IL POPOLO EBRAICO
E LE SUE SACRE SCRITTURE
NELLA BIBBIA CRISTIANA
PREFAZIONE del Cardinal Joseph Ratzinger
INTRODUZIONE (1)
E. L'estensione del canone delle Scritture (16-18)
II. TEMI FONDAMENTALI
DELLE SCRITTURE DEL POPOLO EBRAICO E LORO ACCOGLIENZA NELLA FEDE IN CRISTO (19-65)
B. Temi comuni fondamentali (23-63)C. Conclusione (64-65)
III. GLI EBREI NEL NUOVO
TESTAMENTO (66-83)
IV. CONCLUSIONI (84-87)
A. Conclusione generale (84-85)B. Orientamenti pastorali (86-87)
Joseph Cardinal Ratzinger
Nella teologia dei Padri della Chiesa la questione dell'unità interiore dell'unica Bibbia della Chiesa composta di Antico e Nuovo Testamento era un tema centrale. Che questo non fosse certamente solo un problema teorico, lo si può percepire quasi con mano nell'itinerario spirituale di uno dei più grandi maestri della cristianità — Sant'Agostino d'Ippona. Agostino come diciannovenne nell'anno 373 aveva avuto una prima profonda esperienza di conversione. La lettura di un libro di Cicerone — l'opera andata perduta « Hortensius » — aveva operato in lui una profonda trasformazione, che egli stesso retrospettivamente così descrive: « Orientò verso di te, Signore, le mie preghiere... cominciai a rialzarmi per tornare a te... Come ardevo, mio Dio, come ardevo, dal desiderio di abbandonare le cose terrene e di levare il volo verso te » (Conf. III 4, 7-8). Per il giovane africano, che come fanciullo aveva ricevuto il sale, che lo rendeva catecumeno, era chiaro che la svolta verso Dio doveva essere una svolta verso Cristo, che senza Cristo egli non poteva trovare veramente Dio. Così egli passò da Cicerone alla Bibbia e sperimentò una terribile delusione: nelle difficili determinazioni giuridiche dell'Antico Testamento, nei suoi intricati e talvolta anche crudeli racconti egli non poteva riconoscere la sapienza, alla quale voleva aprirsi. Nella sua ricerca si imbatté così in persone, che annunciavano un nuovo cristianesimo spirituale — un cristianesimo, nel quale si disprezzava l'Antico Testamento come non spirituale e ripugnante; un cristianesimo, il cui Cristo non aveva bisogno della testimonianza dei profeti ebraici. Queste persone promettevano un cristianesimo della semplice e pura ragione, un cristianesimo nel quale Cristo era il grande illuminato, che conduceva gli uomini ad una vera autoconoscenza. Erano i manichei.1
La grande promessa dei manichei si
dimostrò ingannevole, ma il problema non era per questo risolto. Al
cristianesimo della Chiesa cattolica Agostino poté convertirsi solo quando, per
mezzo di Sant'Ambrogio, ebbe imparato a conoscere un'interpretazione dell'Antico
Testamento, che rendeva trasparente nella direzione di Cristo la Bibbia di
Israele e così rendeva visibile in essa la luce della sapienza ricercata. Così
fu superato non solo lo scandalo esteriore della forma letteraria
insoddisfacente della Bibbia « vetus latina », ma soprattutto lo scandalo
interiore di un libro, che si manifestava ora più che come documento della
storia della fede di un determinato popolo, con tutti i suoi disordini ed
errori, come voce di una sapienza proveniente da Dio e che concerneva tutti. Una
tale lettura della Bibbia di Israele, che riconosceva nelle sue vie storiche la
trasparenza di Cristo e così la trasparenza del Logos, dell'eterna sapienza
stessa, non fu fondamentale solo per la decisione di fede di Agostino: essa fu e
rimane il fondamento della decisione di fede nella Chiesa nel suo insieme.
