domenica 28 luglio 2019

L'educazione morale nella catechesi dei bambini, di don Pietro Fochesato




L'educazione morale nella catechesi dei bambini
di don Pietro Fochesato
           
Indice:
Presentazione
Dalla parte dei bambini
Da parte della Chiesa
Da parte della famiglia
Educare alla fede
Educare al bene
Bambini - Famiglia - Chiesa
Oltre le mura domestiche
Cammino di liberazione



Presentazione
Accanto all’educazione religiosa, quella morale è uno dei grandi obiettivi della catechesi.
Aiutare i bambini a crescere buoni, onesti, a diventare anche virtuosi, è una grande missione.
Le brevi riflessioni che proponiamo interessano tutti i protagonisti: i genitori, i catechisti, gli educatori, gli stessi bambini.
Parliamo prima della proposta religiosa fatta dalla nostra catechesi, perché le ragioni della fede stanno a fondamento della proposta morale. Il cristianesimo infatti è innanzitutto una fede; una fede da cui deriva anche la morale.
Siamo dunque lieti di essere utili, in qualche modo, ad assolvere un compito così importante com’è quello educativo.



DALLA PARTE DEI BAMBINI
1. Alla nascita il bambino è totalmente indifeso; ma ottiene dagli adulti quanto non otterrà mai più nel resto della sua vita. Sembra un paradosso, ma è la verità delle cose. In effetti, pur assolutamente fragile, egli si impone alla madre, al padre, a tutti gli adulti per quello che è: una vita umana allo stato puro, senza sovrastrutture successive, quali la cultura, l’astuzia o la forza, il ruolo sociale o i conti in banca. Il bambino che nasce dunque non parla, ma eloquentemente domanda il rispetto della sua vita umana, del diritto a crescere, del diritto alla famiglia, alla cura della salute, all’educazione. Soprattutto chiede amore, come viadotto e pedana di lancio per entrare dignitosamente e serenamente nella comunità dei suoi simili.
2. Durante il primo e secondo anno di vita, istintivamente ma provvidenzialmente, aumenta il prezzo delle sue richieste: pretende cure fisiche in quantità enorme, soprattutto attenzioni e manifestazioni affettive a non finire. Non ne sarebbe mai sazio.
Totalmente concentrato su se stesso, con un amore di sé senza limiti, sembra determinato a sfruttare tutto e tutti, quasi a premunirsi contro un futuro incerto. In questa fase dello sviluppo il gioco dell’onnipotenza gli si addice come ad un piccolo faraone e lo attira come ad un castello incantato. Dentro il quale per altro i genitori, i nonni, i parenti si muovono come schiavetti.
3. Al giro di boa dei due anni e mezzo, tre, avverte tuttavia le prime crepe del suo castello incantato. Percepisce infatti che gli adulti, pur ancora tanto indulgenti, ma persino gli avvenimenti e gli oggetti, cominciano a sfuggirgli di mano e a sottrarsi alla sua avidità manipolatoria. Intuisce così che la torta dell’esistenza non è più, come prima, a sua completa disposizione, ma va spartita con gli altri. Gli altri! Usciti ormai dal limbo dell’indistinto, davanti ai suoi occhi cominciano a prendere corpo e sostanza, ad assumere autorevolezza e ruoli diversi, persino diritti oltre che doveri. Percepisce dunque che d’ora in avanti la dura legge della realtà si impone anche a lui, procurandogli non pochi dispiaceri e frustrazioni. Spronandolo comunque a scoprire senza equivoci che anche per lui la vita comincia ad essere una dura battaglia.
4. La cosa si infittisce durante il terzo anno e da questo processo evolutivo e, nello stesso tempo, conflittuale, si rinvigorisce provvidenzialmente la coscienza aurorale del bambino, anche relativamente all’aspetto morale. Comincia soprattutto a capire che il bene ha un nome ben chiaro, anche se improprio: obbedienza; e che il male si chiama disobbedienza. Se ubbidisce, "fa il bravo bambino"; se disubbidisce, "fa il cattivo".
Per amore dei genitori e spesso per paura di perderne gli affetti e la stima si ingegna con tutte le sue forze a "fare il bravo", imitandone la condotta, ripetendone i gesti, attuando i loro insegnamenti. Insomma mettendo in pratica il codice parentale, l’insieme delle norme del buon vivere familiare. A forza di imitare i grandi, talvolta scimmiottandone ruoli e comportamenti, il bambino si accorge di essere non solo apprezzato e stimato, ma anche di diventare competente in umanità, esperto nella manipolazione delle cose e anche nel sapere stare in società. "Che bambino simpatico!" dicono gli adulti. Questo fatto stuzzica enormemente il suo processo positivo di umanizzazione e di socializzazione.
5. Quanta fatica però! In effetti tantissime volte - soprattutto a cavallo tra il terzo e il quarto anno - vuole fare di testa sua, dando sfogo al suo bisogno di affermazione e quasi a rivendicare o riprendersi i suoi presunti diritti di primadonna. Ora gioca pure una carta magica: l’amore preferenziale per uno dei genitori. Tanto da diventare pure un esperto ricattatore affettivo.
Così le disobbedienze e i capricci sono all’ordine del giorno. "È una piccola peste!", dicono ora i genitori. La loro disapprovazione, i loro rimproveri servono a riequilibrare le cose e riportare il bambino alla giusta dimensione della vita e al senso dei propri doveri. E lo confermano sul fatto che a fare il cattivo bambino ci rimette sempre: affetti, stima, competenza.
Non solo. In questo stadio evolutivo si incunea in lui un elemento nuovo e delicato: il primo "sentimento di colpevolezza", frammisto al timore di essere punito. Si tratta inizialmente di un sentimento quasi sempre insopportabile. Per cui automaticamente si innesca in lui - che si percepisce cattivo e punibile - il bisogno di scusarsi, per sopravvivere alla paura di perdere affetti, stima e anche privilegi.
Così il primissimo nucleo dinamico della formazione morale si è messo in moto: coscienza aurorale del bene e del male; primissimo accostamento al bene, sia pure mediante la gratificazione dei bisogni di affetto e competenza, più che ovviamente per comprensione razionale del bene; avvio al senso del dovere e al processo di resistenza al male, inteso più che altro come condotta sgradita agli adulti; primissimo sentimento di colpevolezza e scoperta di tecniche di riconciliazione con gli adulti, per sfuggire all’ansia, alla paura di perderli.
6. Nel quinto anno il processo evolutivo della coscienza morale e del senso del dovere si arricchisce e si amplifica da una ulteriore capacità di percepire se stesso e il suo rapporto con gli altri. Scaltrito ormai circa le differenze e i ruoli sessuali delle persone che lo circondano, il maschietto accelera il processo di imitazione del padre; e la femminuccia - magari un po’ più lentamente - quello della madre. Tuttavia si complica un poco il rapporto con gli altri adulti, ma soprattutto quello con gli eventuali fratelli o sorelle e con i coetanei. È inevitabile pure la complicazione degli affetti e dei sentimenti: gioia e collera, simpatia e antipatia, gratuità e gelosia si mescolano in fretta. Vengono a galla quindi le prime manifestazioni dei meccanismi difensivi : in particolare aggressività o eventuali chiusure. L’una per imporre la propria supremazia e le proprie competenze; le altre per protestare contro le ingiuste frustrazioni e per rivendicare i diritti affettivi inevasi. Così cattiverie o cocciutaggini, dispetti o musi lunghi, ricerca di qualche vittima su cui scaricare la collera, oppure appartarsi per confidare le proprie ansie, fantasie e desideri ad un "compagno immaginario" sono le manifestazioni più eclatanti.
Eppure nonostante questa complessità di sentimenti e di condotte nel sottofondo interiore emerge nel cinquenne la voglia di superare le fatiche del vivere quotidiano, la volontà di fare il bravo, essere obbediente, dedito al suo dovere, gentile e generoso. Perché ormai percepisce chiaramente che è la vera strada da battere nella vita.
7. Alle soglie della fanciullezza si deve convenire con il bambino che l’itinerario percorso in questi sei anni di vita è stato formidabile. Sul limitare della porta scolastica - ossia sul punto di assumersi una gamma infinita di nuovi compiti e doveri - il bambino finalmente si percepisce una persona tra le altre persone, di pari dignità, sia pure con ruoli diversi, con la positiva coscienza dei propri diritti e dei propri doveri; percepisce un ordine di rapporti umani e di comportamenti da rispettare.
È opportunamente consapevole che violando questo ordine, si va ancora contro l’obbedienza e il codice parentale e sociale, più che contro la propria coscienza razionale autonoma (che ovviamente non c’è); ma già intuire questo e sforzarsi di agire da uomo e da donna, o, meglio, come mamma e papà o come i propri educatori, segna il lunghissimo tratto di strada percorso in sei anni. Il processo di umanizzazione e di socializzazione appare più che collaudato. E anche lo sviluppo morale.
8. Che altro si può pretendere da un bambino di sei anni? In verità può offrire ancora una cosa estremamente importante: la crescita nella dimensione religiosa. Se è vero che il bambino ha diritto ad essere agevolato in ogni dimensione dello sviluppo, non si vede perché gli si deve sbarrare la porta di ingresso alla scoperta di Dio. Sarebbe oltretutto una violenza ipocrita.
Allora è anche sommamente giusto che lo sviluppo morale si coniughi con la crescita religiosa.
Essa trova il suo piede d’appoggio là dove un padre e una madre si amano davvero e amano di amore autentico, gratuito, misericordioso il figlio. Perché l’immagine paterna e materna insieme possono, volendo, visibilizzare l’immagine trascendente di Dio-Amore.
D’altra parte è noto che nella prima infanzia il bambino "capisce" soprattutto il linguaggio dell’amore.
La scoperta di Dio si irrobustisce a mano a mano che il bambino imita i genitori nei comportamenti (di preghiera, di ascolto della Parola di Dio, di rispetto nel nome di Dio...) e negli atteggiamenti religiosi (di fede, di fiducia in Dio, di speranza in Lui, di riconoscenza e di amore...).
Persino la conflittualità interiore, le disobbedienze, i sentimenti di colpevolezza - se ben vissuti e interpretati - possono (e devono) agevolare la scoperta di un Padre buono e misericordioso. Il bambino riconciliato sa essere disponibile e generoso anche con Dio, come mamma e papà, e con il prossimo.
Di grande importanza è che il bambino scopra il volto di Dio in modo sereno e possibilmente gioioso. Allora è capace di servirlo con trasporto di figlio.

