ZAMPOGNARO CONDIZIONE DELL'ANIMA
di Maria Concetta Nicolai
"I pifferari scendono dalle
selvagge montagne degli Abruzzi per suonare i loro rustici strumenti dinnanzi
alle immagini della Madonna. Vestono un’ampia cappa di panno scuro e portano il
cappello a punta come i briganti". Così Hector Berlioz, nel 1832, ci
rappresenta gli zampognari dai quali apprese, durante il soggiorno romano,
l’aria che poi volle inserire, secondo il gusto dell’epoca, come Sérénade
d’un Montagnard des Abruzzes à sa maîtresse, nell’Aroldo in Italia.
La letteratura romantica ha costruito l’immagine dello zampognaro vagabondo, musico di piazza, metà pastore, metà mendicante, secondo uno stereotipo consolidato che ancora resiste. Ma, al di là dei luoghi comuni e della oleografia natalizia, oggi, è il caso di chiedersi chi sia lo zampognaro, come viva, e quali siano le motivazioni che lo spingono a utilizzare uno strumento popolare così antico.
Innanzi tutto occorre puntualizzare che qualunque sia il livello tecnico raggiunto nell’uso di questo strumento o le ragioni che hanno indotto questa scelta etnomusicale, lo zampognaro è sempre figlio di una cultura popolare precisa che ha espresso, e ancora esprime, i suoi sentimenti attraverso una musica, a torto, ritenuta minore.
La letteratura romantica ha costruito l’immagine dello zampognaro vagabondo, musico di piazza, metà pastore, metà mendicante, secondo uno stereotipo consolidato che ancora resiste. Ma, al di là dei luoghi comuni e della oleografia natalizia, oggi, è il caso di chiedersi chi sia lo zampognaro, come viva, e quali siano le motivazioni che lo spingono a utilizzare uno strumento popolare così antico.
Innanzi tutto occorre puntualizzare che qualunque sia il livello tecnico raggiunto nell’uso di questo strumento o le ragioni che hanno indotto questa scelta etnomusicale, lo zampognaro è sempre figlio di una cultura popolare precisa che ha espresso, e ancora esprime, i suoi sentimenti attraverso una musica, a torto, ritenuta minore.
La capitale della zampogna
italiana, da qualche anno, è Scapoli, piccolo paese delle Mainarde, che
per una felice congiuntura di componenti è riuscita a ravvivare una tradizione
che rischiava di decadere, e a proporsi come centro internazionale della
etnomusicologia utriculare.
Qui, oltre che strumenti di prima
qualità prodotti nelle botteghe di Fonte Costanza, da artigiani depositari di
tecniche e segreti antichi, è possibile incontrare gli zampognari italiani ed
europei che trasformano il paese in una specie di università della musica
popolare con tanto di corsi di specializzazione e di perfezionamento.
Un nuovo zampognaro è Piero
Ricci, matesino di origine e isernino di cittadinanza, studi al conservatorio ed
una intensa attività concertistica e di composizione. Ha inventato quella che
chiama la zampogna europea, in grado di accordarsi con la maggior parte degli
strumenti dell’area mediterranea. A metà tra una 25 e una 26, perfettamente
accordata in sol, monta ance di plastica che Piero si costruisce personalmente e
con le quali esegue un repertorio di grande suggestione che, rivisitando la
tradizione, arriva fino al jazz. Solitamente lo accompagnano, in concerto, Lino
Miniscalco, impareggiabile biffera che evoca suoni e gesti medioevali, Ernesto
Carracillo, vivace ottobassi e Mauro Gioielli, stupefacente voce solista e alato
menestrello d’amore.
Zampognari di oggi sono Guido
Iannetta e Antonio Izzi, guardia forestale il primo, autista di autolinee il
secondo, ambedue di Scapoli. Adoperano una 25 classica ed eseguono, con notevole
esperienza, novene, zumparelle, mattinate, metenze della più autentica
tradizione. E zampognari sono anche Nico Berardi geologo e Patrizia Fazio
dottore in scienze naturali, che si sono proposti di introdurre la zampogna
(usano una 25 in sol) nelle feste salentine, da sempre geografia della pizzica
tarantata, danzata al suono del grande tamburello pugliese.
Zampognaro abruzzese è Carlo Di
Silvestre, taciturno e gentile gigante della montagna teramana, una laurea al
Dams e una vita tutta spesa nella ricerca etnomusicologica.
Zampognari sono i fratelli
Palumbo di Villa Latina, agricoltori e virtuosi della zoppa laziale (una 25
senza chiave), i bravissimi Emilio Rufo e Nadia Notardonato di Castelnuovo al
Volturno, Umberto Di Giammarino da Amatrice, impareggiabile esecutore di sonate
per la sposa con la sua ciaramella, inseparabile come Giancarlo Palombini,
l’amico che sempre l’accompagna alla tamburella e autore di uno dei più puntuali
studi sul folclore musicale dell’Alto Lazio.
Zampognari sono Beppe Luongo e
Antonio Leone di Colliano, con la 25 della Valle del Sele e Nicola Scaldaferri
con la surdulina del Pollino, come zampognaro era, e ci piace ricordarlo, Beppe
Belviso di Viggiano con la sua grande zampogna della Val d’Agri. Zampognaro è lo
statuario Ciccio Currò, galante messinese e camminante libero fratello del
vento, zampognaro è Orazio Corsaro da Messina.
Zampognari giovani e zampognari
anziani, zampognari di oggi e zampognari di ieri. Gente abituata ai grandi
orizzonti, agli scenari solenni della montagna, a trasformare, nel silenzio dei
lunghi viaggi, siano essi fisici o spirituali, il respiro del vento in un
sommesso, struggente canto del cuore.
Perché essere zampognaro è una
condizione dell’anima.
Fonte : http://www.profesnet.it/dabruzzo/tradizioni/zampognaro/
Foto di Luciano D'Angelo
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