Mons. Orazio
Soricelli
Arcivescovo di
Amalfi - Cava de' Tirreni
Lettera
Pastorale del 25 marzo 2003
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Introduzione |
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La bussola: la dottrina del Concilio |
La rotta: la contemplazione di Cristo |
La meta: la Comunione trinitaria |
Il timone: la spiritualità di comunione |
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I luoghi della comunione |
Sulle onde della comunione locale |
Sulle onde della comunione universale |
1.
Carissimi,
è ormai il terzo anno della mia
presenza tra voi. Il Signore Gesù, nel mezzo del Grande Giubileo, mi chiamò a
pascere questa Chiesa nel suo nome affinché continuasse a manifestarsi a lei,
mediante il mio servizio pastorale, la sollecitudine con cui Egli da sempre la
ama. La coscienza di essere strumento di tale amore mi riempie di gioia e di
timore perché so bene che l'amore di Cristo va sempre ben oltre la nostra
immaginazione. Tuttavia confido nella sua assistenza che, in forza del carisma
episcopale da Lui stesso ricevuto, non verrà meno. Il Signore mi ha chiesto di
assumere il timone di questa barca per indicarLe, con l'assistenza dello
Spirito, la rotta da seguire armonizzando nella comunione tutte le ricchezze con
cui lo stesso Spirito la decora. In questo tempo ho avuto la possibilità di
incontrare questa Chiesa in tutte le sue componenti apprezzandone la venerabile
tradizione confermata ed arricchita grazie al cammino pastorale dei miei più
immediati predecessori.
E' un fatto significativo e, nel
contempo, ricco di provocazioni che il mio ministero abbia avuto inizio non
soltanto al volgere del Grande Giubileo dell'anno 2000 ma anche all'inizio di un
nuovo millennio. All'innegabile ma sempre relativo fascino che tali scadenze
cronologiche recano con sé è pur vero che questi eventi si sono inseriti in un
contesto di profonda trasformazione epocale che provoca seriamente la fede della
Chiesa e la sua prassi pastorale. Nell'era della grande comunicazione sarebbe
un'ingenuità ostinarsi a pensare che la nostra terra viva ai margini di tali
sommovimenti culturali. Sia la "Divina Costiera" che la "Valle metiliana"
partecipano di questo momento storico nei suoi successi e nelle sue
contraddizioni e la Comunità cristiana che vi dimora non può ignorare o far
finta di niente. Essa stessa in realtà "geme e soffre" ma nello stesso tempo
"nutre la speranza" che anche in quest'epoca è possibile una "manifestazione dei
figli di Dio". Essa non soltanto è possibile ma addirittura auspicabile perché,
al di là delle apparenze, essa costituisce certamente l'attesa di questo piccolo
frammento di creazione che qui risplende nella sua bellezza e che è stato
affidato alla sua carità.
Dinanzi a tali contingenze ci
verrebbe spontaneo chiederci che cosa dovremmo fare per questo mondo. In realtà,
alla luce delle più recenti parole che lo Spirito ha suggerito alla Chiesa
universale a partire dal Concilio Vaticano II di cui stiamo celebrando il 40°
anniversario dell'apertura fino all'esortazione apostolica postgiubilare Novo
millennio ineunte nel cui arco va ricordato il ricco magistero
dell'episcopato italiano, la domanda pressante che insiste e permane certamente
ancora insoluta non è tanto "che cosa dobbiamo fare?" bensì " che cosa dobbiamo
essere?". E' la domanda sulla Chiesa che ha provocato ed animato il Concilio e
ancora inquieta chi oggi possiede nella Chiesa il ministero dell'autorità.
2.
La decisione di iniziare il corrente anno pastorale lo scorso
11 ottobre, data del 40° anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II,
con il conferimento del mandato ai nuovi Consigli Pastorali Parrocchiali è stata
una risposta all'auspicio più volte formulato di recente dal Santo Padre
affinché la Chiesa si impegni con maggiore determinazione ad assimilare
l'autentico spirito della dottrina conciliare. E su questo fronte il vescovo e i
presbiteri sono chiamati ad esporsi in prima linea. Se il giuramento di fedeltà
prestato al magistero della Chiesa allorché abbiamo assunto il nostro ministero
è stato sincero non possiamo non sentirci obbligati quando dalla viva voce del
Successore di Pietro udiamo dire che il Concilio "è la grande grazia di cui la
Chiesa ha beneficiato nel secolo XX".[1]
Ora il Concilio ha inteso inoltrarsi nel mistero
della Chiesa, percepire con più chiarezza il suo volto, custodito nel seno della
Trinità, affinché diventi sempre più se stessa e possa dunque compiere in
maniera più efficace la sua missione anche nel mondo contemporaneo. Non si può
disconoscere che tanti, presbiteri e laici di questa Arcidiocesi, hanno
camminato in questi anni avendo come bussola la dottrina conciliare. Tuttavia
bisogna chiedersi se i tentativi di attuazione del Concilio finora provati non
siano stati che "esperimenti di Concilio" piuttosto che uno sforzo di vera
"instaurazione" della Chiesa conciliare. Si tratta probabilmente di una
situazione che accomuna l'intera Chiesa per cui il santo Padre ha avvertito il
dovere di affermare che "E' necessario che (i testi del Concilio) vengano letti
in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati, come testi
qualificati e normativi del Magistero".
[2]
Questa Chiesa in verità ha
ricevuto di recente il dono di un ricco magistero che aveva l'intenzione di
renderLe un volto conciliare: si tratta di porsi all'opera affinché tante parole
non rimangano scritte sulla carta. E' alla scuola del Concilio, come a bussola
che orienta la navigazione, che vogliamo rinnovare la nostra adesione per
proseguire il cammino. Vogliamo anzitutto impegnarci nel raccogliere l'eredità
che primariamente ci ha lasciato: penetrare a fondo il mistero della Chiesa di
Dio, dono affidato alla comunità dei credenti pellegrina su questa terra ma che
ancora resta da comprendere e vivere in pienezza. Da una maggiore consapevolezza
dell' "essere ecclesiale" riceverà nuova linfa un "essere missionario" che sia
rispondente alle necessità della storia contemporanea. Allora la missione non
sarà animata dai nostri progetti umani, anche sociologicamente più avveduti e
perfetti, ma essenzialmente dalla luce e dalla forza dello Spirito Santo.
3.
