IL CANTO NELLA LITURGIA
di Giacomo Baroffio
Perché si canta nella liturgia? A questa domanda è possibile dare varie risposte. "Cantiamo perché ci piace cantare" oppure "Cantiamo per rendere più vivace e solenne la liturgia". Queste e altre affermazioni sono legittime, ma non toccano il cuore del problema. Nella liturgia cantiamo perché siamo innamorati di D-i-o.
"Più volte e in modi diversi D-i-o ha parlato agli uomini", inizia la Lettera agli Ebrei. E prosegue "In questi giorni D-i-o ha parlato a noi per mezzo del Figlio". Gesù Cristo benedetto, la seconda Persona della Trinità, non è soltanto il Logos, la Parola del Padre e la voce che nasce dal silenzio eterno di D-i-o. È il canto con cui il Padre si rivolge alle creature con una melodia senza uguali, pienezza d'armonia, risonanza che si espande in tutto l'universo, bellezza che affascina e ricrea, balsamo che lenisce le sofferenze, verità che illumina il cammino della vita. Cristo è il canto nuovo di cui parlano i salmi e i profeti. È il nuovo modo con cui il D-i-o si rivolge ai figli per rivelare il suo amore di padre e madre.
Animati dallo stesso Spirito di Cristo, i battezzati si rivolgono al Padre in vari modi: con un balbettio soffocato, con parole stentate, con gesti goffi, con prolungati silenzi... Fino a quando dal profondo del cuore si sente affiorare una melodia insolita. È il canto nuovo della fede animata dal Pneuma divino. È la voce di Cristo che si rivolge al Padre e associa a sé i battezzati. Consepolti e conresuscitati con LUI, con LUI "con-cantiamo" nella misura in cui facciamo nostri i suoi sentimenti: la lode al Padre, la misericordia solidale verso i fratelli.
Nella liturgia ci rendiamo conto che le parole più belle e le espressioni più rifinite non sono adeguate ad esprimere la vita in Cristo. C'è sempre qualche cosa in più che non riusciamo ad esprimere con le parole. In nostro aiuto vengono, grazia di D-i-o, il silenzio e il canto.
Il silenzio della riflessione e della ruminazione si apre allo stupore attonito dell'adorazione. Ci si lascia rapire in D-i-o senza pretendere di limitare l'esperienza dello Spirito con tanti ragionamenti. Si vive, e basta! La parola che affiora sulle labbra si libera dalle proprie limitazioni e si espande allora nel canto.
La persona che canta si sente coinvolta dalle radici del proprio essere. Non è un fatto legato al meccanismo della respirazione polmonare (per cantare ci vuole più aria che per parlare), ma è un'esperienza dello Spirito santo. Egli ci conduce dentro le parole e di là delle parole stesse, come avviene in tanti canti senza parole, nei lunghi melismi gregoriani...
Il canto non esprime in primo luogo la bravura dei solisti e dei cori parrocchiali; rivela la fede di una comunità in preghiera. Non è questione di fare bella figura e di galvanizzare l'assemblea. I cantori scompaiono dall'attenzione dei presenti per far posto a Cristo che canta. Le melodie del popolo aprono il cuore dei vicini, ma non vi entrano. Sono semplici battistrada che annunciano l'ingresso glorioso dello Spirito, l'incarnazione del Verbo che è accolto quale ospite e amico e medico e maestro e fratello.
Cantare in chiesa è insieme un dovere e un diritto di cui tutti godiamo. Sapendo che quello che conta non è la voce che sale dalla gola, bensì il respiro dello Spirito che soffia dal cuore. Allora avvertiremo anche la sapienza dell'antica formula con cui erano designati i cantori per il loro impegnativo ministero liturgico: "Fa' che quanto canti con la voce rifletta ciò che credi nel cuore, e quanto credi nell'intimo si riveli nella carità operosa".
Cantare è passione d'amore. Nella festa del martire san Lorenzo lasciamoci contagiare dal suo ardore. Alla vigilia dell'Assunta mettiamoci alla scuola di Maria. Cantiamo con voci squillanti e con suoni rochi. Cantiamo con timbri forti ed esili sussurri. Cantiamo tutti con audacia e umiltà. Cantiamo !
[Vendrogno/Muggiasca, s. Lorenzo martire 2006]
Fonte : testo segnalato dal M° Paolo Bottini, segretario AIOC, www.organisti.it , nelle "NOTIZIE ORGANISTICHE" - 2006/XII , Articoli .
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