domenica 28 luglio 2019

IL DIRITTO NEGATO , di Mario Lodi




IL DIRITTO NEGATO
Mario Lodi




"I libri sono gli strumenti più idonei per allargare orizzonti
e rispondere ai bisogni di conoscenza dei ragazzi.
Eppure il diritto alla lettura è un diritto non sempre rispettato"

Professor Lodi, come leggono i bambini? Quale forma di attenzione e di rapporto instaurano nei confronti del testo scritto?E, come logica conseguenza, è sensato parlare di "letture", o piuttosto esistono tante letture quanti sono i bambini, e in senso più lato i lettori?

In una società che, per mezzo dei suoi strumenti culturali, vuole formare persone libere e responsabili, la lettura va collocata, sin dai primi anni di vita, nel quadro della ricerca che i bambini portano avanti col gioco esplorativo. Per mezzo del gioco e usando i sensi, i bambini esplorano il piccolo mondo fisico e affettivo in cui sono immersi fin dalla nascita e, con l'esperienza diretta, raccolgono dati, li confrontano, li elaborano, ne ricavano sintesi che in successive esperienze verranno messe in discussione e rivedute. Producono così le basi di una cultura, in un certo senso già organizzata in modo personale. Il loro gioco-lavoro è simile a quello dell'uomo libero, che non si accontenta di "verità"trasmesse e, di fronte alla realtà quotidiana e agli eventi, mette in moto la sua capacità critica per capire ciò che accade e fare scelte di vita che rispondano all'esigenza di un rapporto buono con la società. Sia il bambino nel suo processo evolutivo sia l'uomo libero vivono una continua ricerca che parte da bisogni di conoscenza ed esige risposte logiche e documentate. Io penso che i libri siano gli strumenti più idonei, anche in una società tecnologica e televisiva come la nostra, per allargare orizzonti e rispondere a bisogni di conoscenza sempre più approfondita. È quindi controproducente imporre a ragazzi che stanno preparandosi al loro inserimento attivo nel mondo una lettura obbligatoria, uguale per tutti, da seguire passivamente. Ogni ragazzo, per crescere intellettualmente, ha bisogno di letture personali, come ogni persona culturalmente viva cerca in libreria i libri che alimentano i suoi interessi. Purtroppo nella scuola italiana di base il diritto alla lettura individuale non è ancora entrato: leggere un libro, senza collocarlo nel programma linguistico o storico o scientifico, è considerato una perdita di tempo.
 

La crescita esponenziale dell' "intrattenimento"televisivo, il boom delle videocassette e dei videogiochi ha inciso anche qualitativamente sul rapporto che i giovani hanno con la lettura?E in quali termini, invece, l'ormai consolidata predominanza di queste forme visive e televisive può innovare o migliorare l'attività didattica?

L' "intrattenimento"televisivo ha una forte suggestione ma nello stesso tempo ha dei grossi limiti: se è vero che la cultura e la personalità si formano con l'esperienza, come afferma la psicologia, l'invasione televisiva nel mondo dei ragazzi (e di tutti in generale), senza una programmazione, senza obiettivi mirati, in modo caotico, è, nello stesso tempo, stimolo a curiosità sempre nuove e distrazione dai problemi esistenziali e sociali dei ragazzi, soprattutto nella fase di ricerca di una propria identità e di punti fermi di riferimento, come accade durante il tempo della preadolescenza. Le videocassette, usate da docenti preparati, sono certamente utili per costruire un quadro organico e coerente di conoscenze, collegate con i libri, strumento di ulteriore coordinamento culturale e di approfondimento. In questo senso la TV e il libro possono coesistere, a livello di intervento didattico con buoni risultati. Ma ciò presuppone la centralità del vissuto dei ragazzi a scuola, con i loro problemi e i loro bisogni profondi in genere inespressi: la preadolescenza è un tempo ricco di sentimenti e di aspirazioni, come ha ben messo in evidenza il docente Roberto Pittarello nel libro Il tempo segreto. Occorre quindi una pedagogia che tenga conto e sviluppi le tematiche dei giovani nel loro rapporto col mondo attuale; ma essa non trova però nella struttura della scuola media il luogo ideale per la sua realizzazione.
 

Rimanendo in ambito didattico, in che modo potremmo distinguere la lettura di un testo narrativo dalla lettura di un "libro di testo "?

