LA BIBBIA NELLA COMUNICAZIONE ARTISTICA
Alcune considerazioni in merito alla pratica scolastica
di Cesare Bissoli
1. Quale arte è la Bibbia
La nostra prassi abituale di incontrare il Libro Sacro è quella della
lettura di pensieri codificati in un testo, spinti dalla convinzione
spontanea che più estraiamo dalla Bibbia concetti precisi su chi è Dio,
l’uomo, la storia, la morale… più la comprendiamo, e da credenti
ascoltiamo veramente la Parola di Dio. Non è un percorso sbagliato, ma
incompleto e impoverito. In realtà l’uomo biblico, su ispirazione di
Dio, fece il suo Libro Sacro proprio “a regola d’arte”. Già dovrebbe
metterci sull’attenti l’immensa fecondità artistica della Bibbia, tale
da essere in occidente la matrice più ampia dell’arte. Gli studi portati
avanti dai moderni sono arrivati al pensiero circolare che «la Bibbia
(è) codice dell’arte e l’arte codice dell’esegesi».
Le ragioni di una comprensione della Bibbia come arte si possono ricondurre a due:
1°
la motivazione ontologica: se l’arte è espressione del bello, la Bibbia
intende esprimere il Mistero stesso della bellezza che è Dio, di cui
Gesù Cristo è l’icona visibile (Col 1,15). Entrare nella Bibbia è
entrare nel “ bello” di Dio. Almeno questa è la convinzione dell’uomo
biblico che dovremo scandagliare;
2°
la motivazione estetica: la Bibbia non solo comunica la Bellezza, ma la
esprime con bellezza, artisticità. Ravasi ha cercato più di ogni altro
di sviluppare questa verità incastonandola in tre affermazioni che
sintetizziamo:
* La Bibbia offre una sua teoria estetica, compendiabile nelle parole
originarie del racconto di creazione del mondo: ”Dio vide ki tob” (Gen
1,4.10…), cioè la realtà creata è buona/bella.
Tale
è il cosmo, armonia profonda di contrari, come il mare e la terra e il
cielo (cf Gb 38); tale è l’uomo, nesso inscindibile tra corporeità e
spiritualità, tra eros e amore, tra polvere e respiro divino, “ immagine
e somiglianza”, cioè icona di Dio (Gen 1,26-27). Il Cantico dei Cantici
ne è la espressione compiuta; tale è Gesù che dice di sé: «Io sono il
pastore kalòs» (Gv 10,11.14), buono/bello: suggerisce grazia, bellezza,
fascino, oltreché bontà, verità, efficacia, pienezza. Tale è Dio “tob”
(Sal 34,9), buono/bello, che nella creazione è visto come artista (Gb
38-39;40-41;Sal 8;29;104.), davanti a cui la sapienza danza/gioca (Pr
8,22-31).
Vi
è in verità l’obbligo severo di non fare “ immagine” di Dio (Es 20,4). É
un silenzio iconico che vuol evitare la riduzione di Dio a prodotto
umano (= il vitello d’oro, Es 32-34), ma che nella verità di Gesù,
“parola di Dio e icona di Dio” fatta carne, può essere “ascoltato e
visto”, dove l’immagine e la parola devono stare insieme in una tensione
difficile ma necessaria, pertanto la parola si allarga in immagine, e
l’immagine si concentra nella parola.
* La Bibbia si offre come un prodotto estetico, artistico. Ricordiamo
che è “il giardino dei simboli” (T.S.Eliot). Senza l’attenzione alla
verità del simbolico, la Bibbia diventa incomprensibile in tutto il suo
splendore: il libro di Giobbe, il Salterio, l’Apocalisse, le parabole
evangeliche (”Gesù fuor di parabola non diceva nulla”: Mt 13, 34).
