Fabrizio Speziali
L'ETNOPSICOLOGIA
Ciò che nell'analisi
transculturale ed etnopsicologica può essere chiaramente rimesso in discussione
è la credenza che il nostro stato di coscienza ordinario sia in qualche
modo normale e naturale; esplicitando definitivamente: "la natura costruttiva
del nostro stato ordinario di coscienza" (Tart,1976).
Ogni cultura, infatti, struttura
selettivamente certe possibilità delle esperienze della coscienza e le modella
attraverso l'acculturazione; lo stato ordinario non è altro che un modo
semiarbitrario di strutturare la coscienza, che facilita certe capacità adattive
e inibisce lo sviluppo di altre potenzialità della coscienza umana. La rilevanza
dello studio etnopsicologico degli ASC consiste appunto nella possibilità di
cogliere tali potenzialità che gli stati altri rendono esperibili, come ben
sanno le religioni estatiche.
Ciò che del resto stupisce in
un'analisi interculturale diacronica e sincronica (all'interno della quale
inserire anche e per prima la nostra stessa cultura), non è la presenza ma
l'assenza di forme di alterazione della coscienza. E ciò stupisce ancora di più
per il modo nel quale è stato sistematicamente ignorato da etnopsichiatri ed
etnopsicoanalisti. L'alterazione rituale della coscienza è un'esperienza
presente nel 90% delle società umane (Bourguignon, 1986) e può essere
considerata parte del retaggio psicobiologico e precipuo bisogno di quell'"animale
cerimoniale" che è l'uomo (Wittgenstein,1975).
Ed è anche per questo che il
modello proposto non è una nuova, ma camuffata, forma di riduzionismo
transpersonale, ma va invece in una direzione inversa a quella realizzata di
solito da una metodologia riduzionista. Nel senso che bisogna riconoscere che
mentre lo studio della coscienza e il riconoscimento della valenza terapeutica
dei suoi stati altri è nella psicologia occidentale storia recente, le religioni
estatiche ritualizzano terapeuticamente gli ASC da migliaia di anni (Peters,
1981), come risulta evidente dal divario fra la ricchezza terminologica del
sapere tradizionale sugli stati di coscienza e la terminologia scientifica e
nell'elevato livello di elaborazione e raffinatezza delle tecniche di induzione
di ASC, rispetto alle quali metodologie occidentali come l'ipnosi risultano
abbondantemente più grossolane.
E in virtù di ciò che si può
cogliere l'estrema rilevanza dello sviluppo di modelli terapeutici integrati,
vere e proprie contaminazioni interculturali di tecniche terapeutiche, come i
lavori di. Nathan in Francia, di Collomb a Dakar, di Lambo in Nigeria e di Coppo
in Mali, veri e propri laboratori sperimentali di etnopsicologia (Nathan, 1990;
Coppo, 1988).
E ciò che in una dimensione
ancora più ampia si apre, è la possibilità di un approccio esperienziale, nello
studio etnopsicologico degli ASC, che configura così l'etnopsicologia come una
<<scienza specifica a uno stato" (Tart, 1976). E questa una prospettiva
largamente esplorata in meditazione e che solo recentemente ha prodotto alcuni
esempi di etnopsicologia (vedi Harner, 1980; Peters, 1981; Konner, 1985; Walsh,
1 990; Ignacio, 1992).
Il problema, in un tale
approccio, è quello di valutare la qualità della conoscenza che deriva dall'autosservazione
di vissuti esperienziali, una dimensione che in passato, per una estrema
ossessione di oggettività, la psicologia ha vissuto in maniera piuttosto
problematica, in quanto il rischio è che ciò che si vede è in realtà ciò che si
desidera vedere. Ma in virtù della imprescindibilità epistemologica della
reintegrazione dell'osservatore
questa è una condizione che ormai la psicologia condivide con tutte le altre
scienze. Anzi la piena consapevolezza delle proprie costruzioni e del fatto che
ogni processo di osservazione è anche un processo di autoosservazione sembra
essere una posizione ben più matura della circolarità viziosa di una metodologia
oggettiva che dà per scontato ciò che in realtà deve dimostrare. Come dice
Nietzsche, nella Gaia Scienza, continuare a sognare sapendo di sognare è
pur sempre diverso dal sognare puro e semplice.