Il manuale è stato, e in certi casi lo è ancora, insieme alla lezione, un pilastro della scuola che trasmette nozioni già organizzate. Anche i libri di lettura e le antologie, che propongono brani scelti con criteri nozionistici, nel migliore dei casi offrono solo qualche assaggio del mondo degli autori, nel quale raramente i lettori riescono a entrare. È un mondo interiore guardato dalla finestra, fugacemente, spesso nei momenti meno adatti. Il testo narrativo completo è invece il mezzo che fa entrare nel mondo interiore dell'autore attraverso i personaggi, l'ambiente, il collegamento delle scene. Leggendo un libro per intero, i bambini e i ragazzi riescono a "entrare"nel libro, sia per accettarlo sia per rifiutarlo, in tutto o in parte. Un libro non lascia mai indifferenti, specie se il docente è capace di guidare la lettura interrompendola nei momenti più adatti per ipotizzare risposte e atteggiamenti dei personaggi. O per ricreare il libro insieme ai ragazzi, proiettando nel nuovo racconto il loro immaginario, cioè la loro vita interiore che la lettura ha fatto emergere. Questo tipo di lettura offre ai ragazzi ciò che la TV non può dare (il dialogo, la pausa di riflessione, la fantasia...) ed esercita i bambini a un atteggiamento critico trasferibile negli altri campi dell'apprendimento.
 

In quale rapporto stanno, nel giovane, due attività come la lettura e la scrittura? Si influenzano a vicenda o sono sostanzialmente autonome e solo in alcuni bambini si alimentano l'una dall'altra?

Quando la lettura dei manuali è considerata serbatoio della scrittura intesa come riassunto, tema, relazione, con fini di valutazione, abbiamo davanti ai nostri occhi una scuola che mette in primo piano se stessa, cioè i suoi programmi, e lascia in ombra, o addirittura ignora, la ricchezza problematica della vita dei bambini. Se, fin dal primo giorno della scuola elementare, il bambino, invece di leggere le prime parole sui cartelloni degli alfabetieri, legge e scrive parole dei suoi pensieri, espressioni delle sue esperienze, impara che la lingua non serve per ripetere le parole del libro o del maestro ma per comunicare il proprio pensiero. Se invece di essere obbligato a scrivere un tema, scrive una lettera a un amico vero, o la cronaca di un avvenimento, o racconta un sogno o inventa una storia per il piacere di giocare con la fantasia, capisce che la lingua è "sua", è il mezzo che produce parole, discorsi, pensiero. Non a caso in scuole di questo tipo si producono giornalini, piccoli libri, monografie, anche poesie. In questo caso, scrivere per comunicare in modo originale ciò che si pensa è un impegno che non produce fatica e noia, ma soddisfazione e stima di sé. Il ragazzo si sente autore, come chi ha scritto un libro per parlare a noi e non per farci esercitare grammaticalmente sulle sue pagine.
 

Una domanda allo scrittore. Fino a che punto, quando scrive, si prefigura le aspettative, le curiosità, le domande e i dubbi di un suo giovane lettore? Cerca di rispettare determinate "regole"per far sì che la sua pagina risulti alla fine pienamente leggibile?

