Beppe Fragomeni
L'UOMO ATTUALE secondo Ronald D. Laing
Presentazione di Massimo Bolognino
Il testo del prof. Beppe
Fragomeni è davvero interessante per la capacità di rivelare il fondamento
trascendente della cultura e l'orientamento cristologico di ogni profonda
interrogazione sull'umano. "L'uomo attuale" consiste in una relazione
introduttiva al pensiero di Ronald Laing, grandissimo psichiatra, anzi uno
dei padri dell'antipsichiatria intesa come approccio globale ed umanizzante
alla realtà profonda del disagio psichico indagato nella sua richiesta muta
di senso e di senso spirituale, di pienezza umana e relazionale inappagata
nel contesto di un esistere mortificato e non compiuto nella dialtazione
delle sue potenzialità spirituali.
"la relazione presentata non ha
altro intento che quello di offrirsi come luogo di dialogo e conoscenza di e
tra voci autorevoli della tradizione spirituale cristiana, delle vie
sapienziali e della cultura, con l'unico scopo di creare affezione per la
lettura ed offrire stimoli e riferimenti per un personale percorso di
approfondimento diretto sui testi indicati che l'autore si è limitato a
raccogliere ed ordinare".
|
E’ doveroso
premettere che con questa breve relazione non si intende presentare una sintesi
dell’ opera di Laing, ma mettere in risalto un tratto particolare di questa,
finora ignorato dai suoi commentatori: questo famoso psichiatra, questo
psicologo e scrittore conosciuto in tutto il mondo, pone le dottrine spirituali
più elevate a fondamento delle sue teorie mediche. Non si pretende di proporre
un caso unico; si tratta tuttavia di un caso assai raro, vuoi per la padronanza
che dimostra nell’
uso
delle dottrine tradizionali, che per avere pensato di riproporle in questa
chiave :
le radici della vita
per riordinare la vita !
Di norma accade il contrario; ed è quando lo studioso di cose spirituali cerca
conferme alle sue teorie nelle scienze particolari. Ora, anche se può sembrare
ozioso, ci pare giusto precisare che mentre la spiritualità tende all’unità, le
scienze particolari tendono alla divisione, avendo come dato fondante l’analisi
più accurata dell’esistente. Laing, pertanto, sposta la sua attenzione
dall’ambito sociale, (esteriore) - al quale gli studiosi della sua disciplina
tendono a normalizzare i loro pazienti - al “fondo dell’anima umana”, alle
radici della vita, dove, per i mistici , dimora e regna Dio stesso, come dice
Luca: “.Il regno di Dio è dentro di voi” (17, 21) ; “Cercate piuttosto il regno
e il resto vi sarà dato in più” (12, 33).
L’esteriore, separato da ogni illuminazione proveniente dall’interiore, vive
nelle tenebre; la nostra è un’età delle tenebre: vivere nelle tenebre
dell’esteriorità è vivere in stato di peccato, ossia di alienazione, di
estraniazione dalla
luce interiore
-
R.D.Laing
Questo libro incomincia e finisce
con l’argomento della persona.
Sono in grado oggi gli esseri
umani di essere persona?
Può un essere umano essere
veramente se stesso con un altro uomo o con una donna?
Prima di essere in condizioni di
poter porre un interrogativo ottimistico come il seguente: “In cosa
consiste un rapporto tra persone?” bisogna
che ci chiediamo se un rapporto
tra persone sia possibile; o, meglio, se, nella nostra situazione attuale,
sono possibili delle persone.
Ciò che ci interessa è la
possibilità dell’uomo, ma questo interrogativo può essere formulato solo nei
suoi vari aspetti: è possibile l’amore?, è possibile la libertà?
Della voce persona l ‘’
“Oxford English Dictionary” fornisce otto significati:- parte sostenuta in
un’opera di teatro, o nella vita reale;- individuo della razza umana;- corpo di
un essere umano vivente;- individuo umano o persona giuridica o ente giuridico
con diritti e doveri riconosciuti dalla legge;- in teologia, ognuna delle tre
parti della trinità di Dio;- nella grammatica, ognuna delle tre classi di
pronomi e delle corrispondenti distinzioni nelle forme verbali che servono a
denotare la persona che sta parlando, ossia in prima persona, seconda persona,
terza persona ecc.;- in zoologia, ogni individuo di un gruppo o di una colonia,
ogni singolo esemplare.
Dato che in questa
sede ci occupiamo di esseri umani, le due accezioni che ci riguardano di più
sono quelle di persona come personaggio, maschera, ruolo teatrale e di persona
come io reale.
Sia che tutti gli esseri umani, o
solo alcuni, o nessuno siano delle persone, desidero definire la persona in un
modo doppio:
·
in termini di esperienza come un
centro di orientamento dell’universo obiettivo;
·
in termini di comportamento come
l’origine degli atti.