Ricordiamo
il versetto salmodico “ cantate inni con arte” (Sal 47,8) per cui
l’arte del canto dice Dio (cf Sal 150). Non manca il ricorso all’arte
statuaria e architettonica (Tempio e Gerusalemme, Es 25-27;35-38; 1-2
Re; Ez 40-48). L’arte letteraria è ben consapevole negli autori, come il
dramma in Giobbe; la poetica dei Salmi, vero ed ineguagliato microcosmo
poetico incentrato su Dio, il cosmo, l’uomo; l’epica dell’Esodo; il
narrativo dei Patriarchi, dei Giudici, di Giona, Rut, Tobia, dei
Vangeli…, fino ai piccoli ma continui segnali, colti da una avvertita
filologia, dati dall’uso delle figure del dire: parallelismi, sonorità
verbali, gioco di nomi, di numeri… Una lingua incantata per dire
l’incanto di un contenuto avvertito sublime. Verrebbe da dire: più che
un teologo, l’artista e il poeta sono le persone adatte a cogliere i
grandi pensieri che fanno la teologia della Bibbia.
*
La Bibbia esige una esegesi estetica. È la conclusione elementare in
due direzioni: da un lato la Bibbia è diventata sorgente di arte,
dall’altro l’arte diventa interprete della Bibbia. Sono i due aspetti
che sviluppiamo qui sotto.
2. La Bibbia come inesauribile fonte di arte
È
un’affermazione del tutto ovvia tanto il panorama è immenso. Ci basta
qui suggerire alcuni pensieri: un giudizio autorevole di Giovanni Paolo
II; le espressioni artistiche che hanno fin qui mediato l’ispirazione
biblica; una breve storia di tali effetti, anche questa per mano di
Giovanni Paolo II.
1) L’arte davanti al mistero del Verbo incarnato
La
Legge dell’Antico Testamento presenta un esplicito divieto di
raffigurare Dio invisibile ed inesprimibile con l’aiuto di «un’immagine
scolpita o di metallo fuso» (Dt 27,15), perché Dio trascende ogni
raffigurazione materiale: «Io sono colui che sono» (Es 3,14). Nel
mistero dell’Incarnazione, tuttavia, il Figlio di Dio in persona si è
reso visibile: «Quando venne la pienezza del tempo. Dio mandò il suo
Figlio nato da donna» (Gal 4,4). Dio si è fatto uomo in Gesù Cristo, il
quale è diventato così «il centro a cui riferirsi per poter comprendere
l’enigma dell’esistenza umana, del mondo creato e di Dio stesso».
Questa
fondamentale manifestazione del «Dio-Mistero» si pose come
incoraggiamento e sfida per i cristiani, anche sul piano della creazione
artistica. Ne è scaturita una fioritura di bellezza che proprio da qui,
dal mistero dell’Incarnazione, ha tratto la sua linfa. Facendosi uomo,
infatti, il Figlio di Dio ha introdotto nella storia dell’umanità tutta
la ricchezza evangelica della verità e del bene, e con essa ha svelato
anche una nuova dimensione della bellezza: il messaggio evangelico ne è
colmo fino all’orlo.
La
Sacra Scrittura è diventata così una sorta di «immenso vocabolario» (P.
Claudel) e di «atlante iconografico» (M. Chagall), a cui hanno attinto
la cultura e l’arte cristiana. Lo stesso Antico Testamento, interpretato
alla luce del Nuovo, ha manifestato filoni inesauribili di ispirazione.
A
partire dai racconti della creazione, del peccato, del diluvio, del
ciclo dei Patriarchi, degli eventi dell’esodo, fino a tanti altri
episodi e personaggi della storia della salvezza, il testo biblico ha
acceso l’immaginazione di pittori, poeti, musicisti, autori di teatro e
di cinema. Una figura come quella di Giobbe, per fare solo un esempio,
con la sua bruciante e sempre attuale problematica del dolore, continua a
suscitare insieme l’interesse filosofico e quello letterario ed
artistico. E che dire poi del Nuovo Testamento? Dalla Natività al
Golgota, dalla Trasfigurazione alla Risurrezione, dai miracoli agli
insegnamenti di Cristo, fino agli eventi narrati negli Atti degli
Apostoli o prospettati dall’Apocalisse in chiave escatologica,
innumerevoli volte la parola biblica si è fatta immagine, musica,
poesia, evocando con il linguaggio dell’arte il mistero del «Verbo fatto
carne».
