IL "BELLO" DEL CANTO LITURGICO
di fr. Olivo Damini
Il "bello" nel canto liturgico -In margine al convegno sulla coralità liturgica -
Che cos'è un bel canto liturgico?
Devo una risposta a questa domanda fondamentale, suggestiva, emersa da un commento al convegno sulla coralità liturgica tenutosi a Vicenza il 21
maggio 2005.
In quel contesto si era detto: "proponiamo, nelle nostre liturgie, cose belle, musiche belle".
Una anonima corista, presente all'incontro, annotava, nello spazio della scheda riservato alle osservazioni:
- "Che
cosa sono le cose belle?" "Bello" è un aggettivo soggettivo perché quello
che è bello per me non è necessariamente valido per altri. Gli autori del '500,
citati nel convegno, il canto gregoriano e altri autori non suscitano in me e
nel coro di cui faccio parte, quel senso del sacro riconosciuto da molti. In
questo convegno mi sono sentita un po' come un pesce fuor d'acqua perché nel mio
gruppo di canto si suona anche con le chitarre alle Messe di tutte le Domeniche
e da quasi 30 anni mi ritrovo a vivere la liturgia con partecipazione e
sacralità. Non discriminateci, ma confrontiamoci senza tenere posizioni
assolute. -
Voglio rassicurare, innanzi tutto, la gentile corista, dicendo che l'idea di discriminare è antievangelica, antiliturgica, antimusicale. Nessuno di noi vuole discriminare; tutti noi vogliamo in ogni modo, ma nel miglior modo ("bello", appunto), rispondere al mistero di Dio che si rivela soprattutto nella comunità che celebra, come dice la Costituzione "Sacrosanctum Concilium", n. 7:
"Per realizzare un'opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche. Perciò ogni celebrazione liturgica è azione sacra per eccellenza e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado".
Cui fa eco la "Lumen gentium", n 50: "La nostra unione con la Chiesa celeste si attua in maniera nobilissima, quando, specialmente nella sacra liturgia in cui la virtù dello Spirito Santo agisce su di noi mediante i segni sacramentali, in comune esultanza cantiamo le lodi della divina maestà". (Lumen gentium 50)
Si tratta piuttosto di capire e perciò di "confrontarci senza posizioni assolute"; si tratta di cercare motivazioni serie e realistiche, alle posizioni che assumiamo; di aprirci anche ad altre possibilità, nell'ascolto pluralistico, nella capacità di autocritica e, in campo musicale, in continue coraggiose selezioni. Ovviamente ciò non significa accettare tutto, senza alcun giudizio sul valore.
Ma veniamo alla domanda decisiva: Che cos'è "bello?" . domanda da un milione di dollari!
L'invito al canto "bello" è biblico, è l'appello del Sal 47,8: "cantate a Dio con arte", cantate "un canto composto ed eseguito con arte" cioè "bello".
In riferimento al canto-musica nella liturgia, mi sembra inevitabile rifarci al concetto biblico di "bello"; concetto espresso con la parola ebraica "tôb". Questa parola che può essere tradotta con una serie incredibile di sinonimi, si riferisce alla bellezza vera e propria del creato e dell'uomo com'è detto nella Gen. 1 ss, ma si riferisce anche alla bontà delle cose e dell'uomo. In particolare è espressione della santità divina e della sua trascendenza che non disdegna di stabilire alleanze con noi.
Tôb ha tre significati preferenziali: "buono", "bello", "piacevole".
Chi somma in sé queste qualità è ovviamente innanzitutto Dio, come dice il Sl 34,9: "Assaporate e gustate quanto è "tôb" Jhwh, oppure, come dice Gesù stesso di sé: "Io sono il pastore Kalós" (traduzione greca di "tôb") e cioè "grazioso", "bello", "affascinante", "buono", "efficace", "che salva".
Bello è: equilibrio, armonia, proporzione, colore, calore, contrasto e ricomposizione, tensione e gioia per dire l'ineffabile.