Bibliografia per l’approfondimento
• Il bambino da 0 a 3 anni, Wallon Denis, Ed. Paoline (Alba, CN)
• Una piccola persona: il bambino di 3 - 6 anni Rosina e Gino Costa, ELLE DI CI (TO)
• Conosciamo i diritti dei bambini?, Domenico Volpi, ELLE DI CI (TO)



DA PARTE DELLA CHIESA
1. Nell’interpretare l’originale mondo dei bambini la chiesa si affida - come sempre nella sua azione pastorale - alla Parola di Dio. Se alla luce della ragione i bambini sono figli dell’umanità, generati da un padre e da una madre, portatori d’una eredità genetica, ma attori di una originale novità di vita che prolunga nel tempo non solo la razza umana e l’albero genealogico familiare, ma un progetto individuale unico e irripetibile; alla luce della fede cristiana invece i bambini sono innanzitutto di Dio, non proprietà degli adulti. Dio ne fa dono alla famiglia quale presenza di gioia e di speranza.
I cristiani pertanto, alla luce della Parola di Dio, credono che ogni bambino costituisce un progetto originario del Padre dei cieli, che continua anche così la sua creazione. Credono inoltre che Gesù Cristo, figlio di Dio, si è incarnato, fatto uomo, bambino, per essere solidale anche con tutti i bambini; e che per la salvezza di tutti e di ogni bambino ha patito, è morto e risorto; e vuole compiere in ogni bambino l’opera della sua redenzione, in quanto ogni bambino ha bisogno di essere redento. Crede infine che lo Spirito Santo dona ad ogni bambino la vita nuova, la vita divina che deve poi maturare in pienezza di santità e di perfezione.
2. Se la ragione afferma che i bambini sono persone, individui di valore assoluto e che la loro dignità supera quella delle istituzioni - quali la famiglia stessa, la società, lo stato e la chiesa - e che anzi le istituzioni sono per i bambini e non viceversa; la rivelazione cristiana afferma che queste persone, oltre che di valore assoluto sono anche di valore trascendente. Dio se ne rende garante.
Ragione e rivelazione insieme pertanto proclamano che queste persone - i bambini - sono fin dal concepimento soggetti attivi di specifici diritti:
- all’esistenza, all’integrità fisica ed affettiva, ai mezzi per una dignitosa condizione di vita;
- al rispetto delle loro persone e alla buona reputazione;
- ad una famiglia che si prenda cura di loro;
- alla verità, a cercarla e ad esprimerla;
- alla scuola che li educhi;
- all’uso dei beni della terra;
- alla possibilità di riunirsi e di associarsi;
- a giocare e divertirsi;
- alla tutela giuridica dei propri diritti.
Essendo diritti individuali, inalienabili e anche universali, cioè inerenti ad ogni bambino della terra, oltre qualsiasi colore di pelle, tutti devono riconoscere, difendere e promuovere questi diritti dei bambini, a cominciare dai singoli adulti per arrivare alle istituzioni, come la famiglia, la società, lo stato, la chiesa.
3. Nella visione cristiana inoltre i bambini - venendo da Dio che li ha creati a sua immagine somiglianza ed essendo continuamente amati dal Padre - sono ritenuti capaci di desiderare e comunicare con Lui. La chiesa pertanto crede che Dio chiama anche i bambini:
- a conoscerlo sempre meglio, a scoprire l’opera creatrice del Padre, l’azione redentrice e salvatrice del Figlio, l’attività santificante dello Spirito Santo;
- a scoprire in particolare i tesori del Regno riservato ai piccoli, come la grazia, le illuminazioni spirituali, la Parola, i sacramenti e tutto quanto esso costituisce per la salvezza del mondo.
Di conseguenza crede che i bambini sono chiamati:
- a rispondere a questo appello divino anche con il dialogo orante, con la lode, l’adorazione, il ringraziamento, la petizione;
- ad amarlo con tutta la mente e con tutto il cuore nella condotta quotidiana.
4. Nella sua interpretazione del Vangelo, la chiesa afferma che l’evento determinare per questa vocazione personale è il sacramento del battesimo, voluto da Gesù e amministrato dalla chiesa stessa. Dal battesimo infatti trae origine la nuova vita cristiana, la vita nello Spirito, che ogni bambino riceve in dono da Dio ed è chiamato a sviluppare con la grazia di Cristo e la forza dello Spirito santo fino alla perfezione indicata dal Signore: siate perfetti come il Padre vostro che è nei cieli.
La crescita della vita cristiana avviene mediante lo sviluppo della fede, della speranza e della carità, i cui germi sono anch’essi infusi nel cuore dei bambini nella celebrazione del battesimo.
A mano a mano che il battezzato cresce e matura, tale cammino diventa sempre più accoglienza cosciente del mistero cristiano, celebrazione della fede nei sacramenti, testimonianza di vita. Ma - in altre parole - si può anche dire che lo sviluppo della vita cristiana è un itinerario spirituale al seguito di Gesù, via verità e vita, seguendo le sue orme, mettendo in pratica i suoi insegnamenti, imitandone atteggiamenti e comportamenti; e poi portando la propria croce insieme con Lui, sapendo che dopo la passione e la morte c’è il grande evento della risurrezione.
5. Il battesimo introduce i bambini nel mistero d’amore della Trinità; ma apre pure le porte della chiesa, famiglia dei figli di Dio, popolo di Dio. La comunità cristiana accoglie con grande gioia e con grande amore i bambini che le arrivano.
Sa che i bambini sono un dono prezioso di Dio; per questo lo benedice e lo ringrazia. Ma è consapevole che si tratta di un dono che impegna ad educarli alla fede e all’amore; e verso Dio e verso il prossimo. Tutta la comunità cristiana - pastori e fedeli - si impegna in questa missione educativa: con la preghiera, con l’annuncio della Parola, con la celebrazione dei sacramenti, con la testimonianza di vita.
In particolare tuttavia spetta alla famiglia cristiana l’educazione religiosa e morale dei bambini. Perché per natura e per grazia ne ha diritto e dovere. I genitori sono i primi catechisti dei propri figli, i primi maestri autorevoli, i testimoni più credibili.

