domenica 4 agosto 2019

La comunità cristiana di Terra Santa ha bisogno del sostegno spirituale e dell'aiuto materiale delle Chiese di tutto il mondo, di Michel Sabbah




Mons. Michel Sabbah
" La comunità cristiana di Terra Santa ha bisogno del sostegno spirituale e dell'aiuto materiale delle Chiese di tutto il mondo "
 


Sua Beatitudine Reverendissima
Monsignor Michel SABBAH
Patriarca Latino di Gerusalemme
Gran Priore dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme

 
Gerusalemme (Agenzia Fides) -
"La comunità cristiana di Terra Santa ha bisogno del sostegno spirituale e dell'aiuto materiale delle Chiese di tutto il mondo": lo ha detto in un'intervista all'Agenzia Fides Mons. Michel Sabbah, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, a conclusione dell'Incontro internazionale dei Vescovi tenutosi di recente a Gerusalemme. L'Agenzia Fides gli ha rivolto alcune domande.

La Chiesa di Terra Santa ha un legame vitale con le Chiese di tutto il mondo: "La Terra Santa appartiene a tutti cristiani!". Ci illustri le finalità dell'incontro internazionale dei Vescovi svoltosi nei giorni scorsi a Gerusalemme .

L'incontro, a cui hanno partecipato Vescovi da Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Italia, Germania, è servito a ravvivare il legame profondo fra la Chiesa in Gerusalemme e la Chiesa nel mondo. In questi tempi difficili, la Chiesa in Terra Santa è chiamata ad assumersi alcune responsabilità, che devono basarsi su decisioni comuni, frutto di uno sforzo e di una riflessione condivisa con le Chiese di tutto il mondo. In tal modo la posizione della Chiesa di Gerusalemme diventa più giusta, chiara e forte. Occorre fare tutto il possibile perché la Terra Santa torni ad essere un luogo di preghiera e di incontro con Dio, piuttosto che un luogo di guerra.


La drammatica situazione della comunità cristiana in Terra Santa, che si sta assottigliando sempre di più, è stata al centro dell'incontro. Quali le urgenze attuali?


Il secondo fine dell'incontro era quello di guardare ai bisogni immediati dei cristiani in Terra Santa, in questo tragico tempo di conflitto. A causa del coprifuoco e dell'assedio delle città nei territori palestinesi, il 60% dei cristiani sono senza lavoro, la gente è avvilita e scoraggiata. Oggi bisogna prima di tutto dare pane a chi ha fame. La prima urgenza, infatti, è quella strettamente alimentare: provvedere beni di prima necessità. Anche Gesù lo ha fatto, sfamando le folle. Poi occorre anche il sostegno spirituale, con la preghiera e i pellegrinaggi di piccoli gruppi.


Conosciamo le sue preoccupazioni per le condizioni in cui sono costrette ad operare le scuole cattoliche in Terra Santa. Cosa si è detto in proposito nell'incontro?


L'incontro ha sottolineato un'altra urgenza: la situazione del sistema scolastico in Terra Santa. La grande rete delle scuole cattoliche, gestite dalle diverse diocesi o dalle comunità religiose, è in seria difficoltà: i genitori non possono pagare le tasse di iscrizione per i figli, e tutto il sistema scolastico rischia il collasso. C'è quindi bisogno di un aiuto speciale da parte delle Chiese di tutto il mondo. Le scuole rischiano di chiudere e, se ciò accadesse, verrebbero a mancare luoghi importanti per la trasmissione dei contenuti di fede e dei valori cristiani alle nuove generazioni, ragazzi e giovani. La presenza dei cristiani in Terra Santa potrebbe subire danni gravissimi.


Di recente lei è stato protagonista di uno spiacevole episodio riportato in prima pagina sull'Osservatore Romano con il titolo "Il Patriarca di Gerusalemme dei Latini non ha potuto lasciare l'aeroporto di Tel Aviv". Crede che questo episodio potrà avere ripercussioni sul piano del dialogo fra cattolici ed ebrei?


L'incidente è stato spiacevole: al Patriarca non è stato riconosciuto il trattamento riservato ai diplomatici. Abbiamo presentato le dovute rimostranze alle autorità israeliane. Il rispetto dovuto ai capi delle Chiese è indice del rispetto che lo Stato dimostra verso l'intera comunità ecclesiale. Ma non credo che questo episodio influirà sul dialogo interreligioso fra cristiani ed ebrei: il dialogo si fa con persone che non hanno nulla a che vedere con gli agenti israeliani dei sevizi di sicurezza, ed è improntato su una reciproca stima e rispetto.


(PA) (Agenzia Fides 24/1/2003)











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