Se dunque "buono-bello" si identificano in Dio, il bello che noi cerchiamo e dal quale siamo attratti, non è qualcosa di "soggettivo", che può essere o non essere, ma è la realtà "oggettiva" più concreta, quasi fisica: da assaporare, da gustare, realtà, esterna a noi, che ci attrae.
Tutto ciò che partecipa di Dio e che a lui si riferisce come alla fonte, questo è "bello-buono" cioè "tôb". Bello, nell'ambito qui considerato, non è dunque un "aggettivo", ma è "il sostantivo" per eccellenza: Dio!
Gli antichi dicevano: "Dio è musico per natura", possiamo tradurre: "bello-buono" musicale.
Il tentativo di capire che cosa sia una "bella musica liturgica" non consiste semplicemente nel decidere che cosa a me piace o non piace, è molto di più, è capire che sto vivendo l'esperienza di un incontro personale; si tratta di capire il linguaggio di Dio, che aspetta la mia risposta anche attraverso i sempre modesti strumenti del mio comunicare.
Certo, una cosa è ascoltare una cantata di Bach da un long playng 78 giri, o da una radio degli anni cinquanta; altra cosa ascoltarla da un DVD, altra ancora dal vivo, in una Cattedrale. Gli strumenti sono stati perfezionati.
Gli autori e gli esecutori devono perfezionare gli strumenti della scrittura e dell'esecuzione musicale, ma anche noi popolo di Dio dobbiamo perfezionare il nostro ascolto critico, confrontandoci con scritture e ascoltando esecuzioni riuscite, di oggi e di ieri.
Mi piace ripetere che la liturgia non ha bisogno né di musica "giovane" né di musica "vecchia", né "contemporanea" né "antica"; la Liturgia ha bisogno solo di "musica bella", cioè degna del mistero, dell'incontro con la maestà e la gloria divina.
Non penso soltanto alla "grande musica" e ai "grandi autori"; so bene che le nostre liturgie, dove il popolo di Dio è chiamato al canto, hanno bisogno di musiche accessibili, praticabili, semplici. Ma, musica semplice non significa povera; accessibile non significa banale. Anche la semplicità si sposa con il decoro e la solennità; ogni assemblea sa riconoscere lo stile dignitoso e rispettoso di una parola, di un gesto, di un canto, di una celebrazione, anche se dispone di mezzi limitati.
Ora (e questo è un fatto storicamente inconfutabile), dire che il Canto Gregoriano e la Polifonia del 5-600 o la stessa polifonia e la musica corale contemporanea, "non suscitano il senso del sacro", è un insulto alla storia della musica e alla storia della stessa liturgia. Questa si è una grave "discriminazione" che rivela qualche "vuoto" di formazione.
Il bello, che è percepito da ogni animo trasparente e sensibile alla verità, è frutto di esperienza, di continuo affinamento e di crescente cultura; ci deve portare a "contemplare" il mistero del "più bello tra i figli dell'uomo"( Sl 44,3).
E poi c'è l'ascolto come mezzo di vera "contemplazione".
Questa musica impegnativa ed esigente che fa parte del patrimonio culturale e di fede della Chiesa, ha la capacità di elevare lo spirito e il cuore di chi ascolta attivamente, di portare i discepoli alla solennità dell'incontro con il Dio "bellezza assoluta".
Papa Benedetto XVI in un suo articolo si domandava: «"partecipazione attiva": ma questa " partecipazione " non può forse significare anche il percepire con lo spirito, con i sensi? Non c'è proprio nulla di "attivo" nell'ascoltare, nell'intuire, nel commuoversi?
