CREAZIONE DIVINA E CREATIVITA' DELLA NATURA :
DIO E L'EVOLUZIONE DEL COSMO
di Mariano Artigas
1. Una nuova cosmovisione
2. Creatività naturale ed azione divina
3. Evoluzione e auto-organizzazione
4. Argomenti teleologici
5. La contingenza dell'ordine naturale
6. Contingenza e piano divino
7. Natura e persona umana
Per la prima volta
nella storia oggi possediamo una cosmovisione scientifica completa e
rigorosa. Nel dire che è completa non pretendo affermare che sappiamo tutto
sulla natura, al contrario, quanto più progredisce la scienza, più scopriamo la
vastità di ciò che rimane da conoscere. Voglio dire che la scienza attuale ci
fornisce conoscenze fondate su tutti i livelli della natura, da quello
microfisico delle particelle sub-atomiche, dove abbiamo a che fare con grandezze
dell'ordine di 10–15 cm, fino a quello macrofisico delle stelle e
delle galassie, con estensioni dell'ordine di 1027, passando tra gli
esseri di dimensioni medie del mesocosmo, dove ci sono i viventi e l'essere
umano. Conosciamo, inoltre, molte relazioni importanti tra i diversi livelli
della realtà.
In quest'immagine
della natura occupano un posto importante i concetti di dinamismo,
modellizzazione e informazione. Oggi sappiamo che non esiste una materia
puramente passiva ed inerte. La materia è dotata di un dinamismo proprio a tutti
i livelli, e ciò che si manifesta come materia inerte è il risultato di
equilibri dinamici. Inoltre, il dispiegarsi del dinamismo naturale si realizza
secondo determinati modelli. Il dinamismo naturale è immagazzinato in strutture
spaziali e si dispiega seguendo alcuni schemi o modelli. Il concetto di
modellizzazione è determinante in questo contesto. Nella natura non ci sono solo
dei modelli (patterns), ma tutto è articolato intorno a modelli. La
scienza cerca e acquista una conoscenza sempre più dettagliata di questi
modelli, ossia strutture spaziali e temporali che si ripetono.
Se passiamo dallo studio
sincronico della natura, com'è al presente, allo studio diacronico della sua
evoluzione, ci imbattiamo non solo in modelli già esistenti, ma nella
progressiva formazione di nuovi modelli. È il fenomeno della modellizzazione (patterning).
Dinamismi diversi possono coincidere per dar luogo ad un nuovo tipo di
strutturazione e di dinamismo, prima non esistente. I dinamismi, come i modelli
spaziali e temporali, si possono integrare reciprocamente, per dare origine a
nuove entità, proprietà e processi. Per spiegare la modellizzazione è utile il
concetto di informazione.
Un tipico esempio di
informazione è l'informazione genetica contenuta nel DNA. Si tratta di una
macromolecola la cui struttura spaziale contiene, codificata, l'informazione
necessaria per la formazione e il funzionamento di un organismo. I viventi
iniziano la loro esistenza come un'unica cellula nella quale si trova tutta
questa informazione genetica, dalla quale, per successive replicazioni e
differenziazioni, si formano i diversi tipi di cellule costituenti l'organismo
pluricellulare. La formazione di queste cellule differenziate, come la loro
distribuzione nelle diverse parti dell'organismo che man mano si sviluppa, è
regolata dall'informazione genetica.
Una natura in cui si
formano nuovi modelli è una natura creativa, poiché produce tipi di esseri
che prima non esistevano. Questa creatività naturale non si oppone all'azione
divina, come se la natura e Dio fossero in concorrenza. Si tratta piuttosto di
azioni complementari. La creatività naturale si spiega come il risultato del
dispiegamento e delle interazioni dei diversi dinamismi esistenti in natura,
vale a dire, è il dispiegarsi dell'informazione contenuta nelle strutture
naturali. La scienza fornisce spiegazioni sempre più profonde di questa
creatività, ma il fatto che esistano le condizioni che la rendono possibile
rimanda all'azione di una causa trascendente, che dà l'essere a tutto ciò che
esiste in natura. Inoltre, la natura in mezzo alla quale viviamo mostra un
carattere straordinariamente specifico: il suo dinamismo rende possibile
l'esistenza di entità e di processi enormemente sofisticati, che consentono
l'apparire di un essere razionale come l'essere umano. L'informazione
naturale è razionalità materializzata, in quanto orienta la produzione di
molti risultati che sono razionali, perché impiegano mezzi per il raggiungimento
di fini e con modalità molto sofisticate. La biologia molecolare fornisce molti
esempi, in continuo aumento con il progredire della scienza. Per di più, la
razionalità umana poggia su una base naturale, e anche in questo senso si può
dire che la natura è razionale.