Nella
storia della cultura tutto ciò costituisce un ampio capitolo di fede e
di bellezza. Ne hanno beneficiato soprattutto i credenti per la loro
esperienza di preghiera e di vita. Per molti di essi, in epoche di
scarsa alfabetizzazione, le espressioni figurative della Bibbia
rappresentarono persino una concreta mediazione catechetica Questo
principio pedagogico è stato autorevolmente enunciato da S. Gregorio
Magno in una lettera del 599 al Vescovo di Marsiglia Sereno: «La pittura
è adoperata nelle chiese perché gli analfabeti, almeno guardando sulle
pareti, leggano ciò che non sono capaci di decifrare sui codici»
(Epistulae, IX, 209: CCL 140A, 1714). Ma per tutti, credenti e non, le
realizzazioni artistiche ispirate alla Scrittura rimangono un riflesso
del mistero insondabile che avvolge ed abita il mondo (Lettera del Papa
Giovanni Paolo II agli Artisti, n. 5).
2) I grandi canali artistici che esprimono la Bibbia
Ne
facciamo solo cenno per intuire almeno la grandiosità degli effetti
biblici nel mondo dell’arte. Esiste un singolare libro che fa entrare in
questo argomento, Il grande dizionario illustrato dei personaggi
biblici. Storia, letteratura, arte, musica. Per ogni figura biblica da
Abacuc fino a Zippora viene data una informazione relativamente ai dati
dell’esegesi, alla tradizione ebraica, cristiana, islamica, nella
letteratura, nella musica, nell’arte. Non è una ricerca esaustiva. Ben
altre opere permettono di cogliere il respiro di questa risonanza
artistica della Bibbia. Qui ci basti menzionare, alla luce del suddetto
libro, i quattro grandi canali entro cui fluisce l’acqua dell’arte
ispirata dalla Bibbia:
-
l’arte letteraria, certamente la più vasta. Nessun grande capolavoro
dell’occidente in tempi cristiani è esente dall’influsso biblico;
- l’arte grafica, sia pittorica che statuaria. É un settore straordinario, come si può vedere in tutti i musei del mondo;
-
l’arte musicale, di incomparabile bellezza, da G. da Palestrina, a
Bach, alle “Messe Solenni” o da” Requiem” (Mozart, Beethoven, Verdi…),
agli infiniti generi musicali popolari e moderni;
-
l’arte mimica o gestuale, proposta dal linguaggio del teatro e del
cinema, a loro volta spesso sintesi dei linguaggi precedenti. Vi è solo
l’imbarazzo della scelta per l’uno e l’altro ambito.
Non
possiamo dire che quanto dicono queste arti siano prodotti eccellenti.
Bisognerà avere capacità critica di lettura. Ma ciò non toglie che siano
strettamente legati al mondo biblico. Confessiamo che mediamente tra di
noi, anche nella scuola, gli spazi culturali su questo argomento sono
assai modesti.
3) Tra Vangelo ed arte un’alleanza feconda
É
un’eccellente carrellata storica ancora di Giovanni Paolo II che fissa
sinteticamente, ma con forza la formidabile matrice artistica che è la
Bibbia.
I primordi
L’arte
che il cristianesimo incontrò ai suoi inizi era il frutto maturo del
mondo classico, ne esprimeva i canoni estetici e al tempo stesso ne
veicolava i valori. La fede imponeva ai cristiani, come nel campo della
vita e del pensiero, anche in quello dell’arte, un discernimento che non
consentiva la ricezione automatica di questo patrimonio. L’arte di
ispirazione cristiana cominciò così in sordina, strettamente legata al
bisogno dei credenti di elaborare dei segni con cui esprimere, sulla
base della Scrittura, i misteri della fede e insieme un «codice
simbolico», attraverso cui riconoscersi e identificarsi specie nei tempi
difficili delle persecuzioni. Chi non ricorda quei simboli che furono
anche i primi accenni di un’arte pittorica e plastica? Il pesce, i pani,
il pastore, evocavano il mistero diventando, quasi insensibilmente,
abbozzi di un’arte nuova.
Quando
ai cristiani, con l’editto di Costantino, fu concesso di esprimersi in
piena libertà, l’arte divenne un canale privilegiato di manifestazione
della fede. Lo spazio cominciò a fiorire di maestose basiliche, in cui i
canoni architettonici dell’antico paganesimo venivano ripresi e insieme
piegati alle esigenze del nuovo culto. Come non ricordare almeno
l’antica Basilica di San Pietro e quella di San Giovanni in Laterano,
costruite a spese dello stesso Costantino? O, per gli splendori
dell’arte bizantina, la Haghia Sophia di Costantinopoli voluta da
Giustiniano?
