BEATO PADRE CHARLES DE
FOUCAULD (1858-1916)
Charles de Foucauld (1858-1916)
CHARLES DE FOUCAULD (Fratel
Carlo di Gesù) nasce a Strasburgo in Francia, il 15 settembre
1858. Orfano a 6 anni, è cresciuto assieme a sua sorella Marie dal nonno, del
quale seguirà la carriera militare.
Nell’adolescenza si allontana dalla fede. Conosciuto
come amante del piacere e della vita facile, rivela, nonstante tutto, una forte
e costante volontà nei momenti difficili.
Intraprende una pericolosa esplorazione in Marocco
(1883-1884). La testimonianza della fede dei musulmani risveglia in lui questo
interrogativo: Ma Dio, esiste ? — «Mio Dio, se esistete, fate che Vi conosca ».
Rientrato in Francia, colpito dalla discreta ed
affettuosa accoglienza della sua famiglia, profondamente cristiana, si mette in
ricerca e chiede ad un sacerdote di istruirlo. Guidato da Don Huvelin ritrova
Dio nell’ottobre del 1886.Ha 28 anni. « Come credetti che c’era un Dio, compresi
che non potevo far altro che vivere per Lui solo ».
Un pellegrinaggio in Terra Santa gli rivela la sua
vocazione: seguire ed imitare Gesù nella vita di Nazareth. Vive 7 anni alla
Trappa, prima a Nostra Signora delle Nevi, poi ad Akbès in Siria. In seguito
vive solo, nella preghiera, nell’adorazione, in una grande povertà, presso le
Clarisse di Nazareth.
Ordinato sacerdote a 43 anni (1901), nella Diocesi
di Viviers, si reca nel deserto algerino del Sahara, prima a Beni Abbès, povero
tra i più poveri, poi più a Sud a Tamanrasset con i Tuaregs dell’Hoggar. Vive
una vita di preghiera, meditando continuamente la Sacra Scrittura, e di
adorazione, nell’incessante desiderio di essere, per ogni persona il « fratello
universale », viva immagine dell’Amore di Gesù.« Vorrei essere buono perché si
possa dire: Se tale è il servo, come sarà il Maestro? ». Vuole « gridare il
Vangelo con la sua 14 vita».La sera del 1° dicembre 1916 è ucciso da una banda
di predoni di passaggio.
Il suo sogno è sempre stato quello di condividere la
sua vocazione con altri: dopo aver scritto diverse regole di vita religiosa, ha
pensato che questa « Vita di Nazareth » potesse essere vissuta da tutti ed
ovunque.Oggi la « famiglia spirituale di Charles de Foucauld » comprende diverse
associazioni di fedeli, comunità religiose ed istituti secolari di laici o
sacerdoti sparsi nel mondo intero.
Charles de Foucauld è stato beatificato da Papa
Benedetto XVI il 13 novembre 2005.
Padre Enzo
Bianchi così scrive del nuovo beato.
"Non si amerà mai abbastanza! Ma il buon Dio, che sa di quale
fango ci ha impastato e che ci ama più di quanto una madre possa amare suo
figlio, ci ha detto, egli che non mente, che non respingerà chi va a lui".
Così fr. Charles de Foucauld
scriveva a Madame de Bondy in una lettera del 1° dicembre 1916, poche ore prima
di essere assassinato nella tragica e oscura banalità di una scorreria. Ha così
fine uno straordinario percorso umano e spirituale, iniziato trent'anni prima
con una sconvolgente conversione da una tormentata vita fatta di intemperanze
giovanili, di carriera militare e di viaggi di esplorazione in Marocco: "Non
appena ho creduto che esiste un Dio, ho capito che non potevo fare altro che
vivere per lui: la mia vocazione religiosa risale al momento stesso della mia
fede". Una vocazione fatta di nascondimento, di solitudine, di progressiva
spoliazione di tutto ciò che non è il Vangelo perché "c'è una tale differenza
tra Dio e tutto quanto non è lui…"; una vocazione che è colta nella sua
essenzialità in quella medesima lettera scritta il giorno stesso della morte:
"Il nostro annientamento è il mezzo più potente che abbiamo per unirci a Gesù e
fare del bene… Quando si può soffrire e amare, si può molto, si può il massimo
che è possibile in questo mondo. Si sente che si soffre; non sempre si sente che
si ama ed è una grande sofferenza in più! Però si sa che si vorrebbe amare, e
voler amare è amare…". Annientamento, sofferenza, amore, unione con Gesù: come
raccolto in un unico raggio di luce vi è qui il cuore della testimonianza di fr.