Non c'è qui (cioè nel concetto di partecipazione inteso come "fare") un rimpicciolire l'uomo, un ridurlo alla sola espressione orale, proprio quando sappiamo che ciò che vi è in noi di razionalmente cosciente ed emerge alla superficie è soltanto la punta di un iceberg rispetto a ciò che è la nostra totalità? Chiedersi questo non significa certo opporsi allo sforzo per far cantare tutto il popolo, opporsi alla "musica d'uso": significa opporsi a un esclusivismo (solo quella musica) che non è giustificato né dal Concilio né dalle necessità pastorali".» ("Rapporto sulla fede" di V. Messori, intervista al Card. Ratzinger)
Quello che dice un grande pensatore ebraico del nostro tempo, a proposito della lit sinagogale moderna, si può trasferire in pieno a ciò che succede nelle nostre Chiese: "Si resta traumatizzati ascoltando pensieri stupendi espressi con accentuazioni e cadenze errate: parole sublimi combinate con musiche grossolane. Tanta parte di quello che udiamo nella sinagoga è estraneo alla nostra liturgia. Molta parte della musica che sentiamo distorce e persino contraddice le parole, anziché dare loro intensità ed esaltarle. Una musica di questo genere ha effetti devastanti sulla nostra ricerca di preghiera. Non di rado ci si sente offesi nel profondo ascoltando certi brani musicali eseguiti nelle sinagoghe moderne." (Abraham J. Heschel, "Il canto della libertà", ed. Qiqajon pag. 119).
Ecco un'indicazione precisa per capire se un canto liturgico è "bello": Osservare se il testo, che di per sé deve essere significativo e pertinente, viene esaltato dalla melodia oppure no.
Non voglio tornare al C. gregoriano o alla polifonia, ma voglio che nessuno me lo impedisca se questi linguaggi per me sono vivi. Significa che oltre al linguaggio musicale e parlato di oggi, io conosco due lingue in più. è un peccato? Ma non solo io, tutti possono capire il linguaggio musicale, come tutti possono distinguere una parola d'amore (tôb) da una parola volgare (volgare).
Sento dire che a scuola non si insegnano più i classici della nostra lingua . ma quando qualcuno inaspettatamente ha osato declamare e commentare la cantica del Paradiso dalla Divina commedia per oltre due ore in TV, tutti siamo rimasti a bocca aperta e abbiamo esclamato: "Che bello" finalmente!
Bello, per un bambino, è una filastrocca di fronte alla quale un adulto sorride. Ma mentre gliela propongo, io ho il dovere di aiutare il bambino a capire che c'è qualcosa di meglio delle filastrocche e gradatamente portarlo a gustare il linguaggio della grande poesia, della grande letteratura.
Sarebbe un grave errore pedagogico continuare a propinare filastrocche agli adolescenti, ai giovani e addirittura agli adulti, solo perché gradiscono filastrocche, solo perché sono orecchiabili, solo perché si imparano facilmente. Anche i bambini cercano parole e gesti speciali per il compleanno di papà e mamma. Sono gravi le carenze alimentari per chi mangia solo "pizza" .
Le parabole possono essere trasposte anche alle musiche e ai canti che scegliamo per le nostre celebrazioni. Diciamo la verità: le filastrocche sono molte, i testi insipidi e scontati sono troppi . e anche le pizze . musicali!
Dopo questo parlare "terra terra", ecco una definizione del bello. Non è mia, ci mancherebbe; sono mie solo le parentesi, ma sono perfettamente d'accordo:
"La bellezza è, in un certo senso, l'espressione visibile (nel nostro caso: udibile) del bene (Dio), come il bene è la condizione metafisica della bellezza (Dio)" (Gv. P. II - Lettera agli artisti, n.3).
Se il punto di riferimento è Dio, so che nessuno dei nostri canti è sufficientemente bello, ma so anche che certi canti sono da scartare, perché indegni del mistero che vivo, non rivelano assolutamente nulla. Cercare questa bellezza non è uno scherzo!
Il M° padre Terenzio Zardini, che ha scritto più di una musica bella per la liturgia, con grande umiltà diceva: La musica bella è già stata scritta, noi scriviamo quella brutta.
Forse non ho risposto alla domanda; rinuncerò ahimè, al milione di dollari!
Ma spero di aver insinuato nell'anonima corista, che ha avuto il coraggio di suscitare il problema, una santa inquietudine e magari di averla portata alla determinazione di interrogarsi se i canti che esegue con il suo coro, siano veramente "tôb"; cosa che faccio sempre anch'io cantando con le mie assemblee domenicali non propriamente giovani e con il mio coro polifonico composto non propriamente da professionisti.