Bibliografia per l’approfondimento
• Lasciate che i bambini vengano a me, Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano
• Famiglia e Parrocchia, Romolo Taddei, ELLE DI CI (TO)
• Progetti di catechesi e di iniziazione cristiana, Andrea Fontana, ELLE DI CI (TO)




DA PARTE DELLA FAMIGLIA
1. La famiglia cristiana nasce dal sacramento del matrimonio. Infatti quando due battezzati - un uomo e una donna - decidono di sposarsi religiosamente perché sono credenti, perché si amano e desiderano avere dei figli, celebrano questo sacramento, che sigilla indissolubilmente la loro comunione di vita. Secondo l’insegnamento paolino si tratta di un grande sacramento, perché invera a modo tutto suo, l’amore che Dio ha per gli uomini, l’alleanza perenne di Cristo con la chiesa, mediante lo Spirito. Appunto la famiglia cristiana attua, visibilizza e testimonia tra gli uomini la comunione di vita e di amore che esiste in seno alla Trinità. È una icona, una immagine significativa della Trinità. In Dio la perfezione assoluta, sia come vita che come amore; nella famiglia i germi e la tensione a questa pienezza. Anche la fecondità coniugale - nella visione di fede - è una partecipazione al potere creativo di Dio. Un dono di Dio che impegna i coniugi cristiani in una grande missione, procreativa prima, educativa poi.
2. In forza del sacramento, la famiglia cristiana costituisce pure la più piccola comunità del popolo di Dio. Essa realizza una specifica e intima comunità di vita e di amore; ha in se stessa risorse umane e di grazia per il bene di tutti, a cominciare dagli stessi coniugi e dai figli.
In essa comunque vive e agisce il Signore Gesù. Questa presenza misteriosa ma reale del Signore conferisce alla famiglia cristiana la fisionomia interiore e la struttura singolare di una chiesa domestica.
Questa chiesa domestica annuncia e professa la fede cristiana con le parole e con i fatti; la celebra nella preghiera quotidiana e nell’offerta al Signore del bene compiuto e delle croci sopportate; la vive e la testimonia con le opere d’amore, di giustizia, di pace, di solidarietà. Esercitando così in modi nuovi e originali la profezia, il sacerdozio battesimale, la regalità. La famiglia cristiana è consapevole che il Signore la chiama ad essere luce e sale del mondo, luce e sale in mezzo alle altre famiglie. Non può e non deve la famiglia cristiana camuffarsi sotto mentite spoglie e dimenticare la propria specificità cristiana. Che tristezza - sembra esclamare il Signore - se una famiglia cristiana perde i suoi connotati; se spegne la sua fede nell’indifferenza; se consuma il suo amore in conflittualità. Se il sale perde sapore, non serve e null’altro che ad esser gettato via e calpestato dagli uomini.
3. Emerge comunque nella famiglia cristiana il magistero specifico dei genitori relativamente ai figli: quello educativo.
I genitori hanno il diritto e dovere di educare i loro figli. Tale compito scaturisce dalla stessa natura del rapporto genitori-figli: unico e irripetibile. E poi dal sacramento ricevuto. Il sacramento del matrimonio abilita comunque i genitori al ministero educativo in pienezza di intenti, di obiettivi e di mezzi. Sono i genitori che, davanti a Dio e davanti alla propria coscienza cristiana e poi davanti agli uomini, determinano le linee educative da mettere in pratica. Si può dire che non c’è istituzione al mondo che possa rimpiazzare adeguatamente il ruolo e l’opera educativa dei genitori: né la comunità civile, né la comunità religiosa. Se mai queste comunità hanno il compito sussidiario di supportare il ruolo dei genitori, di difenderlo e di promuoverlo; soprattutto di renderlo fattualmente possibile, offrendo strumenti e mezzi adeguati. La parola, i comportamenti, la stessa vita familiare sono portatori di una autorevolezza unica e insostituibile. Soprattutto in rapporto ai figli piccolissimi non vale la mentalità di delega, che talvolta circostanze critiche o situazioni coniugali precarie sembrerebbero suggerire. Perché la relazione genitori-bambini -si diceva sopra - è unica nella sua complessità e ricchezza, e perciò irripetibile. Quando essa, per qualche ragione, si rende impossibile a sostenersi, soltanto educatori particolarmente sensibili possono assumerla in proprio. Ed essa sarà più efficace quanto più si avvicina al modello genitoriale.
Resta il fatto della nobiltà, della grandezza, della responsabilità dello specifico magistero degli sposi cristiani. E anche della sua vastità, sia sul piano umano che sul piano religioso.
Nel catechismo dei bambini si fanno emergere diffusamente due dimensioni specifiche della complessa missione educativa genitoriale: l’educazione morale e l’educazione religiosa. Non tanto perché gli altri settori dell’educazione umana contino poco; quanto piuttosto perché più specifici dal punto di vista cristiano, e perché in ultima analisi comprensivi anche di tutte le altre dimensioni educative.
- Sul versante propriamente religioso, il catechismo dei bambini ricorda ai genitori che essi sono chiamati e mandati dal Signore a portare ai figli la Buona Notizia che il peccato, la morte, satana non fanno più paura: perché Gesù ci ha salvato e Dio ci ama.
Comunicare questa grande gioia che viene dalla fede, significa dare ai bambini quel senso di sicurezza che viene dalla presenza di un Dio forte e nello stesso tempo amorevole, schierato e proteso verso i bambini, in attesa di incontrarli, di sentire la loro voce, di accogliere il loro sì amoroso.
- Sul versante morale, il testo ricorda ai genitori cristiani che essi sono chiamati e mandati da Dio ad educare i bambini - ancora e sempre con l’autorevolezza che viene da natura e dalla grazia - a incamminarsi sulla via del bene, a progredire in essa con grande fiducia, perché anche i bambini, alla pari dei genitori, sono chiamati dal Signore a vivere da veri figli di Dio, testimoniandolo nella condotta quotidiana.