Charles, un cuore che si dilata a dimensione universale proprio grazie alla sua
capacità di farsi piccolo, nascosto, partecipe dell'umiltà del suo Signore.
Annientamento e sofferenza per Charles de Foucauld non sono dimensioni cupe e
negative dell'esperienza cristiana, non sono una sorta di pedaggio da pagare in
vista di un riscatto futuro, bensì il cammino più semplice per la sequela del
Signore Gesù che si è fatto povero per noi e che per tutti gli uomini ha
sofferto fino alla morte in croce. Annientamento è il diminuire fino a
scomparire, come Giovanni il Battista, di fronte alla venuta dello Sposo, è il
"fare segno", il cedere il passo affinché le energie del Risorto possano farsi
strada nel cuore e nelle vite di chi viene in contatto con un suo discepolo.
Sofferenza è il patire la dolorosa consapevolezza della propria lontananza dalla
volontà del Signore, l'assumere su di sé l'impossibilità a essere balsamo di
sollievo per quanti soffrono nel corpo e nello spirito. Annientamento e
sofferenza nascono allora dall'amore, da quello stesso amore al quale anelano e
nel quale sono destinati a sfociare, nascono da quella unione con il Signore,
quell'intimità con Dio che è al contempo la sorgente e la foce di ogni
itinerario spirituale, di ogni vocazione autenticamente cristiana. Fr. Charles
muore solo, in quel deserto in cui si era sentito accolto e custodito, solo come
aveva vissuto: senza aver accanto discepoli che ne raccogliessero dalla viva
voce la limpida testimonianza evangelica, senza la compagnia degli amati tuareg
ai quali aveva donato tantissimo convinto di non possedere nient'altro che il
Vangelo, senza il conforto di una mano amica che compisse sulla sua fronte il
gesto fraterno da lui tante volte offerto. Muore solo, ma il suo seme, caduto a
terra porterà molto frutto perché, come il sangue dei martiri, diventa seme di
una moltitudine di cristiani che riconosceranno nei lineamenti del suo volto
spirituale le tracce del somigliantissimo a Cristo: e oggi, nella gioia e nel
rendimento di grazie, la Chiesa intera fa proprio questo riconoscimento. Sì,
nascosta agli occhi del mondo, la vita e la morte di fr. Charles costituiscono
un'immagine stupenda del discepolato cristiano, del "sangue offerto con tutto il
cuore e sparso per amore di Gesù": un sangue, pulsione di vita, che narra in un
linguaggio universale l'universale amore del Padre.
Enzo Bianchi , priore di Bose
Gli scritti spirituali di padre de
Foucauld vogliono far scoprire a sé e a tutti il rapporto intimo di fede con
Cristo; una fede che non può essere alimentata solo dal soffio del momento, ma
deve trovare nelle verità cristiane conosciute e indagate la roccia forte e
sicura. "La fede è ciò che ci fa credere dal profondo dell'anima tutti i dogmi
della religione, tutte le verità che la religione c'insegna, per conseguenza il
contenuto della Sacra Scrittura, e tutti gli insegnamenti del Vangelo: in una
parola, tutto ciò che ci vien proposto dalla Chiesa...".
I suoi innumerevoli scritti ci riferiscono il suo pensiero e la sua spiritualità, che vorremmo riassumere con queste sue parole: "Qualunque possa essere la mia tristezza, quando mi metto ai piedi dell'altare e dico a Nostro Signore Gesù: "Signore, Tu sei infinitamente felice e nulla ti manca', non posso fare a meno di aggiungere: "Allora, anch'io son felice e niente mi manca. La tua felicità mi basta" [...]. E' la verità, deve essere così, se amiamo Nostro Signore".
I suoi innumerevoli scritti ci riferiscono il suo pensiero e la sua spiritualità, che vorremmo riassumere con queste sue parole: "Qualunque possa essere la mia tristezza, quando mi metto ai piedi dell'altare e dico a Nostro Signore Gesù: "Signore, Tu sei infinitamente felice e nulla ti manca', non posso fare a meno di aggiungere: "Allora, anch'io son felice e niente mi manca. La tua felicità mi basta" [...]. E' la verità, deve essere così, se amiamo Nostro Signore".
