lunedì 5 agosto 2019

SAN TOMMASO D’AQUINO



SAN  TOMMASO  D’AQUINO
                    
Una formidabile intelligenza al servizio dell’amore
Patrono degli Universitari, liceali, e delle scuole cattoliche dal 1880 viene a noi dal lontano tredicesimo secolo, per riconciliare in noi fede e ragione invitandoci a mettere la nostra intelligenza al servizio di un aumento d’amore, lui che diceva: “È necessario conoscere per amare.
Sugli scaffali di una biblioteca sono allineati i quattro volumi della “Summa teologica “ il celebre scritto di San Tommaso d’Aquino. Quest’opera straordinaria tuttavia, resta appena un abbozzo alla domanda di tutta la vita: chi è, che cosa è Dio? L’autore ha cessato di scrivere tre mesi prima di morire, con il cuore e il suo spirito ricolmi di Colui che è stato l’oggetto di tutti i suoi desideri: “Quello che ho scritto mi sembra tutto paglia a confronto di quello che ho visto e che mi è stato rivelato”, disse a chi gli domandava perché avesse deciso di non scrivere più.
Lo scolaro di Montecassino
Nella piccola cittadina de Aquino in Sicilia, il castello di Rocca-Secca si erge imponente di fronte alla celebre abbazia di Montecassino. È là che nel 1224, la contessa Teodora, dà alla luce il suo ottavo figlio, Tommaso. Il conte Landolfo già pensa e gioisce del destino che prevede per questo suo figlioletto, perché ha già deciso, che farà di lui l’abate di Montecassino. Il padrino di Tommaso è Papa Onorio III.
Fin dalla sua infanzia Tommaso si distingue per la bontà di cuore e per la sua intelligenza. Se piange, gli danno un libro,  lui si calma e dimostra piacere nello sfogliarlo. All’età di cinque anni  come molti nobili della sua epoca è inviato alla scuola di Montecassino, accompagnato dalla sua nutrice perché i suoi genitori sono rimasti al castello a piangere la sua lontananza.
Fa rapidi progressi e dimostra virtù superiori alla sua età. Posato riflessivo, passa lunghi momenti in Cappella. Fugge i divertimenti futili e rumorosi. Studia con impegno e  si vede sempre con un libro in mano. A sei anni, un giorno, è seduto alla sua scrivania tutto immerso nel silenzio. Il suo maestro gli si avvicina, Tommaso alza gli occhi verso il religioso e l’interroga: “Ditemi, chi è Dio?”
 
Lo studente di Napoli
Dopo qualche anno, l’abate Sinibald avendo notato la sua santità precoce e l’ardore per lo studio, consiglia il conte di inviarlo all’Università di Napoli. Tommaso passa alcuni mesi in famiglia e così  ciascuno può ammirare le sue squisite qualità di cuore. Si teme per la sua innocenza per la vita gaudente della gran città della quale all’epoca si diceva: Napoli è un paradiso, ma abitato da demoni.
Tommaso arriva a Napoli nel 1237. Ha tredici anni, la sua intelligenza lascia i professori stupefatti: fornisce prova di profondità di giudizio, di una perspicacia e penetrazione veramente sbalorditiva e ripete le lezioni con più chiarezza dei professori.
 
A diciassette anni viene a conoscere l’Ordine dei Frati predicatori fondati da San Domenico nel 1215 è presente in città dal 1231. Tommaso segue assiduamente gli insegnamenti tenuti nella chiesa di sant’ Arcangelo. Dopo tre anni di discernimento riceve l’abito domenicano. Ha vent’anni.
 

 

Il prigioniero di Rocca-Secca


Questo fatto getta la famiglia d’Aquino  e i suoi parenti nella costernazione: il figlio di una così illustre casata diventare un semplice religioso mendicante! Giovanni il teutonico, maestro dello Ordine, dovendo recarsi in Lombardia porta con se Tommaso al fine di sottrarlo alla collera della famiglia. Due dei suoi fratelli (il padre era morto l’anno prima), lo raggiungono, lo catturano e lo trascinano al castello di Rocca-Secca.
Per più di un anno Tommaso subisce una dura prigionia e deve subire gli assalti della persuasione materna: promesse, teneri rimproveri, minacce, maltrattamenti. Nulla scalfisce la convinzione e la fedeltà del giovane novizio: alla sua causa guadagna le sorelle, incaricate di convincerlo. I suoi fratelli tentano di spogliarlo dell’abito ma lui stringe con pugno di ferro i lembi della sua veste. Fanno entrare nella sua stanza una prostituta e Tommaso afferra dal caminetto un tizzone e lo rotea davanti al viso della sciagurata che spaventata fugge. Tommaso in ginocchio con lo stesso tizzone che ha messo in fuga la prostituta, traccia sul muro una gran croce e chiede al Signore la grazia della purezza dell’anima e del corpo. Cade in estasi  e vede scendere dal cielo due angeli i quali gli cingono i fianchi con una cintura bianca, intessuta con un’arte di estrema finezza. La indosserà per tutta la vita avendo cura di nasconderla agli occhi altrui. Questa cintura meravigliosa è conservata fino ad oggi, nella chiesa di San Domenico di Chieri.
Questa resistenza inflessibile che mai ha perso di mansuetudine rispetto e dolcezza, vince finalmente la contessa Teodora. Una notte, dei frati predicatori fatti chiamare da Napoli, vedono una cesta scivolare lungo la muraglia. Sceso a terra Tommaso è restituito all’affetto dei suoi confratelli.

