Venerdì, 23 aprile 1993
Questo discorso è stato pronunciato il venerdì 23 aprile 1993
durante una udienza commemorativa del centenario dell’Enciclica
“Providentissimus Deus” di Leone XIII e del cinquantenario dell’Enciclica
“Divino afflante Spiritu” di Pio XII, entrambe consacrate alle questioni
bibliche.
L’udienza ebbe luogo nella Sala Clementina del Palazzo
Apostolico, alla presenza dei membri del Collegio Cardinalizio, del Corpo
Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, della Pontificia Commissione
Biblica e del Corpo Professorale del Pontificio Istituto Biblico.
Nel corso dell’udienza, il Cardinale J. Ratzinger presentò al
Santo Padre il documento della Commissione Biblica sull’interpretazione della
Bibbia nella Chiesa.
Signori Cardinali,
Signori Capi delle Missioni Diplomatiche,
Signori Membri della Pontificia Commissione Biblica,
Signori Professori del Pontificio Istituto Biblico,
Signori Capi delle Missioni Diplomatiche,
Signori Membri della Pontificia Commissione Biblica,
Signori Professori del Pontificio Istituto Biblico,
1. Ringrazio di tutto cuore il
Cardinale Ratzinger dei sentimenti che ha appena espresso presentandomi il
documento elaborato dalla Pontificia Commissione Biblica sull’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa. Con gioia accolgo questo documento, frutto di un
lavoro collegiale intrapreso per vostra iniziativa, Signor Cardinale, e portato
avanti con perseveranza per diversi anni. Esso risponde a una preoccupazione che
mi sta a cuore, poiché l’interpretazione della Sacra Scrittura è di una
importanza capitale per la fede cristiana e per la vita della Chiesa. «Nei libri
sacri, infatti – come ci ha così ben ricordato il Concilio –, il Padre che è nei
cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in
conversazione con loro; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e
potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa
saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita
spirituale» (Dei
Verbum, n. 21). Il modo di interpretare i testi biblici per gli uomini e
le donne di oggi ha delle conseguenze dirette sul loro rapporto personale e
comunitario con Dio, ed è anche strettamente legato alla missione della Chiesa.
Si tratta di un problema vitale che meritava tutta la vostra attenzione.
2. Il vostro lavoro si conclude in
un momento molto opportuno, perché mi offre l’occasione di celebrare con voi due
anniversari ricchi di significato: il centenario dell’Enciclica
Providentissimus Deus, e il cinquantenario dell’Enciclica
Divino afflante Spiritu, entrambe consacrate alle questioni bibliche. Il
18 novembre 1893 Papa Leone XIII, molto attento ai problemi intellettuali,
pubblicava la sua enciclica sugli studi della Sacra Scrittura, al fine,
scriveva, «di stimolarli e raccomandarli» e anche di «orientarli in una maniera
che corrisponda meglio ai bisogni dei tempi» (Enchiridion Biblicum, n. 82).
Cinquant’anni dopo, Papa Pio XII offriva agli esegeti cattolici, nella sua
enciclica
Divino afflante Spiritu, nuovi incoraggiamenti e nuove direttive. Nel
frattempo, il Magistero pontificio aveva manifestato la propria attenzione
costante ai problemi scritturistici attraverso numerosi interventi. Nel 1902,
Leone XIII creava la Commissione Biblica; nel 1909, Pio X fondava l’Istituto
Biblico. Nel 1920, Benedetto XV celebrava il 1500° anniversario della morte di
San Girolamo con un’enciclica sull’interpretazione della Bibbia. Il vivo impulso
dato così agli studi biblici ha trovato piena conferma nel Concilio Vaticano II
cosicché tutta la Chiesa ne ha tratto beneficio. La Costituzione Dogmatica
Dei Verbum illumina l’opera degli esegeti cattolici e invita i Pastori e
i fedeli a alimentarsi più assiduamente della parola di Dio contenuta nelle
Scritture.
Desidero oggi mettere in risalto
alcuni aspetti dell’insegnamento di queste due encicliche e la validità
permanente del loro orientamento attraverso circostanze mutevoli al fine di
poter meglio beneficiare del loro contributo.
