venerdì 2 agosto 2019
BIBBIA E CHIESA, di Giuseppe Barbaglio
Giuseppe Barbaglio
BIBBIA E CHIESA
Si può dire che i rapporti che legano la bibbia alla chiesa sono talmente profondi e vasti da costituire un intreccio quasi inestricabile. Soprattutto si nota un mutuo influsso dell'una sull'altra.
Così è vero che la bibbia nasce in seno al popolo di Dio il quale vi ha scritto la sua esperienza di fede; ma a sua volta si fa parola autorevole al popolo di Dio al quale chiede ascolto e fedeltà. Ambedue però dicono riferimento ad una terza grandezza, da cui dipendono e per cui sussistono, cioè alla parola di Dio presa nel suo senso duplice di azione divina nella storia e di interpretazione profetica corrispondente. Di questa parola la bibbia si pone quale testimonianza scritta, fissata una volta per sempre. Il popolo di Dio poi si costituisce, cresce e progredisce attorno e in forza della parola del Signore. Si può concludere pertanto che i termini del nostro tema si rapportano mediatamente, cioè a causa della parola di Dio.
Tradizionalmente lo studio biblico comprende un trattato riguardante il canone della sacra scrittura, cioè l'elenco dei testi a cui compete di essere norma e regola della chiesa perché ispirati da Dio. Al centro sta il problema della discriminazione tra libri canonici e libri apocrifi o spuri. Si tratta soprattutto di una ricerca storica di ricostruzione delle tappe del progressivo riconoscimento delle autentiche testimonianze scritte della parola del Signore. Viene così evidenziato il processo attraverso cui nella storia d'Israele prima e poi nella storia della chiesa s'imposero con autorevolezza i libri in cui si articola la Bibbia. Sono descritti il punto di partenza, gli stadi intermedi caratterizzati da pacifico possesso o da dubbi e perplessità circa alcuni testi, i cosiddetti libri deuterocanonici, e l'esito finale, sancito dall'autorità del concilio di Trento. Il decreto tridentino, di cui si dirà più avanti, se ha posto la parola fine ad ogni incertezza in campo cattolico, ha anche consolidato una diversità confessionale nei confronti dei protestanti che danno la loro adesione al canone breve, cioè decurtato, rispetto a quello dei cattolici e degli ortodossi, dei libri deuterocanonici.
Il Vaticano II ha ripreso l'argomento con più larghezza di orizzonti e di prospettive. Nella costituzione conciliare Dei Verbum infatti è giunto a dedicare un intero capitolo, il VI, al posto che di diritto spetta alla bibbia nella vita della chiesa. Dal problema quali libri fanno parte della bibbia e perciò esercitano funzione normativa nei confronti dei credenti, si è passati a delineare questa funzionalità nelle diverse forme di vita della comunità cristiana.
Si può costatare così una rinnovata e, per certi aspetti, nuova accentuazione del peso determinante della bibbia sul cammino delle chiese cristiane nella storia. Mettendo da parte una certa diffidenza passata verso le sacre scritture, a cui invece le chiese protestanti attribuivano importanza decisiva, il concilio operò un vero risveglio biblico nelle coscienze dei cattolici. A distanza di un decennio si può già misurare dai frutti la provvidenzialità dell'intervento conciliare, non ultimo per il benefico influsso in campo ecumenico.
La bibbia non è una bandiera confessionale, ma l'eredità viva e vivificante di tutte le chiese cristiane...
Brano tratto dal libro Nuovo Dizionario di Teologia , a cura di G. Barbaglio e S. Danich , edizioni paoline 1985 , voce "Bibbia e Chiesa" di Giuseppe Barbaglio.
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