Ma è vera? È ancora oggi
giustificabile e realizzabile? Dal punto di vista della esegesi storico-critica
— almeno a prima vista — tutto sembra argomentare contro. Così si è espresso nel
1920 l'eminente teologo liberale Adolf von Harnack: « Rifiutare l'Antico
Testamento nel secondo secolo (allude a Marcione) fu un errore, che la grande
Chiesa giustamente ha respinto; conservarlo nel 16o secolo fu un destino, al
quale la Riforma ancora non poté sottrarsi; conservarlo però ancora nel
protestantesimo a partire dal 19° secolo, come documento canonico, dello stesso
valore del Nuovo Testamento, è la conseguenza di una paralisi religiosa ed
ecclesiale ».2
Ha ragione Harnack? A prima vista
molti elementi sembrano dargli ragione. Se l'esegesi di Ambrogio aprì la via
verso la Chiesa per Agostino e divenne nel suo orientamento di fondo — anche se
nei particolari naturalmente del tutto variabile — il fondamento della fede
nella Parola di Dio della Bibbia bipartita ma pur sempre unitaria, si può subito
così controbattere: Ambrogio aveva imparato questa esegesi nella scuola di
Origene, che l'ha praticata per primo in modo coerente. Ma Origene — così si
dice — in proposito avrebbe solo trasportato nella Bibbia metodi di
interpretazione allegorica usati nel mondo greco per gli scritti religiosi
dell'antichità — soprattutto Omero, quindi non solo avrebbe realizzato un'ellenizzazione
profondamente estranea alla parola biblica, ma si sarebbe servito di un metodo,
che in se stesso era privo di credibilità, poiché mirante in definitiva a
conservare come sacrale ciò che in realtà rappresentava la testimonianza di una
cultura non più attualizzabile. Ma le cose non sono così semplici. Origene ancor
più che sull'esegesi di Omero da parte dei greci poteva fondarsi sull'esegesi
dell'Antico Testamento, che era nata in ambito giudaico, sopratutto in
Alessandria e con Filone come capofila, e che in un modo del tutto proprio
cercava di dischiudere la Bibbia di Israele ai greci, i quali ben al di là degli
dei cercavano l'unico Dio, che potevano trovare nella Bibbia. Egli inoltre ha
imparato dai rabbini. Infine egli ha elaborato principi cristiani del tutto
specifici: l'interiore unità della Bibbia come criterio di interpretazione,
Cristo come punto di riferimento di tutte le vie dell'Antico Testamento.3
Ma prescindendo dal giudizio che si
voglia dare sui particolari dell'esegesi di Origene e di Ambrogio, il suo
fondamento ultimo non era né l'allegoresi greca né Filone né i metodi rabbinici.
Il suo vero fondamento — al di là dei particolari dell'interpretazione — era il
Nuovo Testamento stesso. Gesù di Nazareth ha avanzato la pretesa di essere il
vero erede dell'Antico Testamento — della « Scrittura » — e di darle
l'interpretazione definitiva, interpretazione certamente non alla maniera degli
scribi, ma per l'autorità dell'autore stesso: « Egli insegnava come uno che ha
autorità (divina), non come gli scribi » (Mc 1,22). Il racconto dei discepoli di
Emmaus riassume ancora una volta questa pretesa: « E cominciando da Mosè e da
tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui » (Lc
24,27). Gli autori del Nuovo Testamento hanno cercato di fondare questa pretesa
nei particolari, sopratutto Matteo, ma non meno Paolo, il quale utilizzò in
proposito i metodi di interpretazione rabbinici e cercò di mostrare che proprio
questa forma di interpretazione sviluppata dagli scribi conduce a Cristo come
chiave delle « Scritture ». Per gli autori ed i fondatori del Nuovo Testamento
l'Antico Testamento è anzi molto semplicemente la « Scrittura »; solo la Chiesa
nascente poteva lentamente formare un canone neotestamentario, che ora allo
stesso modo costituiva Sacra Scrittura, ma pur sempre in quanto presuppone come
tale la Bibbia di Israele, la Bibbia degli Apostoli e dei loro discepoli, che
soltanto ora riceve il nome di Antico Testamento, e le fornisce la chiave di
interpretazione.