I. Dalla “Providentissimus
Deus” alla “Divino afflante Spiritu”
3. In primo luogo, si nota fra
questi due documenti un’importante differenza. Si tratta della parte polemica –
o, più precisamente, apologetica – delle due encicliche. Infatti, l’una e
l’altra manifestano la preoccupazione di rispondere agli attacchi contro
l’interpretazione cattolica della Bibbia, ma questi attacchi non andavano nella
stessa direzione. La Providentissimus Deus, da una parte, vuole
soprattutto proteggere l’interpretazione cattolica della Bibbia dagli attacchi
della scienza razionalista; dall’altra, la
Divino afflante Spiritu si preoccupa piuttosto di difendere
l’interpretazione cattolica dagli attacchi che si oppongono all’utilizzazione
della scienza da parte degli esegeti e che vogliono imporre un’interpretazione
non scientifica, cosiddetta “spirituale”, delle Sacre Scritture.
Questo cambiamento radicale della
prospettiva era dovuto, evidentemente, alle circostanze. La Providentissimus
Deus fu pubblicata in un’epoca segnata da forti polemiche contro la fede
della Chiesa. L’esegesi liberale forniva a queste polemiche un sostegno
importante, poiché essa utilizzava tutte le risorse delle scienze, dalla critica
testuale alla geologia, passando per la filologia la critica letteraria, la
storia delle religioni, l’archeologia e altre discipline ancora. Al contrario,
la Divino afflante Spiritu venne pubblicata poco tempo dopo una polemica
del tutto differente, condotta, soprattutto in Italia, contro lo studio
scientifico della Bibbia. Un opuscolo anonimo era stato ampiamente diffuso per
mettere in guardia contro ciò che esso descriveva come un «gravissimo pericolo
per la Chiesa e per le anime: il sistema critico-scientifico nello studio e
nell’interpretazione della Sacra Scrittura, le sue funeste deviazioni e le sue
aberrazioni».
4. Nell’uno e nell’altro caso, la
reazione del Magistero fu significativa, poiché, invece di attenersi a una
risposta puramente difensiva, esso andava a fondo del problema e manifestava
così –notiamolo subito– la fede della Chiesa nel mistero dell’Incarnazione.
Contro le offensive dell’esegesi
liberale, che presentava le sue affermazioni come delle conclusioni fondate su
dati acquisiti dalla scienza, si sarebbe potuto reagire lanciando un anatema
sull’utilizzazione delle scienze nell’interpretazione della Bibbia e ordinando
agli esegeti cattolici di attenersi a una spiegazione “spirituale” dei testi.
La Providentissimus Deus non
intraprende questa strada. Al contrario, l’enciclica invita insistentemente gli
esegeti cattolici ad acquisire una autentica competenza scientifica in modo da
superare i propri avversari sul loro stesso terreno. «Il primo» modo di difesa,
essa dice, «si trova nello studio delle antiche lingue dell’Oriente così come
nell’esercizio della critica scientifica» (EB 118). La Chiesa non teme la
critica scientifica. Essa diffida solamente delle opinioni preconcette che
pretendono di fondarsi sulla scienza ma che, in realtà, fanno uscire
subdolamente la scienza dal suo campo.
Cinquant’anni dopo, nella
Divino afflante Spiritu, Papa Pio XII può costatare la fecondità delle
direttive offerte dalla Providentissimus Deus: «Grazie a una migliore
conoscenza delle lingue bibliche e di tutto ciò che riguarda l’Oriente, … un
buon numero di questioni sollevate al tempo di Leone XIII contro l’autenticità,
l’antichità, l’integrità e il valore storico dei Libri Sacri… si trovano oggi
sciolte e risolte» (EB 546). Il lavoro degli esegeti cattolici, «che hanno fatto
un uso corretto degli strumenti intellettuali utilizzati dai loro avversari» (n.
562), aveva portato i suoi frutti. Ed è proprio per questo motivo che la
Divino afflante Spiritu si mostra meno preoccupata che non la
Providentissimus Deus per le offensive contro le posizioni dell’esegesi
razionalista.