HA DETTO PADRE CHARLES DE
FOUCAULD :
«Amiamo Dio,
perché ci ha amati per primo». La Passione, il Calvario, è una suprema
dichiarazione d'amore. Non è per redimerci che tu hai sofferto tanto, Gesù! Il
più piccolo dei tuoi atti ha un valore infinito, poiché è l'atto d'un Dio, e
sarebbe stato sufficiente, anzi sovrabbondante, per redimere mille mondi, tutti
i mondi possibili. È per santificarci, per portarci, per spingerci ad amarti
liberamente, poiché l'amore è il mezzo potente per attirare l'amore, poiché
amare è il mezzo più potente per farsi amare... e poiché soffrire per chi si ama
è il mezzo più invincibile per dimostrare che si ama... e più le sofferenze sono
grandi, più la prova è convincente, più l'amore di cui si dà dimostrazione è
profondo. Mio Dio, quanto ci ami, tu che per noi hai voluto essere sprofondato
in quest'abisso di sofferenze e di disprezzo, tu che in tal modo hai voluto
darci tante lezioni, ma innanzitutto, soprattutto, hai voluto dimostrarci il tuo
amore, quest'amore inaudito grazie al quale il padre ha dato il suo unico
Figlio, e l'ha dato in mezzo a tali sofferenze e tali umiliazioni allo scopo di
indurci, con la vista, con la certezza di un sì immenso amore, dimostrato e
dichiarato in maniera così toccante e commovente, allo scopo d'indurci con ciò
ad amare Dio a nostra volta, ad amare l'Essere così amabile che ci ama tanto.
Amiamo Dio, poiché egli ci ha amati per primo.
Gesù si offre
per essere il compagno di tutte le ore. E questo non ci basta? Lasceremo il
Creatore per andare alle creature? Si, Gesù basta: là dove Egli è, niente manca.
Adoriamo, baciamo, amiamo, lodiamo ogni parola del nostro Diletto. Sarebbe
troppo dolce sentire che amiamo Gesù, che siamo amati da lui e che siamo
contenti della sua felicità: se sentissimo ciò, la terra sarebbe un paradiso.
Contentiamoci di volere e di sapere con più merito e meno dolcezza. La volontà
dell'Amato, qualunque essa sia, deve essere non solo preferita, ma adorata,
amata e benedetta senza limiti: bisogna adorarla come il Diletto stesso, ed
amarla come lui smisuratamente. Teniamo, senza tregua, lo sguardo rivolto
all'immenso amore di Dio per noi, questo amore che egli ha fatto sopportare per
ognuno di noi tante sofferenze, e che gli rende così dolce, piacevole e naturale
farci le grazie più grandi. Si può compiangere colui che fa la volontà di Nostro
Signore? Vi è forse qualcosa di più dolce al mondo che fare la volontà di colui
che si ama? E se, nell'eseguirla, si trova qualche sofferenza, allora la
dolcezza è raddoppiata!...
L'amore consiste
non nel sentire che si ama, ma nel voler amare; quando si vuol amare, si ama;
quando si vuol amare sopra ogni cosa, si ama sopra ogni cosa. Se accade che si
soccomba a una tentazione, è perché l'amore è troppo debole, non perché esso non
c'è: bisogna piangere, come san Pietro, pentirsi, come san Pietro, umiliarsi,
come lui, ma sempre come lui dire tre volte: «Io ti amo, io ti amo, tu sai che
malgrado le mie debolezze e i miei peccati io ti amo». L'amore che Gesù ha per
noi, egli ce l'ha dimostrato abbastanza perché noi possiamo crederci senza
sentirlo; sentire che noi l'amiamo e ch'egli ci ama, sarebbe il paradiso; il
paradiso, salvo rari momenti e rare eccezioni, non è per quaggiù. Narriamoci
spesso la duplice storia delle grazie che Dio ci ha fatto personalmente dopo la
nostra nascita, e delle nostre infedeltà; vi troveremo - soprattutto noi che
abbiamo vissuto per molto tempo lontani da Dio - le prove più sicure e più
commoventi del suo amore per noi, come anche, purtroppo, le prove sì numerose
della nostra miseria. C'è motivo per immergerci in una fiducia senza limiti del
suo amore (egli ci ama perché è buono, non perché noi siamo buoni, le madri non
amano forse i loro figli traviati?) e motivo per sprofondarci nell'umiltà e
nella diffidenza verso di noi.
