GUIDO GAMBONE
ceramista e scultore
Fiasca a
forma di donna sdraiata "La Faenzerella".
Lungh. cm. 47; alt. cm. 38.
Maiolica.
Premio Faenza ex aequo all' 8º Concorso Nazionale della Ceramica 1949.
Lungh. cm. 47; alt. cm. 38.
Maiolica.
Premio Faenza ex aequo all' 8º Concorso Nazionale della Ceramica 1949.
Guido Gambone
(Montella 1909 – Firenze 1969).
Primo di cinque
figli, Guido Gambone nasce a Montella, in provincia di Avellino, il 27 giugno
1909, da una famiglia del ceto medio: il padre Gaetano, diplomato in
composizione presso il Conservatorio di Napoli, dirige la banda comunale.
Giovanissimo, si trasferisce con i genitori a Salerno, ove compie gli studi
frequentando il ginnasio nella vecchia sede di piazza Abate Conforti: più tardi,
a partire dalla seconda metà degli anni Venti, lo troviamo al banco di zi'
Domenico a Vietri sul Mare dedito alla pittura nei laboratori di ceramica.
Qualche anno dopo è alle dipendenze della fabbrica Avallone. La sua vocazione
iniziale è la pittura, con un esercizio attento alla cultura artistica italiana,
con chiari riferimenti agli artisti che espongono nelle Triennali, dapprima a
Monza, fino al 1930, anno in cui un suo lavoro è presentato dalla ditta Avallone,
poi a Milano nel 1933. Già nel 1928, come riferisce Dario Poppi, Gambone è
stabilmente dedito alla pittura ad olio, come attestano l’Autoritratto,
databile fra il 1930 e il 1931, Via Canali del 1933, con richiami a
Sironi, esibendo, anche, una cifra espressionista, reinterpretata dai disegni di
Riccardo Doelker, di Hugo Ball e, poi, della Kowaliska, insomma di quegli
artisti tedeschi che fra gli anni Venti e Trenta soggiorneranno a Vietri sul
Mare, segnando profondamente la sua ceramica. A metà del decennio, la pittura di
Gambone sarà rapita dalle luci di una sensualità mediterranea, capace di
spostare in avanti la sua relazione con la visione, oltre la configurazione di
un paesaggio assunto come mito, propria del Carrà degli anni del “realismo
magico. Lo testimoniano opere quali Uomo con cavallo, un pastello del
1938, e Figure sulla spiaggia, databile al 1936.
Dalla bottega
dell'Avallone passa alle dipendenze di Max Melamerson nell'Industria Ceramica
Salernitana, dopo che Riccardo Doelker aveva lasciato Vietri: nel 1935 partecipa
alla selezione provinciale dei Prelittoriali della Cultura organizzati a Salerno
e poi alla mostra regionale tenutasi a Napoli nel 1936, ove espone Il Duce ha
chiamato, una tela del 1935. Del 1938 è Testa di donna, una maiolica
verde a tutto tondo ove appare chiara la volontà di dare un maggiore risalto al
modellato, seguendo una linea primitiva, sulla scia del dibattito acceso sulle
pagine della rivista "Valori Plastici", volontà resa maggiormente evidente
dall'uso di un verde ramato, qua e là, assorbente di luce. Un linguaggio
plastico che ha la possibilità di vedere a Firenze quando, nel 1937, si reca,
con Vincenzo e Salvatore Procida e Francesco Solimene, presso la ditta
Cantagalli che in quegli anni stringe rapporti di lavoro con Melamerson. Nel
1940 ritorna a Vietri sul Mare, ove è alle dipendenze della “MACS”, il nuovo
nome dato dal Cav. Negri, che l’aveva prelevata, alla vecchia Industria Ceramica
Salernitana; nel 1940 partecipa alla VII Triennale di Milano, mentre nel 1942 è
al IV Concorso Nazionale della Ceramica di Faenza.
Del secondo
dopoguerra, fra il 1944 e il 1945, è l'apertura della sua celebre bottega “La
Faenzarella - Gambone e compagni”, alla quale collaborano Andrea d'Arienzo e
Vincenzo Procida. Nel 1947 una sua opera è segnalata al Premio Faenza, mentre
nel 1948 vince il primo premio al Concorso Nazionale della Ceramica della stessa
città con La Faenzerella, una scultura in maiolica. È questa un’opera
significativa per quegli anni, segnata da una plastica semplice che organizza la
forma e da un segno minimo al quale affida tratti della figura. Sulla stessa
traccia si pongono il Cavaliere, una maiolica, ove sono presenti
riferimenti al Picasso mediterraneo, che ha la possibilità di vedere dal vero
nella visita alla Biennale veneziana del 1948. I dipinti di questo periodo
respirano un’aria particolare ed intensa: v’è la scoperta di Van Gogh, della
luce di Matisse, della costruzione dello spazio cézanniano, tutto ciò, però,
sottoposto ad un registro formale, ad una sorta di classicità assunta come
prospettiva di rinnovamento etico, avvertito da Gambone come essenza del suo
essere artista. Della fine degli anni Quaranta sono dipinti quali i numerosi
paesaggi della costiera, le donne negli interni o sulle spiagge assolate:
nel 1950 tiene una mostra personale alla Galleria Sant’Orsola di Napoli,
organizzata da Paolo Ricci; con la Figura femminile (nota come Nudo
sul dorso), del 1949-50, e con la piastra in maiolica raffigurante il
Ratto d'Europa espone alla Biennale di Venezia del 1950, nella sala con
Melotti e Minguzzi. Nel 1949 vince il premio concorso Nove di Vicenza, mentre
del 1950 è la presenza, a fianco di Fausto Melotti, Gio Ponti, Pietro Consagra,
Aligi Sassu, Orfeo Tamburi ed architetti quali, ad esempio, Luigi Cosenza,
Fabrizio Clerici e Carlo Mollino, alla rassegna “Italy at Work. Her renaissance
in design today”, curata dalla C.N.A., tenutasi a Chicago e circolante in altre
sedi degli i Stati Uniti.