5. Ma era divenuto necessario
rispondere agli attacchi giunti da parte dei sostenitori di un’esegesi
cosiddetta “mistica” (n. 552), che cercavano di far condannare dal Magistero gli
sforzi dell’esegesi scientifica. Come risponde l’enciclica? Essa avrebbe potuto
limitarsi a sottolineare l’utilità e finanche la necessità di questi sforzi per
la difesa della fede, il che avrebbe favorito una sorta di dicotomia fra
l’esegesi scientifica, destinata all’uso esterno, e l’interpretazione
spirituale, riservata all’uso interno. Nella
Divino afflante Spiritu, Pio XII ha deliberatamente evitato di procedere
in questa direzione. Egli ha al contrario rivendicato la stretta unione fra i
due procedimenti, da una parte sottolineando la portata «teologica» del senso
letterale, metodicamente definito (EB 551), dall’altra, affermando che, per
poter essere riconosciuto quale senso di un testo biblico, il senso spirituale
deve presentare delle garanzie di autenticità. Una semplice ispirazione
soggettiva non è sufficiente. Si deve poter dimostrare che si tratta di un senso
«voluto da Dio stesso», di un significato spirituale «dato da Dio» al testo
ispirato (EB 552-553). La determinazione del senso spirituale appartiene dunque,
anch’essa, al campo della scienza esegetica.
Costatiamo così che, nonostante la
grande diversità delle difficoltà da affrontare, le due encicliche si riuniscono
perfettamente a livello più profondo. Esse rifiutano, sia l’una che l’altra, la
rottura tra l’umano e il divino, tra la ricerca scientifica e lo sguardo della
fede, fra il senso letterale e il senso spirituale. Esse si mostrano su quel
punto pienamente in armonia con il mistero dell’Incarnazione.
II. Armonia fra l’esegesi
cattolica e il mistero dell’incarnazione
6. Lo stretto rapporto che unisce i
testi biblici ispirati al mistero dell’Incarnazione è stato espresso
dall’enciclica
Divino afflante Spiritu nei seguenti termini: «Così come la Parola
sostanziale di Dio si è fatta simile agli uomini in tutti i punti, eccetto il
peccato, così le parole di Dio, espresse in lingue umane, si sono fatte simili
al linguaggio umano in tutti i punti, eccetto l’errore» (EB 559). Ripresa quasi
letteralmente dalla Costituzione conciliare
Dei Verbum (n. 13), questa affermazione mette in luce un parallelismo
ricco di significato.
È vero che mettere per iscritto le
parole di Dio, grazie al carisma dell’ispirazione scritturale, costituiva un
primo passo verso l’Incarnazione del Verbo di Dio. Queste parole scritte
costituivano, infatti, un duraturo mezzo di comunicazione e di comunione fra il
popolo eletto e il suo unico Signore. D’altra parte, è grazie all’aspetto
profetico di queste parole che è stato possibile riconoscere il compimento del
disegno di Dio, quando «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a
noi» (Gv 1, 14). Dopo la glorificazione celeste dell’umanità del Verbo fatto
carne, è ancora grazie a delle parole scritte che il suo passaggio fra noi
rimane attestato in modo duraturo. Uniti agli scritti ispirati della Prima
Alleanza, gli scritti ispirati della Nuova Alleanza costituiscono un mezzo
verificabile di comunicazione e di comunione fra il popolo credente e Dio,
Padre, Figlio e Spirito Santo. Questo mezzo non può certamente essere separato
dal fiume di vita spirituale che scaturisce dal Cuore di Gesù crocifisso e che
si propaga grazie ai sacramenti della Chiesa. Esso ha nondimeno una sua propria
consistenza, quella, propriamente, di un testo scritto, che fa fede.
7. Di conseguenza, le due encicliche
richiedono agli esegeti cattolici di restare in piena armonia con il mistero
dell’Incarnazione, mistero d’unione del divino e dell’umano in un’esistenza
storica assolutamente determinata. L’esistenza terrena di Gesù non viene
definita soltanto tramite luoghi e date dell’inizio del primo secolo in Giudea e
in Galilea, ma anche tramite il suo radicamento nella lunga storia di un piccolo
popolo del Vicino Oriente antico, con le sue debolezze e le sue grandezze, con i
suoi uomini di Dio e i suoi peccatori, con la sua lenta evoluzione culturale ed
i suoi mutamenti politici, con le sue sconfitte e le sue vittorie, con le sue
aspirazioni alla pace e al regno di Dio. La Chiesa di Cristo prende sul serio il
realismo dell’Incarnazione ed è per questa ragione che essa attribuisce una
grande importanza allo studio “storico-critico” della Bibbia. Lungi dal
riprovarla, come avrebbero voluto i sostenitori dell’esegesi “mistica”, i miei
predecessori l’hanno vigorosamente approvata. «Artis criticae disciplinam
– scriveva Leone XIII – quippe percipiendae penitus hagiographorum sententiae
perutilem, Nobis vehementer probantibus, nostri (exegetae, scilicet, catholici)
excolant» (Lettera apostolica Vigilantiae, per la fondazione della
Commissione Biblica, 30 ottobre 1902, EB 142). La stessa «veemenza»
nell’approvazione, lo stesso avverbio (vehementer) si ritrovano nella
Divino afflante Spiritu a proposito delle ricerche di critica testuale (cf.