Mentre
l’architettura disegnava lo spazio sacro, progressivamente il bisogno
di contemplare il mistero e di proporlo in modo immediato ai semplici
spinse alle iniziali espressioni dell’arte pittorica e scultorea.
Insieme sorgevano i primi abbozzi di un’arte della parola e del suono, e
se Agostino, fra i tanti temi della sua produzione, includeva anche un
De musica, Ilario, Ambrogio, Prudenzio, Efrem il Siro, Gregorio di
Nazianzo, Paolino di Nola, per non citare che alcuni nomi, si facevano
promotori di una poesia cristiana che spesso raggiunge un alto valore
non solo teologico ma anche letterario. Il loro programma poetico
valorizzava forme ereditate dai classici, ma attingeva alla pura linfa
del Vangelo, come efficacemente sentenziava il santo poeta nolano: «La
nostra unica arte è la fede e Cristo è il nostro canto» («At nobis ars
una fides et musica Christus»: Carmen 20, 21: CCL 203, 144). Gregorio
Magno, per parte sua, qualche tempo più tardi poneva con la compilazione
dell’Antiphonarium la premessa per lo sviluppo organico di quella
musica sacra così originale che da lui ha preso nome. Con le sue
ispirate modulazioni il canto gregoriano diverrà nei secoli la tipica
espressione melodica della fede della Chiesa durante la celebrazione
liturgica dei sacri Misteri. Il «bello» si coniugava così col «vero»,
perché anche attraverso le vie dell’arte gli animi fossero rapiti dal
sensibile all’eterno.
In
questo cammino non mancarono momenti difficili. Proprio sul tema della
rappresentazione del mistero cristiano l’antichità conobbe un’aspra
controversia passata alla storia col nome di «lotta iconoclasta». Le
immagini sacre, ormai diffuse nella devozione del popolo di Dio, furono
fatte oggetto di una violenta contestazione. Il Concilio celebrato a
Nicea nel 787, che stabilì la liceità delle immagini e del loro culto,
fu un avvenimento storico non solo per la fede, ma per la stessa
cultura.
L’argomento decisivo a cui i Vescovi si appellarono per dirimere la
controversia fu il mistero dell’Incarnazione: se il Figlio di Dio è
entrato nel mondo delle realtà visibili, gettando un ponte mediante la
sua umanità tra il visibile e l’invisibile, analogamente si può pensare
che una rappresentazione del mistero possa essere usata, nella logica
del segno, come evocazione sensibile del mistero. L’icona non è venerata
per se stessa, ma rinvia al soggetto che rappresenta.
Il Medioevo
I
secoli che seguirono furono testimoni di un grande sviluppo dell’arte
cristiana. In Oriente continuò a fiorire l’arte delle icone, legata a
significativi canoni teologici ed estetici e sorretta dalla convinzione
che, in un certo senso, l’icona è un sacramento: analogamente, infatti, a
quanto avviene nei Sacramenti, essa rende presente il mistero
dell’Incarnazione nell’uno o nell’altro suo aspetto. Proprio per questo
la bellezza dell’icona può essere soprattutto gustata all’interno di un
tempio con lampade che ardono e suscitano nella penombra infiniti
riflessi di luce. Scrive in proposito Pavel Florenskij: «L’oro, barbaro,
pesante, futile nella luce diffusa del giorno, con la luce tremolante
di una lampada o di una candela si ravviva, poiché sfavilla di miriadi
di scintille, ora qui ora là, facendo presentire altre luci non
terrestri che riempiono lo spazio celeste» (La prospettiva rovesciata ed
altri scritti, Roma 1984, 63).
