Cardinale Giacomo Biffi , Arcivescovo di Bologna
UNA
RIFLESSIONE TEOLOGICA SUL DIALOGO
Dovendo avviare
una riflessione teologica è naturale procedere preliminarmente a una rapida
verifica circa la presenza del termine nel Nuovo Testamento. Con i risultati
seguenti: il sostantivo "diàlogos" è del tutto assente; il verbo "dialégomai"
compare tredici volte con diverso valore... Gesù usa abitualmente la forma
dell'asserzione autoritativa: "in verità (amen) vi dico"
(rafforzata nel quarto Vangelo: "In verità, in verità vi dico"). Quando poi si
confronta con i farisei e i dottori della legge (o i "Giudei" del quarto
Vangelo), più che una discussione nasce regolarmente un diverbio. Sicché non si
vede proprio come si possa presentare Gesù come l'antesignano del "dialogo" nel
senso moderno del termine. Verso la metà del nostro secolo la parola "dialogo"
nella mentalità comune diventa emergente e quasi mitica: il termine viene
caricato di sentimenti, di attese, di problematiche che la portano molto lontano
dalla sua valenza primitiva. Il fenomeno concerne soprattutto il discorso
religioso nel mondo cattolico...
In realtà a
sentire certi pronunciamenti sembrerebbe quasi che da taluno si sia identificato
nel "dialogo" l'intero contenuto della fede cristiana, sicché il "dialogare"
sarebbe già per se stesso obbedire alla missione fondamentale di predicare il
Vangelo... Il credente ha il "nous" di Cristo; cioè la sua mentalità, la sua
visione di Dio e dell'universo, la sua capacità di cogliere il senso di ogni
cosa entro il disegno del Padre. "Credere" vuol dire guardare la realtà con gli
occhi del Risorto...
Chi è investito
di questa luce superiore è in grado di contemplare il disegno che è stato
pensato e voluto per questo ordine di provvidenza. Chi invece ne è privo, non
cogliendo il disegno unificante di Dio, non può esaurire l'intelligibilità di
nessun esistente, perché ogni esistente in concreto è "vero" solo in quanto è
inserito nella "unitotalità" del progetto ed è finalizzato ad esso...
Senza dubbio,
ci possono essere colloqui e affinità di vedute circa i singoli esseri, e solo
in quanto sono opachi, frammentati, senza destino; ma non su ciò che davvero
conta e importa nella nostra vita. Per esempio, non sul significato
dell'universo, non sull'uomo che ha come sua indole propria di essere immagine
di Cristo, non sul matrimonio che è annuncio e figura del mistero sponsale che
connette la creazione al Creatore, non sull'amore, sulla giustizia, sulla
bellezza, e sul fondamento ultimo di questi valori. Ascoltare su questi temi i
discorsi di coloro che ignorano Cristo e la sua causalità esemplare e finale nei
confronti di ogni essere, è pressappoco come ascoltare i giudizi su
un'esecuzione musicale di chi fosse sordo dalla nascita o le disquisizioni di
chi è sempre stato cieco sul cromatismo di un maestro della pittura. Lo si può
anche fare, ma soltanto per ragioni di cortesia, senza alcuna speranza che i
"dialoghi" di questo genere abbiano esiti per qualche aspetto plausibili.
A questo
proposito è illuminante la dottrina di san Paolo, che ha affrontato il problema
nel secondo capitolo della prima lettera ai Corinzi, dove mette in opposizione
il credente e il non credente. La sua risposta è chiara, e la riportiamo senza
commenti: "Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio
per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non
con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito,
esprimendo cose spirituali in termini spirituali. L'uomo naturale (psychicòs)
non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è
capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito.
L'uomo spirituale (pneumaticòs) invece giudica ogni cosa...". È da notare che
l'impermeabilità alla luce dello Spirito può sussistere anche in persone che
sono "psichicamente" - cioè naturalmente, culturalmente, scientificamente -
molto dotate. Questo spiega come ci siano uomini intellettualmente acutissimi,
illustri pensatori, ricercatori e letterati insigniti del premio Nobel, che in
materia di religione, di antropologia, di etica enunciano dottrine e opinioni
che sono remotissime dalla verità e dalla saggezza. Mentre si potrà trovare
molta verità e molta saggezza in persone senza istruzione e senza notorietà;
persone alle quali lo Spirito di Dio si è compiaciuto di infondere
un'eccezionale capacità di vedere le cose nel loro senso ultimo e nel loro
valore. Dal momento poi che l'uomo davvero realizzato - cioè l'uomo secondo il
progetto di Dio - è l'uomo "pneumatico", cioè il credente, là dove c'è una
volontaria ed esplicita chiusura all'azione dello Spirito spesso si determina
anche un logoramento delle facoltà così dette "naturali". La perdita della fede
molte volte dà luogo a qualche scardinamento della ragione, che a sua volta
diviene premessa per qualche aberrante giustificazione di comportamenti lesivi
della dignità anche semplicemente umana. In particolare, non ci si può attendere
dai non credenti qualche comprensione sostanziale di quelle realtà che più
direttamente attengono al cuore del "mistero nascosto dai secoli in Dio",
mistero che adesso nell'atto di fede noi conosciamo "con ogni sapienza e
intelligenza". Per esempio, non ci si può aspettare che comprendano qualcosa
circa l'incarnazione del Figlio di Dio e la redenzione del mondo attraverso il
suo sacrificio; circa la vita intima di Dio come vita trinitaria; circa la
Chiesa, sposa del Signore risorto e suo "corpo", che cammina in questa nostra
storia di errori e di peccati senza sviarsi e senza contaminarsi; circa la
presenza del "Corpo dato" e del "Sangue sparso" sotto i segni eucaristici; circa
il valore del matrimonio indissolubile e della verginità consacrata; circa la
positività e anzi la preziosità del dolore. Chi è davvero e compiutamente "non
credente" è costituito, a proposito di questi discorsi, in uno stato di
analfabetismo quale che sia la sua forza speculativa naturale e l'ampiezza della
sua erudizione. Sulla terra dell'incredulità noi siamo dunque "stranieri e
pellegrini" e non dobbiamo cullarci nell'illusione che ci si possa intendere
facilmente con tutti...