Bibliografia per l’approfondimento
• Il meglio per il vostro bambino, David e Christine Winter, ELLE DI CI (TO)
• Catechesi con la famiglia, Ufficio Catechistico Nazionale, ELLE DI CI (TO)
• I genitori e l’imitazione cristiana dei figli, Segretariato catechesi, Diocesi di Brescia, ELLE DI CI (TO)
• La famiglia alla scuola di Gesù, Rodolfo Reviglio, ELLE DI CI (TO)
• Famiglia cristiana, riscopri la tua identità, ELLE DI CI (TO)
• Famiglia, diventa ciò che sei, Guido Gatti, ELLE DI CI (TO)
• I primi educatori del bambino, Bassano Staffieri, ELLE DI CI (TO)
• Genitori non si nasce, Ed. Paoline (Alba, CN)
• Crescere insieme genitori e figli, Ufficio Catechistico Dioc. - AC Treviso, EDB (BO)


EDUCARE ALLA FEDE
1. L’educazione alla fede dei bambini nasce prima di tutto nelle disposizioni interiori, di mente e di cuore, dei genitori.
Già nell’attesa di un figlio, così carica di sentimenti, di ansia e di gioia, i genitori cristiani assumono le disposizioni spirituali della fiducia in Dio, della speranza, dell’amore.
In particolare la madre, per i molteplici scambi vitali che intercorrono tra lei e il figlio, sente già la responsabilità dell’impegno educativo. La preghiera al "Padre di ogni dono" riassume convenientemente le attese e le speranze degli sposi cristiani.
Il Natale d’un figlio è la manifestazione al mondo della perenne meraviglia e novità di un nuovo essere umano, chiamato a diventare cultore e custode della creazione e costruttore del Regno di Dio.
Fin da subito, e prima di ogni altro, i genitori hanno coscienza che il compito educativo è complesso; perché avvertono immediatamente che il loro bambino ha bisogno di cure materiali e fisiche, ma anche di attenzioni intelligenti ed affettive in enorme abbondanza. Nella fede, tuttavia, avvertono che questo vasto impegno educativo ha un unico e grande obiettivo finale e riassuntivo di tutto: l’apertura al Trascendente, a Dio. Per questo nell’invocazione orante si affidano e lo affidano a Lui, gli offrono fatiche e speranze, gioie e dolori.
2. Prima delle parole viene il linguaggio della tenerezza e dell’amore. In effetti finché il neonato non ha ancora la possibilità di comunicare verbalmente con i genitori e i familiari, comunica con loro non-verbalmente, in modalità sensoriali che questi conoscono bene. Anche se non sempre è possibile una corretta e tempestiva interpretazione. I genitori comunque corrispondono alle richieste del bambino con ogni sorta di premurosa attenzione.
Nella prima infanzia i bambini crescono a vista d’occhio, sia sul piano fisico che motorio, sensoriale ed affettivo. Dal sorriso poi dei fatidici tre mesi non si contano più le reazioni, le loro espressioni di incanto e di meraviglia. In verità anche i loro pianti e le loro strilla.
I genitori sanno bene che in questi primi anni l’educazione è possibile e doverosa, soprattutto a patto di offrire ai bambini l’accettazione incondizionata delle loro persone, maschi o femmine che siano, sani o malati; a patto ancora di manifestare palesemente "i segni" dell’amorevolezza, come le coccole , lo sguardo rassicurante ; e poi la cura concreta degli ambienti d’uso, degli oggetti, dei giochi, dell’illuminazione adatta e quant’altro si rende necessario.
Sul versante propriamente religioso, i genitori cristiani vivono profondamente gli atteggiamenti della fede, della speranza e dell’amore cristiano. Ma manifestano visibilmente i comportamenti tipici del credente: la preghiera, i gesti di rispetto e riverenza agli oggetti sacri, come il crocifisso o l’icona, appesi alle pareti domestiche, il rispetto del nome di Dio; talvolta offrono ai bambini la partecipazione gioiosa ai momenti liturgici e festosi della comunità cristiana parrocchiale.
Così i bambini a poco a poco, gradualmente, mettono in moto la loro disponibilità all’educazione religiosa. Inizialmente con la sensazione e la percezione che tale esperienza trascende anche le capacità e le potenzialità degli stessi genitori e degli adulti, pure tanto grandi ai loro occhi.
In successione i bambini - opportunamente stimolati dagli atteggiamenti e comportamenti religiosi dei genitori - sentono nascere dentro di sé il desiderio, la voglia di entrare in dialogo con il Dio dei genitori. Alla loro maniera vogliono esprimergli affetto, riconoscenza.
3. Quando arriva il momento in cui lo sviluppo dell’intelligenza e del linguaggio dei bambini permetto loro la gioia di chiamare per nome le persone e le cose, allora finalmente godono di pronunciare anche il nome di Gesù. Gran giorno quello per l’educazione religiosa, perché segna il passo affrettato e incuriosito dei bambini verso Gesù, verso cioè una conoscenza più vasta su di Lui, su quanto ha fatto e detto.
I genitori allora, dopo averlo preannunciato con gli atteggiamenti e i comportamenti della fede e dell’amore, ora lo possono annunciare più compiutamente anche con le parole. Raccontano ai bambini - curiosi appunto di sapere - l’attesa di Gesù da parte di Maria e di Giuseppe, la sua nascita a Betlemme, la crescita in saggezza, età e grazia a Nazareth, i fatti salienti della sua vita missionaria sulle strade della Palestina, la sua passione, morte e risurrezione. Evidentemente l’iter esplorativo religioso dei bambini si rinforza di netto. Ma poi l’attrazione specifica verso Gesù a motivo dei suoi comportamenti esemplari e dei suoi atteggiamenti religiosi verso il Padre dei cieli, la sua bontà verso i poveri, la sua tenerezza verso i bambini, la sua compassione verso i malati, la sua misericordia verso i peccatori stimolano i bambini al desiderio di imitarlo, di essergli amici.
Se i genitori cristiani hanno la saggezza - come è giusto - di accompagnare questo lieto annuncio con i loro buoni esempi di preghiera e di imitazione di Cristo, allora il loro magistero religioso si rinforza enormemente. Diventano credibili a tutto campo. E i bambini trovano quanto mai opportuno sforzarsi di crescere anch’essi in sapienza e grazia, davanti a Lui e davanti agli uomini.
4. La storia di Gesù è punto centrale dell’educazione religiosa. Tuttavia i genitori cristiani sanno benissimo che essa ha un prima e un poi, tra loro strettamente connessi. Il prima di Cristo converge verso di Lui come ad un incessante appello alla sua venuta. Il dopo Cristo continua tutt’oggi e coinvolge personalmente anche i genitori e i bambini, perché in via di attuazione. Appunto la lunga storia della salvezza è la storia della presenza salvifica di Dio in mezzo a noi; ed è nello stesso tempo la storia della famiglia dei figli di Dio, del popolo di Dio. I genitori e i bambini sono gli ultimi e nuovi protagonisti di questa storia familiare.
Nella seconda infanzia i bambini - anche se non hanno assolutamente il concetto del tempo storico - possono tuttavia conoscere e gustare i suoi messaggi di fondo e i valori perenni: l’amore e la fedeltà di Dio verso gli uomini, la fede e la riconoscenza degli uomini verso Dio. Valori sempre in atto.
Non è un gran male poi se i bambini - incapaci di cogliere le distanze storiche - interpretano tutto al presente, perché in verità profonda, si tratta di una storia davvero tutta al presente: infatti la creazione continua ancora, il peccato continua; ma pure la redenzione di Cristo, la santificazione dello Spirito di Dio.
I bambini comunque hanno diritto di conoscere questa grande storia di famiglia.
I genitori gliela raccontano; a dosi opportune, senza rischiare indigestioni. Magari facendosi aiutare anche dagli educatori della scuola materna. Ma gliela raccontano: a partire proprio dagli inizi incantevoli della creazione del mondo, dell’uomo e della donna, per passare alla triste storia del peccato alla promessa di salvezza. E via via la storia dei patriarchi e dei profeti del popolo di Dio, fino all’avvento di Gesù, di cui s’è detto.
- Per questa narrazione di fede e di amore i genitori si servono della Bibbia, prima fonte di conoscenza religiosa, sia per gli stessi genitori che per i bambini.
- In secondo luogo si servono della liturgia della comunità cristiana: attraverso le celebrazioni e la successione delle feste liturgiche anche i bambini possono introdursi gradualmente alla conoscenza e al gusto di vivere il mistero cristiano della salvezza.
- Infine i genitori hanno a portata di mano la catechesi familiare: essa è forse lo strumento principe per l’educazione religiosa e per la conoscenza della storia della salvezza. Essa permette ai genitori di cogliere le occasioni quotidiane, le esperienze più vicine ai bambini per accostarle alla storia della salvezza, ad un fatto e a un detto di Gesù; e dettare i giusti atteggiamenti e comportamenti religiosi dei bambini nel quotidiano.
Alle soglie della fanciullezza i bambini religiosamente ben educati dimostrano già buone disponibilità verso Dio e verso suo figlio Gesù, che hanno cominciato a conoscere.
Manifestano già i germogli della fede, della speranza, dell’amore. Soprattutto manifestano già una buona gamma di comportamenti religiosi, come la preghiera - spontanea o familiare -; l’offerta al Signore dei piccoli sacrifici quotidiani; la richiesta di perdono per le mancanze commesse nella giornata e la promessa di comportarsi bene in futuro.
Di essi si può dire davvero che sono cresciuti in età, in sapienza cristiana e grazia di Dio.

