mercoledì 31 luglio 2019

GUIDO GAMBONE ceramista e scultore




GUIDO GAMBONE
ceramista e scultore


Fiasca a forma di donna sdraiata "La Faenzerella".
Lungh. cm. 47; alt. cm. 38.
Maiolica.
Premio Faenza ex aequo all' 8º Concorso Nazionale della Ceramica 1949.
 
Guido Gambone (Montella 1909 – Firenze 1969).
Primo di cinque figli, Guido Gambone nasce a Montella, in provincia di Avellino, il 27 giugno 1909, da una famiglia del ceto medio: il padre Gaetano, diplomato in composizione presso il Conservatorio di Napoli, dirige la banda comunale. Giovanissimo, si trasferisce con i genitori a Salerno, ove compie gli studi frequentando il ginnasio nella vecchia sede di piazza Abate Conforti: più tardi, a partire dalla seconda metà degli anni Venti, lo troviamo al banco di zi' Domenico a Vietri sul Mare dedito alla pittura nei laboratori di ceramica. Qualche anno dopo è alle dipendenze della fabbrica Avallone. La sua vocazione iniziale è la pittura, con un esercizio attento alla cultura artistica italiana, con chiari riferimenti agli artisti che espongono nelle Triennali, dapprima a Monza, fino al 1930, anno in cui un suo lavoro è presentato dalla ditta Avallone, poi a Milano nel 1933. Già nel 1928, come riferisce Dario Poppi, Gambone è stabilmente dedito alla pittura ad olio, come attestano l’Autoritratto, databile fra il 1930 e il 1931, Via Canali del 1933, con richiami a Sironi, esibendo, anche, una cifra espressionista, reinterpretata dai disegni di Riccardo Doelker, di Hugo Ball e, poi, della Kowaliska, insomma di quegli artisti tedeschi che fra gli anni Venti e Trenta soggiorneranno a Vietri sul Mare, segnando profondamente la sua ceramica. A metà del decennio, la pittura di Gambone sarà rapita dalle luci di una sensualità mediterranea, capace di spostare in avanti la sua relazione con la visione, oltre la configurazione di un paesaggio assunto come mito, propria del Carrà degli anni del “realismo magico. Lo testimoniano opere quali Uomo con cavallo, un pastello del 1938, e Figure sulla spiaggia, databile al 1936.
Dalla bottega dell'Avallone passa alle dipendenze di Max Melamerson nell'Industria Ceramica Salernitana, dopo che Riccardo Doelker aveva lasciato Vietri: nel 1935 partecipa alla selezione provinciale dei Prelittoriali della Cultura organizzati a Salerno e poi alla mostra regionale tenutasi a Napoli nel 1936, ove espone Il Duce ha chiamato, una tela del 1935. Del 1938 è Testa di donna, una maiolica verde a tutto tondo ove appare chiara la volontà di dare un maggiore risalto al modellato, seguendo una linea primitiva, sulla scia del dibattito acceso sulle pagine della rivista "Valori Plastici", volontà resa maggiormente evidente dall'uso di un verde ramato, qua e là, assorbente di luce.  Un linguaggio plastico che ha la possibilità di vedere a Firenze quando, nel 1937, si reca, con Vincenzo e Salvatore Procida e Francesco Solimene, presso la ditta Cantagalli che in quegli anni stringe rapporti di lavoro con Melamerson. Nel 1940 ritorna a Vietri sul Mare, ove è alle dipendenze della “MACS”, il nuovo nome dato dal Cav. Negri, che l’aveva prelevata, alla vecchia Industria Ceramica Salernitana; nel 1940 partecipa alla VII Triennale di Milano, mentre nel 1942 è al IV Concorso Nazionale della Ceramica di Faenza.
Del secondo dopoguerra, fra il 1944 e il 1945, è l'apertura della sua celebre bottega “La Faenzarella - Gambone e compagni”, alla quale collaborano Andrea d'Arienzo e Vincenzo Procida.  Nel 1947 una sua opera è segnalata al Premio Faenza, mentre nel 1948 vince il primo premio al Concorso Nazionale della Ceramica della stessa città con La Faenzerella, una scultura in maiolica. È questa un’opera significativa per quegli anni, segnata da una plastica semplice che organizza la forma e da un segno minimo al quale affida tratti della figura. Sulla stessa traccia si pongono il Cavaliere, una maiolica, ove sono presenti riferimenti al Picasso mediterraneo, che ha la possibilità di vedere dal vero nella visita alla Biennale veneziana del 1948. I dipinti di questo periodo respirano un’aria particolare ed intensa: v’è la scoperta di Van Gogh, della luce di Matisse, della costruzione dello spazio cézanniano, tutto ciò, però, sottoposto ad un registro formale, ad una sorta di classicità assunta come prospettiva di rinnovamento etico, avvertito da Gambone come essenza del suo essere artista. Della fine degli anni Quaranta sono dipinti quali i numerosi paesaggi della costiera, le donne negli interni o sulle spiagge assolate: nel 1950 tiene una mostra personale alla Galleria Sant’Orsola di Napoli, organizzata da Paolo Ricci; con la Figura femminile (nota come Nudo sul dorso), del 1949-50, e con la piastra in maiolica raffigurante il Ratto d'Europa espone alla Biennale di Venezia del 1950, nella sala con Melotti e Minguzzi. Nel 1949 vince il premio concorso Nove di Vicenza, mentre del 1950 è la presenza, a fianco di Fausto Melotti, Gio Ponti, Pietro Consagra, Aligi Sassu, Orfeo Tamburi ed architetti quali, ad esempio, Luigi Cosenza, Fabrizio Clerici e Carlo Mollino, alla rassegna “Italy at Work. Her renaissance in design today”, curata dalla C.N.A., tenutasi a Chicago e circolante in altre sedi degli i Stati Uniti.  