«Venite e vedete
come è buono il Signore..». Quando si è intravisto come è buono il Signore, come
si può fare diversamente dal desiderare appassionatamente di passare la propria
vita a contemplarlo, ad onorarlo, nel fare ogni sua volontà, lontano dalla
vanità del mondo? No, ogni nostro tempo è preso, abbiamo intravisto il Re dei re
che ha sedotto per sempre i nostri cuori. Noi l'amiamo, non volgiamo più alcun
amore terrestre perché abbiamo un Bene da amare e non c'è in noi posto per
due... Abbiamo intravisto il cielo, siamo morti al mondo... Vogliamo essere di
Dio solo; è sufficiente ai nostri cuori; non sono i nostri cuori sufficienti per
rendergli tutto l'amore e l'adorazione che lui merita... Non vogliamo essere
divisi; vogliamo essere tutti di lui, ai suoi piedi, come dei fratelli, ma
saremo di lui solo, tutti a lui, tutti a lui... - Noi siamo spose, veramente
sposate... spose per il fatto stesso che desideriamo esserlo e che gli
promettiamo di essere sempre completamente di lui... come è umile e dolce lui,
il Re del Cielo, ad accettare così per sue spose tutte queste povere piccole
anime che si offrono a lui... Qualche volta è difficile trovare un fidanzato
sulla terra, e, tuttavia, è così poca cosa, è cosa così infima, così cenere e
polvere, un fidanzato terrestre; è così un niente, così niente di niente!... Ma
Lui, il Re del Cielo, lo si può avere per fidanzato quando si vuole... Accetta
ogni anima... la più povera, la più indegna, la più colpevole, la più infangata,
che si offre a lui con un cuore sincero... Lui le accetta tutte... Mio Dio, come
sei buono!... È la fede che fa la vita della sposa del Cristo... essa è nella
luce; essa sa, essa vede... Vede che è la sposa di Gesù, che la sua sorte è
divina; vede che è felice, che la sua vita deve essere un perpetuo «Magnificat»
e che la sua felicità è incomprensibile...
Mi chiederete
qual'è la mia vita. È la vita di un monaco missionario fondata su tre principi:
Imitazione della vita nascosta di Gesù a Nazareth. Adorazione del Santissimo
Sacramento esposto. Residenza tra i popoli infedeli più trascurati da tutti,
facendo tutto il possibile in vista della loro conversione. Vita d'austerità
uguale a quella della Trappa, ma molto più dura per la sua maggiore povertà e
perché il clima è duro e snervante e l'alimentazione ben diversa da quella
europea, né si può pensare ad introdurre qui quella dei nostri paesi perché ciò
sarebbe un lusso costoso. Si deve vivere di ciò che la regione offre: grano,
datteri e latticini. Come vesti ed abitazione non troverete che quanto v'è di
più povero e di più rustico, nulla che assomigli alle tonache curate e ai
conventi di Francia, ma qualcosa di molto simile probabilmente a ciò che
dovettero essere il vestito e l'umile casa di Gesù di Nazareth. Avrete una vita
diversa da quella della Trappa in questo che, benché tutto vi si faccia secondo
un orario e nella più stretta ubbidienza, non vi esistono quelle piccole
prescrizioni esteriori la cui minuzia è una caratteristica della Trappa; si
tratta di una semplicissima vita di famiglia. Diversa, anche perché non avrete
alcun ufficio cantato, né altra preghiera vocale all'infuori del breviario, ma
molta orazione e adorazione, molta preghiera o lettura silenziosa ai piedi
dell'altare. Sono e sono sempre stato solo da dieci anni. Se Dio m concederà ora
dei Fratelli da convertire, dividersi per la salvezza delle anime in piccoli
gruppi di tre o quattro, moltiplicando tali gruppi al massimo; ciò riuscirà più
efficace per la salvezza delle anime che la fondazione di monasteri con maggior
numero di frati... Vedo questi distaccamenti, questi romitaggi di tre o quattro
monaci missionari, come delle avanguardie, votate a preparare la via per cedere
il posto agli altri religiosi organizzati e al clero secolare, quando il terreno
sarà stato dissodato.
Bisogna passare
attraverso il deserto e dimorarvi, per ricevere la grazia di Dio; è là che ci si
svuota, che si scaccia da noi tutto ciò che non è Dio e che si svuota
completamente questa piccola casa della nostra anima per lasciare tutto il posto
a Dio solo... Gli ebrei passarono per il deserto; Mosé ci visse prima di
ricevere la sua missione; san Paolo, uscito da Damasco, andò a passare tre anni
in Arabia; anche il vostro patrono san Girolamo e san Giovanni Crisostomo si
prepararono nel deserto... E indispensabile. E un tempo di grazia. E un periodo
attraverso il quale ogni anima che vuol portare frutti deve necessariamente
passare. Le sono necessari questo silenzio, questo raccoglimento, quest'oblìo di
tutto il creato in mezzo ai quali Dio pone in essa il suo regno e forma in essa
lo spirito interiore... La vita intima con Dio... La conversazione dell'anima
con Dio nella fede, nella speranza e nella carità... Più tardi, l'anima produrrà
frutti esattamente nella misura in cui si sarà formato in essa l'uomo interiore.