EB 548).
8. La
Divino afflante Spiritu, come è noto, ha particolarmente raccomandato
agli esegeti lo studio dei generi letterari utilizzati nei libri sacri,
giungendo ad affermare che l’esegeta cattolico deve «acquisire la convinzione
che questa parte del suo compito non può essere trascurata senza un grave danno
per l’esegesi cattolica» (EB 560). Questa raccomandazione si basa sulla
preoccupazione di comprendere il senso dei testi con tutta l’esattezza e la
precisione possibili e, dunque, nel loro contesto culturale storico. Una falsa
idea di Dio e dell’Incarnazione spinge un certo numero di cristiani a prendere
un orientamento opposto. Essi hanno tendenza a credere che, essendo Dio l’Essere
assoluto, ognuna delle sue parole abbia un valore assoluto, indipendente da
tutti i condizionamenti del linguaggio umano. Non vi è quindi spazio, secondo
costoro, per studiare questi condizionamenti al fine di operare delle
distinzioni che relativizzerebbero la portata delle parole. Ma questo significa
illudersi e rifiutare, in realtà, i misteri dell’ispirazione scritturale e
dell’Incarnazione, rifacendosi ad una falsa nozione dell’Assoluto. Il Dio della
Bibbia non è un Essere assoluto che, schiacciando tutto quello che tocca,
sopprimerebbe tutte le differenze e tutte le sfumature. È al contrario il Dio
creatore, che ha creato la stupefacente varietà degli esseri «ognuno secondo la
propria specie», come afferma e riporta il racconto della Genesi (cf. Gn, cap.
1). Lungi dall’annullare le differenze, Dio le rispetta e le valorizza (cf. 1Cor
12, 18.24.28). Quando si esprime in un linguaggio umano, egli non dà ad ogni
espressione un valore uniforme, ma ne utilizza le possibili sfumature con
estrema flessibilità, e ne accetta anche le limitazioni. È questo che rende il
compito degli esegeti così complesso, così necessario e così appassionante!
Nessuno degli aspetti umani del linguaggio può essere trascurato. I recenti
progressi delle ricerche linguistiche, letterarie ed ermeneutiche hanno portato
l’esegesi biblica ad aggiungere allo studio dei generi letterari molti altri
punti di vista (retorico, narrativo, strutturalista); altre scienze umane, come
la psicologia e la sociologia, sono state parimenti accolte per dare il loro
contributo. A tutto questo può essere applicata la consegna che Leone XIII
affidava ai membri della Commissione Biblica: «Che essi non stimino estraneo
alle loro competenze nulla di ciò che la ricerca industriosa dei moderni avrà
trovato di nuovo; al contrario, mantengano lo spirito all’erta per adottare
senza ritardi quello che ogni momento porta di utile all’esegesi biblica» (Vigilantiae,
EB 140). Lo studio dei condizionamenti umani della parola di Dio deve essere
perseguito con un interesse incessantemente rinnovato.
9. Tuttavia, questo studio non è
sufficiente. Per rispettare la coerenza della fede della Chiesa e
dell’ispirazione della Scrittura, l’esegesi cattolica deve essere attenta a non
attenersi agli aspetti umani dei testi biblici. Occorre che essa, anche e
soprattutto, aiuti il popolo cristiano a percepire in modo più nitido la parola
di Dio in questi testi, in modo da accoglierla meglio, per vivere pienamente in
comunione con Dio.
A tal fine è evidentemente
necessario che lo stesso esegeta percepisca nei testi la parola divina, e questo
non gli è possibile che nel caso in cui il suo lavoro intellettuale venga
sostenuto da uno slancio di vita spirituale.