La ricerca della bellezza è insaziabile, perché è la ricerca di Dio.
Questa è solo una premessa che mi sembrava indispensabile per capire meglio, distinguere, poter scegliere, migliorare. Si apre qui un ventaglio di visioni che potrebbe dar vita ad un prezioso confronto tra molti.
Cantate a Dio "canti tôb!"
Voglio rassicurare, innanzi tutto, la gentile corista, dicendo che l'idea di discriminare è antievangelica, antiliturgica, antimusicale. Nessuno di noi vuole discriminare; tutti noi vogliamo in ogni modo, ma nel miglior modo ("bello", appunto), rispondere al mistero di Dio che si rivela soprattutto nella comunità che celebra, come dice la Costituzione "Sacrosanctum Concilium", n. 7:
"Per realizzare un'opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche. Perciò ogni celebrazione liturgica è azione sacra per eccellenza e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado".
Cui fa eco la "Lumen gentium", n 50: "La nostra unione con la Chiesa celeste si attua in maniera nobilissima, quando, specialmente nella sacra liturgia in cui la virtù dello Spirito Santo agisce su di noi mediante i segni sacramentali, in comune esultanza cantiamo le lodi della divina maestà". (Lumen gentium 50)
Si tratta piuttosto di capire e perciò di "confrontarci senza posizioni assolute"; si tratta di cercare motivazioni serie e realistiche, alle posizioni che assumiamo; di aprirci anche ad altre possibilità, nell'ascolto pluralistico, nella capacità di autocritica e, in campo musicale, in continue coraggiose selezioni. Ovviamente ciò non significa accettare tutto, senza alcun giudizio sul valore.
Ma veniamo alla domanda decisiva: Che cos'è "bello?" . domanda da un milione di dollari!
L'invito al canto "bello" è biblico, è l'appello del Sal 47,8: "cantate a Dio con arte", cantate "un canto composto ed eseguito con arte" cioè "bello".
In riferimento al canto-musica nella liturgia, mi sembra inevitabile rifarci al concetto biblico di "bello"; concetto espresso con la parola ebraica "tôb". Questa parola che può essere tradotta con una serie incredibile di sinonimi, si riferisce alla bellezza vera e propria del creato e dell'uomo com'è detto nella Gen. 1 ss, ma si riferisce anche alla bontà delle cose e dell'uomo. In particolare è espressione della santità divina e della sua trascendenza che non disdegna di stabilire alleanze con noi.
Tôb ha tre significati preferenziali: "buono", "bello", "piacevole".
Chi somma in sé queste qualità è ovviamente innanzitutto Dio, come dice il Sl 34,9: "Assaporate e gustate quanto è "tôb" Jhwh, oppure, come dice Gesù stesso di sé: "Io sono il pastore Kalós" (traduzione greca di "tôb") e cioè "grazioso", "bello", "affascinante", "buono", "efficace", "che salva".
Bello è: equilibrio, armonia, proporzione, colore, calore, contrasto e ricomposizione, tensione e gioia per dire l'ineffabile.
Se dunque "buono-bello" si identificano in Dio, il bello che noi cerchiamo e dal quale siamo attratti, non è qualcosa di "soggettivo", che può essere o non essere, ma è la realtà "oggettiva" più concreta, quasi fisica: da assaporare, da gustare, realtà, esterna a noi, che ci attrae.
Tutto ciò che partecipa di Dio e che a lui si riferisce come alla fonte, questo è "bello-buono" cioè "tôb". Bello, nell'ambito qui considerato, non è dunque un "aggettivo", ma è "il sostantivo" per eccellenza: Dio!
Gli antichi dicevano: "Dio è musico per natura", possiamo tradurre: "bello-buono" musicale.
Il tentativo di capire che cosa sia una "bella musica liturgica" non consiste semplicemente nel decidere che cosa a me piace o non piace, è molto di più, è capire che sto vivendo l'esperienza di un incontro personale; si tratta di capire il linguaggio di Dio, che aspetta la mia risposta anche attraverso i sempre modesti strumenti del mio comunicare.