Ma non per
questo dobbiamo sfuggire a ogni contatto e a ogni discorso che non sia tra
coloro che sono "illuminati". Si può e si deve sempre cercare di dialogare con
tutti, nella speranza di trovare qualche parziale concordanza di vedute e
qualche frammentario riconoscimento dei valori cristiani. Se li troveremo, non
potremo che rallegrarci. Ma sarà meglio persuadersi che non potrà essere troppo
facile, né troppo frequente la convergenza sia pure parziale tra coloro che
affermano e coloro che negano un disegno divino all'origine delle cose; coloro
che affermano e coloro che negano una vita eterna oltre la soglia della morte;
coloro che affermano e coloro che negano l'esistenza di un mondo invisibile, di
là dalla scena variopinta e labile di ciò che appare; coloro che credono e
coloro che non credono nel Signore Gesù, crocifisso e risorto, Figlio unico e
vero del Dio vivente, Salvatore dell'universo...
Nell'ipotesi
che anche nel "non credente" si possano dare spazi di luce e singole persuasioni
di origine "pneumatica" - cioè dovuti all'azione insindacabile e imprevedibile
dello Spirito - allora si può ancora sostenere la totale impossibilità e la
totale inutilità di un "dialogo"? La consapevolezza che l'ordine attuale di
provvidenza possiede una dimensione soprannaturale intrinseca e onnicomprensiva,
ci induce a pensare che nessun uomo di fatto esistente sia abbandonato entro i
confini della pura "naturalità". Ogni uomo appartiene al Signore Gesù prima
ancora di essere stato raggiunto e trasformato dal suo Spirito. Ogni uomo
riproduce in lui in qualche modo il suo volto prima ancora di partecipare alla
vita divina. Ogni uomo ha già dentro di sé il fondamento oggettivo di una sua
immancabile tensione e vicinanza al Figlio di Dio incarnato. Inoltre la verità
rivelata storicamente ha permeato e permea di sé ogni conoscenza umana e ogni
cultura, anche quella che con più tenacia si vuol qualificare "profana" o
"laica", cioè dichiaratamente lontana e indipendente da ogni visione cristiana.
Il detto famoso di Benedetto Croce "Non possiamo non dirci cristiani" è ambiguo,
serve alla confusione delle idee e favorisce il travisamento dell'avvenimento
evangelico. Però possiede una sua verità, nel senso che oggi non è possibile per
nessuno sottrarsi ai fermenti concettuali e spirituali della rivelazione. Questo
è particolarmente evidente per coloro che appartengono alla nazione italiana e
sono fatalmente segnati dalla sua tradizione, dal suo patrimonio letterario e
artistico, dalla sua civiltà...
Infine non è da
sottovalutare la libera azione illuminante che è propria dello Spirito Santo. Le
intelligenze umane, anche se di solito non arrivano a percepirlo, sono spesso "pneumatizzate"
quando si pongono sinceramente al servizio della verità. Tutto ciò è enunciato
dal celebre aforisma caro a san Tommaso: "Ogni verità, da chiunque sia detta,
proviene dallo Spirito Santo". È un'affermazione ai nostri fini molto preziosa,
perché riconosce non solo l'esistenza di un irradiamento "pneumatico" che va ben
oltre l'area dell'appartenenza ecclesiale, ma anche che possiamo e dobbiamo
ascoltare ogni parola di luce, una volta riconosciuta come tale, da qualsiasi
bocca venga pronunciata...
La risposta al
problema se sia o no possibile un dialogo tra il credente e il non credente è
una risposta dialettica: interagiscono fattori diversi, nessuno dei quali può
essere trascurato. Non c'è alcuna possibilità di "dialogo" tra la fede e
l'incredulità, considerate come atteggiamenti mentali e spirituali totalmente
estranei e tra loro antitetici. Del resto, dall'incredulità come tale - intesa
come piena negazione di ogni rapporto con Cristo - non abbiamo niente da
prendere o da imparare. Il non credente invece può farsi portavoce inconsapevole
dello Spirito; nel qual caso noi ci dobbiamo porre in ascolto. Questo non vuol
dire che tutto ciò che egli proferisce provenga "a Spiritu Sancto". Dallo
Spirito Santo proviene soltanto ciò che è "verum", vale a dire, ciò che è
consonante col disegno del Padre e con il Vangelo di Cristo. Si rende perciò
necessario un atteggiamento vigile, che sappia accuratamente esaminare e
vagliare. In conclusione, tutta la riflessione sul "dialogo" va preservata da
ogni faciloneria e da ogni leggerezza, perché la posta in gioco è altissima e la
questione è seria: ci può essere il rischio, con una spensierata apertura
scambiata per generosità, di non riconoscere più Cristo come l'unico maestro di
vita e l'unico salvatore dell'uomo; ma ci può essere anche il rischio, in nome
di una improvvida intransigenza dottrinale, di disimparare ad amare: ad amare
tutti gli uomini senza eccezione, i quali per il fatto di essere stati creati,
sono chiamati ad aver parte alla gioia divina e restano sempre immagini vive
dell'unico Signore dell'universo.
Fonte : http://www.paginecattoliche.it/Biffi_Suldialo.htm
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