I1 sacerdote
imita più perfettamente Nostro Signore, Sommo Sacerdote, che ogni giorno offriva
se stesso. Io debbo collocare l'umiltà dove l'ha collocata nostro Signore,
praticarla come l'ha praticata lui e perciò praticarla nel sacerdozio, secondo
il suo esempio. I fratelli sacerdoti, al pari di Maria e Giuseppe, hanno ogni
giorno Gesù tra le loro mani... siano sale della terra, facciano risplendere
dinanzi agli uomini le loro buone opere affinché questi glorifichino Dio,
muoiano a tutto ciò che non è Gesù, poiché «se il chicco di grano non muore
resta solo; se viceversa muore produce molto frutto». Ricordino i fratelli
sacerdoti che si fa bene agli altri nella misura di ciò che si ha dentro di sé,
quanto a spirito interiore ed a virtù. I1 prete è un ostensorio, suo compito è
di mostrare Gesù. Egli deve sparire e lasciare che si veda solo Gesù... Mai un
uomo può imitare più compiutamente Nostro Signore come quando offre il
Sacrificio o amministra i Sacramenti. Una ricerca d'umiltà che si staccasse dal
sacerdozio non sarebbe buona perché si staccherebbe da nostro Signore il quale è
«la sola via». Chiedo di ricevere l'Ordine sacro per glorificare, per quanto sta
in me, con l'offerta del divino Sacrificio, il nostro amato Signore Gesù Cristo.
Predicare il Vangelo, salvare i figli di Dio, distribuir loro con le proprie
mani il Corpo di Cristo, quale vocazione.
Silenziosamente,
nascostamente come Gesù a Nazareth, oscuramente, come lui, «passare sconosciuto
sulla terra, come un viaggiatore nella notte», poveramente, laboriosamente,
umilmente, dolcemente, facendo il bene come lui disarmato e muto dinanzi
all'ingiustizia come lui; lasciandomi, come l'agnello divino, tosare ed immolare
senza far resistenza né parlare; imitando in tutto Gesù a Nazareth e Gesù sulla
Croce, conformiamo sempre alla condotta di Gesù a Nazareth e di Gesù sulla
Croce, imitare Gesù nella sua vita a Nazareth e, giunta l'ora, imitarlo nella
sua Via Crucis e nella sua morte.
Lavorare: come?
supplicando, sacrificandomi, morendo, santificandomi, amandolo! Avendo un gran
bisogno di preghiere, ne cerco e ne chiedo nella mia famiglia, l'intima famiglia
di Gesù. Vi scrivo dunque, sentendo la necessità e il dovere di riunire tutto
ciò che può darmi forza per l'opera di Gesù. Indirizzandomi a voi, chiedo non
soltanto il vostro aiuto personale, ma vi domando di riunire a vostra volta
tutto ciò che può darvi forza per l'opera di Gesù, che io vedo così necessaria,
e intorno alla quale credo fermamente di dover lavorare. Vi prego quindi di
chiedere per l'opera di Gesù, alla quale attendo, aiuto, suppliche, sacrificio
per i fratelli e le sorelle che Gesù invierà. L'opera a cui da lungo tempo mi
sento portato a dedicarmi è la formazione di due piccole comunità chiamate
«Piccoli Fratelli del Sacro Cuore di Gesù» e «Piccole Sorelle del Sacro Cuore di
Gesù»... Fra qualche giorno ritorno nella mia cella accanto al Tabernacolo
solitario, e sentirò profondamente più che mai che Gesù vuole ch'io lavori
all'istituzione di questa doppia famiglia. Lavorare come? Supplicando,
sacrificandomi, morendo, santificandomi, amandolo! Per questo appunto io,
peccatore indegno di far parte della famiglia intima, vi prego e vi supplico di
aiutarmi. Nostro Signore ha fretta. La sua vita nascosta di Nazareth, così
povera, meschina e raccolta, non é imitata. Lo scopo di ogni vita umana,
dovrebbe essere l'adorazione della Santa Ostia. Il Sahara, otto o dieci volte
più esteso della Francia, è più popolato di quel che si creda, e possiede
tredici sacerdoti. Nell'interno del Marocco, grande come la Francia è popolato
da circa otto o dieci milioni di uomini, non c'è nemmeno un sacerdote, non c'è
un solo Tabernacolo né un altare. Nostro Signore ha fretta. I giorni assegnatici
per amarlo, imitarlo, salvare con lui le anime, scorrono e nessuno lo ama,
nessuno lo imita, nessuno salva le anime. Voglia lo sposo, il Fratello Gesù
ispirarvi, dirigervi... Vi insegni ad aiutarmi secondo la sua volontà!...