In
Occidente i punti di vista da cui partono gli artisti sono i più vari,
in dipendenza anche dalle convinzioni di fondo presenti nell’ambiente
culturale del loro tempo. Il patrimonio artistico che s’è venuto
accumulando nel corso dei secoli annovera una vastissima fioritura di
opere sacre altamente ispirate, che lasciano anche l’osservatore di oggi
colmo di ammirazione. Restano in primo piano le grandi costruzioni del
culto, in cui la funzionalità si sposa sempre all’estro, e quest’ultimo
si lascia ispirare dal senso del bello e dall’intuizione del mistero. Ne
nascono gli stili ben noti alla storia dell’arte. La forza e la
semplicità del romanico, espressa nelle cattedrali o nei complessi
abbaziali, si va gradatamente sviluppando negli slanci e negli splendori
del gotico. Dentro queste forme non c’è solo il genio di un artista, ma
l’animo di un popolo. Nei giochi delle luci e delle ombre, nelle forme
ora massicce ora slanciate, intervengono certo considerazioni di tecnica
strutturale, ma anche tensioni proprie dell’esperienza di Dio, mistero
«tremendo» e «fascinoso». Come sintetizzare in pochi cenni, e per le
diverse espressioni dell’arte, la potenza creativa dei lunghi secoli del
medioevo cristiano? Un’intera cultura, pur nei limiti sempre presenti
dell’umano, si era impregnata di Vangelo, e dove il pensiero teologico
realizzava la Summa di S. Tommaso, l’arte delle chiese piegava la
materia all’adorazione del mistero, mentre un mirabile poeta come Dante
Alighieri poteva comporre «il poema sacro, / al quale ha posto mano e
cielo e terra» (Paradiso XXV, 1-2), come egli stesso qualifica la Divina
Commedia.
Umanesimo e Rinascimento
La
felice temperie culturale, da cui germoglia la straordinaria fioritura
artistica dell’Umanesimo e del Rinascimento, ha riflessi significativi
anche sul modo in cui gli artisti di questo periodo si rapportano al
tema religioso. Naturalmente le ispirazioni sono variegate quanto lo
sono i loro stili, o almeno quelli dei più grandi tra essi. Ma non è
nelle mie intenzioni richiamare cose che voi, artisti, ben conoscete.
Vorrei piuttosto, scrivendovi da questo Palazzo Apostolico, che è anche
uno scrigno di capolavori forse unico al mondo, farmi voce dei sommi
artisti che qui hanno riversato le ricchezze del loro genio, intriso
spesso di grande profondità spirituale. Da qui parla Michelangelo, che
nella Cappella Sistina ha come raccolto, dalla Creazione al Giudizio
Universale, il dramma e il mistero del mondo, dando volto a Dio Padre, a
Cristo giudice, all’uomo nel suo faticoso cammino dalle origini al
traguardo della storia. Da qui parla il genio delicato e profondo di
Raffaello, additando nella varietà dei suoi dipinti, e specie nella
«Disputa» della Stanza della Segnatura, il mistero della rivelazione del
Dio Trinitario, che nell’Eucaristia si fa compagnia dell’uomo, e
proietta luce sulle domande e le attese dell’intelligenza umana. Da qui,
dalla maestosa Basilica dedicata al Principe degli Apostoli, dal
colonnato che da essa si diparte come due braccia aperte ad accogliere
l’umanità, parlano ancora un Bramante, un Bernini, un Borromini, un
Maderno, per non citare che i maggiori, dando plasticamente il senso del
mistero che fa della Chiesa una comunità universale, ospitale, madre e
compagna di viaggio per ogni uomo alla ricerca di Dio.
L’arte sacra ha trovato, in questo complesso straordinario,
un’espressione di eccezionale potenza, raggiungendo livelli di
imperituro valore insieme estetico e religioso. Ciò che sempre di più la
caratterizza, sotto l’impulso dell’Umanesimo e del Rinascimento, e poi
delle successive tendenze della cultura e della scienza, è un interesse
crescente per l’uomo, il mondo, la realtà della storia. Questa
attenzione, di per sé, non è affatto un pericolo per la fede cristiana,
centrata sul mistero dell’Incarnazione, e dunque sulla valorizzazione
dell’uomo da parte di Dio. Proprio i sommi artisti su menzionati ce lo
dimostrano. Basterebbe pensare al modo con cui Michelangelo esprime,
nelle sue pitture e sculture, la bellezza del corpo umano. Del resto,
anche nel nuovo clima degli ultimi secoli, in cui parte della società
sembra divenuta indifferente alla fede, l’arte religiosa non ha
interrotto il suo cammino. La constatazione si amplia, se dal versante
delle arti figurative, passiamo a considerare il grande sviluppo che,
proprio nello stesso arco di tempo, ha avuto la musica sacra, composta
per le esigenze liturgiche, o anche solo legata a temi religiosi. A
parte i tanti artisti che si sono dedicati principalmente ad essa – come
non ricordare almeno un Pier Luigi da Palestrina, un Orlando di Lasso,
un Tomàs Luis de Victoria? – è noto che molti grandi compositori – da
Haendel a Bach, da Mozart a Schubert, da Beethoven a Berlioz, da Liszt a
Verdi – ci hanno dato opere di grandissima ispirazione anche in questo
campo (Lettera del Papa Giovanni Paolo II agli Artisti, nn. 6-9).