Per attuare concretamente questo cammino di
conversione allo spirito del
Concilio abbiamo deciso di
riprendere tra le mani la costituzione Lumen gentium. Nel suo esordio
questo testo ci esorta sapientemente a cominciare da Cristo: "Lumen gentium est
Christus".[3]
La Chiesa altro non è che il corpo del Cristo
vivente. Il santo Padre raccoglie la centralità dell'affermazione quando nella
Novo millennio ineunte ammonisce che di fronte alle grandi sfide del
nostro tempo non ci salverà una "formula magica...ma una Persona".[4]
La Chiesa non ha dunque bisogno di inventare un
nuovo programma: "il programma c'è già: è quello di sempre(..). Esso si incentra
in Cristo, da conoscere, amare, imitare".[5]
Non è possibile dunque disegnare il volto della
Chiesa senza contemplare costantemente il volto di Cristo. Tale risulterà la
nostra attività fondamentale: non una comunità affannata in mille occupazioni
come Marta ma un popolo immerso nella contemplazione del mistero chiave della
storia umana, Gesù Cristo, alpha e omega, "colui che è venuto, viene e verrà".[6]
Cristo è il centro della nostra fede e la
risposta sempre attuale al mondo degli uomini. Da duemila anni la Chiesa cerca
il suo volto per capire con quale amore egli guarda all'uomo e per imparare i
modi per accostare e comprendere le mutevoli circostanze della storia
dell'umanità. Quest'attività contemplativa si compie principalmente mediante
l'ascolto della Parola. Il Lezionario festivo di quest'anno pastorale offrendoci
l'itinerario marciano è un'opportunità da valorizzare per rinnovare quasi come
catecumeni la scelta di Cristo e l'adesione alla sua sequela in vista della
maturazione di "un nuovo slancio apostolico".[7]
4. Il volto del Cristo ci
svelerà il mistero profondo nascosto per secoli: la Comunione trinitaria. La
cultura contemporanea tende ad impregnare la nostra vita di individualismo che
sovente induce a bieche forme di egoismo. Questo germe insidia anche i figli
della Chiesa che non sempre sono armati della necessaria "scaltrezza" che
sostiene i figli delle tenebre. La debolezza e l'assuefazione all'individualismo
non aiuta ad edificare la Chiesa. Questa deprecabile mentalità non aiuta infatti
la reciproca conoscenza, favorisce incomprensione e freddezza, fomenta invidia e
gelosia. Per questo si fatica a lavorare insieme, a dialogare, ad accogliere, ad
ascoltare e ognuno procede per conto proprio, facendo quello che crede o che
può, credendo così, anche in buona fede, di fare la volontà di Dio. Di fronte
alla rivelazione di un Dio che è comunione trinitaria il credente, come frutto
di una vera fede, è chiamato a rivedere la scala dei valori. Non è possibile
essere discepoli di Gesù Cristo se non cercando e vivendo la relazione con gli
altri. Bandendo ad ogni forma di misticismo individualistico che purtroppo mina
la spiritualità di tanti presbiteri e di tanti laici bisogna convincersi che non
ci si salva se non inseriti come membra attive e responsabili nel Popolo di Dio.
L'autentica contemplazione del
Cristo deve aiutare dunque a vivere nella Chiesa, a sentirsi parte attiva di
essa non nell'autonomia e nell'isolamento ma in viva relazione con tutta la
comunità ecclesiale. L'esperienza viva del volto di Cristo ci comunicherà
necessariamente il dono di diventare costruttori di comunione. Qualora questo
non avvenga o fatichi ad accadere vuol dire che manca una sufficiente volontà di
seguire il Cristo sulla via dell'autentica santità.
Ed è proprio nella santità che il
Santo Padre ha additato una priorità pastorale. Ancora oggi, dalle pagine del
libro del Levitico confermate dall'insegnamento evangelico giunge pressante
l'invito del Signore: "Siate santi perché io, il Signore vostro Dio, sono
santo". Il santo Padre l'ha definita come "la misura alta della vita cristiana
ordinaria",[8]
laddove non ci si accontenta di "una vita
mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalistica e di una religiosità
superficiale"; [9]
occorre dunque "porre la
programmazione pastorale nel segno della santità". Ma è singolare che il Santo
Padre nel tracciare le linee concrete del cammino pastorale post-giubilare,
indichi in NMI 43 nella promozione di una spiritualità di comunione la sfida
primaria che la Chiesa è chiamata ad accettare ed affrontare, condizione
ineludibile per una Chiesa che voglia tendere alla santificazione propria e del
mondo intero. E' dunque evidente che Giovanni Paolo II intenda ribadire che non
è possibile diventare santi se si rifugge dal vivere l'esperienza comunione
ecclesiale: non si diventa santi procedendo da soli ma camminando insieme agli
altri.
5.
Il fulcro dell'itinerario post-giubilare tracciato dal Santo
Padre consiste nell'impegnarsi a promuovere la spiritualità della comunione:
"Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che
ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di
Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo".[10]
Tale modello, come egli stesso rammenta, è
custodito in seno alla Trinità. La spiritualità di comunione è "sguardo del
cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi e la cui luce va colta
anche sul volto dei fratelli che mi stanno accanto (…) capacità di sentire il
fratello di fede nell'unità profonda del corpo mistico, dunque, come uno che mi
appartiene (…) un dono per me".
[11]
Perché il dono della comunione
possa prendere dimora in mezzo a noi e incarnarsi in uno stile di vita
autenticamente ecclesiale è necessario da parte di tutti la volontà di
intraprendere un cammino di profonda conversione che si concretizzi in un
intenso itinerario ascetico, un'ascesi di comunione. Esso tenderà alla pratica
di virtù e atteggiamenti già mirabilmente elencati dai vescovi italiani nel
1980: "Affinché la comunione possa realmente dare vita a una comunità di
discepoli del Signore, occorre favorire un insieme di convinzioni, di
atteggiamenti, di rapporti interpersonali che promuovano una cultura di
comunione. Essa postula alcuni valori umani, quali l'abitudine al pensare
insieme, alla condivisione dell'impegno, all'elaborazione comunitaria dei
progetti pastorali. (…) La cultura di comunione, fondata sullo spirito di
comunione, produce una mentalità nuova del vivere ecclesiale e valorizzi le
ricchezze di tutti".
[12]
Alla luce di questa riflessione
scaturita dalla lettura della Novo millennio ineunte desidero perciò
inviare a tutti voi, membri di questa Chiesa locale, la presente lettera. Lo
faccio nel cuore del periodo quaresimale, tempo favorevole per la nostra
conversione. Accanto all'impegno quaresimale di ciascuno chiedo di aggiungere la
volontà di avviare un processo di conversione ecclesiale: convertirsi alla
comunione.
Già dall'inizio dell'anno ci
siamo immersi nella contemplazione del mistero della Chiesa attraverso varie
iniziative di formazione ed eventi comunitari. Mi riferisco ai Ritiri mensili
dei Presbiteri e delle Religiose, al Percorso di Formazione che sta coinvolgendo
i Consigli Pastorali Parrocchiali, alla Scuola di Formazione per gli Operatori
Pastorali (SFOP) che proseguirà il prossimo anno nello studio della Lumen
gentium e il cammino di catechesi indicato alle Parrocchie per il tempo di
Quaresima. Questi momenti, se partecipati e vissuti con impegno e responsabilità
da parte degli interessati e prolungati nella preghiera, nella meditazione e
nello studio, sosterranno certamente la maturazione della nostra Chiesa come
luogo ed esperienza di comunione.