Avere veramente
la fede. la fede che ispira tutte le azioni. questa fede nel soprannaturale che
dappertutto ci fa vedere soltanto lui, che toglie al mondo la maschera e mostra
Dio in tutte le cose, che fa scomparire ogni impossibilità, che rende prive di
senso parole come inquietudine, pericolo, timore, che fa camminare nella vita
come un bambino attaccato alla mano della mamma, con una calma, una pace, una
gioia profonde che pongono l'anima in uno stato di distacco assoluto da ogni
cosa sensibile di cui essa vede chiaramente il nulla e la puerilità, che dà
un'immensa fiducia nella preghiera, la fiducia del bambino quando chiede una
cosa giusta al babbo, che dà lo spirito di preghiera mettendo l'anima in
comunione continua con Dio che vede sempre presente; questa fede la quale, come
dice il Signore a santa Teresa, ci mostra che «al di fuori delle azioni gradite
a Dio tutto è menzogna»; questa fede, la quale ci fa vedere tutto sotto un'altra
luce: gli uomini come immagini di Dio, che bisogna amare e venerare come
ritratti del Beneamato e ai quali bisogna fare tutto il bene possibile, e le
altre creature come cose che devono tutte quante, senza eccezione, aiutarci a
procurarci il cielo, lodando Dio per esse, servendoci di esse o privandoci di
esse; questa fede che, lasciandoci intravedere la grandezza di Dio, ci rende
percettibile la nostra piccolezza; questa fede che ci fa intraprendere senza
esitare, senza vergognarci, senza temere, senza mai indietreggiare, tutto ciò
che è gradito a Dio. Purtroppo questa fede è così rara! Mio Dio, concedimela!
«Mio Dio, io credo, ma aumenta la mia fede!»
I1 Signore si
prostra per pregare. Imitiamolo: vi sia caro pregare prostrati, in ginocchio,
nelle posizioni più penitenziali, più umili, più supplici. Sono, comunque,
quelle che meglio si addicono a noi, e sono anche le più dolci per noi, perché
le più ricche d'amore. Qual è la posizione più ricca di amore se non quella di
stare in ginocchio ai piedi di colui che si ama? Stiamo dunque ai piedi del
nostro Beneamato. Non facciamoci scrupoli a stare seduti alla sua presenza, come
santa Maddalena, o in piedi, ma preferiamo stare in ginocchio, e ogni volta che
ci è possibile, sia in ginocchio o prostrati, come egli ce ne dà qui l'esempio e
come vediamo fare anche a santa Maddalena, come esigono l'umiltà, la penitenza e
soprattutto l'amore, facciamo le nostre preghiere.
Pensate molto
agli altri, pregate molto per gli altri. Consacratevi alla salvezza del prossimo
con tutti i mezzi in vostro potere, preghiera, bontà, esempio ecc. È il modo
migliore di provare allo Sposo divino che Lo amate; «Tutto ciò che farete ad uno
di questi piccoli sarà fatto a me». L'elemosina materiale che si fa ad un povero
la si fa al Creatore dell'universo. Il bene che si procura all'anima di un
peccatore va alla Purezza increata. Dio ha voluto che così fosse per conferire
alla carità verso il prossimo, di cui ha fatto il secondo comandamento simile al
primo, una vera somiglianza col primo, quello dell'amore di Dio. Credo non ci
sia parola del Vangelo che abbia fatto su di me più profonda impressione di
questa, un'impressione tale da trasformare la mia vita: «Tutto ciò che farete ad
uno di questi piccoli sarà fatto a me». Se si riflette che queste sono parole
della Verità increata, quella della stessa bocca che ha detto: «Questo è il mio
Corpo, questo è il mio Sangue», con che forza si è sospinti a cercare ed amare
Gesù nei piccoli, nei peccatori, nei poveri, concentrando ogni nostra
aspirazione nella conversione delle anime e offrendo tutto quanto sta in noi di
materiale per il sollievo delle miserie temporali.