Il mio caso non è quello dello scrittore che al suo tavolo di lavoro scrive per i bambini cercando di immaginare ciò che essi si aspettano da lui. Il mio primo libro l'ho scritto come maestro insieme ai bambini, ed è stato Bandiera, la storia di un ciliegio che una bambina aveva osservato in pieno inverno, quando tutte le foglie erano cadute tranne una, ormai gialla, che sul ramo più alto resisteva al vento e alla pioggia e non voleva morire. La presenza di quell'unica foglia ha dato vita a diverse ipotesi e ha fornito a me l'occasione per analizzare, in un racconto lungo, che cos'è una foglia nell'universo albero, la funzione delle piante in rapporto alla vita degli animali e dell'uomo, il susseguirsi delle stagioni nell'alternarsi della morte e della "risurrezione"della natura, infine il senso della vita e della morte come leggi naturali. Quindi l'interesse dei bambini per un fatto apparentemente insolito coincideva con il mio fine di educatore. Un'altra volta l'osservazione dei passeri sul tetto di fronte alla scuola diede vita alla storia di Cipì, nella quale i bambini proiettarono se stessi, le loro esperienze. Anche per gli altri libri ho cercato, prima di accingermi a scrivere, da solo o con i bambini, di capire i loro problemi e desideri; e quando ero ben sicuro che sotto lo spunto occasionale c'era un interesse forte, mettevo in cantiere il libro organizzando il lavoro. Così è avvenuto con La mongolfiera, che evidenziava il grande sogno di abbandonare la tutela degli adulti, di diventare autonomi e andare liberamente a scoprire il mondo. Andato in pensione, chiusa la fabbrica della produzione creativa, non mi sono staccato dal mondo dell'infanzia e dei giovani: nei frequenti incontri con i bambini nelle scuole chiedevo spesso quali libri (non ancora scritti) avrebbero voluto leggere, e fra le risposte trovavo sempre qualche idea interessante. Allora tenevo contatti epistolari con quei bambini e li aiutavo a far nascere i racconti, a svilupparli, a renderli vivaci, a volte a rimontarli in forma televisiva: così sono nati Bambini e cannoni e Stella azzurra. Ma c'era un altro bambino che io conoscevo abbastanza bene e che lo scorrere degli anni non aveva cancellato dalla mia memoria; nella mia infanzia c'erano state esperienze forti che ho raccontato per i bambini di oggi: Il mistero del cane (che ha ricevuto due premi, il Premio Cento e il Premio Rodari, con giurie formate da bambini) e Il cielo che si muove, che racconta le piccole scoperte dei segreti della natura nel cortile e nel giardinetto di casa mia. Il primo "trucco"per uno scrittore per ragazzi è, secondo me, quello di entrare nel mondo dell'infanzia per cercarvi i bisogni profondi da evidenziare, tenendo presente l'obiettivo di "appassionare"i bambini alla vita e ai valori più alti, come l'amicizia, il rispetto della natura, la solidarietà, la pace. Ci sono poi altri "accorgimenti del mestiere", come il rapporto tra contenuto e forma, spesso trascurato da chi scrive per i ragazzi: basta leggere i libri di testo per vedere come il linguaggio sia formalmente e concettualmente quello dell'adulto che trasmette il suo pensiero. Lo scrittore deve possedere l'umiltà di collaudare il suo libro con i ragazzi, prima di consegnarlo all'editore: discuterlo, raccogliere dubbi e obiezioni, capire i motivi del disinteresse, rifare, limare, eliminare descrizioni lunghe o inutili, vivacizzare il racconto con il discorso diretto, cercare parole chiare, semplici, non banali, immettervi quando è possibile un po' di poesia. Cipì, che sembra un libro scritto di getto, è stato quello più sofferto in sede di collaudo: dopo essere stato letto in molte scuole, dove venivano segnalati i punti in cui anche un solo bambino si distraeva, e una volta eliminati gli episodi meno convincenti (nella prima stesura c'erano elementi magici, poi sostituiti da soluzioni poetico-fantastiche), è stato revisionato e riscritto più di una volta fino a raggiungere la forma più adatta alla comprensione dei bambini cui era soprattutto destinato. Anche Il corvo, il racconto della mia guerra, adottato nella scuola media, è stato completamente rimontato e riscritto con stile volutamente asciutto, rapido, non retorico. Ho cercato insomma di far tesoro dell'insegnamento di don Milani (esprimere il maggior numero di concetti con il minor numero di parole) in contrapposizione a chi usa tante, troppe parole per non dire nulla.
 

Da scrittore e da insegnante, che importanza attribuisce alla presenza delle immagini?

In una libreria di testi per ragazzi, la cosa che subito ci colpisce sono le immagini e i colori delle copertine. Se sfogliamo i libri, troviamo anche all'interno tante illustrazioni, specialmente nei libri per i più piccoli, dove l'immagine spesso si sostituisce alla parola, invitando il bambino a non leggere. Infatti, se le immagini raccontano la storia, che bisogno c'è di leggere? Per recuperare i bambini alla lettura Bruno Bettelheim, nel suo libro Imparare a leggere, dimostra che, insieme al primo libro (scolastico) che la maestra mette nelle mani dei bambini, anche le illustrazioni possono allontanare il piccolo lettore dalla decifrazione dei segni alfabetici, che assomiglia a una magia, e dovrebbe essere come un gioco di scoperta di cose belle, affascinanti. Illustrazioni sì, allora, ma che non si sostituiscano al racconto. E primi libri che invitino a entrare nel mondo della cultura e della vita con pagine vere, forti, vivaci e non noiose e banali come quelle della maggior parte dei testi scolastici. Nella scuola italiana il diritto alla lettura come piacere e come bisogno di scoperta e di conoscenza, tranne poche eccezioni, non c'è ancora. Il racconto è considerato un oggetto da smontare per capire com'è costruito: sarebbe un esercizio utile se poi lo si usasse per progettare con i ragazzi altri racconti, cioè per impadronirsi della tecnica del narrare per produrre.







 
 


per approfondimenti sull'autore  www.mariolodi.it







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