In questo senso i Padri della Chiesa
con la loro interpretazione cristologica dell'Antico Testamento non hanno creato
nulla di nuovo, ma solo sviluppato e sistematizzato, ciò che già trovavano nel
Nuovo Testamento stesso. Questa sintesi fondamentale per la fede cristiana
doveva però diventare problematica nel momento in cui la coscienza storica
sviluppò criteri di interpretazione, a partire dai quali l'esegesi dei Padri
doveva apparire come priva di fondamento storico e pertanto come oggettivamente
insostenibile. Lutero, nel contesto dell'umanesimo e della sua nuova coscienza
storica, soprattutto però nel contesto della sua dottrina della giustificazione,
ha sviluppato una nuova formulazione del rapporto fra le due parti della Bibbia
cristiana, che non si fonda più sull'armonia interiore di Antico e Nuovo
Testamento, ma sulla sua antitesi sostanzialmente dialettica dal punto di vista
storico-salvifico ed esistenziale di legge e vangelo. Bultmann ha espresso in
modo moderno questo approccio di fondo con la formula, secondo cui l'Antico
Testamento si sarebbe adempiuto in Cristo nel suo fallimento. Più radicale è la
proposta sopra menzionata di Harnack, che — per quanto io possa vedere —
praticamente non è stata ripresa da nessuno, ma era perfettamente logica a
partire da un'esegesi, per la quale i testi del passato possono avere di volta
in volta solo quel senso che volevano dar loro i rispettivi autori nel loro
momento storico. Alla moderna coscienza storica però appare più che inverosimile
che gli autori dei secoli prima di Cristo, che si esprimono nei libri
dell'Antico Testamento, intendessero alludere anticipatamente a Cristo e alla
fede del Nuovo Testamento. In questo senso con la vittoria dell'esegesi
storico-critica l'interpretazione cristiana dell'Antico Testamento iniziata dal
Nuovo Testamento stesso appariva finita. Ciò, come abbiamo visto, non è una
questione storica particolare, ma i fondamenti stessi del Cristianesimo sono qui
in discussione. Così diviene anche chiaro perché nessuno ha voluto seguire la
proposta di Harnack, di realizzare finalmente quel congedo dall'Antico
Testamento intrapreso solo troppo presto da Marcione. Ciò che a quel punto
resterebbe, il nostro Nuovo Testamento, non avrebbe senso in se stesso. Il
documento della Pontificia Commissione Biblica che qui presentiamo dice in
proposito: « Senza l'Antico Testamento, il Nuovo Testamento sarebbe un libro
indecifrabile, una pianta privata delle sue radici e destinata a seccarsi » (n.
84).
A questo punto diventa visibile la
complessità del compito, davanti al quale si trovò la Pontificia Commissione
Biblica, quando si decise ad affrontare il tema del rapporto fra Antico e Nuovo
Testamento. Se esiste una via di uscita dal vicolo cieco descritto da Harnack,
deve essere ampliato ed approfondito, rispetto alla visione degli studiosi
liberali, il concetto di un'interpretazione oggi sostenibile dei testi storici,
soprattutto però del testo della Bibbia considerato come Parola di Dio. In
questa direzione negli ultimi decenni è accaduto qualcosa di importante. La
Pontificia Commissione Biblica ha presentato il contributo essenziale di questi
studi nel suo Documento pubblicato nel 1993 « L'interpretazione della Bibbia
nella Chiesa ». L'approfondimento della pluridimensionalità del discorso umano,
che non è legato ad un unico punto storico, ma si protende verso il futuro, era
un ausilio per comprendere meglio come la Parola di Dio può servirsi della
parola umana, per dare un senso ad una storia che progredisce, che rimanda al di
là del momento attuale e nondimeno proprio così crea l'unità dell'insieme. La
Commissione Biblica riprendendo questo suo precedente documento e fondandosi su
accurate riflessioni metodologiche ha approfondito i singoli grandi complessi
tematici di entrambi i Testamenti nella loro relazione ed ha potuto in
conclusione dire che l'ermeneutica cristiana dell'Antico Testamento, che senza
dubbio è profondamente diversa da quella del giudaismo, « corrisponde tuttavia
ad una potenzialità di senso effettivamente presente nei testi » (n. 64). È
questo un risultato, che mi sembra essere di grande importanza per la
continuazione del dialogo, ma sopratutto anche per i fondamenti della fede
cristiana.