3. Saper leggere l’arte con la Bibbia
I due punti che seguono intendono evidenziare con molta modestia la ricaduta dei punti precedenti nel processo scolastico
Il
primo risultato, che dà premessa ad ogni altro, è il seguente: per la
buona ragione che l’IRC nella scuola di base mira all’uso della Bibbia,
in particolare dei Vangeli, integrati da opportuni testi della
Tradizione (cf Prog. IRC, 5, 2), occorre che l’alunno, e quindi il
docente, entrino in questa zona così straordinariamente feconda con più
cultura e competenza comunicativa. Cosa che vale anche nel cammino della
catechesi e di ogni formazione cristiana.
Più
specificamente merita chiarire alcune istanze pedagogico-didattiche che
conseguono dalla Bibbia in relazione alle forme artistiche che
l’esprimono. Sono tre affermazioni:
*
L’arte che si ispira alla Bibbia ne è automaticamente un’esegesi
pratica, un’esegesi che (in ciò più consona all’identità della Bibbia),
intende dire il messaggio biblico per la via della bellezza o poetica.
Ma questo non significa sempre che sia una buona esegesi tout court in
senso scientifico, “storico-critico”. Il Dies Irae di Mozart o di Verdi
non fanno del tutto giustizia al giudizio di Dio nella genuina visione
biblica (tanto che il Dies Irae è stato messo da parte dalla riforma
liturgica del Concilio). Il loro contributo va visto piuttosto nella
potenza che la Parola, pur avvertita secondo i canoni della teologia del
tempo, ha provocato nelle persone. Lo stesso si può dire per l’arte
pittorica, ad es. di certi quadri sacro-profani del Rinascimento (quadri
sia dell’Ultima Cena come pure della Natività): possono avere delle
valenze esegetiche scarse, mentre ne hanno grandiose quelle artistiche. A
questo scopo è doveroso dire che la caratura esegetica delle opere
artistiche corrisponde al livello, grande o mediocre, della cultura
biblica del tempo, anche se gli artisti mai hanno pensato di essere
esegeti del testo.
*
Questo comporta anche una avveduta presentazione dell’opera d’arte ai
ragazzi, che prendendo alla lettera i particolari e indebitamente
storicizzandoli, rischiano forzature esegetiche .In questo senso non si
può fare del Giudizio Universale di Michelangelo una riproduzione
storica, quasi “fotografica”, del discorso di Cristo sul giudizio in Mt
25, 31-46. Né si può dire automaticamente che lo sguardo di Cristo
nell’Ultima Cena di Leonardo esprima la delusione del tradimento, quanto
piuttosto – facendo un raffronto tra racconto evangelico e dipinto – la
passione amorosa del dono che Egli fa di sé nei segni del pane e del
vino. In concreto si richiedono da parte dell’insegnante due
atteggiamenti: qualora fosse necessario (e lo è con immaturi), di
precisare il senso esegetico secondo una qualificata ed aggiornata
critica biblica, mostrando così convergenze e divergenze del testo con
l’opera d’arte proposta; cogliere il messaggio del testo, più che i
particolari di esso, perché è la globalità del senso che l’artista, bene
o male, intende esprimere. Egli opera secondo un processo gestaltico,
più che analitico, anche quando esprime un determinato episodio.