Bibliografia per l’approfondimento
• La percezione di Dio nell’infanzia, De Casabianca Rose Marie, Ed. Paoline
• Il Dio dei bambini, David Heller, ELLE DI CI (TO)


EDUCARE AL BENE
1. Tagliati i legami fisici con la madre, il bambino inizia la grande avventura dello sviluppo umano e sociale, assaporando la gioia e la fatica di fare da sé.
I genitori - già esperti in umanità - prevedono facilmente che anche il cammino di questo figlio sarà un intreccio di cose belle e di cose faticose, di eventi meravigliosi e di fatti spiacevoli, di successi e di sacrifici, di vittorie e di sconfitte.
La lunga marcia verso la maturità, verso la libertà, verso la realizzazione di un progetto dignitoso è per tutti una strada in salita. Il figlio comunque sarà protagonista eminente del proprio futuro.
Il Signore lo preservi dunque dai pericoli e lo aiuti a realizzare un grande progetto di bontà: questa è anche la preghiera augurale di tutti i genitori credenti.
Dal canto suo l’educazione morale accompagna, incentiva questo itinerario spirituale. Con tutte le risorse a disposizione, mira a qualificarlo tutto al positivo: che sia cioè una crescita autentica della coscienza morale, della rettitudine etica, dei comportamenti onesti, degli atteggiamenti virtuosi. Insomma ai genitori e agli educatori cristiani sta sommamente a cuore che i figli si avviino fin da bambini sulla strada del bene.
2. Il primo passo che i genitori cristiani compiono in rapporto all’educazione morale dei figli è il conferimento del battesimo.
In quanto il sacramento del battesimo - come si è già detto per l’educazione religiosa - comunica la vita nuova, la grazia di Cristo, il dono dello Spirito: quanto appunto è necessario per intraprendere efficacemente non solo la crescita nella fede, ma anche il cammino sulla via del bene, dell’onestà, della rettitudine morale.
Il battesimo è un dono e una chiamata che Dio offre ai bambini, affinché, liberi da satana, dallo spirito del male, siano ben attrezzati per superare le tentazioni, vincere il male ed operare efficacemente il bene. Dio infatti agisce con loro come papà, come una mamma: come i genitori proteggono la salute dei bambini, li difendono dalle malattie, così Dio correda benissimo i battezzati affinché non siano preda del maligno, non siano travolti dal peccato, ma vivano sempre da figli di Dio in santità.
3. Il secondo grosso impegno è quello di gettare le basi dello sviluppo morale.
a) Il che comporta innanzitutto il dovere di aiutare i bambini ad avviare la formazione della coscienza morale. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo: da lì nasce il bene e, purtroppo, pure il male. Anche per i bambini. Ha infatti la funzione di discernere ciò che è lecito da ciò che non si può e non si deve fare.
Affiora nei bambini quando essi cominciano ad avere consapevolezza di se stessi, di quello che fanno, nonché di quello che è richiesto loro da parte di altri. Da quel momento la coscienza morale, opportunamente sollecitata, comincia a dire ai bambini ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare nella condotta quotidiana.
b) Rientra evidentemente in questo impegno educativo dei genitori il fatto di aiutare i bambini ad orientare il cuore e la volontà verso il bene. Bene che poi è sempre il fine ultimo dell’agire umano. Non è sufficiente infatti sapere teoricamente ciò che è bene e ciò che è male per dirsi moralmente educati. Occorre incamminarsi sulla via del bene, innamorarsi del bene, ricercarlo continuamente, perseguirlo con tutta la mente e con tutto il cuore. E con tutta la buona volontà.
c) La volontà dei bambini va aiutata a liberarsi dalle forze puramente impulsive, istintive, capricciose, per lasciarsi guidare dall’intelligenza e dalla bellezza e nobiltà del bene. Anche i bambini, per quanto piccolissimi, vanno aiutati subito a saper scegliere liberamente il bene, assaporandone il gusto, la soddisfazione meravigliosa.
d) Questa formazione della coscienza morale, della volontà e della primissima libertà, si accompagna all’esercizio - per altro inevitabile - all’apprendistato della vita sociale. Vale a dire: mentre i bambini stanno gettando le basi interiori dello sviluppo morale adeguato, contemporaneamente vengono aiutati dai genitori a inserirsi in modo "educato" nella famiglia, proponendo loro le regole comuni della convivenza familiare. Le regole del buon comportamento presiedono sia la condotta dei genitori e degli adulti che quella dei bambini. Esse stimolano nei piccoli sia lo sviluppo della coscienza morale, sia il processo di una buona socializzazione.
Nella prima infanzia lo sviluppo morale è quasi impercettibile. Avviene comunque a piccoli passi e chiede pertanto sommo rispetto della gradualità maturativa. Procede più speditamente qualora i bambini siano stimolati dai genitori e dagli adulti:
- in modo incoraggiante, cioè premiando e manifestando soddisfazione per il buon comportamento eseguito;
- ma anche in modo fermo, cioè manifestando decisione autorevole e permanente nella richiesta di essere obbediti;
- in modo chiaro, cioè senza oscillazioni capricciose tra i divieti e i permessi. Infatti un conto è lo spirito di adattamento alle difficoltà insorte e un conto è comportarsi da voltagabbana. Che rivelerebbe confusione interiore più nei genitori che nei bambini stessi.
Le modalità concrete alla portata sia dei genitori che dei bambini sono costituite evidentemente dalle esperienze della vita quotidiana, ossia le attività concrete della convivenza familiare. Se accompagnate dalle parole e dai messaggi morali dei genitori - commenti, indicazioni a come comportarsi - esse sortiscono l’effetto sperato: l’orientamento al bene.
Metodologicamente parlando i genitori scoprono presto - come si è accennato sopra - che gli strumenti più efficaci per aiutare i bambini a sviluppare la coscienza morale, la buona volontà e l’orientamento al bene sono certamente le sollecitazioni amorevoli a mettere in evidenza le loro bravure, le loro capacità positive. Contano molto senza alcun dubbio le lodi e i premi affettivi per i buoni comportamenti eseguiti. In caso di necessità sono utili e necessari i divieti e i rimproveri, soprattutto quando urge sollecitare un cambiamento di condotta indesiderata, maleducata.
Nella seconda infanzia quando nei bambini insorgono le prime forme di conflittualità tra la scelta del bene e il male - ossia se obbedire o disobbedire, se fare i propri capricci o comportarsi educatamente, se dire la verità o raccontare le bugie - lo sviluppo morale procede per tentativi ed errori, per successi e insuccessi.
La fatica del vivere morale comincia a farsi sentire anche nei bambini; non di rado anche in forme vistose. Complici gli impulsi, i desideri, le istintualità (tradotte in disobbedienze, aggressività, cocciutaggini...); o anche alcune forme di ansia, di paura di perdere affetto, stima, competenza, che tutte insieme si aggrovigliano anche nel cuore dei bambini e tormentano le loro capacità decisionali.
I genitori sanno comunque che è giunta l’ora di aiutare con chiarezza e fermezza i bambini a orientarsi verso il bene e impegnarsi ad evitare il male, ossia la disobbedienza, i capricci, le bugie.
Ed è allora che i genitori propongono con infinita pazienza, ma anche con coerenza e costanza le regole familiari della buona convivenza.
Se da un punto di vista sono veri e propri condizionamenti alla libertà istintuale dei bambini, costituiscono sempre un argine necessario, uno spartiacque tra ciò che è lecito e ciò che non si deve fare. E soprattutto da un punto di vista più lungimirante e costruttivo, costituiscono una regola di vita.
Essa fa da punto di riferimento rassicurante per le varie circostanze della vita; agevola il superamento della confusione interiore; aiuta a inserirsi bene nelle relazioni sociali, in famiglia, nella scuola materna, nel gruppo amicale...
A lungo andare il significato pedagogico di questa regola di vita è che genera una forza liberante (dalla istintualità, dalla paura...), una forza orientativa più che repressiva; uno slancio orientativo al bene più che inibitorio delle potenzialità positive dei bambini.
Al contrario: lasciar fare ai bambini ogni cosa, lasciare ad essi ogni iniziativa di comportamento - educato o maleducato, veritiero o bugiardo, aggressivo o non-aggressivo - senza intervenire, a lungo andare può produrre confusione interiore tra il confine del bene e del male, tra il lecito e l’illecito; rinforzare nei bambini spontaneità istintuale, ma poco razionale. Può infine agevolare spavalderia più che sicurezza ben motivata.
È evidente che sul piano dei mezzi educativi, positivi o dissuasivi, incentivanti o inibitori, i genitori sanno che l’amorevolezza sovrasta tutto: la lode opportunamente dispensata previene comportamenti maleducati, gratifica enormemente i bambini e li orienta più decisamente e favorevolmente verso il bene.
3. Il terzo grande impegno educativo dei genitori credenti è quello di aiutare i bambini a imitare Gesù.
Ben sapendo che la morale cristiana è innanzitutto camminare al suo seguito, comportarsi come Lui, agire come Lui, più che adempiere una morale delle norme, della legge.
La morale cristiana - essenzialmente pasquale, perché nel mistero pasquale trova la sua ragion d’essere e la sua ricchezza di ispirazione - comporta necessariamente il fatto di portare la propria croce. I bambini, soprattutto dai tre ai sei anni, cominciano a percepire bene il peso dell’obbedienza, dell’astenersi dai capricci e dalle prepotenze verso i coetanei. Compiere poi i piccoli doveri quotidiani del pulirsi le mani, di mangiare quanto offre la mensa familiare, di smettere il gioco e di andare a letto alle ore stabilite ... sono le grandi croci quotidiane dei bambini.