La Commissione Biblica tuttavia non
poteva nel suo lavoro prescindere dal contesto del nostro presente, nel quale il
dramma della Shoah ha collocato tutta la questione in un'altra luce. Due
problemi principali si ponevano: possono i cristiani dopo tutto quello che è
successo avanzare ancora tranquillamente la pretesa di essere gli eredi
legittimi della Bibbia di Israele? Possono continuare con una interpretazione
cristiana di questa Bibbia, o non dovrebbero piuttosto rispettosamente ed
umilmente rinunciare ad una pretesa, che alla luce di ciò che avvenuto non può
non apparire come presunzione? E qui si connette la seconda questione: Non ha
forse contribuito la presentazione dei giudei e del popolo ebraico, nello stesso
Nuovo Testamento, a creare una ostilità nei confronti di questo popolo, che ha
favorito l'ideologia di coloro che volevano sopprimerlo? La Commissione ha
affrontato entrambe le questioni. È chiaro che un congedo dei cristiani
dall'Antico Testamento non solo, come prima mostrato, avrebbe la conseguenza di
dissolvere lo stesso cristianesimo, ma non potrebbe neppure essere utile ad un
rapporto positivo fra cristiani ed ebrei, perché sarebbe loro sottratto proprio
il fondamento comune. Ciò che però deve conseguire dagli eventi accaduti è un
rinnovato rispetto per l'interpretazione giudaica dell'Antico Testamento. Al
riguardo il documento dice due cose. Innanzitutto afferma che la lettura
giudaica della Bibbia « è una lettura possibile, che è in continuità con le
sacre Scritture ebraiche dell'epoca del secondo tempio ed è analoga alla lettura
cristiana, che si è sviluppata parallelamente a questa » (n. 22). A ciò aggiunge
che i cristiani possono imparare molto dall'esegesi giudaica praticata per 2000
anni; a loro volta i cristiani sperano che gli ebrei possano trarre utilità dai
progressi dell'esegesi cristiana (ibidem). Io penso che queste analisi
saranno utili per il progresso del dialogo giudeo-cristiano, ma anche per la
formazione interiore della coscienza cristiana.
Della questione della presentazione
dei giudei nel Nuovo Testamento si occupa l'ultima parte del documento, nel
quale vengono accuratamente esaminati i testi « antigiudaici ». Qui vorrei solo
sottolineare un'intuizione che per me appare particolarmente importante. Il
documento mostra che i rimproveri rivolti nel Nuovo Testamento agli ebrei non
sono più frequenti né più aspri delle accuse contro Israele nella legge e nei
profeti, quindi all'interno dello stesso Antico Testamento (n. 87). Essi
appartengono al linguaggio profetico dell'Antico Testamento e quindi devono
essere interpretati come le parole dei profeti. Essi mettono in guardia da
deviazioni presenti, ma per loro natura sono sempre temporanei e presuppongono
quindi anche sempre nuove possibilità di salvezza.
Vorrei esprimere ai membri della
Pontificia Commissione Biblica il mio ringraziamento e la mia riconoscenza per
la loro fatica. Dalle loro discussioni condotte con pazienza per molti anni è
uscito questo documento, che a mio parere può offrire un importante ausilio per
una questione centrale della fede cristiana e per la così importante ricerca di
una rinnovata comprensione fra cristiani ed ebrei.
