Il 18 febbraio 1951, a
Roma, papa Pio XII lo dichiara Beato.
E' stato
canonizzato da Giovanni Paolo II il primo ottobre del 2000, uno tra i 120
martiri cinesi.
Sant'Alberico
Crescitelli (1863-1900)
“Il desiderio missionario di portare anime a
Cristo”
"Fin
dal tempo in cui piacque alla Divina Provvidenza di chiamarmi alle sante
missioni, ebbi sempre in mente un pensiero: domandavo a me stesso se sarei
veramente riuscito a trarre uno solo dalle tenebre dell’idolatria, a salvare
un’anima. A tal pensiero, a tale sollecitudine io non potevo, non sapevo, non
osavo rispondere. Non vi era altro che la speranza. Forse non avrei fatto nulla,
forse avrei fatto qualcosa…Non osavo sperare di fare molto; ma, chi sà, pensavo
io tra me, se il Signore vorrà servirsi di me e fin dove? In ogni modo basta
fare la volontà di Dio, Il desiderio pertanto c’era.
Quando venne il tempo di
amministrare il mio distretto in Cina, certo bramavo più che mai la conversione
degli idolatri. Vedere l’idolatria dominante,…vedere gli idolatri così numerosi,
vedere grandi abitati e sapere che nessuno vi adorava il vero Dio…mi affannava,
mi abbatteva, mi addolorava il cuore e ne rimanevo straziato. Bramavo che
adorassero il vero Dio; avrei voluto affaticarmi per la loro conversione.
Nell’interno del mio cuore, benché indegnamente, pregavo il Padre delle
misericordie di far sì che questo popolo vedesse la Luce che Egli mandò al mondo
e lo togliesse dalle tenebre e dalle ombre di morte, in cui miseramente giace
sepolto.
Eppure pensando di convertire quegli
idolatri non sapevo cosa potessi fare, e vedendo di non poter fare quasi nulla,
mi stringeva il cuore. Tuttavia cominciai ad esortare continuamente i cristiani
a parlare ai loro amici, ai loro vicini, ed altri che si potesse sperare si
convertissero.
Del resto mi pare che in pratica le conversioni
non si fanno con argomenti filosofici, bensì hanno un fondamento nella fede che
si presta a colui che annunzia la verità cristiana. Ed è per questo che i buoni
cristiani , e più ancora i nuovi convertiti, possono fare molto. Tuttavia se non
vi è il sacerdote che spinge, non fanno nulla….Pertanto sotto l’obbedienza dei
miei superiori spero di lavorare sempre con alacrità nella vigna del Signore e
di far sempre la sua santa volontà." Padre
Alberico Crescitelli.
(Santo Alberico Crescitelli,
P.I.M.E. Martire in Cina nel 1900, Lettera a S. Em. Card. Simeoni, Prefetto di
Prop.Fide: 7 Giug.1890)
DISCORSO
DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AI FEDELI GIUNTI A ROMA PER LA
BEATIFICAZIONE DI ALBERICO CRESCITELLI*
AI FEDELI GIUNTI A ROMA PER LA
BEATIFICAZIONE DI ALBERICO CRESCITELLI*
Lunedì, 19 febbraio 1951
Or sono poco più di quattro anni,
Noi celebravamo la glorificazione dei ventinove martiri della grande
persecuzione, che insanguinò la Cina al principio di questo secolo. Ed oggi
eccone uno nuovo, in attesa che ben altri ancora, se così piacerà al Signore,
siano elevati agli onori degli altari.
Ammirabile nella celeste
processione, la falange dei martiri dalle vesti purificate nel sangue
dell'Agnello e risplendenti di luce, si avanza cantando le lodi di Dio. Te
Martyrum candidatus laudat exercitus. I metalli infinitamente vari delle
loro migliaia di voci si armonizzano in un coro incomparabile. Poiché tutti
quelli, che portano nelle loro mani la palma dei vincitori, se differiscono tra
di loro, come una stella del firmamento si distingue dalle altre in chiarezza,
hanno nondimeno comune la straordinaria generosità nel corrispondere alla grazia
eccezionalmente insigne di Cristo, crocifisso e vittorioso con la sua morte.
Avviene talvolta — la storia della
Chiesa ne presenta ben rari esempi — che questa grazia e questa generosità si
rivelino tutt'a un tratto, in una conversione improvvisa, che ha del miracolo e
sconcerta le corte vedute umane. Ma nella maggior parte dei casi il martirio non
è che il coronamento di una intiera vita di eroismo quotidiano e di continua
conformità al divino volere. Spesso la biografia dei martiri, che precede e
prepara il glorioso epilogo, colpisce di ammirazione coloro, che ne furono i
testimoni o ne sono i lettori. Altre volte invece la grandezza e la santità di
tutta una vita non si palesano che all'osservatore attento ; esse non offrono
alla curiosità tratti impressionanti, ma non sono per ciò meno fulgide nella
loro modesta e discreta semplicità. Tale Ci sembra essere il caso di Alberico
Crescitelli.