Solo Dio può essere la
fonte assoluta dell'essere e dell'operare. Il dinamismo naturale ed i suoi
risultati sono limitati e non hanno in se stessi la spiegazione o ragione
assoluta della loro esistenza e del loro modo di essere. La natura rimanda al
suo fondamento ultimo, che è la libera azione divina. Solo l'Essere per sé può
dare ragione adeguata dell'essere limitato e contingente. Non esiste
contrapposizione, ma complementarietà, tra l'attività naturale e l'azione
divina. Molti equivoci e confusioni derivano dal non accorgersi di questa
complementarietà. Talvolta l'azione naturale e l'attività divina vengono
contrapposte, come se fossero realtà che si escludono, senza avvertire che la
natura non potrebbe esistere senza l'azione divina, e che Dio rende possibile
l'esistenza e il manifestarsi delle meravigliose potenzialità che Egli stesso ha
posto nella natura. La complementarietà si esprime in modo adeguato con i
concetti classici di Causa Prima e cause seconde. Solo qualche
volta la Causa Prima può sostituirsi alle cause seconde, e in questo caso si ha
un miracolo, ma di solito ciò non avviene, perché Dio stesso ha dato alle cause
seconde la capacità di agire, e desidera rispettarle.
Il miracolo è,
ovviamente, qualcosa di soprannaturale, anche se si tende a pensare che, se non
avvenissero dei miracoli, la natura seguirebbe il suo corso indipendentemente
dall'azione divina. Ma non è così. Non esiste un corso naturale degli eventi
indipendente dall'azione divina. Tutti i processi naturali, in ciascuno dei
loro stadi ed aspetti, esigono un'azione divina fondante posta in un altro
ordine, diverso dall'ordine dalle cause seconde naturali: l'ordine dell'azione
divina fondante, che dà l'essere e rende possibile l'agire di quanto esiste in
natura. Quindi la creatività naturale si integra con la creatività divina.
Nulla dovrebbe portare a
considerare l'evoluzione come qualcosa di opposto all'azione divina. Al
contrario, l'evoluzione si può considerare come il modo che Dio ha voluto
utilizzare per dare l'esistenza a quanto esiste nel mondo, utilizzando canali
naturali, la cui potenzialità dipende dai piani della sapienza divina e
dall'azione divina fondante. In questo contesto acquista particolare rilievo una
definizione di natura, proposta da san Tommaso in modo quasi incidentale nel
commento ad un testo di Aristotele. Osserva Tommaso d'Aquino che «la natura non
è altro che il piano di un Artista, e di un Artista divino, iscritto all'interno
delle cose, grazie al quale si muovono verso un fine determinato, come se il
costruttore di una nave potesse fornire ai pezzi di legno la capacità di
muoversi da sé per la produzione della forma della nave»2.
Nel secolo XIII questo modo di esprimersi era solo metaforico, mentre oggi
sappiamo che la metafora si riferisce ad un processo reale.
In effetti, la metafora
più adeguata per designare l'attuale cosmovisione scientifica è l'auto-organizzazione;
è l'idea di san Tommaso presa alla lettera. Le particelle subatomiche hanno un
dinamismo che permette loro di unirsi, formando prima nuclei di atomi, poi atomi
completi. Le leggi che governano questa morfogenesi sono specifiche. Una, molto
semplice ma di grande rilievo, è il principio di esclusione, formulato dal
fisico Wolfgang Pauli nella decade del 1920, per cui due fermioni che
appartengono allo stesso sistema non possono trovarsi nel medesimo stato
quantico. Gli elettroni sono fermioni (particelle che seguono la statistica di
Fermi-Dirac). L'applicazione di questo principio porta alla distribuzione degli
elettroni periferici in diversi strati e in livelli ben determinati: dall'atomo
di idrogeno, che ha solo un elettrone intorno al nucleo, fino a quello di
uranio, che ne ha 92, si ottengono i 92 tipi di atomi esistenti in natura. Il
principio di esclusione può essere considerato come un principio diauto-organizzazione,
perché indica come si organizzano gli elettroni periferici degli atomi secondo
il loro dinamismo proprio. Il principio, quindi, spiega le proprietà
fondamentali dei diversi tipi di atomi e molte caratteristiche dei composti di
atomi (molecole, macromolecole, ecc.), che dipendono dalle proprietà degli
elettroni periferici degli atomi.