L’allievo di Sant’ Alberto, il Grande.
Tommaso incomincia gli studi teologici a Parigi. Il suo maestro è Alberto, il Grande, domenicano da vent’anni. Nel convento di San Giacomo, Tommaso conduce una vita ordinata e dedita alla preghiera. Parla poco, studia molto, prega senza sosta. I suoi compagni maliziosamente lo chiamano: il grande bue muto di Sicilia. Maestro Alberto confessa di esserne deluso: ne avevano tanto vantato l’intelligenza del giovane che egli si attendeva di meglio: in occasione di una lezione particolarmente ardua, un allievo che pensa Tommaso in difficoltà, si offre di spiegargli la lezione, ma si imbroglia, si confonde. Tommaso allora umilmente offre il suo aiuto e gli chiarisce il passaggio oscuro con una lucidità così perfetta che il giovane ammirato corre a raccontarlo a maestro Alberto. Costui sottomette lo studente ad una sessione pubblica e gli propone quattro argomenti da confutare. Tommaso lo fa con tanta chiarezza e facilità, che Alberto il Grande si rivolge agli allievi stupefatti: “Ah! Voi lo chiamate il bue muto! Io vi dico , quando questo bue muggirà, i suoi muggiti si udranno da una all’altra estremità della terra!”
 
Il maestro in Teologia.
Tommaso incomincia ad insegnare a trent’anni. Consacrato sacerdote si distinguerà sempre per la sua devozione e amore alla santa Eucaristia. Tutta la sua via è consacrata ad esortare, stimolare, spiegare, combattere le eresie. Porta avanti i suoi corsi, le predicazioni, scrive libri e con il comporre una Messa al Santissimo Sacramento, nonché il magnifico Pange Lingua, canta il mistero sublime dell’Eucaristia. Lavora dettando a due o tre segretari al medesimo tempo.
Passa in chiesa gran parte della notte e rientra in cella poco prima dell’alba affinché nessuno si accorga che non ha dormito. Non manca mai alla recita dell’Ufficio delle ore pur avendo avuto la dispensa per causa della mole del suo lavoro e delle numerose visite che deve ricevere. Il suo pensiero non si allontana mai dal pensare a Dio. Suole dire: la vera felicità consiste nella contemplazione di Dio. Dice in una sua preghiera: “Gesù, è solo da Te che io attendo la conoscenza della verità che devo insegnare agli altri” Quando non riesce ad afferrare un concetto, o a chiarire qualche punto difficile della dottrina, lascia tutto, scende in cappella, apre il tabernacolo, vi infila la testa e rimane così fino a quando non riceve luce.
Celebrando l’Eucaristia, lacrime continuano a scendergli lungo le guance. Più volte lo hanno veduto sollevato da terra, e a volte va in estasi. A tavola, sovente nemmeno si accorge di quello che sta mangiando: un giorno servono a tavola delle olive talmente salate che nessuno riesce mangiarle.
Tommaso raccolto in Dio, termina la sua porzione, senza accorgersi di nulla. Un altro giorno, invitato assieme al suo priore alla tavola del santo re Luigi, tutto ad un tratto da un grido e batte un pugno sulla tavola: “Ah! Infine ho trovato l’argomento per confutare i Manichei!”  Il Priore pieno di confusione lo tira per la manica. Umilmente Tommaso si scusa, ma il Re pieno d’ammirazione, fa chiamare il segretario perché possa scrivere subito l’intuizione avuta.
Il 6 dicembre 1273, a 49 anni, durante un’estasi, vede il Cristo: “Bene hai scritto di Me, Tommaso,
che cosa vuoi in ricompensa? – Solo Te, Signore!” Risponde il santo.
Affascinato dalle verità eterne che ha contemplato, cessa di scrivere è prega affinché la fine della sua vita segua subito al terminare del suo scrivere.
 
Prima di concludere questo breve profilo del Santo, scriviamo alcuni episodi che mettono in luce le virtù di Tommaso.
 
