giovedì 1 agosto 2019

L'ETNOPSICOLOGIA, di Fabio Speziali



Fabrizio Speziali
L'ETNOPSICOLOGIA

    

Ciò che nell'analisi transculturale ed etnopsicologica può essere chiaramente rimesso in discussione è la credenza che il  nostro stato di coscienza ordinario sia in qualche modo normale e naturale; esplicitando definitivamente: "la natura costruttiva del nostro stato ordinario di coscienza" (Tart,1976).
Ogni cultura, infatti, struttura selettivamente certe possibilità delle esperienze della coscienza e le modella attraverso l'acculturazione; lo stato ordinario non è altro che un modo semiarbitrario di strutturare la coscienza, che facilita certe capacità adattive e inibisce lo sviluppo di altre potenzialità della coscienza umana. La rilevanza dello studio etnopsicologico degli ASC consiste appunto nella possibilità di cogliere tali potenzialità che gli stati altri rendono esperibili, come ben sanno le religioni estatiche.
Ciò che del resto stupisce in un'analisi interculturale diacronica e sincronica (all'interno della quale inserire anche e per prima la nostra stessa cultura), non è la presenza ma l'assenza di forme di alterazione della coscienza. E ciò stupisce ancora di più per il modo nel quale è stato sistematicamente ignorato da etnopsichiatri ed etnopsicoanalisti. L'alterazione rituale della coscienza è un'esperienza presente nel 90% delle società umane (Bourguignon, 1986) e può essere considerata parte del retaggio psicobiologico e precipuo bisogno di quell'"animale cerimoniale" che è l'uomo (Wittgenstein,1975).
Ed è anche per questo che il modello proposto non è una nuova, ma camuffata, forma di riduzionismo transpersonale, ma va invece in una direzione inversa a quella realizzata di solito da una metodologia riduzionista. Nel senso che bisogna riconoscere che mentre lo studio della coscienza e il riconoscimento della valenza terapeutica dei suoi stati altri è nella psicologia occidentale storia recente, le religioni estatiche ritualizzano terapeuticamente gli ASC da migliaia di anni (Peters, 1981), come risulta evidente dal divario fra la ricchezza terminologica del sapere tradizionale sugli stati di coscienza e la terminologia scientifica e nell'elevato livello di elaborazione e raffinatezza delle tecniche di induzione di ASC, rispetto alle quali metodologie occidentali come l'ipnosi risultano abbondantemente più grossolane.
E in virtù di ciò che si può cogliere l'estrema rilevanza dello sviluppo di modelli terapeutici integrati, vere e proprie contaminazioni interculturali di tecniche terapeutiche, come i lavori di. Nathan in Francia, di Collomb a Dakar, di Lambo in Nigeria e di Coppo in Mali, veri e propri laboratori sperimentali di etnopsicologia (Nathan, 1990; Coppo, 1988).
E ciò che in una dimensione ancora più ampia si apre, è la possibilità di un approccio esperienziale, nello studio etnopsicologico degli ASC, che configura così l'etnopsicologia come una <<scienza specifica a uno stato" (Tart, 1976). E questa una prospettiva largamente esplorata in meditazione e che solo recentemente ha prodotto alcuni esempi di etnopsicologia (vedi Harner, 1980; Peters, 1981; Konner, 1985; Walsh, 1 990; Ignacio, 1992).
Il problema, in un tale approccio, è quello di valutare la qualità della conoscenza che deriva dall'autosservazione di vissuti esperienziali, una dimensione che in passato, per una estrema ossessione di oggettività, la psicologia ha vissuto in maniera piuttosto problematica, in quanto il rischio è che ciò che si vede è in realtà ciò che si desidera vedere. Ma in virtù della imprescindibilità epistemologica della
reintegrazione dell'osservatore questa è una condizione che ormai la psicologia condivide con tutte le altre scienze. Anzi la piena consapevolezza delle proprie costruzioni e del fatto che ogni processo di osservazione è anche un processo di autoosservazione sembra essere una posizione ben più matura della circolarità viziosa di una metodologia oggettiva che dà per scontato ciò che in realtà deve dimostrare. Come dice Nietzsche, nella Gaia Scienza, continuare a sognare sapendo di sognare è pur sempre diverso dal sognare puro e semplice.