Una natura capace di
auto-organizzarsi nel modo che conosciamo ha un dinamismo specifico a livello
fisico-chimico, in grado di fornire la base della struttura e della funzionalità
dei viventi. A livello biologico, questo dinamismo è munito di una sorprendente
complessità organizzativa. Tutto funziona, in ultimo termine (semplificando un
po'), sulla base di pochi elementi che si combinano in modi molto funzionali:
tre particelle subatomiche (protone, neutrone, elettrone) forniscono la base
della materia ordinaria; 92 atomi sono gli elementi basilari della natura; 20
aminoacidi sono i componenti delle proteine; 4 nucleotidi sono i blocchi
basilari del DNA. In tutti questi casi, la strutturazione e le interazioni di
tali componenti producono una meravigliosa varietà di risultati, fino ad
arrivare all'organismo umano.
Alla luce dell'attuale
cosmovisione scientifica, la base degli argomenti teleologici a sostegno del
passaggio dalla natura a un Dio personale che l'ha creata e la mantiene nel suo
essere e nella sua attività, rimane ampliata e rinforzata. Senza dubbio, ogni
argomento teleologico implica una riflessione filosofica. Il passaggio dalla
natura a Dio non è automatico. Dall'antichità ai nostri giorni questa
argomentazione è particolarmente semplice ed efficace per lo spirito umano e si
è ripetutamente sostenuto che il progresso scientifico l'ha invalidata. Queste
mie riflessioni dimostrano però che non è così. Nell'epoca moderna la teleologia
è stata sottoposta a numerose e dure critiche, che devono essere tenute in
considerazione per valutarne adeguatamente gli argomenti. La scienza attuale,
tuttavia, dà piuttosto un nuovo sostegno al fondamento empirico del ragionamento
teleologico.
Un ruolo importante, e
una novità nel pensiero moderno, ha avuto il progresso verificatosi in biologia.
Per molto tempo, lo sviluppo della scienza empirica moderna e della relativa
epistemologia è stato legato alla fisica. All'epoca della nascita e dello
sviluppo iniziale della scienza moderna, nel Seicento e Settecento, il
meccanicismo sembrava escludere ogni riferimento alla finalità naturale. Le
teorie evoluzionistiche dell'Ottocento sembravano escludere la finalità
dall'ultima possibilità che rimaneva, cioè dall'ambito dei viventi. L'ulteriore
sviluppo della fisica e della chimica hanno, invece, reso possibile un grande
progresso della biologia che, come nell'antichità ma ora con un rigoroso
fondamento scientifico, torna ad essere al centro delle scienze naturali e,
quindi, della riflessione filosofica sulla natura. Il mondo dei viventi è pieno
di dimensioni teleologiche o finaliste. Talvolta, per evitare le implicazioni
teologiche della teleologia, si parla di teleonomia o si nega la
rilevanza della finalità, ma i concetti finalistici riemergono con più forza con
il progresso della biologia. Quando gli scienziati spiegano i risultati delle
loro ricerche, spesso devono ricorrere a concetti non solo finalistici, ma
addirittura antropomorfici.
Si potrebbe obiettare che
nel mettere insieme, come sto facendo, la cosmovisione scientifica con l'azione
divina si corre il rischio di un concordismo destinato ad essere superato
dall'ulteriore progresso scientifico. La storia confermerebbe quest'obiezione.
Anche l'immagine del mondo ricavata dalla fisica classica fu messa in relazione
con l'azione divina, ma fu poi superata dallo sviluppo delle scienze.
Ovviamente, nessuna
immagine scientifica del mondo può essere messa in relazione diretta con
l'azione divina, come se fosse l'unica espressione o conseguenza possibile.