L’obbedienza di Tommaso:

Un giorno, secondo l’usanza vigente nei conventi, faceva la lettura a tavola. Il correttore gli fa notare l’errore di pronuncia di una frase. Subito Tommaso si ‘corregge secondo il suggerimento del correttore. Dopo il pasto, un monaco lo avvicina e gli esprime il suo malcontento: “Voi avete sbagliato a pronunciare la frase, come vi è stato suggerito perché il correttore si è sbagliato, non voi. Subito Tommaso replica: “La pronuncia non ha alcuna importanza, l’importante è essere umile e obbediente”

Un monaco straniero che doveva recarsi in città ricevette il permesso di farsi accompagnare dal primo monaco che avesse incontrato. Vede Tommaso e gli dice di seguirlo. Tommaso soffriva di molti dolori alle gambe, perciò avanzava lentamente prendendosi così i rimbrotti del monaco.
In città la gente rimase sconcertata nell’assistere alla scena e fanno conoscere al tale, chi era quello che stava al suo fianco seguendolo come un garzoncello. L’infelice si scusò del suo errore, ricevendo l’insegnamento del santo Dottore sulla perfezione dell’obbedienza: “L’uomo si sottomette all’uomo per amore di Dio, come Dio ha obbedito all’uomo per amore dell’uomo” 
Per quanto occupato in cose importanti, era sempre presente agli atti della comunità. Diceva che bisognava attendere subito al suono della campana, che chiamava. Un giorno era riuscito (come quella volta alla tavola di re Luigi) a chiarire un punto difficile del lavoro che stava scrivendo. La campana suona chiamando i monaci alla preghiera; Tommaso immediatamente si alza dallo scrittoio, senza neppure terminare la parola che stava scrivendo, e si dirige alla cappella. Al riprendere il lavoro trova la parola scritta a caratteri d’oro. Così il Signore volle premiare l’obbedienza umile di Tommaso.

Umile e mite:
Tommaso, per il suo alto lignaggio, per le sue capacità eccezionali con cui era stato arricchito da Dio, nonché per l’illuminazione divina di cui beneficiava, avrebbe potuto inorgoglirsi, ma come un novello Mosé, nessuno era più umile e mite di lui.
Un giovane, trasportato dall’ira lo rimprovera e gli dice che non era così sapiente come lo  reputavano. Tommaso risponde dolcemente: “È proprio vero, ragazzo mio, ecco perché non smetto mai di studiare. 
All’udire parlare di orgoglio o di amor proprio, Tommaso si traccia una croce sul cuore. Nelle sue preghiere chiede solamente due cose: che la sua dottrina piaccia a Dio, e di poter vivere e morire da semplice religioso.

Un giorno con i suoi discepoli sta ritornando dall’Abbazia de Sant Denys, Tommaso si ferma e tutti

ammirano il magnifico panorama di Parigi. Uno dei discepoli pensando al glorioso destino  che
avrebbe potuto avere il figlio del conte d’Aquino, domanda a Tommaso: “Non vorreste essere il sovrano di questa bella città? – Quello che proprio  vorrei avere sono le omelie di San Giovanni Crisostomo su San Matteo!”
La carità di Tommaso:
Era così caritatevole che non pensava male di nessuno, mai! Quando scopriva qualche mancanza nel prossimo, piangeva le loro manchevolezze come se le avesse commesse lui stesso, non si adirava mai e mai rimproverava. Contestava solamente quando era necessario per ragioni di zelo o per la verità.; se gli altri sbagliavano, gemeva in segreto, pregava, piangeva davanti al crocefisso. Invitava il colpevole a riconoscere il suo errore con una tranquillità d’animo e una così grande moderazione di linguaggio, che calmava gli animi più agitati e destava l’ammirazione di quanti lo ascoltavano.
Eppure, un grafologo, studiando la sua scrittura, è rimasto sorpreso nello scoprire che Tommaso avrebbe avuto un temperamento violento.
Invece con la grazia di Dio era tutto dolcezza. Dice di lui Bartolomeo di Capua:
“L’anima di Fra’ Tommaso era il radioso tabernacolo dello Spirito Santo, perché sul suo viso si vedeva sempre splendere la gioia e la dolcezza”  Un contemporaneo così si esprimeva a suo riguardo: “Quello che insegnava con la bocca, lo compiva con le opere, non avrebbe mai osato insegnare quello che Dio non gli avesse concesso di praticare.”

Ritorniamo alla storia:

Chiamato da papa Gregorio X a partecipare al Concilio di Lione, durante il viaggio si ammala. Arrivato in Sicilia, si fa portare al convento cistercense di Fossa Nova: “Ecco il luogo del mio riposo!  Esclama. La sua ultima confessione sembra quella di un bambino. Il 7 marzo 1274 attorniato di domenicani e cistercensi, riceve l’estrema unzione, predica per un’ultima volta sul cantico dei cantici, poi la voce diventa un soffio. Mormora il Credo poi dice mormorando: “Affido tutto al giudizio della Chiesa”, dopo queste parole, entra in agonia.
All’alba, serenamente, lontano dagli onori effimeri di questo mondo raggiunge nella gloria il suo Signore del quale ha detto: “Voi avete un solo maestro, il Cristo. (Mt.23,8)




Estratto dalla rivista Feu et lumière di  Odile Haumonté







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