Con questa lettera intendo
puntualizzare alcune linee pastorali di non ritorno relative agli strumenti e
agli ambiti della comunione ai fini della futura programmazione della vita
diocesana che siano frutto concreto di un fecondo cammino spirituale. Questo
resta prioritario perché senza anima spirituale a ben poco servirebbero gli
strumenti esteriori della comunione, essi sarebbero solo "maschere di
comunione".
[13]
6.
Se la comunione è dono dall'alto e ha la sorgente nel mistero
della Trinità è pur vero, in forza del dogma dell'Incarnazione, che "la
comunione trinitaria, con la missione del Figlio e dello Spirito santo entra
nella storia degli uomini e si fa presente nel mondo".[14]
Questa visibilità si attua nella
Chiesa, Corpo di Cristo. La Chiesa è dunque realtà invisibile e visibile, divina
ed umana. L'esperienza della comunione è possibile laddove essa si incarna.
Negli anni scorsi nella nostra
Arcidiocesi è stato svolto un buon lavoro organizzativo e normativo che ha
iniziato anche a far germogliare dei frutti interessanti. Occorre che gli
organismi ecclesiali, rinnovati e rilanciati con convinzione e perseveranza,
esprimano sempre meglio la loro funzionalità. Se tutti i membri del popolo di
Dio sono segni e strumenti di comunione nella Chiesa ancor più
significativamente lo sono gli organismi di partecipazione per la crescita della
comunione.
7.
L'esperienza di Chiesa si compie nella Diocesi in comunione
con la Chiesa universale che ha nel Successore di Pietro il segno visibile
dell'unità. In essa "è veramente presente la Chiesa di Cristo, una, santa,
cattolica ed apostolica".[15]
Il documento CEI, "Comunione e comunità" al n.39
lo ribadisce dicendo: "La Chiesa particolare non nasce da una sorta di
frammentazione della Chiesa universale, né questa si presenta come il risultato
della somma delle Chiese particolari. Tra le due realtà c'è invece una relazione
costante, perché la Chiesa universale esiste e si manifesta nelle Chiese
particolari".
[16]
La Chiesa particolare non nasce
da una sorta di frammentazione della Chiesa.
Essere aperti alla dimensione
diocesana della vita ecclesiale è garanzia per vivere davvero l'esperienza della
Chiesa: "nessuno è un'isola nella Chiesa, ma tutti sono parte dell'unico popolo
di Dio che ha nella Chiesa locale la sua piena manifestazione".[17]
Chiunque rifuggisse
dall'accogliere gli orientamenti e le direttive della Diocesi e dal contribuire
all'edificazione della vita diocesana, sia che si tratti di singoli individui o
di intere Parrocchie, si porrebbe di fatto fuori della comunione ecclesiale. E'
necessario dunque che in seno alle Parrocchie anzitutto nel cuore dei loro
Pastori e poi degli operatori pastorali maturi la coscienza che il soggetto
investito del compito di elaborare le linee pastorali non è la Parrocchia bensì
la Diocesi. Ci si deve rendere conto che non aiuta certamente all'instaurazione
di un'ecclesiologia di comunione persistere nell'atteggiamento di procedere
secondo visioni e prospettive locali fermo restando la necessità di adattare le
linee generali, concordate mediante la più ampia consultazione e definite e
promulgate secondo il discernimento del Vescovo, alla diversità delle
situazioni.
Al fine di conseguire questi
obiettivi è auspicabile un ulteriore consolidarsi da parte del Presbiterio della
coscienza della sua unità, mistero da viversi non soltanto a un livello
puramente affettivo ma da attuarsi soprattutto mediante la comune e convinta
adesione alle linee pastorali della Diocesi un volta che esse siano state
tracciate. Un Presbiterio animato dalla volontà di servire l'unico cammino
pastorale della Chiesa locale risulterà più efficace nell'affrontare le
inevitabili tendenze isolazionistiche presenti sovente del resto anche tra i
laici e i religiosi e favorirà lo sviluppo di una prassi di relazione tra le
Parrocchie.
Questa prassi di comunione
auspicata dall'ecclesiologia del Vaticano II, riconfermata nel suo valore dalla
Novo millennio ineunte ha un suo nodo focale nel riconoscimento del ruolo
degli organismi di partecipazione: il Consiglio Presbiterale, il Consiglio
Pastorale Diocesano come organi primari di consultazione; la Curia Diocesana
come luogo dell'attuazione; il Consiglio per gli Affari Economici come servizio
finalizzato a sostenere le concrete realizzazioni.
Rimarrebbe infine un'utopia
realizzare il rinnovamento e la conversione pastorale senza continuare ad
investire nella formazione permanente degli operatori pastorali. Occorre
potenziare le strutture già esistenti e che negli anni passati hanno svolto un
buon servizio alla presa di coscienza e alla maturazione del laicato. I Vescovi
italiani avvertono la persistenza del problema quando con accenti di
preoccupazione scrivono: "Non possiamo tacere come in non poche comunità questo
lavoro formativo e di aiuto al discernimento dei giovani e degli adulti sia
carente o addirittura assente; è necessario allora maturare una decisione
coraggiosa a cambiare le cose".[18]
Senza una formazione spirituale,
teologica, culturale e umana, non avremo operatori pastorali aperti, maturi,
competenti, preparati e responsabili del loro ruolo e della loro missione nella
Chiesa col rischio di procedere con superficialità e approssimazione.
8.
La Chiesa locale normalmente si articola in
parrocchie. La parrocchia. "cellula" della Diocesi, costituisce una forma
insostituibile di comunità ecclesiale. E' infatti in seno a lei che gli
orientamenti diocesani lasciano le pagine scritte per incarnare il volto delle
persone e delle situazioni. "La Parrocchia, organizzata localmente sotto la
guida di un pastore che fa le veci del Vescovo" è una comunità di fede, di
preghiera e di amore. Essa ha il compito di essere luogo, segno e strumento
della comunione anzitutto per i credenti ma non soltanto per essi: le è proprio
l'imperativo missionario di farsi carico dell'annuncio di fede verso tutti
coloro che vivono nel suo territorio: essa è simile alla fontana del villaggio a
cui tutti possono ricorrere per estinguere la loro sete.
La Parrocchia è il luogo concreto
dove ci si educa alla comunione e dove questa prende forma: in lei si
intrecciano le molteplici situazioni della vita quotidiana quanto all'età, allo
stato di vita e alla condizione sociale come opportunamente recita il documento
Comunione e comunità: "Nel popolo di Dio vivono insieme, come membri della
medesima famiglia, uomini e donne, giovani e vecchi, malati e sani, persone
consacrate a Dio per il servizio dei fratelli e altre che in vario modo,
soprattutto nel vincolo coniugale e nella grazia della famiglia, realizzano la
loro vocazione".