L'azione divina è libera e non è limitata da nulla all'infuori di Dio. Sembra
un'eco dell'argomentazione che Urbano VIII desiderava fosse accolta ed accettata
da Galileo per salvare la trascendenza e l'onnipotenza di Dio. In quest'atteggiamento,
come nello strumentalismo del Bellarmino, si è visto una posizione coerente con
la moderna filosofia della scienza, che insiste sulla subordinazione delle
teorie ai dati empirici: nessun insieme di dati empirici implica l'accettazione
di una teoria o prova che sia vera in modo completo e definitivo.
Non sappiamo con certezza
se Galileo pensava di disporre di prove decisive a favore dell'eliocentrismo.
Ciò che, però, dobbiamo sapere è che la sua ricerca della verità e di
dimostrazioni valide era fondamentalmente corretta. Questo atteggiamento ha reso
e continua a rendere possibile il progresso delle scienze. Senza dubbio,
dobbiamo rinunciare al razionalismo che cerca o pretende di aver raggiunto una
conoscenza assolutamente completa, il che è fuori dalle nostre possibilità. La
nostra conoscenza è sempre parziale e limitata. Possiamo però arrivare a
conoscenze vere e certe, sia pure parziali, approssimative ed in grado di essere
perfezionate.
Questo vale nella
scienza. Forse tra venti o quarant'anni le particelle subatomiche saranno
conosciute in un modo diverso da oggi, ma, anche in questo caso, le nuove teorie
non dovranno dimenticare quanto è stato già confermato. Qualcosa di simile
avviene anche al di fuori della scienza empirica. Pur consapevoli che l'attuale
cosmovisione è parziale e perfettibile, sappiamo tuttavia che gli aspetti
fondamentali, di cui abbiamo parlato, esistono veramente nella realtà. Non sto
promovendo un nuovo concordismo adatto alle nostre circostanze. Mi limito a
segnalare alcune conoscenze scientifiche ben fondate, per riflettere sul tipo di
relazione che hanno con l'azione divina. Non ho difficoltà ad ammettere che
quanto oggi afferma la scienza non è una verità assoluta, perché spiega una
situazione concreta dell'ordine naturale che è sempre contingente. Possiamo
attingere conoscenze certe e prove autentiche nella misura in cui l'ordine
naturale ha alcuni elementi di necessità. Il successo della scienza empirica
dimostra che ve ne sono a sufficienza, ma si tratta solo di una necessità
fisica, ossia di una stabilità non assoluta dell'organizzazione della natura.
Forse viviamo in un
angolo dell'universo particolarmente organizzato e in un'epoca privilegiata. È
possibile. Ma l'ordine naturale che ci circonda e del quale formiamo parte ci
fornisce un fondamento molto appropriato del pensiero teologico. Il disordine
fisico e le limitazioni naturali inerenti ad una cosmovisione evolutiva non sono
un ostacolo; risultano anzi comprensibili se ammettiamo che Dio rispetta
l'attività naturale e conta su di essa per realizzare il piano creatore.
Non dovremmo
rappresentarci gli effetti dell'azione divina in un modo troppo “tranquillo”. Il
rispetto per l'attività naturale implica che le cause naturali ordinariamente
dispiegheranno le loro energie senza evitare gli effetti collaterali, che
potrebbero essere contrari alle tendenze di altri esseri. Le catastrofi, grandi
e piccole, sono componenti naturali di questo piano. La diversità degli esseri
significa che, spesso, le diverse tendenze non possono essere riconciliate.
Questi aspetti potrebbero aiutarci a comprendere meglio la funzione che il male
fisico può avere nei piani di Dio. Di fatto, il disordine può avere un ruolo
molto importante nello sviluppo complessivo della natura, sì che Dio può
permettere diversi tipi di disordine proprio per stimolare l'ulteriore sviluppo.
La cosmovisione attuale
sottolinea l'importanza della contingenza, poiché ogni risultato è visto come il
risultato di molte coincidenze. La novità e la diversità non sono un'eccezione,
ma piuttosto la regola. L'imprevedibilità ormai fa parte dei temi scientifici
più classici. Certamente, quando parliamo d'imprevedibilità non ci riferiamo a
Dio, la cui conoscenza è al di fuori delle categorie dello spazio e del tempo, e
la cui onnipotenza contiene tutto il reale, come causa prima.