L’esperienza personale trasforma
un certo campo dato in un campo di intenzioni e di azione: la nostra esperienza
può essere trasformata solo attraverso l’azione.
E’ allettante e facile considerare
le “persone” solo come degli oggetti separati nello spazio che si possono
studiare come qualsiasi altro oggetto naturale. Ma, come Kirkegaard osservò che
la coscienza non si può trovare analizzando al microscopio cellule cerebrali,
così le persone non si possono rinvenire se le si studia come dei meri oggetti.
Una persona è quell’io o quel voi,
quell’egli o quell’essa da cui un oggetto viene sperimentato
Questi centri di esperienza,
queste origini degli atti vivono in mondi totalmente irrelati di loro privata
composizione?
Ognuno deve rifarsi, a questo
punto, alla propria esperienza personale. La mia esperienza ed il mio agire si
attuano su di un piano sociale di reciproca influenza e di interazione.
Esperimento me stesso,
identificabile come Ronald Laing da me stesso e dagli altri, come oggetto della
esperienza e degli atti altrui, e che si riferisce a quella persona che io
chiamo “me” come “voi” o “lui”, o che fa parte di un gruppo come “uno di
noi”, “uno di loro” od “uno di voi”.
Questa caratteristica dei rapporti
tra persone non risulta dalla correlazione del comportamento di oggetti non
personali.(...)
Si può osservare la gente
dormire, mangiare, camminare e parlare ecc. in modi relativamente prevedibili.
Noi non dobbiamo accontentar-
ci solo di una osservazione di
questo genere. L’osservazione del comportamento va estesa per mezzo di inferenze
per dedurre attributi circa l’esperienza. E soltanto quando siamo in grado di
fare questo che possiamo incominciare veramente a costruire quel sistema di
esperien- za e comportamento che è la specie umana.
L’uomo d’oggi vive uno stato di
“normale” alienazione dell’essere interiore a favore di una esteriorità falsa
ed oscura.
L’essere ed il non essere
costituiscono il tema centrale di tutte le filosofie, sia orientali che
occidentali: queste due parole non rappresen tano degli arabeschi verbali, fatui
ed innocui che nel mestieristico filosofeggiare dei decadenti.
Abbiamo paura di avvicinarci
all’immensurabile e insondabile man- canza di fondamento del tutto, ma “non c’è
nulla di cui avere paura”(..)
Noi esperimentiamo gli oggetti
della nostra esperienza come là fuori nel mondo; l’origine della nostra
esperienza sembra situarsi al di fuori di noi stessi.
Nell’esperienza creativa l’origine
delle immagini, delle forme, dei suoni, viene da noi sperimentata come
interna e tuttavia al di là di noi stessi: i colori provengono da una
fonte di pre-luce in sé oscura, i suoni dal silenzio, le forme dall’informe.
Questa luce preesistente, questo
pre-suono, questa pre-forma, non sono nulla, eppure costituiscono l’origine di
tutte le cose create
Noi siamo separati e congiunti gli
uni agli altri fisicamente: le persone, in quanto esseri dotati di un corpo, si
rapportano reciprocamente nello spazio; e inoltre siamo divisi ed uniti dai
nostri diversi punti di vista, dalla diversità di educazione, di ambiente, di
organizzazione sociale, dalla adesione a gruppi, associazioni, ideologie, da
interessi econo- mico-sociali di classe, e dai diversi temperamenti.
Queste “cose” di natura
sociale che ci uniscono, sono al contempo altrettante cose, altrettante
finzioni sociali che ci separano.
Ma se potessimo lasciar perdere
tutte le esigenze e le contingenze, e rivelarci reciprocamente la nostra nuda
presenza?
Se togliessimo di mezzo ogni cosa,
tutte le vesti, le maschere, le stampelle, le truccature, e i progetti in
comune, e quei giochi che ci forniscono il pretesto per delle circostanze
camuffate da incontri a livello umano, se potessimo incontrarci veramente,
se si verificasse un simile evento, una felice coincidenza tra esseri umani,
cosa ci separerebbe allora?
Siamo esseri fra i quali
c’è il nulla, non c’è alcunchè che ci unisca, nessuna cosa. Ciò che c’è
veramente fra di noi non si può esprimere con il nome di cose che ci si
frappongono. Il fra è in sé un nulla.
Se disegno una forma su di un
pezzo di carta, compio un atto che scelgo in base all’esperienza della mia
situazione; cosa ho esperienza di fare, e qual è la mia intenzione?
Tento di esprimere qualcosa a
qualcuno (comunicazione), sto ricompo- nendo gli elementi di qualche
caleidoscopico mosaico interno (inven- zione), sto cercando di svelare i
caratteri di nuove Gestalten che emergono (rivelazione)?