[19]
Infine nella Parrocchia si
armonizza la varietà delle vocazioni a servizio della Chiesa: presbiteri,
diaconi, religiosi e religiose, laici e laiche, tutti insieme, ma ciascuno
secondo la specificità propria, attendono con corresponsabilità alla crescita
della comunione e allo sviluppo della missione.
Più degli stessi organismi
diocesani i corrispondenti organi parrocchiali, il Consiglio Pastorale e il
Consiglio per gli Affari Economici, se valorizzati adeguatamente, possono
diventare veramente decisivi per raggiungere il fine della comunione. Essi sono:
"Sono scuole e palestre che educano al senso al servizio della comunione e
contribuiscono - nella misura della loro natura e finalità - non solo a creare
un mentalità nuova, ma a costruire la realtà e a rivelare la fisionomia nuova
della Chiesa conciliare".
[20]
Il futuro della Parrocchia sta
dunque a cuore alla Chiesa. Questo problema rappresenterà una delle
preoccupazioni prevalenti dell'episcopato italiano nei prossimi anni. Si prevede
che quest'argomento avrà uno spazio rilevante sia nelle prossime assemblee della
CEI sia nell'annunciato Convegno ecclesiale nazionale che si terrà a Verona nel
2006. Gli orientamenti della CEI invitano a "recuperare la centralità della
Parrocchia e a rileggere la sua funzione storica a partire dall'eucaristia,
fonte e manifestazione del raduno dei figli di Dio e vero antidoto alla loro
dispersione nel pellegrinaggio del Regno".[21]
La
Chiesa non ha alcuna intenzione di rinunziare alla Parrocchia ma riconosce che
questa ha bisogno di un processo di rinnovamento che le permetta di attraversare
il guado della forma tridentina, sorta in un clima di cristianità imperante e
quindi strutturata essenzialmente per "istruire alla fede" un popolo
sostanzialmente cristiano, ad una forma richiesta non soltanto
dall'ecclesiologia del Vaticano II ma forse in modo più impellente dalla mutata
situazione storica e culturale. L'ecclesiologia del Vaticano II concepisce una
Parrocchia fondata sul principio della corresponsabilità all'interno e
all'esterno sulla cooperazione con le comunità sorelle con le quali si condivide
l'appartenenza all'unica Chiesa locale. Invece la società secolarizzata impone
di passare da una Parrocchia che "istruiva" un popolo cristiano ad una
Parrocchia che "annunzia" il Vangelo a un'umanità sempre meno cristiana. In
realtà non possediamo alcuna tradizione in tal senso e ciò provoca la fantasia e
la creatività dei credenti, pastori e laici.
Nello spirito di conversione già
accennato siamo chiamati ad interrogarci su alcune tentazioni sempre risorgenti:
esse possono essere indicate nell'immobilismo, nel campanilismo e
nell'integralismo.
E' immobile la Parrocchia in cui
nulla deve cambiare perché "si è fatto sempre così". Papa Giovanni XXIII
obietterebbe che tali ragionamenti rivelano una scarsa conoscenza della storia
della Chiesa ma ancor di più una scarsa sensibilità storica.
E' campanilistica la parrocchia
chiusa a riccio, che vive nell'autocompiacimento delle sue belle celebrazioni,
delle sue strutture, delle sue iniziative, proclamandosi sufficiente a se
stessa, si potrebbe dire quasi una diocesi nella diocesi, e vivendo inoltre in
un rapporto di "concorrenza" commerciale con le comunità sorelle indulgendo alla
legge di mercato che preferisce ciò che piace alla gente al fine di attirare un
maggior numero di clienti.
E' integralista la Parrocchia che
si ritiene luogo esclusivo della salvezza e nella sua impostazione pastorale
tende a dividere a taglio netto l'umanità distinguendo tra "i nostri" e "gli
altri". Questo modello tarpa le ali al dialogo con la società creando un ghetto
confessionale nella presunzione di essere i depositari e gli interpreti assoluti
della verità. Ma tale tentazione non di rado si trasforma in un boomerang negli
stessi rapporti interni allorché formando personalità rigide non aiuta il
dialogo comunitario.
Questi modelli di Parrocchia sono
rinvenibili anche nella nostra Arcidiocesi con la conseguenza di rallentare la
vita diocesana ed impoverire la vita stessa delle comunità parrocchiali. Così
facendo infatti ci si priva della ricchezza altrui e si impoverisce la vita
della Diocesi sottraendole il piacere di arricchirsi dei doni pur presenti in
tante parrocchie ma spesso ivi incatenati tra bastioni di fortezze
inespugnabili. L'iniziativa del Percorso di Formazione per i Consigli Pastorali
Parrocchiali che sta vedendo l'incontro mensile dei rappresentanti delle
Parrocchie oltre agli aspetti contenutistici e metodologici vuole lanciare un
chiaro messaggio ai Parroci e agli operatori pastorali esortandoli a crescere in
una prassi di interazione sempre più efficace tra le singole comunità
parrocchiali.
9.
Nel recente passato si è sottolineata l'importanza
della Forania nella struttura della nostra Chiesa Locale. Intendo confermare
l'attenzione e l'interesse verso quest'istanza intermedia tra la Diocesi e la
Parrocchia in considerazione soprattutto della morfologia dell'Arcidiocesi che
non favorisce la mobilità degli operatori pastorali. Essa lungi dal diventare un
elemento di appesantimento può essere se valorizzata una risposta adeguata
all'esigenza già qui richiamata dell'unità pastorale. Se è vero che il cammino
comune della Diocesi deve incarnarsi nella Parrocchia è doveroso che le
Parrocchie vicine, salve le loro peculiari caratteristiche, perseguano linee
unitarie nella prassi pastorale al fine di evitare disorientamento tra i fedeli.
La Forania può favorire il coordinamento dei diversi ambiti pastorali in un
determinato territorio favorendo la collaborazione e l'interscambio specie a
favore delle piccole Parrocchie. In altre parole la Forania potrebbe
rappresentare una forma "naturale" di unità pastorale. Nei prossimi anni intendo
perciò che si promuova la funzionalità di questa struttura.
La famiglia, "Chiesa domestica", soggetto della pastorale
10. Se c'è un campo che
negli anni scorsi ha conosciuto un buon cammino di studio e di approfondimento
questo è la pastorale familiare. Il Piano Pastorale Diocesano e gli Atti dei
Convegni Diocesani costituiscono un prezioso bagaglio di idee da sviluppare.