Mi sembra interessante
mettere in risalto l'enfasi di Thomas Torrance sul concetto di “ordine
contingente”, come una delle idee cristiane più stimolanti per lo sviluppo della
scienza sperimentale3. Ricordo
anche l'enfasi di Wolfhart Pannenberg sul ruolo della contingenza come ponte tra
la natura e l'azione divina nella storia. Pannenberg rileva acutamente che le
cosiddette “leggi della natura” non rispecchiano delle regolarità esatte, perché
gli avvenimenti naturali non si ripetono mai esattamente4.
Perciò, scrive Ted Peters nell'introduzione ad una raccolta di saggi di
Pannenberg: «La continuità di questa creazione può essere caratterizzata come la
continuità di una storia di Dio che si compromette con la sua creazione. Questa
continuità storica si unisce alla continuità espressa nelle regolarità dei
processi naturali: mentre la descrizione di queste regolarità, nella forma di
“leggi naturali”, prescinde dalle condizioni contingenti della loro
realizzazione, la continuità storica comprende invece la contingenza degli
eventi e l'emergere delle regolarità. In questo modo, la categoria della storia
dà una descrizione più completa dei processi continui della natura»5.
L'ordine naturale è
contingente poiché è il risultato di circostanze singolari. La natura, però, ha
molta organizzazione, direzionalità, sinergia (cooperatività) e attività
complesse. Il che è coerente con l'attività “continua” della sapienza divina.
La discussione sulla
contingenza porta a chiederci: come possiamo armonizzare l'esistenza di un piano
divino con l'evoluzione, che implica una non piccola dose di caso?
Il problema di solito è
presentato in forma più diretta: esiste una direzione nell'evoluzione? Se la
risposta è negativa, la domanda successiva è: come possiamo mettere insieme la
mancanza di direzionalità nell'evoluzione con l'esistenza di un piano divino che
governa il mondo naturale?
Non dovrebbe essere un
problema associare l'evoluzione all'esistenza di un piano divino, poiché Dio
trascende le nostre categorie e non è limitato ad agire in un modo particolare.
Le difficoltà nascono spesso dall'idea erronea di pensare che un piano divino
dovrebbe produrre una catena di eventi, che porti a riconoscere l'esistenza di
una relazione necessaria tra essi, come se l'esistenza di un piano divino
dovesse implicare una spiegazione deterministica della natura che, ovviamente,
contraddice la contingenza.
L'esistenza di una forma
di contingenza naturale compatibile con il piano divino non è una novità in
teologia. Nel commento alla Metafisica di Aristotele, Tommaso d'Aquino
risponde a coloro che sostengono che in natura tutto accade per necessità. Egli
ammise l'esistenza del caso nella natura, pur affermando la sua compatibilità
con l'esistenza di una provvidenza divina che governa tutto il mondo naturale.
Dio è la causa prima da cui tutto dipende nel suo essere, ma Egli non impone lo
stesso tipo di necessità su tutti gli effetti creati: Dio fa sì che alcuni
effetti avvengano in modo necessario, altri in un modo contingente6.
Ovviamente, Tommaso d'Aquino
non si riferiva all'evoluzione, ma la sua idea è importante. Di fatto, l'azione
di Dio è l'azione della Prima Causa che estende la sua influenza, come
fondamento del medesimo essere, su tutte le creature e su qualsiasi loro
aspetto; quindi, la contingenza dei fatti particolari non contrasta con l'azione
di Dio. Piuttosto è Lui a rendere possibile la produzione di fatti contingenti.
Tendiamo a concepire i piani e l'attività di Dio secondo il nostro agire, ma
questa analogia ha i suoi limiti. Tutto dipende dall'attività di Dio, ma ciò non
significa che tutto abbia lo stesso tipo di necessità.
Che Dio governi il mondo
non significa che la natura si comporti in un modo completamente ordinato,
secondo i nostri criteri. Perciò non è valida l'affermazione che i fatti
evolutivi contingenti e il carattere opportunista degli adattamenti evolutivi
sarebbero incompatibili con un piano divino. Al contrario, l'esistenza di molti
fatti contingenti si adatta molto bene all'azione di un Dio che rispetta il modo
di essere e di operare delle sue creature, perché Lui stesso l'ha ideato e
voluto.