Sono sorpreso del fatto che appaia
qualcosa che non esisteva prima, e che queste linee non ci fossero sulla carta
prima che io ve le mettessi? A questo punto ci stiamo accostando all’esperienza
della creazione dal nulla.
Ciò che si chiama una poesia è
forse una miscela di comunicazione, invenzione, fecondazione, rivelazione,
produzione, creazione. Attra- verso la contesa delle intenzioni e dei motivi, si
è verificato un miracolo, c’è qualcosa di nuovo sotto il sole; l’essere è
emerso dal non-essere, una sorgente è scaturita da una roccia.
Senza il miracolo non sarebbe
accaduto nulla
Le macchine stanno già diventando
più capaci di comunicare tra loro di quanto non lo siano gli esseri umani.
La situazione si fa comica: cresce
sempre più l’interesse per la comunicazione in sé, e diminuisce l’interesse a
comunicare.
Noi non siamo un gran che
interessati alle esperienze del “colmare una lacuna” di una teoria o di una
conoscenza, del chiudere una falla, del riempire uno spazio vuoto: non si
tratta di immettere qualcosa nel nulla, ma di creare qualcosa dal
nulla, ex nihilo. Il nulla da cui emerge la creazione, nella sua
maggiore purezza, non è uno spazio vuoto, od un vuoto lasso di tempo.
Pervenuti al non-essere ci
troviamo fuori della portata di ciò che il linguaggio può affermare, ma
siamo in grado di indicare, per mezzo del linguaggio, perchè il
linguaggio non può dire ciò che non può dire. Non posso dire ciò che è
indicibile, ma dei suoni possono farci udire il silenzio. Restando nei limiti
del linguaggio, è possibile far capire quando si rendono necessari i puntini di
sospensione....E tuttavia nel far uso di un vocabolo, una lettera, un suono, OM,
non si può prestare un suono al silenzio, o nominare l’innominabile.
Quel silenzio che precede la
formazione e viene espresso dentro e attraverso il linguaggio, non può essere
espresso dal linguaggio; ma il linguaggio può essere usato per dire cosa esso
non sa dire, tramite i suoi interstizi, le sue vacuità e deficienze, tramite la
struttura di parole,
sintassi, suoni, e significati. Le
mudulazioni di tono e di volume delineano una forma precisamente senza fornire
le informazioni mancanti negli spazi tra le linee, ma sarebbe grave errore
scambiare le linee per la forma, o la forma con ciò che essa rappresenta.
La frase “il cielo è azzurro” ci
informa che vi è un sostantivo “cielo” il quale è “azzurro”. Questa sequenza di
soggetto-verbo-oggetto, nella quale “è” funge da copula che unisce il cielo e
l’azzurro, costituisce un nesso di suoni, sintassi, segni e simboli in cui siamo
elegantemente turlupinati e che, al tempo stesso in cui si affaccia a quell’ineffabile
cielo-azzurro-cielo, ci separa da esso. Il cielo è azzurro e l’azzurro non è
cielo, dunque il cielo non è azzurro. Ma quando diciamo “il cielo è azzurro”,
diciamo anche “il cielo” “è“: il cielo esiste ed è azzurro.
L’ ”è” serve a congiungere tutto
e al tempo stesso non è alcuna delle cose che congiunge.
Nessuna cosa unita
dall’ “è” può qualificarsi essa stessa come “è”;
l’“è” non è questo, né quell’altro, né cosa alcuna, e tuttavia
condiziona la possibilità di tutto. L’ “è” è quel nulla per cui tutto è;
in quanto non è alcuna cosa, è ciò per cui tutte le cose sono.
E ciò che condiziona la possibilità di ogni cosa ad essere, è che
essa sia in relazione con ciò che essa non è.
Questo equivale a dire che il
fondamento dell’essere di tutte le cose è il rapporto che c’è fra di loro;
questo rapporto è l’ “è”, l’essere di tutto, e l’essere di tutto è esso stesso
un nulla
L’uomo crea trascendendosi col
rivelarsi a se stesso, ma ciò che crea, da cui parte e a cui arriva, argilla,
vaso e vasaio, è sempre non-io: egli è il testimone, il medium, il pretesto
di un accadimento che la cosa creata rende manifesto.
L’uomo non è essenzialmente
impegnato nella scoperta, nella pro-duzione, o anche nella comunicazione e
nell’invenzione di ciò che trova: il suo atto è quello di permettere
all’essere di emergere dal non-essere.