Desidero innanzitutto fugare i
timori e le perplessità avanzati da qualche parte circa il rischio che un lavoro
così ponderoso finisca nel dimenticatoio. Al contrario è mio auspicio che si
forniscano ulteriori impulsi affinché la fase della "formazione" (Cf. Piano
Pastorale, 39-45) che costituisce il primo momento attuativo del Piano sfoci in
quella della "missione" (Cf. Piano Pastorale, 52-58) che dovrebbe radicare gli
obiettivi del progetto nel tessuto delle comunità parrocchiali. Ma colgo
l'occasione per far notare che lo stesso dettato del Piano Pastorale ritiene che
per giungere a questo risultato è necessario attraversare un secondo momento che
è definito della "Comunione" (Cf. Piano Pastorale, 46-51). Ivi si afferma che la
formazione degli animatori e la stesura degli itinerari non è sufficiente per
tradurre nella realtà le finalità del Piano. Si rende necessario promuovere un
profondo rinnovamento circa la mentalità che deve ispirare lo stile pastorale
delle Parrocchie al fine di creare il terreno fertile capace di accogliere e di
far germogliare i semi che si andranno a gettare. La Missione Popolare svoltasi
negli anni novanta in tutte le Parrocchie della Diocesi aveva lo scopo di
avviare tale cammino ma è lecito domandarsi fino a che punto quella forte
provocazione sia stata raccolta e sviluppata.
Per questo motivo, proprio in
ossequio ai dettami del Piano pastorale, ho inteso avvalermi della
collaborazione e dell'esperienza dell'Equipe del Servizio di Animazione
Comunitaria del Mondo Migliore. L'attività avviata nel corso del corrente anno
ha lo scopo di dare concretezza agli auspici più volte espressi dal mio
predecessore circa la necessità di un rinnovamento dell'impostazione pastorale
delle Parrocchie fondato sui principi della corresponsabilità, del decentramento
pastorale e della promozione degli organi di partecipazione, ritornelli che
insistono nei decreti dell'ultima Visita Pastorale. Dobbiamo riconoscere che
resta ancora tanto da fare su questo versante.
Nel frattempo non dovrà fermarsi
il lavoro dell'Ufficio di Pastorale Familiare e della relativa commissione per
dare corso, alla luce delle competenze acquisite in questi anni da tanti
operatori, alla composizione delle "Equipe" che dovranno promuovere e curare
l'elaborazione e l'attuazione dei diversi itinerari di spiritualità familiare
che abbraccino l'arco che va dall'orientamento dei pre-adolescenti attraverso i
Corsi di preparazione immediata al Matrimonio fino all'accompagnamento delle
famiglie. Questo lavoro di stesura dovrà iniziare quanto prima ed essere svolto
con accuratezza avvalendosi anche dell'aiuto di esperti nel settore.
Il Convegno che abbiamo celebrato
nel novembre scorso ci ha aiutato a focalizzare meglio alcuni concetti basilari
relativi all'obiettivo principale del Piano Pastorale: dar vita ad una
Parrocchia che consideri la Famiglia come soggetto della pastorale sia nella
fase di programmazione che in quella di attuazione della vita ecclesiale.
Rifuggendo da fantasiose esasperazioni e da avvilenti riduzionismi è stato
sottolineato con forza che la soggettività pastorale della famiglia sarà il
frutto di una maturata coscienza di essere comunità di vita originata da un dono
di Dio, il sacramento del Matrimonio e dalla effettiva capacità di esprimere
questa potenzialità nelle ordinarie pieghe della vita quotidiana.
11.
Il mondo giovanile costituisce per la Chiesa
contemporanea una persistente provocazione. Non siamo soli a vivere la
difficoltà dell'approccio e del dialogo come questo mondo che sembra sfuggire ai
canoni usuali della nostra prassi pastorale. La problematica è viva già negli
anni della pre-adolescenza a causa di quella tendenza sempre più diffusa tra i
ragazzi a bruciare le tappe della vita almeno nei comportamenti mentre, al
contrario, l'età giovanile tende ad allungarsi per molteplici cause. Il mondo
giovanile interpella dunque tutta la Chiesa.
Quali le cause originanti di
questa difficoltà? Certamente le cause vanno individuate nelle provocazioni
culturali e di costume che raggiungono il mondo giovanile ma anche nelle
difficoltà e nelle inadeguatezze insite alla prassi pastorale delle comunità
parrocchiali.
Il recente Convegno Regionale
svoltosi a Pompei sull'Iniziazione cristiana nei giorni 21 e 22 febbraio ha
posto sul piatto in modo coraggioso la prassi abituale dell'Iniziazione
cristiana in vigore oggi nelle Parrocchie. Se è profondamente mutato il clima
culturale in cui i giovani vivono dovremmo domandarci fino a che punto il
problema così avvertito del "dopo-cresima" abbia le sue cause esclusivamente
nelle spinte culturali che provengono dal mondo o anche da un inadeguato modello
di Iniziazione cristiana che persiste come se nulla stesse accadendo. Certamente
le fasi dell'età giovanile producono da sempre sconvolgimenti nella vita di un
individuo e sono sempre segnate dalle spinte all'autonomia da ogni genere di
istituzione. Ma è lecito chiedersi il perché di fughe così repentine dalla vita
ecclesiale appena scoccata l'ora del sacramento della Confermazione. Oltre a ciò
è evidente la carenza di operatori pastorali disponibili e capaci di porsi a
servizio degli adolescenti e dei giovani nonché di strutture adeguate ad
accoglierli. Ma più di ogni cosa manca forse la mentalità che permetta di
accogliere le loro persone con tutto il bagaglio di domande e di positività che
portano con sé.
E' difficile trovare le risposte.
Ci impegneremo e ricercarle insieme. E' necessario suscitare una forte volontà
di affrontare un problema così inquietante da cui dipende il futuro della
Chiesa. Nel frattempo guardo con simpatia allo sforzo congiunto che l'Ufficio
della Pastorale Giovanile e il Centro Diocesano Vocazioni stanno compiendo per
darsi anzitutto una struttura capillare mediante la nascita e il consolidamento
di nuclei parrocchiali di animazione anche laddove si opera ancora poco in
questo campo. L'azione connessa di questi uffici che vede la compresenza di
presbiteri, religiosi e laici risponde agli orientamenti che la nostra
Arcidiocesi ha ricevuto sia attraverso la risposta della Congregazione dei
Vescovi successiva all'ultima visita ad limina sia dagli stessi
orientamenti della CEI per questo decennio dove si dice che è necessario
"favorire un maggiore coordinamento tra la pastorale giovanile, quella familiare
e quella vocazionale: il seme della vocazione è infatti del tutto centrale per
la vita di un giovane".
[22]
12.
Un altro tassello importante al fine di promuovere
una Chiesa comunionale è costituito dal ruolo delle aggregazioni laicali. In
questa definizione mi piace annoverare sia quelle di antica fondazione come le
Confraternite sia quelle di recente creazione che vanno incluse nella
tradizionale suddivisione di associazioni, gruppi e movimenti. La nostra
attualmente accoglie nel suo seno quasi tutte le principali espressioni
dell'associazionismo laicale anche se la consistenza delle singole realtà appare
piuttosto limitata nel numero e circoscritta a pochi luoghi. La maggioranza
delle Comunità parrocchiali è sprovvista di tale benefico dono. E' questo un
problema che i Parroci dovrebbero valutare con molta serietà ma è pur vero che
le stesse aggregazioni laicali presenti in Diocesi, quasi ravvivando la loro
missionarietà, dovrebbero sollecitarsi a vicenda ad intraprendere uno sforzo
comune di riflessione e di impegno affinché, al di là del loro specifico,
provochino tutta la Comunità diocesana anzitutto a riconoscere il valore
dell'associazionismo ecclesiale e poi a promuoverlo fattivamente.