Del resto, il caso
contenuto nell'evoluzione opera all'interno di un complesso di condizioni che
impongono una certa direzionalità. Christian de Duve ha affermato che «il caso
non operò nel vuoto. Agì in un universo governato da leggi precise e costituito
da una materia dotata di proprietà specifiche. Queste leggi e queste proprietà
pongono un limite alla roulette evolutiva e limitano i numeri che possono
uscire»7.
Stephen Jay Gould
sottolinea giustamente come il cammino evolutivo che ha condotto all'esistenza
degli esseri umani include molti eventi accidentali8.
Il che, però, non è incompatibile con l'esistenza di un piano divino. Alcuni
commenti del premio Nobel Christian de Duve sono interessanti: egli propone come
una via intermedia tra altri due premi Nobel: il determinista Albert Einstein e
il casualista Jacques Monod. De Duve, riprendendo la spiegazione neo-darwinista
dell'evoluzione, che accetta, aggiunge che il caso opera all'interno di un
complesso di condizioni limitanti e che «messi di fronte all'enorme somma di
partite fortunate esistenti dietro il successo del gioco evolutivo, sarebbe
legittimo chiedersi fino a che punto questo successo è iscritto nella fabbrica
dell'universo. Ad Einstein, che in una certa occasione affermò che “Dio non
gioca ai dadi”, si potrebbe rispondere: “Sì, gioca, poiché Egli è sicuro di
vincere”. In altre parole, può esserci un piano. Ed esso iniziò con la grande
esplosione o “big bang”. Lo stesso punto di vista lo condividono alcuni, ma non
altri. Lo scienziato francese Jacques Monod, uno dei fondatori della biologia
molecolare e autore di Il caso e la necessità , pubblicato nel 1970,
difendeva l'opinione contraria: “il nostro numero”, scriveva, “è uscito al
casinò di Monte Carlo”. E aggiungeva: “l'universo non era impregnato di vita, né
la biosfera portava l'uomo al suo interno”. La sua conclusione finale rifletteva
l'esistenzialismo stoicamente (e romanticamente) disperante che conquistò gli
intellettuali francesi della sua generazione: “l'uomo sa ora che è solo
nell'immensità indifferente dell'universo, da cui è emerso per caso”. Il che è,
indubbiamente, assurdo. L'uomo non ha nulla a che vedere con questa tesi. Quello
che sa — o almeno, dovrebbe sapere — è che, con il tempo e con la quantità di
materia disponibile, nemmeno qualcosa che assomigli alla cellula più elementare,
per non riferirci all'uomo, avrebbe potuto originarsi da un caso cieco se
l'universo non l'avesse già portato al suo interno»9.
De Duve conclude, come scienziato vicino al filosofo, che il pensiero evolutivo
è compatibile con l'esistenza di un piano divino e suggerisce indizi che portano
ad ammettere l'esistenza di un simile piano.
L'attuale cosmovisione
offre una nuova comprensione delle vie seguite dall'evoluzione, aggiungendo alla
concezione classica quella dell'auto-organizzazione. Questa nuova prospettiva è
ancora agli inizi, ma ha già aperto nuovi orizzonti, che probabilmente si
amplieranno grazie ad ulteriori progressi scientifici. La combinazione di caso e
di necessità, di variazione e di selezione, insieme alle potenzialità
dell'auto-organizzazione, possono essere facilmente viste come il cammino
seguito da Dio per causare il processo dell'evoluzione. Dadi truccati, un
universo impregnato di vita e di esseri umani, potenzialità specifiche, sono
concetti e metafore che mostrano che si può combinare l'azione divina
architettata da Dio con l'azione delle cause naturali. Carsten Bresch porta un
altro paragone. Immagina un pilota che col suo aereo è sul Polo Nord e decide la
rotta in modo aleatorio, utilizzando una roulette: qualsiasi direzione segua, un
giorno o l'altro arriverà al Polo Sud (a condizione che non torni indietro)10.
Questo paragone mostra che le condizioni limitanti possono rendere comprensibile
la direzionalità dell'evoluzione.