Nel 1950 si
trasferisce definitivamente a Firenze: qui ha modo di frequentare l’ambiente
artistico e letterario, dal pittore Rosai all'architetto Michelucci, al poeta
Mario Luzi, allo scrittore Lombardo Radice, ai giovani artisti che, in
quell’anno, danno vita al gruppo dell’Astrattismo Classico, nonché di
rincontrare il pittore Michelangelo Conti, conosciuto a Vietri a metà degli anni
Trenta quando questi era intento alla decorazione dell’abside della chiesa di
Bagnoli. Al primo periodo fiorentino vanno restituite alcune opere quali il
Guerriero del 1950, oggi al Museo dell'Artigianato di Firenze, la scultura
Leda e il cigno, dello stesso anno, esposta, insieme ad altre opere,
nella personale del 1951 alla Galleria Il Milione di Milano. Dei primi anni
Cinquanta sono una serie di dipinti connotati da una decisa matrice astratta,
con una tessitura geometrica di forte suggestione lirica, come si riscontra in
tele, eseguite fra il 1951 e il 1954, quali Senza titolo n. 4, Senza
titolo n. 9 e la sognante Senza titolo n. 36. A Milano conosce
Atanasio Soldati, frequenta Lucio Fontana e quegli artisti provenienti dalle
file del Fronte Nuovo delle Arti, quali Afro, Birolli, Cassinari. Dalla metà del
decennio Gambone inizia a sperimentare il grès, un materiale che segnerà
profondamente il suo linguaggio, come testimoniano le bottiglie del 1956,
Vaso zoomorfo del 1959, Scultura dello stesso anno e Scultura
bianca, oggi nella collezione Jach Yager di New York. In questi stessi anni
inizia ad occuparsi di grafica: dapprima è la xilografia su legno,
successivamente su linoleum, indagata su piccole dimensioni e segnata da
impianti postcubisti, con figure spigolose. Più tardi, dal 1956, approda al
monotipo, interesse che l’accompagnerà sino agli ultimi anni di vita. Attraverso
questa tecnica che, per alcune affinità, richiama l’esperienza di Cagli, Gambone
indaga uno spazio costruito da chiaroscuri, da schermi che, man mano (nella
seconda metà del decennio Sessanta), lasciano il posto ad insorgenze figurali,
di matrice onirica. Alcuni monotipi saranno esposti, nel 1958, nella rassegna
dedicata alla grafica, organizzata da Fiamma Vigo e tenutasi nella Galleria
Numero di Firenze.
Nel 1954, con
le sculture Madre e Donna distesa, vince il Premio G. Ballardini
al concorso di Faenza: queste due opere esprimono in pieno la partecipazione
dell'artista al dibattito italiano di quegli anni, avvicinandosi al dettato
postcubista, leggendo Picasso, quello di Guernica, con i tagli netti, con i
piani strutturati da un partito geometrico. Del 1951 è l'invito alla IX
Triennale di Milano e del 1952 la partecipazione alla mostra Art Decoratif
Italien, tenutasi presso la Galleria Orfèvriere Christofle di Parigi. Nel 1954
espone alcune sculture in maiolica nella mostra Forme nuove in Italia,
organizzata a Zurigo, nonché alla X Triennale milanese, mentre del 1955 è la
presenza alla rassegna Le chefs-d'oeuvre de la Céramique Moderne, tenutasi a
Cannes. In quell’anno partecipa alla mostra Modern Italian Design, organizzata
dalla C.N.A., itinerante fra Liverpool, Manchester e Dublino. Nelle opere
eseguite in grès nella prima metà degli anni Sessanta, l'artista attua una
riduzione dell'impianto compositivo, che mira ad una forma pura, e primaria,
come testimoniano i lavori realizzati già dal 1960, quali ad esempio Grande
totem. Nel 1961 è invitato alla mostra Artesana Italiana, allestita al Cason
del Buen Retiro a Madrid; nello stesso anno tiene la mostra personale alla
Galleria Le Stagioni di Padova ove espone gran parte dei suoi grès; nel 1962
partecipa alla Zeitgenossiche Keramik aus Italien, allestita ad Amburgo, e
all’Esposizione Internazionale della Ceramica tenutasi a Praga. Lo sforzo di
mirare ad una effettiva sintesi sembra trovare il suo approdo nella Pietà,
del 1963: la figura in verticale e quella in orizzontale, il corpo del Cristo
morto, sono ridotte a due piani che s’intersecano, seguendo un schema carico di
forza simbolica. Nel 1964 espone nella Mostra Internazionale delle Ceramiche a
Tokio; nel 1967 è ancora ad Amsterdam, nella rassegna Nieuwe Italianse
Vormgevig, mostra curata dalla Triennale di Milano, e all'Esposizione Universale
di Montreal. Agli ultimi anni di vita appartengono piccole sculture realizzate
in porcellana e, tra queste, Cubo stanco: la composizione, rispetto ai
lavori della metà del decennio, sembra essersi irrigidita, resa magica ed
arcaica dal colore ruggine. Nel 1967 la Triennale di Milano gli dedica una
mostra personale, mentre del 1968 è l’invito alla mostra 7 Ceramisti, tenutasi
alla Loggia Rucellai a Firenze, e alla Manifestazione del Prodotto Italiano,
organizzata ad Essen.Muore a Firenze il 20 settembre del 1969.
Fonte : www.proloco.minori.sa.it/Manifestazioni/Manifestazioni%202007/ApertComSta07.doc
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