Papa Paolo VI
RADIOMESSAGGIO NATALIZIO AL MONDO
Giovedì, 23 dicembre 1965
Giovedì, 23 dicembre 1965
A tutti i Nostri Figli! A tutta la
Nostra santa e diletta Chiesa cattolica, sparsa in tutto il mondo e congregata
nella medesima comunione di fede e di carità!
A tutti i Fratelli cristiani, che
sempre attendiamo di poter salutare perfettamente partecipi della stessa
mirabile comunione!
A tutti gli Uomini di questa terra!
A voi rivolgiamo il Nostro saluto
per il Natale.
Quanto può scaturire dal Nostro
animo di più sincero, di più cordiale, di più propizio è per voi! Il Nostro
augurio, come alza la voce per farsi ascoltare da ciascuno di voi, così sale
d’intensità e di valore per essere a voi grato e benefico. Il Natale non ammette
mediocrità di sentimenti, e Noi lasciamo che il Natale invada del suo spirito il
Nostro cuore per riversare su di voi, non solo il suo umile dono di affetto, ma
quello immenso e ineffabile del mistero di luce e di grazia del Natale stesso.
Per comprenderci subito Noi vi
diremo che consideriamo il Natale come l’incontro, il grande incontro, lo
storico incontro, il decisivo incontro di Dio con l’umanità. Chi ha fede lo sa,
ed esulti. Ogni altro ascolti e rifletta.
Risuonano ancora dentro di noi le
voci commosse della sacra Liturgia dell’Avvento, le quali appunto ci presentano
il Natale come il punto d’arrivo di due lunghi e ben diversi itinerari, che
s’incontrano; l’itinerario misterioso di Dio, che scende i gradini abissali
della sua trascendenza, esce alla fine dalla nube, sempre più luminosa, delle
profezie, si avvicina in modo nuovo, soprannaturale, alla nostra terra, alla
nostra storia; e approda infine nell’inattesa umiltà di Betlem e nella candida
purità di Maria sulla nostra sponda terrestre; si fa uomo; è Cristo. E l’altro
itinerario, il nostro, tortuoso e affaticato, senza mèta precisa per sé, ma poi
avviato ad una vaga e struggente speranza, una speranza superiore alle nostre
forze naturali, la speranza d’arrivare a Dio, la speranza di scoprirlo
nell’uomo, la speranza d’incontrarlo, come s’incontra sopra un sentiero un
pellegrino viandante, un amico che si conosce, un fratello del proprio sangue,
un maestro della propria lingua, un liberatore che può tutto operare, un
Salvatore. Ascoltate la voce della liturgia: «Guardando lontano, ecco io vedo la
potenza di Dio che viene, e una nube che copre tutta la terra. Andategli
incontro, e ditegli: Annuncia a noi, se sei proprio Tu che deve regnare . . .» (Respon.
della I lez. del Matt. della I Dom. d’ Avvento). Quante cose potremmo dire
su questi itinerari storici e spirituali, di cui l’Antico Testamento ci ha
descritto le tracce; e quante parimente sulle modalità, in cui l’incontro
meraviglioso spiritualmente ancora si realizza; dovremmo dapprima descrivere le
scene del Vangelo e commentare all’infinito il loro significato, la loro
esemplarità, il loro definitivo linguaggio, il loro perenne ed universale
valore.
Sappiamo tutti che quell’incontro di
Dio con l’umanità non fu un semplice contatto, esterno e transeunte, ma fu
niente meno che un’unione, un’unione vitale, un’unione stabile, un’unione della
natura divina con la natura umana, un’unione sostanziale, ipostatica come la
dissero i Padri della nostra fede, un’unione per cui il Verbo di Dio nella sua
infinita ed eterna Persona fece sua la natura umana concepita nel seno purissimo
della Vergine Maria, divenendo così l’uomo Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo
che, come uomo, nacque, visse, insegnò, sofferse, morì e risuscitò, senza
cessare d’essere il Dio che era, ma divenendo l’uomo che noi conosciamo e come
noi siamo.
Ebbene: memoria di questo incontro è
il Natale. Anzi: continuazione di questo incontro dev’essere.
E questo Nostro pensiero è
confortato dal riflesso che dell’incontro in Cristo fra Dio e l’umanità Ci pare
di cogliere nell’avvenimento celebrato in questi ultimi anni, e testé concluso,
vogliamo dire il Concilio Ecumenico Vaticano II. Anche il Concilio è stato un
incontro. Un duplice incontro: della Chiesa con se stessa; della Chiesa col
mondo.
Nel Concilio si è infatti compiuto
l’incontro della Chiesa con se stessa. Davvero un grande e benefico incontro.