Possiamo concludere che
l'evoluzione può essere associata al piano divino, anche se il processo
evolutivo include avanzamento ed errori, poiché non c'è un motivo per
caratterizzare il piano divino come necessariamente monolineare, ossia sempre
progressivo e vantaggioso per tutte le creature da ogni punto di vista. D'altra
parte, come abbiamo visto, l'esistenza di eventi casuali nella catena evolutiva
è compatibile con l'esistenza di una direzionalità nell'evoluzione.
Il progresso scientifico
fornisce importanti spunti per conoscere la nostra stessa natura, in quanto
manifesta le capacità del soggetto che costruisce la scienza.
La natura non parla.
Costruiamo linguaggi molto sofisticati per porre domande alla natura e per
interpretare le risposte fornite dal nostro interlocutore muto. Ciò dimostra
che, nonostante siamo parte della natura, allo stesso tempo la trascendiamo.
Non esistono metodi
automatici per acquistare nuove conoscenze scientifiche. Dobbiamo mettere in
gioco la nostra capacità di creatività e di interpretazione, dobbiamo formulare
nuove ipotesi, pianificare esperimenti per metterli alla prova, interpretarne i
risultati, valutare le ipotesi.
La creatività
scientifica è una prova della nostra singolarità. Dimostra che abbiamo
dimensioni che trascendono l'ambito naturale e che si possono definire
spirituali. L'esistenza e il progresso della scienza naturale sono tra i
migliori argomenti per dimostrare le dimensioni spirituali dell'essere umano.
Allo stesso tempo, la creatività dimostra che queste dimensioni fanno parte,
insieme a quelle materiali, di un unico essere che è contemporaneamente
materiale e spirituale.
La cosmovisione evolutiva
non si oppone alla spiritualità umana. L'agnostico Karl Popper vede le funzioni
descrittive ed argomentative del linguaggio, necessarie per l'esistenza ed il
progresso della scienza sperimentale, come un risultato dell'evoluzione, ma
considera questo risultato enormemente misterioso e aggiunge che l'evoluzione
non può essere una spiegazione ultima: «Ora voglio mettere in rilievo quanto
poco significhi dire che la mente è un prodotto emergente dal cervello. Ciò non
ha praticamente nessun valore esplicativo ed equivale a stento a qualcosa di più
che mettere un punto interrogativo ad un certo stadio dell'evoluzione umana.
Tuttavia ritengo che ciò sia tutto quello che possiamo dire a questo proposito
da un punto di vista darwiniano (…) L'evoluzione non può certo essere assunta in
nessun senso come una spiegazione definitiva. Dobbiamo trovare un accordo con il
fatto che viviamo in un mondo in cui quasi tutto ciò che è molto importante
rimane essenzialmente inesplicato»11.
In effetti, se si pensa
all'evoluzione come una spiegazione ultima, tutto resta senza spiegazione. Con
questo non intendo negare l'importanza della prospettiva evolutiva. L'evoluzione
non spiega completamente i problemi riguardanti la singolarità degli esseri
umani. Questi problemi diventano perfino più acuti, poiché l'evoluzione implica
uno sviluppo alquanto misterioso delle capacità di conoscenza e della loro base
biologica.
Di fatto, la scienza
sperimentale acquista tutto il suo senso quando la si considera nel suo aspetto
più fondamentale, come un'attività umana volta all'acquisizione di una
conoscenza della natura che possa essere utilizzata per un dominio controllato.
La ricerca della verità e il servizio all'umanità sono i due grandi valori,
connessi, di ogni attività scientifica.
La ricerca della verità è
un valore umano fondamentale. Giovanni Paolo II, con poche parole dense di
contenuto filosofico, ha scritto: «Si può definire, dunque, l'uomo come colui
che cerca la verità »12. In
questo senso il progresso scientifico dà indicazioni importanti sulla capacità
umana di ricercare la verità e, pertanto, sulla stessa natura umana.
In un altro passaggio
dell'enciclica Fides et ratio che potrebbe passare inosservato, anche se
è all'inizio, si legge analogamente: «sia in Oriente che in Occidente, è
possibile ravvisare un cammino che, nel corso dei secoli, ha portato l'umanità a
incontrarsi progressivamente con la verità e a confrontarsi con essa. È un
cammino che s'è svolto — né poteva essere altrimenti — entro l'orizzonte
dell'autocoscienza personale: più l'uomo conosce la realtà e il mondo e più
conosce se stesso nella sua unicità, mentre gli diventa sempre più impellente la
domanda sul senso delle cose e della sua stessa esistenza»13.