Per questo desidero investire in
modo particolare l'Azione Cattolica, a cui l'Episcopato italiano ha recentemente
rinnovato in modo chiaro ed inequivocabile la fiducia particolare che da sempre
in essa ripone, a farsi promotrice di tale sforzo unitario in seno alla Consulta
dei Laici. Se ciò prendesse quota credo che potrebbe rappresentare una forte
testimonianza di amore alla Chiesa che non mancherebbe di suscitare vocazioni a
favore di tutte le aggregazioni laicali per una maggiore vivacità dell'intera
Chiesa diocesana.
13.
La nostra Arcidiocesi custodisce il prezioso tesoro
delle reliquie dell'apostolo Andrea. Questa presenza quasi millenaria sta
rivelando tutta la sua attualità e opportunità in questo fase del dialogo
ecumenico contrassegnata da notevoli incertezze. Infatti è ormai noto che da
circa quattro anni la Cripta della Cattedrale è meta di pellegrinaggi sempre più
numerosi provenienti dalla Russia ortodossa. Essa si è ormai aggiunta alle mete
tradizionali di Bari, custode delle reliquie di S. Nicola e di Roma, custode
delle reliquie dell'apostolo Pietro. Non soltanto semplici fedeli ma anche
personaggi autorevoli del mondo ortodosso hanno visitato il sepolcro di Andrea
come testimonia la recente visita di Innokentij, Arcivescovo di Chersoneso,
pastore degli ortodossi russi dell'Europa Occidentale. Il Convegno celebratosi
lo scorso novembre per iniziativa dell'Associazione "Chiesa per l'Uomo" su "La
Russia e l'Apostolo Andrea" ha meritato una particolare attenzione da parte del
Patriarcato di Mosca. Il metropolita Kirill nel messaggio inviato per
l’occasione, diceva: "è ormai indubbio che Amalfi è diventato un crocevia
importante per le Chiese dell'oriente e dell'occidente".
Tali eventi devono esortarci non
solo a prendere coscienza del ruolo inatteso che la nostra Chiesa potrebbe
rivestire nel prosieguo del dialogo ecumenico ma anche ad accrescere la
sensibilità e la consapevolezza del problema. Sarà necessario perciò promuovere
in modo più capillare la coscienza di tale problema affinché penetri nella
sensibilità popolare. Non basterà limitarsi alla celebrazione annuale della
Settimana per l'Unità dei cristiani ma sarà necessario programmare linee
pastorali che gradualmente aiutino tutto il Popolo di Dio ad accostarsi alla
conoscenza dell'esperienza delle altre Chiese cristiane, prima fra tutte quella
ortodossa ma senza trascurare il mondo delle Comunità evangeliche e riformate.
La missione ad gentes: per un rinnovato slancio
14.
"Se comunicare il Vangelo è e resta il compito
primario della Chiesa", il prossimo decennio avrà "una chiara connotazione
missionaria".
[23]
Il Vangelo è il più grande dono
di cui dispongono i cristiani. Perciò essi devono condividerlo con tutti gli
uomini e le donne che sono alla ricerca di ragioni per vivere, di una pienezza
di vita.
L'apertura missionaria per la
Chiesa non è una scelta facoltativa o secondaria ma fondamentale e legata alla
sua stessa natura e missione. La fede autentica naturalmente spinge alla
missione nel proprio ambiente e fino agli estremi confini della terra. "Una
Chiesa che dalla contemplazione del Verbo della vita si apre al desiderio di
condividere e comunicare la sua gioia, non leggerà più l'impegno di
evangelizzare il mondo come riservato agli 'specialisti', quali possono essere
considerati i missionari, ma lo sentirà come proprio di tutta la comunità".[24]
D’altra
parte l’allargamento dello sguardo verso un orizzonte planetario, aiuterà le
nostre comunità a non chiudersi nel "qui e ora", in orizzonti angusti e
limitati.
La missione non è tanto un
problema geografico, ma un problema di fede e di amore. Il territorio in cui è
insediata la parrocchia è il suo primo orizzonte missionario: qui va incontro
all'uomo concreto, qui annuncia la fede e testimonia la carità. Dobbiamo sentire
l'urgenza di annunciare e testimoniare la buona novella del regno sul nostro
territorio ai cosiddetti "non praticanti", "ossia verso quel gran numero di
battezzati che, pur non avendo rinnegato formalmente il loro battesimo, spesso
non ne vivono la forza di trasformazione e di speranza e stanno ai margini della
vita ecclesiale".[25]
Inoltre,
nella nostra società diventata multietnica e multireligiosa, dobbiamo essere
capaci di testimoniare il Vangelo alle persone condotte tra noi dalle migrazioni
in atto.
Non possiamo, infine, dimenticare
che la sollecitudine per tutte le Chiese deve spingerci alla "missio ad
gentes" che "non è soltanto il punto conclusivo dell'impegno pastorale, ma
il suo costante orizzonte e il suo paradigma per eccellenza".[26]
La cooperazione alla missione
della Chiesa si fa non solo con la preghiera, il sacrificio, la solidarietà, ma
anche con l'invio di missionari. La maturazione della fede e della coscienza
ecclesiale ci porteranno sicuramente ad una crescente passione apostolica e ad
una nuova primavera missionaria.
Gli animatori missionari,
presenti in ogni parrocchia, formati e sostenuti dal Centro Missionario
Diocesano, terranno viva in ogni comunità la coscienza missionaria. Le visite,
iniziate dai seminaristi e da alcuni giovani, ai missionari nei vari continenti
sono le primizie di una nuova stagione di frutti.
15.
La nostra Chiesa vive in un territorio incantevole
dal punto di vista paesaggistico e possiede una ricchezza di arte e di cultura
tramandataci dalle precedenti generazioni: per questi motivi accoglie ogni anno
migliaia di visitatori di ogni parte del mondo. Coinvolta da tale fenomeno non
può non scorgere paradossalmente in esso un'ulteriore provocazione a viverlo
come esperienza di comunione universale. Il movimento turistico fa affluire
nella nostra terra uomini di "ogni razza, lingua, popolo e nazione" e così,
oltre agli innegabili benefici economici che esso comporta, ci mette a contatto
con culture, mentalità e tradizioni diverse, sia di provenienza cristiana sia di
altre religioni sia di agnosticismo o non credenza. Quale migliore opportunità
da cogliere per un reciproco scambio di ricchezze che aiutino il dialogo, il
confronto mediante proposte che offrano stimoli ai visitatori non soltanto per
ammirare le bellezze artistiche e paesaggistiche ma anche per alimentare lo
spirito? Sono sicuro che non mancano capacità e competenze. Tuttavia è
necessario trovare il giusto coordinamento per dare spazio alla creatività e
alla fantasia e studiare strategie idonee al fine di arricchire la valenza
spirituale degli itinerari artistici di cui è particolarmente ricca la nostra
Arcidiocesi.