Potremmo fermare la nostra considerazione al quadro esteriore dell’avvenimento:
non è stata cosa di poco rilievo il fatto che tutti i Pastori della grande
famiglia cattolica s’incontrassero, si conoscessero, si amassero, finalmente
nella realtà non solo spirituale, ma anche in quella sperimentale, della
visione, del saluto, del colloquio, della preghiera comunitaria, della carità
più sentita. Che cosa di più cristiano che questo incontro? Ma ora il Nostro
pensiero va più addentro al significato ed all’efficienza del Concilio: la
Chiesa, dicevamo, vi ha incontrato se stessa: la sua propria fede, la sua
dottrina, la sua saldezza, la sua missione, la sua energia apostolica e
missionaria la sua ricchezza di sapienza e di grazia, la sua capacità di cavare
dalle sue inesauste riserve interiori tesori nuovi, la sua ansia di capire, di
servire, di salvare il mondo. La Chiesa allora ha incontrato, in quest’atto
riflesso, non solo se stessa, ma il Cristo; il Cristo, ch’ella porta con sé; ha
risentito l’impegno di fedeltà alla parola e al volere di Lui penetrarla tutta,
e quasi inebriarla ed esaltarla; ha risentito rifluire in sé lo Spirito di
Cristo, e risalire alle labbra il messaggio evangelico, il bisogno di rinnovarne
l’annuncio, per sé, per tutti gli uomini. La Chiesa è ritornata giovane. Si è
sentita rinascere. E ricordiamo, Fratelli, questo mirabile e nuovo incontro che
il Concilio le ha procurato con Cristo. Ricordiamo: non indulgendo al «malinteso
aggiornamento», già deplorato dal Nostro venerato predecessore Giovanni XXIII (A.A.S.,
1962, p. 675), non cercando di assorbire lo «spirito del tempo», o ponendo la
sua fiducia nelle inferme ideologie del mondo profano, o subendo qualche errata
mentalità per un preteso fatalismo storico, e nemmeno contentandosi di apportare
qualche ritocco pratico ad alcune sue secondarie norme canoniche, ma cercando di
ritrovare Cristo in se stessa, d’incontrarsi più coscientemente con Lui, la
Chiesa può oggi celebrare un suo nuovo e ricorrente Natale.
E poi l’incontro della Chiesa col
mondo.
Questo aspetto del Concilio
Ecumenico è stato da tutti notato. La Chiesa è, in un certo senso, uscita da se
stessa per incontrarsi con gli uomini del nostro tempo, con le novità enormi e
sbalorditive del mondo moderno, e con i crescenti bisogni di grande parte della
popolazione mondiale, come la fame; di nutrimento fisico e di nutrimento
spirituale. Si è rivestita di più espansiva carità pastorale; e non poteva fare
altrimenti.
La figura evangelica del pastore che
cerca, che rincorre, che si affanna per rintracciare la pecora sfuggita, ha
dominato il Concilio. La coscienza che l’umanità intera, raffigurata con
arcadica semplicità dalla pecorella errante, è sua, è della Chiesa, ha riempito
lo spirito del Concilio: sì, sua cioè della Chiesa, l’umanità, per un mandato
divino universale; la Chiesa ha capito, una volta di più, quale tremenda legge
comporti il nome che la distingue autenticamente: cattolica; vuol dire che la
sua missione, la sua responsabilità, il suo cuore non hanno confine. Sua perciò
deve dire la Chiesa l’umanità; per dovere, che non conosce stanchezza e sfida
eroicamente, semplicemente, ogni difficoltà; sua per diritto di amore, non
potendo la Chiesa esimersi - per straniera, refrattaria, o ostile che l’umanità
sia, - di amarla, questa umanità, per cui Cristo ha dato il suo sangue; sua
anche per una certa parentela storica: non ha la Chiesa generato in gran parte
quella civiltà, che ora il mondo trova vera e fa propria? Sua inoltre, per una
misteriosa speranza che alcuni fenomeni maggiori della storia contemporanea
sembrano suffragare: come la ricerca della verità e della libertà, come il
cammino obbligato verso l’unità, come il bisogno di fratellanza e di pace; beni
questi che solo alla luce del Vangelo acquistano pienezza di vita.
La Chiesa conciliare pertanto è in
cerca d’incontri. Così gelosa della sua disciplina dell’arcano, essa ha
cominciato a invitare i testimoni e i diffusori delle informazioni sociali e a
lasciarli vedere e parlare; a fornirli di notizie. Ma ben più: la Chiesa
conciliare ha prodotto un incontro, che da secoli non avveniva e sembrava
inverosimile si potesse realizzare: ha chiamato vicino a sé, umilmente,
cordialmente, Fratelli cristiani da gran tempo lontani dalla sua comunione; per
ricomporre, almeno nella sua trama umana ed elementare, un tessuto lacerato:
quello della conoscenza reciproca, del rispetto, della fiducia, quello d’una
iniziale conversazione. E poi i popoli, il mondo. La Chiesa desidera incontrarsi
col mondo.
Noi non possiamo, a questo punto,
dimenticare il Nostro viaggio a New York, invitati a parlare all’Assemblea delle
Nazioni Unite; e non possiamo non ripensare allo straordinario incontro
dell’esigua Nostra persona con i Rappresentanti delle genti colà riuniti. Un
incontro che Ci parve storico e simbolico, e che certamente esprimeva una
intenzione principale del Concilio: portare ai Popoli un messaggio di amicizia e
di pace. Lo ricordiamo quel momento per la sua pienezza stupenda, e vogliamo
profittare di questa festiva occasione per ripetere ancora a chi colà Ci invitò
e tanto gentilmente Ci accolse la Nostra devota riconoscenza per rinnovare a
quella Assemblea ed ai suoi singoli membri il Nostro augurio di pace; e per
salutare ancora il Popolo degli Stati Uniti, che avemmo allora l’onore e la
gioia d’incontrare.