Un essere capace di
ricercare la verità, di trasformare questa ricerca in un valore essenziale della
sua esistenza, e di giudicare che grado di verità ha raggiunto in ogni caso
concreto, è un essere posto ad un livello superiore rispetto al resto della
natura, pur facendone parte. In questo modo, il progresso scientifico e la
corrispondente creatività forniscono uno dei migliori argomenti per convalidare
la capacità conoscitiva dell'essere umano e la sua stessa natura. Non ha senso
pretendere di dimostrare con argomenti scientifici che l'essere umano non è
altro che un essere naturale tra tanti. L'esistenza e il progresso della scienza
sperimentale presuppongono, come condizione necessaria, che esista un soggetto
capace di elaborarla, un essere dotato di una capacità unica di creatività e di
interpretazione. La creatività umana è come un ponte tra la creatività
naturale e quella divina: grazie alla partecipazione alla creatività divina,
la persona umana può conoscere la creatività naturale e, allo stesso tempo, può
autoconoscersi ed orientare il sapere verso la pienezza di conoscenza e di amore
alla quale è destinata nel disegno di Dio.
Note:
(1) Facultad
Eclesiástica de Filosofía. Universidad de Navarra (Spagna).
(2) Tommaso d'Aquino,
In octo libros Physicorum Aristotelis Expositio, Marietti Torino-Roma
1965, II, c. 8, l. 14, 268: «Unde patet quod natura nihil est aliud quam ratio
cuiusdam artis, scilicet divinae, indita rebus, qua ipsae res moventur a finem
determinatum: sicut si artifex factor navis posset lignis tribuere, quod ex se
ipsis moverentur ad navis formam inducendam» (Ndc: la traduzione italiana
è nostra).
(3) Cfr. Thomas
F. Torrance, Divine and Contingent Order, Oxford University Press, Oxford
1981.
(4) Si veda
Wolfhart Pannenberg, Towards a Theology of nature. Essays on Science and
Faith, Westminster-John Knox Press, Louisville (Ky) 1993; in particolare
“Contingency and Natural Law”, pp. 72–122.
(5) Ted Peters,
“Editor's Introduction: Pannenberg on Theology and Natural Science”, in Wolfhart
Pannenberg, Towards a Theology of Nature, cit., p. 22.
(6) Cfr. Tommaso
d'Aquino, In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis Expositio,
Marietti, Torino-Roma 1964, VI, c. 3, l. 3, 1191–1222.
(7) C. de Duve,
La célula viva, Labor, Barcelona 1988, 356–357.
(8) Stephen Jay
Gould, “L'evoluzione della vita sulla terra”, Le Scienze, 316 (dicembre
1994), pp. 65–72.
(9) C. de Duve,
La célula viva, cit., 357.
(10) Cfr.
Rainer Isak, Evolution ohne Ziel? Ein interdisziplinären Forschungsbeitrag,
Herder, Freiburg im B. 1992, p. 380.
(11) Karl R.
Popper – John C. Eccles, L'io e il suo cervello, Armando, Roma 1981, p.
669.
(12) Giovanni
Paolo II, Lettera enciclica Fides et ratio (14 settembre 1998), n. 28.
(13) Ibidem,
n. 1. La traduzione spagnola si discosta leggermente dal testo originale. In
essa, infatti, si perde una sfumatura importante, presente invece nei testi
polacco, latino, italiano, inglese, francese, tedesco e portoghese. Su questo
punto si veda Miroslaw Karol, "Fides et ratio nº 1: ¿cuál es el texto
correcto?", Anuario Filosófico 32 (1999) 689-696.
Fonte: http://www.unav.es/cryf/dioelanatura5.html
Mariano Artigas:
Ponencia presentada en el Simposio Dio e la natura celebrado en la Pontificia Università della Santa Croce (Roma), marzo de 2001 ; Publicada en Dio e la natura, a cura di R. Martínez e J. J. Sanguineti, Armando, Roma 2002, pp. 73-84.
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