16.
"L’evangelizzazione e la testimonianza della carità
esigono oggi, come primo passo da compiere, la crescita di una comunità
cristiana che manifesti in se stessa, con la vita e le opere, il vangelo della
carità".
[27]
La Chiesa post-conciliare ha così
ribadito la sua funzione pedagogica al servizio degli ultimi in ossequio a
quanto già Paolo VI, nel suo primo discorso alle Caritas nel lontano 1972, aveva
stigmatizzato: la funzione prevalentemente pedagogica che ciascun organismo
pastorale andava a ricoprire affinché sensibilizzasse "…le Chiese locali e i
singoli fedeli al senso e al dovere della carità in forme consone ai bisogni e
ai tempi".
[28]
Tale promozione di
corresponsabilità in tutte le comunità deve opportunamente tradursi nella
costituzione o rivitalizzazione della Caritas parrocchiale o interparrocchiale,
intesa non come gruppo caritativo ma organo pastorale ufficiale presentato come
tale dal parroco alla propria comunità con una propria "spiritualità della
carità" che si fa "spiritualità dell’accoglienza e del dono.[29]
Ciò senza perdere di vista che " la Caritas
parrocchiale ha senso come commissione o articolazione del Consiglio Pastorale
Parrocchiale, all’interno di un progetto comune di parrocchia".[30]
Laddove il gruppo caritativo ha lo scopo di
rispondere ad un bisogno, la Caritas ha, infatti, quello di sensibilizzare
l’intera comunità, suscitando servizio, e lo fa a nome della parrocchia,
stimolando ed armonizzando gruppi ed iniziative esistenti in virtù del fatto
che, come riportato nella Lumen gentium, anche i laici partecipano alla
funzione sacerdotale, profetica e regale.
[31]
Appare opportuno che ogni
organismo pastorale deputato all’animazione della carità si rapporti e si lasci
accompagnare dalla Caritas diocesana, preposta a tale compito, e che
sistematicamente offre spunti di riflessione e di informazione, forme di
volontariato per condividere, perciò, opere-segno che costituiscono il banco di
prova del nostro vivere l’amore come famiglia di Dio, alla luce del fatto che:
"La storia di Gesù Cristo ha regalato agli uomini la possibilità di organizzare
la propria vita personale e sociale partecipando all’amore familiare di Dio".
[32]
Il Santo Padre nella Novo
millennio ineunte
[33] ha
auspicato che la Chiesa liberi la propria creatività sviluppando quella che egli
ama definire la "nuova fantasia della carità". Ciò al fine di cogliere le sfide
dei tempi, vivere con intensità le opportunità che il contesto sociale e,
perciò, le altre agenzie educative offrono, facendosi promotrice di modalità
nuove e consone ai tempi e alle persone che, a diverso titolo, vivono forme di
disagio.
Tra le risposte concrete
ricordiamo il servizio civile, l’istituzione di luoghi di ascolto e di
accoglienza, osservatori di disagi e risorse, forme di partecipazione alle
attività promosse innanzitutto dalla Caritas diocesana e poi dalle politiche
sociali operanti sul territorio. A tale proposito, nel documento sulla Caritas
parrocchiale,
[34]
leggiamo che appare opportuno "aiutare la comunità
parrocchiale a ricomprendersi quale soggetto di cittadinanza territoriale che si
confronta in rete con i diversi soggetti della società civile intorno alla
costruzione di risposte alle istanze comunitarie".[35]
E’ quanto i costituendi Piani di
Zona ci interpellano a fare.
Alle nostre comunità è chiesto
infatti di "porsi nei confronti dei (nuovi) poveri in atteggiamento accogliente
e liberante, in cui, cioè, ciascuno si senta trattato come persona e non come
numero, sia messo in grado di comunicare, capace di dare e non solo di
ricevere".
[36]
Se saremo capaci di fare nostra
questa meravigliosa esortazione, potremo dire che la carità costituisce
realmente la vela o il motore della nostra testimonianza feriale qualificando il
nostro stile di Chiesa che sa vedere nel volto del povero quello del Maestro in
una logica di promozione umana che sempre meno indulga a forme di elemosina ed
assistenzialismo e sempre più tenda al recupero della dignità di ciascun uomo.
17.
Sotto la protezione di Maria desidero porre la
nostra navigazione. Quest'invocazione salga alla Madre della Chiesa da tutta la
Diocesi, particolarmente attraverso la corona del Rosario in quest'anno che il
Santo Padre ha voluto dedicare a questa preghiera. Oltre a raccomandare la
lettura e la meditazione della lettera Rosarium Virginis Mariae
soprattutto durante il mese di maggio vorrei annunziare la mia intenzione di
visitare nel tempo pasquale tutti i paesi dell'Arcidiocesi per recitare insieme
al popolo cristiano la corona del Rosario in preparazione al pellegrinaggio che
insieme svolgeremo presso il Santuario di Pompei il prossimo 23 ottobre. Chiedo
che in occasione dei diversi appuntamenti diocesani e parrocchiali si colga
l'opportunità di riscoprire e valorizzare questa tradizionale preghiera, già
molto cara al nostro popolo ma caduta un pò nel dimenticatoio presso le nuove
generazioni.
18.
"Prendere il largo", è l'imperativo evangelico che
il Papa nella Novo millennio ineunte ha fatto riecheggiare in tutta la
Chiesa. "Andiamo avanti con speranza!" Un grande cammino ci attende.
Dobbiamo riconoscere la presenza
operosa di Dio nella storia e vincere ogni tentazione di staticità, di
passività, di mediocrità, di pessimismo, di scetticismo e spingerci oltre, più
avanti e più in alto. Dobbiamo renderci conto che non possiamo vivere alla
giornata o da navigatori solitari, senza convertirci al disegno di Dio della
comunione ed in sintonia con la Chiesa universale e particolare. Nessun piano
pastorale andrà avanti senza l'impegno corale di una conversione comunitaria,
coraggiosa, condivisa.
E' un momento storico bello ed
affascinante. E' necessaria la pazienza che sa aspettare perché la conversione
non è facile ed indolore, al contrario essa è complessa ed impegnativa. Mi
sovviene a riguardo l'affermazione di Pavel Evdokimov: "Non è il cammino che è
difficile, è il difficile che è cammino".