Sia ben chiaro che il senso di un
approccio esperienziale non è quello di scimmiottare lo sciamano; il senso più
opportuno di considerare tale approccio consiste nel comprendere che alla base
delle tecniche tradizionali di induzione di ASC, vi sono precise tecniche
psicofisiologiche del corpo (Mauss, 1965).Ed è proprio attraverso la
concettualizzazione in termini di tecniche psicofisiologiche del corpo che l'etnopsicologia
può aprirsi a un approccio esperienziale della fenomenologia antropologica degli
ASC; come rileva Venturini (1982): <`questo elemento di pratica, di esperienza
diretta e non solo di conoscenza è un fatto col quale la psicologia
convenzionale deve confrontarsi, ritrovando una dimensione smarrita e una sua
fondamentale caratteristica differenziale nei rapporti con le altre discipline
scientifiche.
L'apertura al vissuto
esperienziale diventa un modo per accogliere quanto in noi è stato del resto
solo culturalmente rimosso, come la storia delle religioni del mondo classico ha
ampiamente evidenziato e come fenomeni, per quanto decrepiti, come il
tarantismo, di dionisiaca memoria, sembrano volerci ricordare a proposito della
nostra eredità storica e biologica. La nostra è una cultura affermatasi moderna
sulla base della normalizzazione della coscienza, come dice Lapassade (1980),
sulla rimozione di Dioniso.
E dall'insegnamento che sappiamo
trarre dalla riflessione su cosa ci è appartenuto prima della normalizzazione
cattolica, che la considerazione del carattere di costruzione culturale del
nostro stato di coscienza ordinario può diventare piena consapevolezza; e ciò
non per proporre regressioni arcaiche compensatorie, ma per realizzare invece
una più realistica conoscenza di quali siano le potenzialità effettive della
nostra coscienza. Perché: <<la trance non è una semplice curiosità etnologica,
un fenomeno marginale sopravvissuto in qualche società del terzo mondo, la
trance è un modo di essere nel corpo" (Lapassade, 1980).
Le religioni estatiche, come
sottolinea Peters (1981), sono nella storia dell'uomo la prima forma
strutturata, con un contenuto simbolico e teorico e un repertorio di tecniche,
di approccio alla sofferenza psichica, di utilizzo terapeutico di ASC e di
sviluppo di potenzialità latenti, organizzate sulla base di una dimensione
relazionale ecologica - nel senso più vasto del termine - fiduciosa.
È in virtù di tali contenuti, che
lo studio etnopsicologico delle religioni estatiche aprendosi a una dimensione
di pratica e di esperienza può <<operare affinché nuovi strati ed aree della
corporeità possano venire integrati nel vissuto corporeo... fino al punto che,
questi, come stenogrammi di un realtà transpersonale si rivelino capaci di
offrire un accesso a significati, scenari, strutture abitualmente preclusi
all'esperienza ordinaria>, (Venturini, 1989).
E se acquista la centralità della
coscienza si rivela l'importanza della disciplina etnopsicologica per la
psicologia tutta, in virtù del suo restituirci la ricchezza delle manifestazioni
della coscienza, in una prospettiva ancora più ampia, che trascende ampiamente i
confini della disciplina specialistica, è per l'uomo postmoderno, e per una sua
crescita integrale e completa che la disciplina etnopsicologica diventa
particolarmente significativa; perché, in definitiva, è a quest'ultimo che
consegna la possibilità di riappropriarsi di quel pezzo ritrovato della propria
esperienza che è la naturale tendenza ad esperire le molteplici forme non
ordinarie della sua coscienza e l'autentica aspirazione a trascendere quei
confini nei quali l'acculturazione ha frammentato l'esperienza.
Fonte : http://www.neurolinguistic.com/proxima/james/jam-24.htm
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