Egli si è dato a Dio e alle anime, e
si è dato interamente, per sempre, senza esitazione, come senza riserva. Ecco il
segreto del suo eroico allenamento alla vittoria suprema. Per darsi
completamente, ha rinunziato a tutto.
Non parliamo della rinunzia al
benessere materiale, agli agi della vita, alle pretese dell'amor proprio. Anche
un'anima grande può sentire naturale inclinazione a simili allettamenti, ma essa
li disprezza, e la vita del missionario è tutta intessuta di privazioni,
insopportabili per i mediocri. Alcune infermità rendono al novello Beato
particolarmente faticosi e dolorosi i viaggi a cavallo, soprattutto per strade
impraticabili, interrotte da torrenti, affossate dalle piogge, nel rigore
dell'inverno o nel calore torrido dell'estate. Sfinito al termine della lunga
via, si stima anche troppo felice di trovare un tugurio miserabile, ripugnante
d'immondizia, insalubre, senza un cantuccio tranquillo ove dormire in pace. « Il
missionario, egli afferma, deve essere pronto a tutto, pur di ottenere il suo
scopo, la conversione degl'infedeli. Coraggio dunque e all'opera, senza punto
badare alle comodità personali ».
Egli rinunzia anche alle
soddisfazioni e alle consolazioni del cuore, a tutto ciò che vi è di puramente
naturale nelle sante affezioni della famiglia. Quale generosità, ma al tempo
stesso di quale tatto e di quale delicatezza egli dà prova! Spesso scrive a
coloro che ha lasciati in patria; in tutta la sua corrispondenza egli mostra un
ottimismo, una tranquillità inalterabile, anche nelle ore in cui la croce di
tutti i giorni si fa più pesante, la fame più attanagliante, il pericolo più
grave, senza tuttavia far sorgere o alimentare nei suoi cari una illusione che
diminuirebbe il loro merito nel sacrificio. « State di buon animo, egli ripete
loro, non siate in pensiero per me. Io sono nelle mani di Dio e mi trovo
contento ». Nulla di duro, nulla di stoico nelle sue maniere; egli sente
vivamente e profondamente, ma è magnanimo e vuole comunicare la sua generosità a
coloro che ama, elevandoli alla sua altezza.
Più che ai suoi sensi e al suo
corpo, più che alla sua vita, più che al suo stesso cuore, l'uomo è
ordinariamente attaccato al proprio giudizio, alla propria volontà. Anche a
questa però il novello Beato rinunzia, a tal punto che in tutte le cose egli si
rimette al volere del suo Vescovo e dei suoi Superiori. In ogni congiuntura li
interroga per conformarsi in tutto al loro avviso e alle loro intenzioni, tanto
che a prima vista potrebbe sembrare che egli manchi di idee e di propositi
personali. Potrebbe sembrare; ma in realtà come s'ingannerebbe chi lo giudicasse
così! Dal principio della sua vita sacerdotale sino alla fine, sino all'ora del
martirio, egli sa dare prove di una risoluzione pronta, senza esitanza, ferma,
senza secondi fini, nè rammarico, nè debolezze. Allorchè viene a far visita a
sua madre come sacerdote novello e a congedarsi da lei come missionario, mentre
è sul punto di lasciare per sempre il luogo nativo, scoppia improvviso il
colera. Senza riposo nè tregua, noncurante del grave pericolo di contagio, egli
si dedica tutto al servizio dei colerosi. Ma, appena cessata la epidemia, nulla
può più trattenerlo.
Missionario, egli rivendica con
indomabile energia ai cristiani il diritto di ricevere, come i pagani, una parte
eguale nella distribuzione del riso, in tempo di carestia. Poco a lui importano
le inimicizie, che si attira con la sua fermezza. No; Alberico Crescitelli non è
un debole, un irresoluto, un passivo; egli è obbediente, e solo i forti sono
capaci di essere tali con fedeltà e a costo di qualsiasi sofferenza.
Sarebbe però follia di rinunciare a
tutto e a sè stesso, per lasciare poi come deserto ciò che si abbandona; non si
fa, non si ha il diritto di farlo, che per un più grande e più santo amore. Voi
ben lo sapete, diletti figli dell'Istituto delle Missioni estere. Per amore di
Dio, per amore delle anime, il vostro Confratello si è staccato da tutto e da sè
stesso. Questo distacco e questo motivo sono evidentemente comuni a tutti i veri
apostoli; ma questo amore ha vari gradi secondo il temperamento e il carattere,
secondo i doni naturali e soprannaturali di ciascuno. Quello, che anima il
vostro Beato verso Dio, è calmo e forte; una espressione, a lui familiare, e che
egli ripete in varie forme, lo rivela : « Chi si espone a certi pericoli, sa
quel che fa; egli mette la sua vita nelle mani di Dio, Signore della vita e
della morte ». Nelle mani di Dio! È il suo grande pensiero, il pensiero
permanente e dominante, che trasparisce così spesso nelle sue parole e nei suoi
scritti.