Certo, una cosa è ascoltare una cantata di Bach da un long playng 78 giri, o da una radio degli anni cinquanta; altra cosa ascoltarla da un DVD, altra ancora dal vivo, in una Cattedrale. Gli strumenti sono stati perfezionati.
Gli autori e gli esecutori devono perfezionare gli strumenti della scrittura e dell'esecuzione musicale, ma anche noi popolo di Dio dobbiamo perfezionare il nostro ascolto critico, confrontandoci con scritture e ascoltando esecuzioni riuscite, di oggi e di ieri.
Mi piace ripetere che la liturgia non ha bisogno né di musica "giovane" né di musica "vecchia", né "contemporanea" né "antica"; la Liturgia ha bisogno solo di "musica bella", cioè degna del mistero, dell'incontro con la maestà e la gloria divina.
Non penso soltanto alla "grande musica" e ai "grandi autori"; so bene che le nostre liturgie, dove il popolo di Dio è chiamato al canto, hanno bisogno di musiche accessibili, praticabili, semplici. Ma, musica semplice non significa povera; accessibile non significa banale. Anche la semplicità si sposa con il decoro e la solennità; ogni assemblea sa riconoscere lo stile dignitoso e rispettoso di una parola, di un gesto, di un canto, di una celebrazione, anche se dispone di mezzi limitati.
Ora (e questo è un fatto storicamente inconfutabile), dire che il Canto Gregoriano e la Polifonia del 5-600 o la stessa polifonia e la musica corale contemporanea, "non suscitano il senso del sacro", è un insulto alla storia della musica e alla storia della stessa liturgia. Questa si è una grave "discriminazione" che rivela qualche "vuoto" di formazione.
Il bello, che è percepito da ogni animo trasparente e sensibile alla verità, è frutto di esperienza, di continuo affinamento e di crescente cultura; ci deve portare a "contemplare" il mistero del "più bello tra i figli dell'uomo"( Sl 44,3).
E poi c'è l'ascolto come mezzo di vera "contemplazione".
Questa musica impegnativa ed esigente che fa parte del patrimonio culturale e di fede della Chiesa, ha la capacità di elevare lo spirito e il cuore di chi ascolta attivamente, di portare i discepoli alla solennità dell'incontro con il Dio "bellezza assoluta".
Papa Benedetto XVI in un suo articolo si domandava: «"partecipazione attiva": ma questa " partecipazione " non può forse significare anche il percepire con lo spirito, con i sensi? Non c'è proprio nulla di "attivo" nell'ascoltare, nell'intuire, nel commuoversi?
Non c'è qui (cioè nel concetto di partecipazione inteso come "fare") un rimpicciolire l'uomo, un ridurlo alla sola espressione orale, proprio quando sappiamo che ciò che vi è in noi di razionalmente cosciente ed emerge alla superficie è soltanto la punta di un iceberg rispetto a ciò che è la nostra totalità? Chiedersi questo non significa certo opporsi allo sforzo per far cantare tutto il popolo, opporsi alla "musica d'uso": significa opporsi a un esclusivismo (solo quella musica) che non è giustificato né dal Concilio né dalle necessità pastorali".» ("Rapporto sulla fede" di V. Messori, intervista al Card. Ratzinger)
Quello che dice un grande pensatore ebraico del nostro tempo, a proposito della lit sinagogale moderna, si può trasferire in pieno a ciò che succede nelle nostre Chiese: "Si resta traumatizzati ascoltando pensieri stupendi espressi con accentuazioni e cadenze errate: parole sublimi combinate con musiche grossolane. Tanta parte di quello che udiamo nella sinagoga è estraneo alla nostra liturgia. Molta parte della musica che sentiamo distorce e persino contraddice le parole, anziché dare loro intensità ed esaltarle. Una musica di questo genere ha effetti devastanti sulla nostra ricerca di preghiera. Non di rado ci si sente offesi nel profondo ascoltando certi brani musicali eseguiti nelle sinagoghe moderne." (Abraham J. Heschel, "Il canto della libertà", ed. Qiqajon pag. 119).