Esorto cordialmente tutti gli
operatori pastorali ad amare la nostra Chiesa, a lavorare con gioia, con
fiducia, con entusiasmo e con passione nella vigna del Signore. Ognuno deve
dire: "mi sta a cuore", "mi interessa" la crescita del regno di Dio. Ognuno deve
sentirsi parte del "Corpo di Cristo" ed impegnare le migliori energie per il suo
sviluppo.
Cari sacerdoti,
miei amici, fratelli e collaboratori, che condividete con me la gioia e la
fatica e la responsabilità e la sollecitudine del Buon Pastore, a voi la mia
gratitudine per il lavoro che svolgete. Non scoraggiatevi nelle difficoltà,
vivete l’intimità con il Signore, la comunione con i confratelli ed il servizio
alla Chiesa.
Cari seminaristi,
siete la primavera del nostro presbiterio. Su di voi si fondano le speranze del
rinnovamento ecclesiale. Vivete il tempo della formazione umana, spirituale,
teologica, con intelligenza ed impegno per prepararvi alle sfide del mondo di
oggi.
Cari diaconi,
il vostro servizio, forse non ancora pienamente compreso e apprezzato, è sempre
più necessario alla vita ecclesiale. Sarete chiamati a svolgere uffici di
maggiore responsabilità.
Cari religiosi e religiose,
grazie dei vostri carismi e della gioia della vostra preziosa cooperazione. La
vostra esistenza sia segno di speranza e della presenza di Dio tra gli uomini.
Cari laici e laiche,
soprattutto dal Vaticano II in poi la Chiesa ha evidenziato il vostro ruolo e la
vostra missione nella Chiesa e nel mondo. Lievitate cristianamente la storia nei
diversi ambienti di vita. "Abbiamo bisogno di laici che siano disposti ad
assumersi dei ministeri con fisionomia missionaria in tutti i campi della
pastorale, diventando cioè catechisti, animatori, responsabili di 'gruppi di
ascolto' nelle case, visitatori delle famiglie, accompagnatori delle giovani
coppie di sposi".[37]
Conto su di voi e sul vostro
maturo coinvolgimento.
Vorrei concludere con una bella
pagina di sant'Ignazio di Antiochia, testimone di una Chiesa incentrata
nell'Eucaristia che, intorno al vescovo e al suo presbiterio, forma come una
sinfonia di perfetta unità e concordia:
"Voi non dovete avere col vostro
vescovo che un solo e stesso pensiero: d'altronde è ciò che già voi fate. Il
vostro venerabile presbiterio, veramente degno di Dio, è unito al vescovo come
le corde alla lira, ed è così che, dal perfetto accordo dei vostri sentimenti e
della vostra carità, s'innalza a Gesù Cristo un concerto di lodi. Ciascuno di
voi entri dunque in questo coro; allora nell'armonia della concordia, attraverso
l'unione stabilita, voi prenderete il tono di Dio e canterete tutti ad una sola
voce, con la bocca di Gesù Cristo le lodi del Padre che vi ascolterà e, dalle
vostre buone opere, vi riconoscerà per le membra del suo Figlio. E' dunque
vostro vantaggio di mantenervi in una unità irreprensibile; è con questo che voi
godrete di una costante unione con Dio stesso".
[38]
Nel nostro cammino ci ispireremo
al principio dei "tre meglio": meglio poco ma uniti che molto ma disuniti;
meglio il poco di molti che il molto di pochi; meglio il possibile oggi che
l’ideale non si sa quando. Questa modalità evidenzia l’importanza dell’unità,
del più ampio coinvolgimento possibile e la scelta di non tralasciare il "buono"
perché ci manca l’ottimo.
La presenza del Signore promessa
a quanti sperano in lui e l'assistenza dello Spirito consolatore rendano
fruttuosa la fatica apostolica che ci attende nei prossimi anni.
L'apostolo Sant'Andrea ed il
vescovo Sant'Adiutore, patroni della nostra arcidiocesi e la Vergine Maria,
"stella della nuova evangelizzazione", ci proteggano e accompagnino nel cammino.
Implorando su ciascuno
l'abbondanza dei doni celesti, con affetto vi benedico.
Amalfi, 25 marzo 2003
Solennità dell'Annunciazione del Signore.
Solennità dell'Annunciazione del Signore.
+ Orazio Soricelli
arcivescovo
[1] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap.
Novo millennio ineunte, 57.
[2]
Ibid.
[3] CONC.ECUM.VAT.II, Cost. dogm.
sulla Chiesa Lumen gentium, 1.
[4] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap.
Novo millennio ineunte, 29.
[5]
Ibid.
[6] C.E.I., Comunicare il Vangelo
in un mondo che cambia, 29.
[7] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap.
Novo millennio ineunte, 39-40.
[8] Ibid. 31.
[9]
Ibid.
[10] Ibid. 43.
[11]
Ibid.
[12] C.E.I., Comunione e
comunità, 63.
[13] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap.
Novo millennio ineunte, 44.
[14] C.E.I., Comunione e
comunità, 35.
[15] CONC.ECUM.VAT.II, Decreto
sull'ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus, 11.
[16] C.E.I., Comunione e
comunità, 39.
[17] Ibid. 41.
[18] C.E.I., Comunicare il
Vangelo in un mondo che cambia, 50.
[19] C.E.I., Comunione e
comunità, 65.
[20] Ibid. 71.
[21] C.E.I., Comunicare il
Vangelo in un mondo che cambia, 47.
[22] Ibid. 41.
[23] Ibid. 44.
[24] Ibid. 46.
[25] GIOVANNI PAOLO II, Lettera
enciclica. Redemptoris missio, 33.
[26] C.E.I., Comunicare il
Vangelo in un mondo che cambia, 32.
[27] C.E.I., Evangelizzazione e
testimonianza della carità, 26.
[28] PAOLO VI, Discorso alle
Caritas diocesane, 1972.
[29] CARITAS ITALIANA, "Da
questo vi riconosceranno...", 38-39.
[30] CARITAS ITALIANA, "Lo
riconobbero nello spezzare il pane", 33.
[31] CONC.ECUM.VAT.II, Cost. dogm.
sulla Chiesa Lumen gentium, 31. A tale proposito nel documento della
CARITAS ITALIANA, "Da questo vi riconosceranno...", si legge: "Anche la
parrocchia ha vissuto e vive le tre dimensioni fondamentali - catechesi,
liturgia, carità - diventando così pienamente Chiesa", 9.
[32] CARITAS ITALIANA, "Da
questo vi riconosceranno...", 6.
[33] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap.
Novo millennio ineunte, 50.
[34] CARITAS ITALIANA,
"Da questo vi riconosceranno..."
[35] Ibid., 24..
[36] CARITAS ITALIANA, "Lo
riconobbero nello spezzare il pane", 39.
[37] C.E.I., Comunicare il
Vangelo in un mondo che cambia, 62.
[38] SANT'IGNAZIO DI ANTIOCHIA,
Ad Ephesios.
Fonte : http://www.diocesiamalficava.it/Documenti/2003/Lett_past_1.htm
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