Nel 1950 si trasferisce definitivamente a Firenze: qui ha modo di frequentare l’ambiente artistico e letterario, dal pittore Rosai all'architetto Michelucci, al poeta Mario Luzi, allo scrittore Lombardo Radice, ai giovani artisti che, in quell’anno, danno vita al gruppo dell’Astrattismo Classico, nonché di rincontrare il pittore Michelangelo Conti, conosciuto a Vietri a metà degli anni Trenta quando questi era intento alla decorazione dell’abside della chiesa di Bagnoli. Al primo periodo fiorentino vanno restituite alcune opere quali il Guerriero del 1950, oggi al Museo dell'Artigianato di Firenze, la scultura Leda e il cigno, dello stesso anno, esposta, insieme ad altre opere, nella personale del 1951 alla Galleria Il Milione di Milano. Dei primi anni Cinquanta sono una serie di dipinti connotati da una decisa matrice astratta, con una tessitura geometrica di forte suggestione lirica, come si riscontra in tele, eseguite fra il 1951 e il 1954, quali Senza titolo n. 4, Senza titolo n. 9 e la sognante Senza titolo n. 36. A Milano conosce Atanasio Soldati, frequenta Lucio Fontana e quegli artisti provenienti dalle file del Fronte Nuovo delle Arti, quali Afro, Birolli, Cassinari. Dalla metà del decennio Gambone inizia a sperimentare il grès, un materiale che segnerà profondamente il suo linguaggio, come testimoniano le bottiglie del 1956, Vaso zoomorfo del 1959, Scultura dello stesso anno e Scultura bianca, oggi nella collezione Jach Yager di New York. In questi stessi anni inizia ad occuparsi di grafica: dapprima è la xilografia su legno, successivamente su linoleum, indagata su piccole dimensioni e segnata da impianti postcubisti, con figure spigolose. Più tardi, dal 1956, approda al monotipo, interesse che l’accompagnerà sino agli ultimi anni di vita. Attraverso questa tecnica che, per alcune affinità, richiama l’esperienza di Cagli, Gambone indaga uno spazio costruito da chiaroscuri, da schermi che, man mano (nella seconda metà del decennio Sessanta), lasciano il posto ad insorgenze figurali, di matrice onirica. Alcuni monotipi saranno esposti, nel 1958, nella rassegna dedicata alla grafica, organizzata da Fiamma Vigo e tenutasi nella Galleria Numero di Firenze.
   Nel 1954, con le sculture Madre e Donna distesa, vince il Premio G. Ballardini al concorso di Faenza: queste due opere esprimono in pieno la partecipazione dell'artista al dibattito italiano di quegli anni, avvicinandosi al dettato postcubista, leggendo Picasso, quello di Guernica, con i tagli netti, con i piani strutturati da un partito geometrico.  Del 1951 è l'invito alla IX Triennale di Milano e del 1952 la partecipazione alla mostra Art Decoratif Italien, tenutasi presso la Galleria Orfèvriere Christofle di Parigi.  Nel 1954 espone alcune sculture in maiolica nella mostra Forme nuove in Italia, organizzata a Zurigo, nonché alla X Triennale milanese, mentre del 1955 è la presenza alla rassegna Le chefs-d'oeuvre de la Céramique Moderne, tenutasi a Cannes. In quell’anno partecipa alla mostra Modern Italian Design, organizzata dalla C.N.A., itinerante fra Liverpool, Manchester e Dublino.  Nelle opere eseguite in grès nella prima metà degli anni Sessanta, l'artista attua una riduzione dell'impianto compositivo, che mira ad una forma pura, e primaria, come testimoniano i lavori realizzati già dal 1960, quali ad esempio Grande totem. Nel 1961 è invitato alla mostra Artesana Italiana, allestita al Cason del Buen Retiro a Madrid; nello stesso anno tiene la mostra personale alla Galleria Le Stagioni di Padova ove espone gran parte dei suoi grès; nel 1962 partecipa alla Zeitgenossiche Keramik aus Italien,  allestita ad Amburgo, e all’Esposizione Internazionale della Ceramica tenutasi a Praga.  Lo sforzo di mirare ad una effettiva sintesi sembra trovare il suo approdo nella Pietà, del 1963: la figura in verticale e quella in orizzontale, il corpo del Cristo morto, sono ridotte a due piani che s’intersecano, seguendo un schema carico di forza simbolica. Nel 1964 espone nella Mostra Internazionale delle Ceramiche a Tokio; nel 1967 è ancora ad Amsterdam,  nella rassegna Nieuwe Italianse Vormgevig, mostra curata dalla Triennale di Milano, e all'Esposizione Universale di Montreal. Agli ultimi anni di vita appartengono piccole sculture realizzate in porcellana e, tra queste, Cubo stanco: la composizione, rispetto ai lavori della metà del decennio, sembra essersi irrigidita, resa magica ed arcaica dal colore ruggine. Nel 1967 la Triennale di Milano gli dedica una mostra personale, mentre del 1968 è l’invito alla mostra 7 Ceramisti, tenutasi alla Loggia Rucellai a Firenze, e alla Manifestazione del Prodotto Italiano, organizzata ad Essen.Muore a Firenze il 20 settembre del 1969. 




Fonte :  www.proloco.minori.sa.it/Manifestazioni/Manifestazioni%202007/ApertComSta07.doc 






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