Quanto al suo amore per le anime,
per tutte le anime, ma particolarmente per quelle che l'obbedienza ha affidate
alle sue cure personali, tutta la sua attività di missionario ne porta
l'impronta: fare e rinnovare ogni giorno il dono della propria vita per esse;
affrontare tutte le fatiche, tutte le pene, tutte le sofferenze, tutti i
pericoli, senza risparmiarsi; farsi tutto a tutti: ecco il suo programma, la sua
storia. Un tratto lo dipinge esatta mente, come uomo e come missionario:
l'interesse che egli prova e manifesta per tutto ciò che riguarda i suoi cinesi
del Shensi. Egli ha avuto dalla natura un dono singolare di osservazione;
avverte tutto, il paese, gli usi, i costumi, il carattere, e ha l'arte di
comunicare agli altri le sue note e i suoi studi di ordine scientifico,
artistico, pratico. Le sue lettere alla madre contengono talvolta minuti
particolari della economia domestica.
In uno spirito così ben dotato
l'osservazione desta l'interesse, che è un aspetto dell'amore, e l'interesse
alla sua volta stimola l'osservazione. Questa poi lo aiuta anche nel suo
ministero apostolico; gli serve a procurare il bene materiale, e indirettamente
anche quello spirituale dei suoi cari cinesi. Egli stesso esprime questo
pensiero al principio di un suo studio sulla coltivazione del riso. « Non sembri
strano, egli scrive, che un missionario si occupi di agricoltura. Certo non si
dirà che sia contrario all'apostolico ministero conoscere l'indole del popolo,
cui si deve annunziare la buona novella. Cercare di conoscere e far vedere
d'interessarsi di ciò che più interessa, sembrami anzi uno dei modi di farsi
tutto a tutti ».
Egli è passato così, amando e
facendo il bene; meritava quindi di ricevere la grande ricompensa di coloro che
hanno donato la loro vita per amore: il martirio che consuma e corona questo
dono.
Il suo fu, umanamente parlando,
orribile, uno forse dei più atroci che la storia ricordi. Nulla è mancato, nè la
crudeltà dei tormenti, nè la loro durata, nè le umiliazioni più barbare, nè le
sofferenze del cuore, nè i tradimenti ipocriti di falsi amici, nè i clamori
ostili e minacciosi dei sicari, nè l'oscurità dell'abbandono!
Un mezzo secolo è trascorso. Da
allora il martire gode la sua ricompensa presso Dio, nella beatitudine e nella
gloria; ma come questo stesso mezzo secolo è stato terribile per quel caro
popolo, già in tante maniere provato!
Nel cielo, intorno al trono
dell'Agnello immolato, la voce del nostro Beato, congiunta a quella di tanti
altri martiri sacrificati nella medesima persecuzione, sale supplichevole verso
il Giudice sovrano: — Domine, ne statuas illis hoc peccatum! (Act.
7, 59). Noi abbiamo dato ( essi esclamano) volentieri per loro la nostra vita
fino alla morte, in segno del nostro grande amore. Il nostro sangue, dopo i
nostri sudori e le nostre lacrime, è scorso su quella terra; che esso non la
lasci sterile, ma copiosamente la fecondi! Sanguis martyrum semen! —.
La Nostra voce e le vostre, diletti
figli, si uniscano alle loro per attirare su quella Nazione, per la
intercessione della Regina dei martiri, doni di luce e di grazia. E che su tutti
gli apostoli della Cina, sul vostro Istituto in particolare, scendano abbondanti
i favori celesti, in pegno dei quali Noi impartiamo di cuore a voi, a tutti i
vostri confratelli, a tutti coloro per cui voi pregate, lavorate e soffrite, la
Nostra Apostolica Benedizione.
PREGHIERA A SANTO ALBERICO
CRESCITELLI
O Dio onnipotente ed eterno, per
intercessione di S. Alberico, infaticabile apostolo del Vangelo e glorioso
martire di Cristo, degnati di esaudire le nostre umili e confidenti preghiere.
Rendici forti nella fede e operosi nella carità. Suscita nella gioventù e nel
clero la sacra fiamma dell'apostolato. Assisti, santifica, e moltiplica i
Missionari: confortali nelle loro pene, difendili nei pericoli, benedici e
feconda le loro attività apostoliche. Da' alla Cina, imporporata dal
sangue generoso di S. Alberico, pace e prosperità in Cristo e per Cristo.
Richiama gli erranti all'unità della Chiesa, converti i non cristiani, affinché
si faccia quanto prima un solo ovile sotto un solo pastore, e tutti gli uomini
Ti possano conoscere e glorificare su questa terra e nella eterna felicità del
Paradiso. Amen.
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