Ecco un'indicazione precisa per capire se un canto liturgico è "bello": Osservare se il testo, che di per sé deve essere significativo e pertinente, viene esaltato dalla melodia oppure no.
Non voglio tornare al C. gregoriano o alla polifonia, ma voglio che nessuno me lo impedisca se questi linguaggi per me sono vivi. Significa che oltre al linguaggio musicale e parlato di oggi, io conosco due lingue in più. è un peccato? Ma non solo io, tutti possono capire il linguaggio musicale, come tutti possono distinguere una parola d'amore (tôb) da una parola volgare (volgare).
Sento dire che a scuola non si insegnano più i classici della nostra lingua . ma quando qualcuno inaspettatamente ha osato declamare e commentare la cantica del Paradiso dalla Divina commedia per oltre due ore in TV, tutti siamo rimasti a bocca aperta e abbiamo esclamato: "Che bello" finalmente!
Bello, per un bambino, è una filastrocca di fronte alla quale un adulto sorride. Ma mentre gliela propongo, io ho il dovere di aiutare il bambino a capire che c'è qualcosa di meglio delle filastrocche e gradatamente portarlo a gustare il linguaggio della grande poesia, della grande letteratura.
Sarebbe un grave errore pedagogico continuare a propinare filastrocche agli adolescenti, ai giovani e addirittura agli adulti, solo perché gradiscono filastrocche, solo perché sono orecchiabili, solo perché si imparano facilmente. Anche i bambini cercano parole e gesti speciali per il compleanno di papà e mamma. Sono gravi le carenze alimentari per chi mangia solo "pizza" .
Le parabole possono essere trasposte anche alle musiche e ai canti che scegliamo per le nostre celebrazioni. Diciamo la verità: le filastrocche sono molte, i testi insipidi e scontati sono troppi . e anche le pizze . musicali!
Dopo questo parlare "terra terra", ecco una definizione del bello. Non è mia, ci mancherebbe; sono mie solo le parentesi, ma sono perfettamente d'accordo:
"La bellezza è, in un certo senso, l'espressione visibile (nel nostro caso: udibile) del bene (Dio), come il bene è la condizione metafisica della bellezza (Dio)" (Gv. P. II - Lettera agli artisti, n.3).
Se il punto di riferimento è Dio, so che nessuno dei nostri canti è sufficientemente bello, ma so anche che certi canti sono da scartare, perché indegni del mistero che vivo, non rivelano assolutamente nulla. Cercare questa bellezza non è uno scherzo!
Il M° padre Terenzio Zardini, che ha scritto più di una musica bella per la liturgia, con grande umiltà diceva: La musica bella è già stata scritta, noi scriviamo quella brutta.
Forse non ho risposto alla domanda; rinuncerò ahimè, al milione di dollari!
Ma spero di aver insinuato nell'anonima corista, che ha avuto il coraggio di suscitare il problema, una santa inquietudine e magari di averla portata alla determinazione di interrogarsi se i canti che esegue con il suo coro, siano veramente "tôb"; cosa che faccio sempre anch'io cantando con le mie assemblee domenicali non propriamente giovani e con il mio coro polifonico composto non propriamente da professionisti.
La ricerca della bellezza è insaziabile, perché è la ricerca di Dio.
Questa è solo una premessa che mi sembrava indispensabile per capire meglio, distinguere, poter scegliere, migliorare. Si apre qui un ventaglio di visioni che potrebbe dar vita ad un prezioso confronto tra molti.
Cantate a Dio "canti tôb!"
fr. Olivo
Damini
Fonte : testo segnalato dal M° Paolo Bottini, segretario AIOC, www.organisti.it , nelle "NOTIZIE ORGANISTICHE" - febbraio 2006/V , Liturgia & Musica . Il M° Padre Olivo Damini, diplomato in canto gregoriano al Pontificio Ist. Ambrosiano Musica Sacra è docente all’Istituto Teologico S.Bernardino di Verona.
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