I1 Signore
adopera, per parlare al Padre, alcune parole della Scrittura. Facciamo lo
stesso: preghiamo spesso Iddio con le parole della Scrittura. Serviamoci di
queste parole infinitamente sante, parole dello Spirito Santo, e adoperiamole
per le nostre preghiere d'una certa lunghezza, come facevano gli antichi ebrei,
come fa la sposa di Cristo, la santa Chiesa. Serviamocene anche nelle nostre
giaculatorie, come fa qui il Signore. In molti altri passi egli ci dà lo stesso
esempio, petr meglio inculcarcelo e per insegnarci che quella era in lui
un'abitudine e che di conseguenza deve diventare un'abitudine anche per noi. E
non soltanto egli si serve delle parole della Scrittura per esprimere i gridi
della sua anima, ma se ne serve nei momenti più solenni, durante le tentazioni
nel deserto e sulla croce: queste parole d'un salmo son le ultime parole che
dice prima di morire. Dobbiamo seguirlo, quest'esempio ch'egli ci dà in modo
tanto inequivocabile. D'altra parte non è forse evidente che le parole della
Scrittura ispirata da Dio valgono più delle parole nostre, e che a Dio non
possiamo offrire nulla di più gradito, dopo il corpo di suo Figlio, che le
parole che il suo cuore ha effuso dal cielo sulla terra, le parole giunte a noi
dalle sue stesse labbra?
Il Signore
approva i fanciulli che cantano: «Osanna al Figlio di David!». Approva, vuole
che gli uomini lo lodino. Non gli basta che lo ringrazino, che gli chiedano
perdono, che lo preghino di concedere grazie: queste tre parole «misericordia,
perdono, aiutaci»... Bisogna anche lodarlo. Lodare significa esprimere la
propria ammirazione e insieme il proprio amore, perché l'amore è
inseparabilmente unito ad un'ammirazione senza riserve. Perciò lodare Dio è
effondersi ai suoi piedi in parole di ammirazione e di amore, è ripetergli in
tutti i modi, infinitamente amato, che la sua bontà, la nostra ammirazione e il
nostro amore sono senza misura; e dirgli senza fine, dirgli senza riuscire a
porre termine a sì dolce dichiarazione, ch'egli é bello e che noi l'amiamo. La
lode è parte essenziale dell'amore; di conseguenza, è parte indispensabile dei
nostri doveri verso Dio: cosa facile, questa, a capirsi. Ma c'è un secondo
motivo per il quale dobbiamo innalzare a Dio la lode: è il fatto che permetterci
di rivolgerglielo è da parte sua un incomparabile favore: permettere a qualcuno
di dirci, di ripeterci in tutti i modi che ci ama non è forse il favore più
grande che possiamo fargli? Non significa forse dirgli che il suo amore ci fa
piacere, ci è gradito, non equivale forse a dichiarargli che anche noi lo
amiamo? Dio ci permette di stare ai suoi piedi mormorando senza fine parole di
ammirazione e di amore. Quale grazia! Quale bontà! Quale felicità! Ma, anche,
quale ingratitudine se disprezzassimo simile favori! E non approffittarne è già
disprezzarlo. Ora, Dio non solo ci permette quest'altissima felicità, ma ce la
comanda: ci comanda di dirgli che lo ammiriamo e che lo amiamo. Come non
rispondere a un invito così prezioso e così dolce? Quale ingratitudine! Quale
indegnità! Quale grossolanità! Quale mostruosità! Mio Signore e mio Dio,
insegnami a trovare tutta la mia gioia nel lodarti, cioè nel ripeterti senza
fine che sei infinitamente perfetto e che infinitamente ti amo.
Con la preghiera
noi possiamo tutto: se non riceviamo è perché ci mancava la fede o perché
abbiamo pregato troppo poco o perché sarebbe per noi male se la nostra richiesta
venisse esaudita o perché Dio ci dà qualcosa di meglio di ciò che chiediamo.
Mai, però, accada che non riceviamo quel che domandiamo perché la cosa è troppo
difficile da ottenersi. Non esitiamo a domandare a Dio anche le cose più
difficili, come la conversione di grandi peccatori o di popoli interi: tanto
più, anzi, domandiamogliele quanto più sono difficili, con la fede che Dio ci
ama appassionatamente e che più un dono é grande più colui che ci ama
appassionatamente ama farcelo; ma domandiamo con fede, con insistenza, con
costanza, con amore, con buona volontà. Ed abbiamo la certezza che domandando
così, con molta costanza, noi verremo esauditi ricevendo la grazia richiesta o
una migliore. Domandiamo dunque arditamente al Signore le cose più impossibili
ad ottenersi, quando esse servono alla sua gloria, convinti che il suo cuore ce
le concederà tanto più facilmente quanto più sembrano umanamente impossibili:
dare l'imposabile a colui che egli ama è cosa dolce al suo cuore, e quanto mai
egli ci ama?