In mancanza di questo sostegno, la
ricerca esegetica resta incompleta; essa perde di vista la sua finalità
principale e si confina in compiti secondari. Essa può anche diventare una sorta
di evasione. Lo studio scientifico dei soli aspetti umani dei testi può far
dimenticare che la parola di Dio invita ognuno ad uscire da se stesso per vivere
nella fede e nella carità.
L’enciclica Providentissimus Deus
ricordava, a questo proposito, il carattere particolare dei Libri Sacri e
l’esigenza che ne risulta per la loro interpretazione: «I Libri Sacri –
dichiarava – non possono essere assimilati agli scritti ordinari, ma, essendo
stati dettati dallo stesso Spirito Santo e avendo un contenuto di estrema
gravità, misterioso e difficile sotto molti aspetti, noi abbiamo sempre bisogno,
per comprenderli e spiegarli, della venuta dello stesso Spirito Santo, ovvero
della sua luce e della sua grazia, che bisogna certamente domandare in un’umile
preghiera e preservare attraverso una vita santificata» (EB 89). In una formula
più breve, presa in prestito da S. Agostino, la
Divino afflante Spiritu esprimeva la stessa esigenza: «Orent ut
intellegant!» (EB 569).
Sì, per arrivare ad
un’interpretazione pienamente valida delle parole ispirate dallo Spirito Santo,
dobbiamo noi stessi essere guidati dallo Spirito Santo, per questo, bisogna
pregare, pregare molto, chiedere nella preghiera la luce interiore dello Spirito
e accogliere docilmente questa luce, chiedere l’amore, che solo rende capaci di
comprendere il linguaggio di Dio, che «è amore» (1Gv 4, 8.16). Durante lo stesso
lavoro di interpretazione, occorre mantenersi il più possibile in presenza di
Dio.
10. La docilità allo Spirito Santo
produce e rafforza un’altra disposizione, necessaria per il giusto orientamento
dell’esegesi: la fedeltà alla Chiesa. L’esegeta cattolico non nutre l’illusione
individualista che porta a credere che, al di fuori della comunità dei credenti,
si possa comprendere meglio i testi biblici. È vero invece il contrario, poiché
questi testi non sono stati dati ai singoli ricercatori «per soddisfare la loro
curiosità o per fornire loro degli argomenti di studio e di ricerca» (Divino
afflante Spiritu, EB 566) essi sono stati affidati alla comunità dei
credenti, alla Chiesa di Cristo, per alimentare la fede e guidare la vita di
carità. Il rispetto di questa finalità condiziona la validità
dell’interpretazione. La Providentissimus Deus ha ricordato questa verità
fondamentale e ha osservato che, lungi dall’ostacolare la ricerca biblica, il
rispetto di questo dato ne favorisce l’autentico progresso (cf. EB 108-109). È
riconfortante constatare che dei recenti studi di filosofia ermeneutica hanno
portato una conferma a questa visione delle cose, e che esegeti di diverse
confessioni hanno lavorato in analoghe prospettive, sottolineando, per esempio,
la necessità di interpretare ogni testo biblico come facente parte del Canone
delle Scritture riconosciuto dalla Chiesa, o essendo più attenti agli apporti
dell’esegesi patristica.
Essere fedeli alla Chiesa,
significa, infatti, situarsi risolutamente nella corrente della grande
Tradizione che, sotto la guida del Magistero, assicurato di un’assistenza
speciale dello Spirito Santo, ha riconosciuto gli scritti canonici come parola
rivolta da Dio al suo popolo, e non ha mai cessato di meditarli e di scoprirne
le inesauribili ricchezze. Il Concilio Vaticano II lo ha ribadito: «Tutto
questo, infatti, che concerne il modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto
in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e
ministero di conservare e interpretare la parola di Dio» (Dei
Verbum, n. 12).
E non è meno vero – è ancora il
Concilio che lo sostiene, riprendendo un’affermazione della Providentissimus
Deus – che «è compito degli esegeti contribuire (...) alla più profonda
intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura, affinché, con studi
in qualche modo preparatori, si maturi il giudizio della Chiesa» (Dei
Verbum, n. 12: cf. Providentissimus Deus, EB 109: «ut, quasi
praeparato studio, judicium Ecclesiae maturetur»).