Sia ben chiaro che il senso di un approccio esperienziale non è quello di scimmiottare lo sciamano; il senso più opportuno di considerare tale approccio consiste nel comprendere che alla base delle tecniche tradizionali di induzione di ASC, vi sono precise tecniche psicofisiologiche del corpo (Mauss, 1965).Ed è proprio attraverso la concettualizzazione in termini di tecniche psicofisiologiche del corpo che l'etnopsicologia può aprirsi a un approccio esperienziale della fenomenologia antropologica degli ASC; come rileva Venturini (1982): <`questo elemento di pratica, di esperienza diretta e non solo di conoscenza è un fatto col quale la psicologia convenzionale deve confrontarsi, ritrovando una dimensione smarrita e una sua fondamentale caratteristica differenziale nei rapporti con le altre discipline scientifiche.
L'apertura al vissuto esperienziale diventa un modo per accogliere quanto in noi è stato del resto solo culturalmente rimosso, come la storia delle religioni del mondo classico ha ampiamente evidenziato e come fenomeni, per quanto decrepiti, come il tarantismo, di dionisiaca memoria, sembrano volerci ricordare a proposito della nostra eredità storica e biologica. La nostra è una cultura affermatasi moderna sulla base della normalizzazione della coscienza, come dice Lapassade (1980), sulla rimozione di Dioniso.
E dall'insegnamento che sappiamo trarre dalla riflessione su cosa ci è appartenuto prima della normalizzazione cattolica, che la considerazione del carattere di costruzione culturale del nostro stato di coscienza ordinario può diventare piena consapevolezza; e ciò non per proporre regressioni arcaiche compensatorie, ma per realizzare invece una più realistica conoscenza di quali siano le potenzialità effettive della nostra coscienza. Perché: <<la trance non è una semplice curiosità etnologica, un fenomeno marginale sopravvissuto in qualche società del terzo mondo, la trance è un modo di essere nel corpo" (Lapassade, 1980).
Le religioni estatiche, come sottolinea Peters (1981), sono nella storia dell'uomo la prima forma strutturata, con un contenuto simbolico e teorico e un repertorio di tecniche, di approccio alla sofferenza psichica, di utilizzo terapeutico di ASC e di sviluppo di potenzialità latenti, organizzate sulla base di una dimensione relazionale ecologica - nel senso più vasto del termine - fiduciosa.
È in virtù di tali contenuti, che lo studio etnopsicologico delle religioni estatiche aprendosi a una dimensione di pratica e di esperienza può <<operare affinché nuovi strati ed aree della corporeità possano venire integrati nel vissuto corporeo... fino al punto che, questi, come stenogrammi di un realtà transpersonale si rivelino capaci di offrire un accesso a significati, scenari, strutture abitualmente preclusi all'esperienza ordinaria>, (Venturini, 1989).
E se acquista la centralità della coscienza si rivela l'importanza della disciplina etnopsicologica per la psicologia tutta, in virtù del suo restituirci la ricchezza delle manifestazioni della coscienza, in una prospettiva ancora più ampia, che trascende ampiamente i confini della disciplina specialistica, è per l'uomo postmoderno, e per una sua crescita integrale e completa che la disciplina etnopsicologica diventa particolarmente significativa; perché, in definitiva, è a quest'ultimo che consegna la possibilità di riappropriarsi di quel pezzo ritrovato della propria esperienza che è la naturale tendenza ad esperire le molteplici forme non ordinarie della sua coscienza e l'autentica aspirazione a trascendere quei confini nei quali l'acculturazione ha frammentato l'esperienza.






Fonte :  http://www.neurolinguistic.com/proxima/james/jam-24.htm





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