Roma, Festa dell'Ascensione 2001
Joseph Cardinal Ratzinger
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA
IL
POPOLO EBRAICO
E LE SUE SACRE SCRITTURE
NELLA BIBBIA CRISTIANA 4
E LE SUE SACRE SCRITTURE
NELLA BIBBIA CRISTIANA 4
1. I tempi moderni hanno portato i cristiani a prendere meglio coscienza dei legami fraterni che li uniscono strettamente al popolo ebraico. Nel corso della seconda guerra mondiale (1939-1945), eventi tragici o, più esattamente, crimini abominevoli hanno sottoposto il popolo ebraico a una prova di estrema gravità che ha minacciato la sua stessa esistenza in gran parte dell'Europa. In queste circostanze alcuni cristiani non hanno dato prova di quella resistenza spirituale che ci si sarebbe doverosamente aspettato da discepoli di Cristo e non hanno preso le iniziative corrispondenti. Altri cristiani, invece, hanno prestato generosamente il loro aiuto agli ebrei in pericolo, spesso a rischio della propria stessa vita. In seguito a questa immane tragedia, s'impone per i cristiani la necessità di approfondire la questione dei loro rapporti con il popolo ebraico. Un grande sforzo di ricerca e di riflessione è già stato compiuto in questo senso. La Pontificia Commissione Biblica ha ritenuto opportuno dare il suo contributo a questo sforzo, nell'ambito della propria competenza. Questa non permette, evidentemente, alla Commissione di prendere posizione su tutti gli aspetti storici o attuali del problema; essa si limita pertanto al punto di vista dell'esegesi biblica, allo stato attuale della ricerca.
La domanda che si pone è la
seguente: quali rapporti la Bibbia cristiana stabilisce tra i cristiani e il
popolo ebraico? A questa domanda la risposta generale è chiara: tra i cristiani
e il popolo ebraico la Bibbia cristiana stabilisce rapporti molteplici e molto
stretti e ciò per due ragioni: innanzitutto perché la Bibbia cristiana si
compone, in gran parte, delle « sacre Scritture » (Rm 1,2) del popolo ebraico,
che i cristiani chiamano « l'Antico Testamento »; poi perché la Bibbia cristiana
comprende, d'altra parte, un insieme di scritti che, esprimendo la fede in
Cristo Gesù, mettono quest'ultima in stretta relazione con le sacre Scritture
del popolo ebraico. Questo secondo insieme di scritti è chiamato, com'è noto, «
Nuovo Testamento », espressione correlativa ad « Antico Testamento ».
L'esistenza di stretti rapporti è
innegabile. Tuttavia, un esame più preciso dei testi rivela che non si tratta di
relazioni semplici, ma che presentano, al contrario, una grande complessità che
va dal perfetto accordo su alcuni punti a una forte tensione su altri. Uno
studio attento è quindi necessario. La Commissione Biblica vi ha dedicato questi
ultimi anni e i risultati, che non pretendono evidentemente di aver esaurito
l'argomento, vengono qui presentati in tre capitoli. Il primo, fondamentale,
constata che il Nuovo Testamento riconosce l'autorità dell'Antico Testamento
come rivelazione divina e non può essere compreso senza la sua stretta relazione
con esso e con la tradizione ebraica che lo trasmetteva. Il secondo capitolo
esamina, quindi, in modo più analitico, come gli scritti del Nuovo Testamento
accolgono il ricco contenuto dell'Antico Testamento, di cui riprendono i temi
fondamentali, visti alla luce del Cristo Gesù. Il terzo capitolo, infine,
registra gli atteggiamenti molto vari che gli scritti del Nuovo Testamento
esprimono sugli ebrei, imitando del resto in questo l'Antico Testamento stesso.
La Commissione Biblica spera in
questo modo di far avanzare il dialogo tra cristiani ed ebrei, nella chiarezza e
nella stima e l'affetto reciproci.
Fonte : http://www.vatican.va
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