I genitori e gli educatori cristiani innanzitutto aiutano i bambini, prima con l’esempio e poi con le parole, a comportarsi come Gesù.
I comportamenti di Gesù, la condotta esteriore di Gesù - come l’obbedienza ai genitori Maria e Giuseppe, accogliere e beneficare i poveri, i malati ecc. ... - sono percepiti facilmente anche dai bambini. Persino nella loro valenza modellare e nella segreta forza propulsiva.
In secondo luogo i genitori aiutano i bambini ad assumere gli atteggiamenti morali di Gesù. In verità sembra alquanto ardito e prematuro parlare di queste dimensioni spirituali per i bambini.
Gli atteggiamenti infatti connotano specificamente modalità permanenti e costanti di reagire, anche in situazioni svariatissime, in comportamenti molteplici. Si tratta ovviamente di fare un discorso di adattamento, un discorso analogico a quanto si afferma più propriamente per le persone più mature.
La gratitudine è il primo di questi atteggiamenti. Gesù l’ha manifestato infinite volte. Anche i bambini possono e devono educarsi a questo atteggiamento. Le occasioni non mancano ai genitori per suggerire ai bambini di dire "grazie".
La gratitudine induce al rispetto delle persone e delle cose; fa pensare maggiormente al dono ricevuto più che al diritto di pretendere, purtroppo molto spontaneo nell’infanzia.
Se gradualmente essa diventa atteggiamento genuino, autentico, ha ben poco da spartire con il formale atteggiamento di una cosiddetta buona educazione a cui certi benpensanti laici tanto tengono.
La disponibilità al perdono - così specifico in Gesù - è un altro importantissimo atteggiamento da suscitare.
Ai bambini occorre insegnare a chiedere scusa, sia ai genitori e al prossimo, come a Gesù, perché i capricci, le disobbedienze sono un male, non piacciono, fanno dispiacere e recano offesa.
Una volta però concesso il perdono, i genitori non devono tormentare ulteriormente i bambini con troppe rigidità e formalità; pena l’instaurazione del complesso di colpa, che ha ben poco da spartire con la vera coscienza morale, il rimorso autentico, il buon proposito di comportarsi bene in futuro. Gli eventuali complessi di colpa si instaurano in bambini con genitori troppo ansiosi, troppo rigidi, psichicamente disturbati.
Ai bambini inoltre occorre insegnare anche a perdonare le offese, le ingiustizie subite: come ha fatto Gesù e come fanno i genitori (per esempio, proprio nei confronti dei bambini).
La gioia e la pace interiore, che scaturiscono dalla concessione del perdono, rinforzano enormemente la scoperta personale del valore della bontà e quindi l’orientamento verso il bene. Che poi è l’obiettivo di fondo dell’educazione morale.
La generosità è un ulteriore atteggiamento importante da instillare nei bambini, dietro l’esempio di Gesù e degli stessi genitori. È noto che in questa loro età infantile i bambini tendono al possesso più che alla donazione, a ricevere più che a dare. Da un punto di vista la cosa è corretta; perché la natura stessa spinge gli individui a immagazzinare il mondo per corredarsi in modo adeguato in vista del prossimo futuro. Da un altro punto di vista, bisogna pur imparare ad affrontare il mondo portando il proprio contributo di edificazione.
Anche i bambini vanno dunque opportunamente avviati ad aprirsi agli altri, a dare e non solo a ricevere. L’egoismo dei bambini non sta dietro l’angolo, sta in loro: i genitori li aiutano a contrastarlo, avviandoli alla generosità.
La disponibilità alla laboriosità, alla collaborazione è un altro vasto settore educativo in cui impegnare i bambini. Se essi sono accolti per quello che veramente sono - persone, intelligenti, fisicamente corredati - e responsabilizzati con piccoli impegni adatti all’età, allora sono enormemente facilitati nell’assunzione di questa disponibilità. Se invece sono solo ed eternamente serviti e mai avviati al servizio, difficilmente apprendono la disponibilità in questione. Il caso classico è quello relativo all’uso dei giochi. Metterli a posto, in ordine, magari in opportuni contenitori, è una grande fatica per i bambini. Ma evidentemente se sono capaci di usufruirli e divertirsi, non si vede perché - per fare più presto - questo compito sia portato a termine dai genitori. Così facendo l’effetto finale è che i genitori aggiustano i giochi in fretta e bene; ma perdono occasioni per avviare i bambini alla disponibilità richiesta. Che invece è un grosso obiettivo educativo.
L’amorevolezza verso il prossimo infine è l’atteggiamento centrale e riassuntivo di tutti gli altri, a cui avviare i bambini. In fondo è il cuore della proposta morale di Gesù agli uomini, credenti e non credenti, piccoli e grandi.
Urge questa educazione soprattutto quando ci sono le prime avvisaglie di prepotenza e di aggressività, quasi a preannunciare la presenza di temperamenti piuttosto aggressivi. Più che di temperamento, cioè di orientamento aggressivo già strutturato, si tratta più semplicemente di bambini a disagio, che forse non si percepiscono, non si sentono amati e stimati; o forse non si sentono utili, perché poco o mai utilizzati e coinvolti nei piccoli impegni; oppure sono un po’ tormentati dal timore di essere abbandonati. Da qui un accentramento eccessivo su se stessi e la esagerata autodifesa o scarica aggressiva contro il prossimo. Comunque sia, anche i bambini, nonostante la giovanissima età, avvertono profondamente il problema della conflittualità interiore, che forse non riescono ad esprimere nel dialogo, ma riversano chiaramente nei comportamenti esteriori.
La stimolazione opportuna dei genitori, la loro stessa amorevolezza esemplare - coniugata per altro a equilibrata fermezza - poi la grazia di Dio, la forza dello Spirito aiutano i bambini ad avviarsi all’assunzione di questo atteggiamento centrale della vita morale cristiana.
Nel cammino della vita anche i bambini si imbattono o prima o poi con il problema del male, del dolore. La sofferenza, la malattia, la violenza costituiscono l’altra faccia inevitabile della vita. Di fronte al male le reazioni dei bambini variano da tipo a tipo, da sensibilità a sensibilità, da vicinanza o lontananza al problema. Un conto infatti è che scoprano la sofferenza investire i genitori, i familiari - o se stessi - oppure persone appena note. Raramente comunque restano insensibili. Le loro reazioni vanno dallo sconcerto alla paura, all’angoscia. Se la sofferenza spiazza gli adulti, tanto più i bambini.
I genitori e gli educatori cristiani sanno molto bene che questo problema è grosso per tutti, credenti e non credenti.
Comunque sia non nascondono la verità ai bambini; tuttavia annunciano la verità nella visione cristiana di fede.
Pertanto li aiutano a distinguere bene la cattiveria dalla pura accidentalità. Nello stesso tempo li stimolano a non giudicare e condannare senza pietà le persone che hanno causato la sofferenza con la loro cattiveria. E anzi li stimolano, in modalità adatte, a capire che il Signore è comunque sempre vicino a chi soffre; e li aiuta a sopportare ed operare affinché la violenza non trionfi e si affermi invece, anche per merito della buona volontà dei bambini, la pace, un mondo nuovo, più umano e più giusto.
Di fronte poi alla sofferenza inevitabile i genitori e gli educatori cristiani certamente non aggravano la cosa, non mettono ulteriormente alla prova i bambini; ma non piangono su di loro e non li spingono alla ribellione; anzi fanno di tutto per stimolare i bambini all’assunzione dell’atteggiamento della pazienza e a fare qualche tratto deciso sulla via della croce che conduce al Signore. Pregano tanto per questo.
Durante l’infanzia i bambini possono trovarsi di fronte anche al problema della morte.
Nella prima infanzia è praticamente impossibile che se ne rendano conto. Del resto è un evento così distante dalla loro esperienza, protesa tutta al gusto di vivere, che non sentono il fatto di dover morire, che - di per sé - grava su ogni vita umana.
Ma può venire il momento in cui possono percepire il significato devastante dell’evento, e anzi farne esperienza personale: per la morte di una persona cara.
I genitori e gli educatori cristiani sanno che la morte non è solo un grande problema per tutti, ma anche un mistero profondo.
Pertanto sapendo che, umanamente parlando, è impossibile dare spiegazione razionale a tutto, di fronte alla morte prevengono, per quanto è possibile, l’evento e non fanno calare il silenzio su questo argomento, nonostante il divieto suggerito da tanta cultura attuale.
C’è tuttavia modo e modo di parlarne. La cosa migliore - dal punto di vista educativo - sembra quella di parlarne indirettamente, facendo riferimento a ciò che accade in natura. Del resto anche Gesù ha usato questo metodo. Per esempio nell’annunciare la sua stessa morte: "Se il chicco di grano non muore, non porta frutto...".
Occorre inoltre parlarne, per quanto è possibile, con serenità autentica, sostenuta dalla fede e dalla speranza cristiana. È necessario infine non indulgere a deformazioni, a fantasticherie, a racconti sia pure popolari che si discostano troppo dalla tradizione cristiana.
Soprattutto occorre parlarne ai bambini in modo tale che acquisti profondo senso il fatto della risurrezione, a cui ogni uomo è destinato dopo l’evento pasquale del Signore Gesù.