* E qui raggiungiamo un fondamentale criterio dell’arte secondo la
Bibbia, in piena corrispondenza con la sua estetica interiore. Da un
lato essa grazie al simbolo di cui è sostanziata dà la possibilità di
dire “Dio è come…”, ed anche “Dio non è come…” É questa dicibilità ed
insieme ineffabilità del sacro che diventano obiettivo ed insieme
verifica di autenticità per quell’arte che si vuole ispirata alla Bibbia
e dunque nostro parametro di lettura.
4. Saper leggere la Bibbia con l’arte
Siamo così al vero compito nella presentazione del rapporto arte e
Bibbia. Quello che conta, non è tanto, per sé, constatare come l’artista
è rimasto fedele o meno al testo nei suoi particolari, quanto piuttosto
avvertire come l’opera d’arte fa entrare e gustare, per qualche
aspetto, quello che la Bibbia afferma. Si accetta dunque di fare una
certa verifica anche esegetica dell’arte, per premurarsi meglio la
comprensione artistica del dato biblico, poter penetrare nel testo con
gli occhi della bellezza, e così cogliere il “bello/buono” della Bibbia.
Vengono alla mente tre applicazioni:
1.L’opera d’arte è tale, e sempre di più lo è, perché – come dice
ancora Giovanni Paolo II – «va oltre ciò che percepiscono i sensi e,
penetrando la realtà, si sforza di interpretarne il mistero nascosto.
Essa scaturisce dal profondo dell’animo umano, là dove l’aspirazione a
dare un senso alla propria vita si accompagna alla percezione fugace
della bellezza e della misteriosa unità delle cose…Ciò che gli artisti
dipingono, scolpiscono, creano non è che un barlume di quello splendore
che è balenato per qualche istante davanti agli occhi del loro spirito.
Di questo il credente non si meraviglia: egli sa di essersi affacciato
per un attimo su quell’abisso di luce che ha in Dio la sua sorgente
originaria. Ogni forma autentica d’arte è, a suo modo, una via d’accesso
alla realtà più profonda dell’uomo e del mondo. Come tale, essa
costituisce un approccio molto valido all’orizzonte della fede, in cui
la vicenda umana trova la sua interpretazione compiuta. Ecco perché la
pienezza evangelica della verità non poteva non suscitare fin
dall’inizio l’interesse degli artisti, sensibili per loro natura a tutte
le manifestazioni dell’intima bellezza della realtà.». Aiutare gli
alunni a penetrare in questo “mistero” attraverso l’emozione dell’arte è
il miglior servizio che l’arte fa alla Bibbia e che ci si attende da
essa.
2.
Questo comporta un certo criterio di valutazione e perciò di scelta fra
le tante opere d’arte collegate al tema biblico. Non le più precise
valgono, ma quelle che più fanno intuire la pienezza del mistero di Dio.
In questo senso l’icona per la sua capacità di stabilità dinamica,
povera nei particolari e concentrata nei volti, meglio favorisce la
comprensione del testo. Questo vale non solo per l’icona bizantina, ma
anche per quelle icone moderne che possono emergere anche dalle nuove
correnti artistiche, una volta che si è capaci di penetrarne il
significato. Rouault come Chagall possono parlare quanto i pittori
bizantini delle icone.
3. Ma la maturità di una lettura artistica della Bibbia sarà raggiunta
quando anche le espressioni che paiono meno propizie all’immediatezza
biblica, ma che sono di pittori valenti, saranno colte nel loro sforzo,
talora fallimentare, di cercare di dire il mistero. Dio è mistero.
L’uomo è mistero. E dove vi è mistero ivi c’è presagio di Dio e
dell’uomo. Questi parametri assumono ancora più veemenza di verità
nell’opera letteraria, teatrale e filmica, dove è facile ritrovare
verità stupende in un mare d’inesattezze materiali
5. Conclusione
Chiaramente
tutto questo discorso richiede cultura nel docente e porta decisamente
ad intendere e volere il rapporto Bibbia ed arte come orientamento
dell’animo degli alunni ad una comprensione artistica del testo biblico
più che ad una comprensione esegetica dell’opera d’arte. Vuol dire
entrare nel mistero che il Libro Sacro racchiude, per la via così
singolare e in certo modo unica dell’arte che tale mistero dischiude.
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