Ed ecco il primo aspetto che assume
la presenza della Chiesa, che va in cerca degli uomini, quello di messaggera di
pace. Anche questo fatto risulta dalla natura delle cose. Non è la pace il primo
saluto che chi agisce in nome di Cristo, come risorto Lui fece, può proferire:
«Pace a voi!»; e non è il primo intervento che la Chiesa, posta in mezzo al
mondo, può esplicare: quello di mettere pace, di esortare alla pace, di educare
alla pace? È infatti la pace il primo e sommo bene d’una società; suppone la
giustizia, la libertà, l’ordine; e rende possibile ogni altro bene della vita
umana. E allora subito, in questo stesso momento, Noi faremo di nuovo l’apologia
della pace. La faremo perché non solo la pace è bene eccellente, ma anche perché
oggi è bene in pericolo. Ai nuovi propositi, che le tragiche esperienze
dell’ultima guerra avevano ispirato, vanno subentrando vecchie e radicate
tendenze nazionalistiche o nuove ideologie di sovvertimento e di predominio; le
armi, sempre più potenti e spaventose, diventano, si può dire, la sola garanzia
d’una pace infida e precaria, a cui vien meno il senso della fratellanza umana e
della giustizia fra i popoli. Uomini fratelli! Ascoltate veramente il messaggio
di pace, che il Natale riporta agli uomini, che sono tuttora oggetto della
benevolenza divina. Verificate la direzione dei vostri passi! Voi state forse di
nuovo sbagliando strada! Fermatevi e riflettete. La vera saggezza è nella pace;
e la vera pace è nell’alleanza dell’amore. Nessuno deve circoscrivere l’amore
alla pace nei confini del proprio interesse e della propria ambizione. Nessuno
deve cominciare a violare con subdole insidie e con artificiosi disordini
l’altrui tranquillità. Nessuno dovrebbe obbligare il vicino (oggi tutti siamo
vicini!) a ricorrere alla difesa armata, e nessuno sottrarsi alla trattativa
equa e leale per ristabilire l’ordine e l’amicizia. Bisogna costruire la pace
nella revisione coraggiosa delle ideologie difettose dell’egoismo, della lotta,
dell’egemonia; bisogna saper perdonare e ricominciare una storia nuova, ove i
rapporti fra uomini non siano regolati dalla potenza e dalla forza, né solo dal
vantaggio economico o dal grado di sviluppo civile, ma da un concetto superiore
di eguaglianza e di solidarietà, che, alla fine, solo la Paternità divina
rivelata da Cristo dimostra logiche, facili e felici.
Diciamo queste grandi cose con
accento semplice ed umile. Perché, Fratelli, questo è un altro aspetto
dell’incontro che la Chiesa del Concilio offre al mondo. Ella sa di portare un
tesoro d’infinito valore di verità e di salvezza, che la spinge a venirvi
incontro; ma osservate: ella viene a voi senza orgoglio alcuno, senza pretendere
per sé privilegio alcuno. Ella non si pone a confronto, ma riconosce volentieri,
incoraggia, benedice i grandi valori della vostra cultura e del vostro
progresso; ella non ha alcuna ambizione né di dominio, né di ricchezza; se una
cosa chiede è la libertà per la sua fede interiore e la libertà di darne
l’annuncio esteriore; ma ella non si impone ad alcuno, anzi vuole che la
responsabilità suprema e la scelta decisiva delle coscienze, anche di fronte
alla verità religiosa, siano rispettate e tutelate. L’incontro della Chiesa col
mondo odierno è stato descritto in pagine mirabili dell’ultima Costituzione del
Concilio: ogni persona intelligente, ogni anima onesta deve conoscere quelle
pagine; esse riportano, sì, la Chiesa in mezzo alla vita contemporanea, ma non
per asservire la società né per disturbare l’autonomo e onesto svolgimento delle
sue attività, sì bene per illuminarla, sostenerla e consolarla. Quelle pagine,
Noi pensiamo, segnano il punto d’incontro fra Cristo e l’uomo moderno e
costituiscono il messaggio di Natale per quest’anno di grazia al mondo
contemporaneo: qui le ricordiamo per documentare il contenuto del Nostro
augurio, che vuol essere non soltanto verbale e sentimentale, ma cristiana
offerta di positivo e disinteressato servizio per la pace e la prosperità
dell’umanità e per la sua speranza nel trascendente destino di salvezza e di
felicità, aperto agli uomini da quel Cristo, di cui celebriamo l’umile e
glorioso Natale.
Fratelli, figli, e uomini tutti di
buona volontà, nel nome di Lui, Cristo nostro Signore, sia con voi tale Nostro
augurio di buon Natale, e con esso la Nostra Benedizione Apostolica.
Fonte : www.vatican.va
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