Bibliografia per l’approfondimento
• La morale in catechesi, AA.VV., Ed. Paoline, Alba (CN)
• Educazione morale nella catechesi, Andrea Fontana, ELLE DI CI (TO)




BAMBINI - FAMIGLIA - CHIESA Insieme sulla strada della bontà
1. La famiglia cristiana constata che orientare ed educare i bambini al bene non è "come andare a nozze"; è una impresa nobilissima, ma anche densa di incognite e foriera di difficoltà oggettive. La paura di sbagliare - questa volta anche sulla pelle dei bambini - può essere piuttosto sostanziosa. A tal punto che le maggiori, o comunque le più numerose conflittualità tra coniugi insorgono proprio dai punti di vista diversi circa il modo e lo stile di educare moralmente i figli. I genitori devono imparare a convivere con questa conflittualità quasi inevitabile; e, senza farsene meraviglia, dialogare tra loro per superarla allo scopo di intervenire insieme in vista del bene comune dei bambini e della famiglia.
Restando vero tutto questo, i genitori cristiani sanno di poter contare su alcuni aiuti specifici nell’attuazione della loro grande missione educativa.
Innanzitutto sul corredo spirituale, di natura e di grazia, dei loro stessi bambini.
Poi sul corredo di natura e di grazia del loro matrimonio cristiano, che li abilita a ricevere l’amore del Signore e a trasmetterlo, con i fatti e con le parole, ai loro bambini.
Per ciò stesso il loro ministero educativo ha tutte le premesse per diventare un magistero autorevole, il più autorevole sulla terra; una testimonianza credibile, la più credibile e la più efficace che ci sia al mondo. Certamente tanto più incisiva, quanto più coniugata a coerenza e a consonanza tra annuncio e buon esempio personale, tra fatti e parole.
Indubitabilmente il grande maestro morale dei bambini non è il libro di catechismo: è la famiglia.
I genitori fanno testo unico. Essi "dettano", i bambini imitano.
2. La chiesa dal canto suo si schiera compatta attorno alla famiglia. Le offre la sua presenza consolante e costante e l’autorevolezza dei suoi mezzi educativi: la parola di Dio, la liturgia, la sua storia di bontà e di santità, la comunicazione e il dialogo tra credenti; e infine il sostegno della sua preghiera. Come già per l’educazione religiosa.
Innanzitutto la parola di Dio che, oltre alla grazia della propria illuminazione specifica sull’educazione morale, offre anche infiniti modelli concreti ed esemplari di bontà e di santità morale.
Non è difficile infatti sottolineare nei protagonisti della storia della salvezza, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, i comportamenti di onestà, di rettitudine, di alte virtù morali.
La catechesi familiare poi sa trovare i momenti adatti per calare questi esempi nella vita dei bambini e nutrire la mente, il cuore e la disponibilità al bene.
L’anno liturgico ecclesiale agevola a sua volta la gradualità propositiva dell’iter educativo. La progressiva formazione morale trova infatti nel succedersi delle feste religiose e delle celebrazioni del mistero cristiano, occasioni sempre nuove per stimolazioni adatte anche alla maturazione della coscienza morale e della buona volontà dei bambini.
La preghiera è un altro strumento quanto mai opportuno per l’educazione in questione. Del resto il vangelo ci ricorda che non basta dire "Signore, Signore": occorre fare anche la sua volontà.
"Il padre nostro", per esempio, sul versante propriamente morale, ricorda anche ai bambini la disponibilità a che sia fatta la volontà di Dio; ad impegnarsi a stare lontani dalle tentazioni (di golosità, di aggressività, di dire bugie ...); ad essere disponibili a perdonare le offese e fare la pace. Tutti grandi valori morali.
La chiesa offre inoltre - checché vociferino malignamente i soliti non credenti - una grande storia di bontà e di santità morale.
Narrare con gioia e con passione la storia di S. Francesco, di S. Caterina da Siena e di altri protagonisti cristiani, o anche di persone sante conosciute nell’ambito della cerchia familiare, mettendo in evidenza oltre alla loro fede anche la bontà, la generosità, la solidarietà con i poveri e i sofferenti, il loro amore spesso eroico verso il prossimo, costituisce un grande aiuto all’educazione morale dei bambini. I buoni esempi infatti parlano da soli e trascinano al bene.
Infine la chiesa offre alle famiglie cristiane la possibilità reale di incontrare altre famiglie della comunità per dialogare, confrontarsi sui contenuti morali e sui metodi educativi. Insieme i genitori e gli educatori possono superare le difficoltà incontrate e affrontare con fiducia il compito educativo e la formazione morale dei bambini.