11. Per meglio adempiere questo
compito ecclesiale molto importante, gli esegeti avranno a cuore di rimanere
vicini alla predicazione della parola di Dio, sia consacrando una parte del loro
tempo a questo ministero, sia intrattenendo delle relazioni con coloro che lo
esercitano e aiutandoli con pubblicazioni di esegesi pastorale (cf.
Divino afflante Spiritu, EB 551). Eviteranno così di perdersi nei
meandri di una ricerca scientifica astratta che li allontanerebbe dal vero senso
delle Scritture. Infatti, questo senso non è separabile dalla loro finalità, che
è di mettere i credenti in rapporto personale con Dio.
III. Il nuovo documento
della Commissione Biblica
12. In queste prospettive – lo
affermava la Providentissimus Deus – «un vasto campo di ricerca è aperto
al lavoro personale di ciascun esegeta» (EB 109). Cinquanta anni dopo, la
Divino afflante Spiritu rinnovava, in termini differenti, la stessa
stimolante constatazione: «restano dunque molti punti, e alcuni molto
importanti, nella discussione e la spiegazione dei quali la profondità di
spirito e il talento degli esegeti cattolici possono e devono esplicarsi
liberamente» (EB 565).
Ciò che era vero nel 1943 rimane
ancora tale ai nostri giorni, poiché il progresso delle ricerche ha portato
soluzioni ad alcuni problemi e, allo stesso tempo, nuove questioni da esaminare.
Nell’esegesi, come nelle altre scienze, quanto più si fa avanzare la frontiera
del non conosciuto, tanto più si allarga il campo da esplorare. Meno di cinque
anni dopo la pubblicazione della
Divino afflante Spiritu, la scoperta dei manoscritti di Qumran dava
nuova luce a un grande numero di problemi biblici e apriva altri campi di
ricerche. In seguito, molte scoperte sono state fatte e nuovi metodi di ricerca
e di analisi sono stati approntati.
13. È questo cambiamento di
situazione che ha reso necessario un nuovo esame dei problemi. La Pontificia
Commissione Biblica si è ricollegata a questo compito e presenta oggi il frutto
del suo lavoro, intitolato L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa.
Ciò che colpirà a prima vista in
questo documento, è l’apertura di spirito con il quale è concepito. I metodi,
gli approcci e le letture adoperati oggi nell’esegesi sono esaminati e, malgrado
alcune riserve a volte gravi che è necessario esprimere, si ammette, in quasi
tutti, la presenza di elementi validi per un’interpretazione integrale del testo
biblico.
Poiché l’esegesi cattolica non ha un
metodo di interpretazione proprio ed esclusivo, ma, partendo dalla base
storico-critica, svincolata dai presupposti filosofici o altri contrari alla
verità della nostra fede, essa beneficia di tutti i metodi attuali, cercando in
ciascuno di essi il «seme del Verbo».
14. Un altro tratto caratteristico
di questa sintesi è il suo equilibrio e la sua moderazione. Nella sua
interpretazione della Bibbia essa sa armonizzare la diacronia e la sincronia
riconoscendo che entrambe si completano e sono indispensabili per far emergere
tutta la verità del testo e per venire incontro alle legittime esigenze del
lettore moderno.
Ed è ancora più importante che
l’esegesi cattolica non rivolge la propria attenzione ai soli aspetti umani
della rivelazione biblica, il che è a volte il torto del metodo storico-critico,
né ai soli aspetti divini, come vuole il fondamentalismo, essa si sforza di
mettere in luce gli uni e gli altri, uniti nella divina «condiscendenza» (Dei
Verbum, 13), che è alla base di tutta la Scrittura.
15. Potremo infine percepire
l’accento posto in questo documento sul fatto che la Parola biblica attiva si
rivolge universalmente, nel tempo e nello spazio, a tutta l’umanità. Se «le
parole di Dio (...) si sono fatte simili al linguaggio degli uomini» (Dei
Verbum, 13), è per essere comprese da tutti. Esse non devono restare
lontane «troppo» alte «per te, né troppo» lontane «da te. (...) Anzi, questa
parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore perché tu la metta
in pratica» (Dt 30, 11.14).
Questo è lo scopo
dell’interpretazione della Bibbia. Se il compito principale dell’esegesi è di
raggiungere il senso autentico del testo sacro o i suoi differenti sensi,
bisogna in seguito che essa comunichi questo senso al destinatario della Sacra
Scrittura che è, se possibile, ogni persona umana.