Non
meravigliatevi delle tentazioni, delle aridità, delle miserie; è la parte
migliore. Quanto più la tentazione è forte, profonda l'aridità, umiliante la
miseria, tanto più lo sposo divino chiede alla nostra anima di combattere, di
resistere, di sperare nel suo amore. Sottoporre a questa prova i nostri poveri
cuori... non è forse una grazia? Che cosa può fare per noi di più che unirci
sempre più a sé, rendendoci spiritualmente simili a lui! E tra i mezzi per
elevare la nostra anima, non potremmo immaginarne uno più dolce e più delicato
di ogni nostra ora una dichiarazione d'amore... Una prova di puro amore, un atto
d'amore nell'oscurità, le apparenze dell'abbandono, il dubbio in se stessi con
le amarezze dell'Amore e nessuna delle sue dolcezze... Perduto, Annegato,
Inabissato in voi. Mio Dio, come siete buono! Che giornata felice! Nient'altro
da fare in tutto questo giomo di domenica che trattenermi ai vostri piedi con i
vostri santi Genitori. Guardandovi e adorandovi, perduto in voi! E questa notte
che comincia passerà nello stesso modo se sono fedele. Che delizia o divino Gesù
Bambino, e che dolcezza stare ai vostri piedi! Che cosa dolce tenervi tra queste
braccia! Indegno qual sono, come sono felice! Ma quando penso, o mio Dio, che
non dipende che da me che tutti i miei giorni e tutte le mie notti passino così
fino a che io entri nell'etemità, che gioia profonda e che ricchezza di
godimento e di pace, di gratitudine, di meraviglia!... Sì, questo non dipende
che da me. Questa è stata la vita dei vostri santi Genitori: questa è la vita
cui mi chiamate: guardare, le cose esteriori come apparenze, fantasmi, miraggi,
immagini che passano come quelle delle lanterne magiche, e lasciarle passare nel
loro svolgersi, chiudendo gli occhi su di esse e non aprendoli che su di voi, o
Gesù, restando sempre, sempre. qualunque cosa si faccia e dove si sia, perduto,
annegato, inabissato, in voi, solo «essere» ed unico «necessario», in voi,
nostro Dio, in voi, nostro Tutto, diletto e soave, o amato, o tanto dolce
Bambino Gesù!... Questo dipende da me, con la vostra grazia... Oh! datemi questa
grazia.
Leggiamo
sempre il Vangelo amorosamente, come se fossimo seduti ai piedi dell'Amato,
ascoltando mentre ci parla di se stesso. Dobbiamo cercare di capirla, questa
Parola amata: colui che ama non s'accontenta d'ascoltare le parole dell'essere
amato come una gradevole melodia, ma cerca di afferrare, di capire le minime
sfumature; lo desidera tanto più quanto più ama, perché tutto ciò che viene
dall'essere amato ha tanto valore, soprattutto le sue parole che sono come
qualche cosa della sua anima. Quale dolcezza ineffabile in questo colloquio del
nostro Dio! Quale incomparabile grazia, dal canto suo, di aprirsi, di mostrarsi
così a noi, di darci di sé quanto mai avremmo potuto intuire, e rivelandocene
con le sue stesse labbra tanti particolari! Quale bontà si riserva abbondante su
di noi! Come, o Dio, ci troviamo sommersi nelle onde del tuo amore! Ogni parola
della sacra Scrittura è una grazia delicatissima e amorosissima del nostro
Beneamato che ci parla e ci parla di sé. Ascoltiamo, leggiamo, accogliamo
amorosamente ogni parola del nostro Beneamato. Nel fondo dei nostri cuori
facciamo ad ogni parola dei Libri santi l'accoglienza amorosa della sposa che
sente la voce dello sposo: «La mia anima s'è disciolta dentro di me, quand'egli
ha parlato..».
Fonte :
www.vatican.va ,
www.charlesdefoucauld.org
I testi scritti di Charles de Foucauld sono stati
gentilmente segnalati da Padre Claudio Traverso
www.cantalleluia.net
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