OLTRE LE MURA DOMESTICHE Per inserirsi nella società
1. La casa e la chiesa costituiscono i luoghi primari dove i bambini cristiani muovono i primi passi. Non solo in senso materiale, ma soprattutto in senso educativo. I bambini tuttavia sono incamminati verso altri luoghi ben più vasti ed aperti, dove vive, lavora e si organizza la società civile. I bambini vi entreranno a poco a poco. I genitori e gli educatori cristiani li accompagneranno e li introdurranno intelligentemente, arricchendo così il loro processo di umanizzazione e di socializzazione.
2. La scuola materna (o l’asilo nido) è il luogo specificamente pensato per mediare il primo passaggio dalla famiglia alla società. È logico - e necessario - che il passamano venga fatto con amorevolezza e con grande tatto: il rispetto dei bambini merita il primo posto e va salvaguardato ad ogni costo. Occorre tuttavia che i genitori abbiano fiducia in questa benemerita e collaudata istituzione sociale. Del resto le maestre di scuola materna sono educatrici professionalmente preparate e sanno benissimo che l’impatto dei bambini con un modo nuovo - sconosciuto - può caricarsi di paura e di ansia. Perciò li aiutano ad inserirsi con tutti i mezzi e gli strumenti educativi idonei all’evento.
Tuttavia quello che sta sommamente a cure alle famiglie cristiane e alla chiesa è che la scuola materna continui - o almeno non ostacoli in nessun modo - il processo educativo religioso e morale dei bambini già avviato in famiglia. Se mai - come è suo compito - lo arricchisca con tutte le risorse a sua disposizione. Tra queste c’è anche "il catechismo dei bambini". La chiesa italiana infatti l’ha pensato anche in funzione della scuola materna. Qualsiasi maestra di buona volontà - anche se non credente - può trovare in esso delle preziose indicazioni per stimolare e incrementare la formazione religiosa e morale dei bambini. Come si è cercato di evidenziare nelle pagine precedenti.
3. Dalla casa alla scuola per arrivare alla società civile: così l’inserimento sociale si fa sempre più interessante per i bambini della seconda infanzia, avidi di vedere e di conoscere.
Scoprono sempre più volti nuovi, adulti e giovani; mestieri e professioni diverse; situazioni esistenziali composite, sani e malati, poveri e ricchi. Soprattutto scoprono i coetanei, il vasto mondo dei bambini, con i quali fraternizzare.
4. Come ciò non bastasse, oggi i bambini possono percepire un altro mondo molto più vasto; il mondo dei continenti, abitato da popoli diversi; il mondo della natura e degli animali; il modo della fantasia e dell’arte... Con i grandi e piccoli mezzi della comunicazione sociale - prima la TV e poi i giornaletti, i libri per l’infanzia... - anche i bambini scoprono e godono la bellezza e la varietà cosmopolita del mondo d’oggi. I bambini fotografano tutto e immagazzinano immagini, provano gioia ed entusiasmo; talvolta anche sofferenza emotiva. Perciò vanno seguiti scrupolosamente.
5. Un altro mondo vitale - il più accessibile ai bambini, certamente il più appetibile perché capace di gratificare interessi e desideri - è quello dei giochi. Il gioco è il lavoro dei bambini, con il privilegio di essere molto più stimolante, più idoneo alla creatività, alle soddisfazioni personali e all’inserimento sociale. Ma costituisce anche la classica cartina di tornasole, perché liberando la loro spontaneità e proiettando in esso desideri, bisogni, paure ecc.., i bambini manifestano quello che sono, lati positivi e negativi, egoismo o generosità, aggressività o mitezza...
6. Scuola materna, società civile, mass-media, gioco servono tutti ad allargare la possibilità di nuove sensazioni e scoperte. Ma soprattutto hanno la funzione di aiutare i bambini all’inserimento sociale e all’assunzione di nuove relazioni umane. Su questo fatto, in particolare, si appuntano le preoccupazioni educative dei genitori e degli educatori cristiani.
Occorre infatti stimolare i bambini a relazionarsi con gli altri, anche diversi - per usi, costumi, colore di pelle - con rispetto e simpatia. Avviando così una coscienza morale aperta ai valori dell’alterità e della mondialità.
Occorre inoltre stimolare in essi il senso dei doveri oltre che dei diritti, nei confronti degli altri; ricordando loro che se gli altri hanno senz’altro dei doveri nei confronti dei bambini, a loro volta essi hanno dei diritti. Per esempio, al rispetto, alla stima, all’accoglienza, alla collaborazione, all’amore. Perché persone di pari dignità.
In particolare occorre stimolare i bambini alla generosità verso coloro che soffrono: coetanei, giovani, adulti, anziani.
Di grande importanza è pure la stimolazione educativa affinché i bambini apprendano il significato della riconciliazione reciproca. Nel gioco, nella scuola - come del resto in famiglia - capita spesso di entrare in conflitto con il prossimo. Ma occorre stimolare i bambini ad evitare il protrarsi delle gelosie, dei dispetti e dei rancori, per ritrovare presto la gioia del perdono e della pace fraterna. Come ha fatto e detto il Signore.
Talvolta è necessario suscitare nei bambini il primissimo senso critico: non tutto è buono di quel che si vede; non tutto è da imitarsi e ripetersi di quello che gli altri fanno, di quanto ci comunicano i mass-media, TV in testa. Una guida educativa molto attenta può avviare i bambini al primissimo senso critico della coscienza morale. Vale a dire: a ritenere e imitare ciò che è buono; e a lasciar perdere ciò che è diseducativo.
Scelta che in futuro i bambini dovranno fare più frequentemente, anche senza l’ausilio dei genitori.

Bibliografia per l’approfondimento
• L’educazione religiosa nella scuola dell’infanzia, Giuseppina Zuccari, ELLE DI CI (TO)
• Conversazioni religiose per le scuole materne, Umberto Pasquale, ELLE DI CI (TO)
• Cosa fa la TV ai bambini?, Ben Bachmair, ELLE DI CI (TO)



CAMMINO DI LIBERAZIONE
L’educazione morale, vale a dire l’impegno a orientarsi efficacemente e coerentemente verso il bene, è per tutti gli uomini, anche per i cristiani sia adulti che bambini, sia uomini che donne, una grande impresa
Dio chiama comunque tutti a realizzarla con fiducia, nella propria coscienza prima e a testimoniarla poi nella famiglia, nella chiesa e nella società, mediante la buona condotta quotidiana.
Può definirsi un cammino di autentica liberazione - dal male, dal peccato, dalla istintualità, dalla paura e dall’angoscia - quanto più si compie in obbedienza al Signore, il vero liberatore.
Il Signore ci porta a gustare il bene, l’onestà, la santità morale; ci abilita ad agire virtuosamente, a portare la nostra croce; si fa nostro compagno di viaggio sulla lunga, interminabile via del bene.




 
 


Pietro Fochesato è nato a Monte di Malo (VI) nel 1934. Sacerdote dehoniano, con licenza in psicologia e diploma in catechetica conseguiti presso l'Università Pontificia Salesiana. Ambiti prevalenti del suo impegno sacerdotale e professionale sono stati l'educazione dei giovani, la pastorale della famiglia, la formazione dei catechisti. Collabora con Settimana delle EDB. Attualmente vive al Presbyterium di Padova.






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