La Bibbia esercita le sua influenza
nel corso dei secoli. Un processo costante di attualizzazione adatta
l’interpretazione alla mentalità e al linguaggio contemporanei. Il carattere
concreto e immediato del linguaggio biblico facilita grandemente questo
adattamento, ma il suo radicamento in una cultura antica provoca molte
difficoltà. Bisogna dunque costantemente ritradurre il pensiero biblico in un
linguaggio contemporaneo, perché sia espresso in una maniera adatta agli
uditori. Questa traduzione deve tuttavia essere fedele all’originale, e non può
forzare i testi per adattarli a una lettura o a un approccio in voga in un
determinato momento. Bisogna mostrare tutto il fulgore della parola di Dio,
anche se espressa «in parole umane» (Dei
Verbum, n. 13).
La Bibbia è diffusa oggi in tutti i
continenti e in tutte le nazioni. Ma affinché la sua azione sia profonda,
bisogna che ci sia una inculturazione secondo il genio specifico di ogni popolo.
Forse le nazioni meno segnate dalle deviazioni della moderna civiltà occidentale
comprenderanno il messaggio biblico più facilmente di quelle che sono già quasi
insensibili all’azione della parola di Dio a causa della secolarizzazione e
degli eccessi della demitologizzazione. Nella nostra epoca. è necessario un
grande sforzo. non solo da parte dei sapienti e dei predicatori, ma anche da
parte dei divulgatori del pensiero biblico: essi devono utilizzare tutti i mezzi
possibili – e ce ne sono molti oggi – affinché la portata universale del
messaggio biblico sia ampiamente riconosciuta e affinché la sua efficacia
salvifica possa manifestarsi dappertutto.
Grazie a tale documento,
l’interpretazione della Bibbia nella Chiesa potrà trovare un nuovo slancio, per
il bene del mondo intero, per far risplendere la verità e per esaltare la carità
alle soglie del terzo millennio.
Conclusione
16. Concludendo, ho la gioia di
poter porgere, così come miei predecessori Leone XIII e Pio XII, agli esegeti
cattolici, e in particolare a voi, membri della Pontificia Commissione Biblica,
allo stesso tempo ringraziamenti e incoraggiamenti. Vi ringrazio cordialmente
per il lavoro eccellente che voi compite al servizio della parola di Dio e del
popolo di Dio: lavoro di ricerca, d’insegnamento e di pubblicazione; aiuto
apportato alla teologia, alla liturgia della Parola e al ministero della
predicazione, iniziative che favoriscono l’ecumenismo e le buone relazioni tra
cristiani e ebrei, partecipazione agli sforzi della Chiesa per rispondere alle
aspirazioni e alle difficoltà del mondo moderno. A ciò aggiungo i miei calorosi
incoraggiamenti per la nuova tappa da percorrere. La crescente complessità del
compito richiede gli sforzi di tutti e una vasta collaborazione
interdisciplinare. In un mondo dove la ricerca scientifica assume una sempre
maggiore importanza in numerosi campi, è indispensabile che la scienza esegetica
si situi a un livello adeguato. E uno degli aspetti dell’inculturazione della
fede che fa parte della missione della Chiesa, in sintonia con l’accoglienza del
mistero dell’Incarnazione.
Che Cristo Gesù, Verbo di Dio
incarnato, vi guidi nelle vostre ricerche, lui che ha aperto lo spirito dei suoi
discepoli all’intelligenza delle Scritture (Lc 24, 45)! Che la Vergine Maria vi
serva da modello non solamente per la sua generosa docilità alla parola di Dio,
ma anche, in primo luogo, per il suo modo di ricevere quello che Lui aveva
detto! San Luca ci riferisce che Maria meditava in cuor suo le parole divine e
gli avvenimenti che si compivano, «symballousa en tê kardia autês» (Lc 2,
19). Per la sua accoglienza della Parola, essa è il modello e la madre dei
discepoli (cf. Gv. 19, 27). Che Essa vi insegni ad accogliere pienamente la
parola di Dio, non solo attraverso la ricerca intellettuale, ma anche in tutta
la vostra vita!
Affinché il vostro lavoro e la
vostra azione contribuiscano sempre più a far risplendere la luce delle
Scritture, vi imparto di tutto cuore la mia Benedizione Apostolica.
Fonte : http://www.vatican.va
Nessun commento:
Posta un commento