L’esperienza dell’essere realmente
il veicolo di un continuo processo creativo pone al di là di depressioni,
persecuzioni o vanaglorie, al di là anche del caos e del vuoto, proprio dentro
il mistero di quel continuo irrompere del non-essere nell’essere e può
costituire l’occasione di quella grande liberazione che è il passare dall’avere
paura del nulla al sapere che non c’è nulla di cui avere paura.
Nella nostra alienazione “normale”
dall’essere, una persona che sia pericolosamente consapevole del non-essere
di ciò che noi scambiamo per essere ( gli pseudo-bisogni, gli pseudo-valori,
le pseudo-realtà di
quell’endemico inganno delle
opinioni sulla vita, la morte ecc.) ci fornisce, nell’epoca in cui
viviamo, quegli atti creativi che noi disprez- ziamo e di cui abbiamo estremo
bisogno.
Le parole di una composizione
poetica, i suoni in movimento, il ritmo che scandisce lo spazio, sono
tentativi di ricuperare un significato personale e rinchiuderlo in un tempo ed
in uno spazio personali, al di fuori degli spettacoli e dei suoni di un
mondo spersonalizzato e disumanizzato; sono teste di ponte gettate in
territorio nemico, sono atti insurrezionali.
La loro sorgente è
quel Silenzio che c’è al centro di ognuno di noi.
In qualsiasi momento o luogo una tale costellazione sonora o spaziale si
stabilisce nel mondo esterno, la forza che essa racchiude genera nuove linee di
forza i cui effetti si avvertono per secoli.
Il soffio creativo “viene da
una regione dell’uomo in cui l’uomo non può discendere neppure se Virgilio
stesso lo accompagna, perchè Virgilio non potrebbe scendere fin là”.
Questa regione, la
regione del nulla, del silenzio dei silenzi, è essa l’origine: noi dimentichiamo
che siamo là interamente ed in ogni momento.
Non c’è da stupirsi che arabeschi
che misteriosamente materializzano verità matematiche cui pochissimi possono
spingere lo sguardo, così belli e raffinati come sono, siano l’annaspare di un
uomo che sta per annegare.
I problemi che ci interessano in
questa sede sono solo quelli dell’essere e del non-essere, dell’incarnazione,
della nascita, della vita e della morte.
La creazione ex nihilo è stata
giudicata impossibile persino a Dio, ma noi ci occupiamo di miracoli. Dobbiamo
udire, come dice Lorca, la musica delle chitarre di Braque.
Per un uomo
alienato dalla propria sorgente interiore, la creazione nasce dalla disperazione
e finisce nel fallimento;
ma quest’uomo non ha percorso la via che conduce alla
fine del tempo e dello spazio, alla fine dell’oscurità e della luce: non sa che
dove tutte queste cose finiscono, proprio là esse incominciano.
Propongo (ora) di cercare il
motivo dello stato di confusione in cui viviamo, in una frase di Heidegger:
“il
Terribile è già accaduto”.! (...)
E' già accaduto a tutti noi:
siamo in un mondo in cui l’interiore è già scisso dall’esteriore.
Non può certo accadere che
l’interiore divenga esteriore e l’esteriore interiore solo grazie alla
riscoperta del mondo “interiore”: essa costituisce solo un inizio.
Noi siamo un’intera generazione di
esseri umani talmente estraniata dal mondo interiore che vi sono molti che
sostengono che esso non esiste, e, anche se esiste, non val la pena di
occuparsene; che, anche se possiede un qualche significato, non è fatto di
solido materiale scientifico e quindi occorre renderlo solido, misurarlo e
calcolarlo; quantificare l’estasi e l’agonia del cuore in un mondo in cui,
quand’an che il mondo interiore venga per la prima volta scoperto, noi
non possiamo che sentirci defraudati e derelitti, giacchè senza il mondo
interiore l’esteriore perde ogni significato e senza l’esteriore l’interiore
perde ogni realtà.
Siamo nella necessità di conoscere
relazioni e comunicazioni, ma questi schemi di comunicazione, disturbati,
riflettono il disordine dei nostri mondi personali di esperienza sulla cui
repressione, negazione, scissione, introiezione, proiezione, dissacrazione e
profanazione generale si fonda la nostra civiltà.
Quando accade che i
nostri mondi personali siano riscoperti e che si permetta loro di ricomporsi,
scopriamo sulle prime uno scempio:
- corpi morti a metà, genitali
dissociati dal cuore, cuori scissi dalla testa, testa avulsa dai genitali.
Nessuna unità interiore, solo senso della continuità quanto ne basta per
affermare l’identità, questo moderno oggetto di idolatria. Corpo,
mente, spirito, strappati gli uni dagli altri dalle interne contraddizioni,
scagliati in diverse direzioni; l’Uomo staccato dalla propria mente, ed
egualmente tagliato fuori dal proprio corpo, creatura mezzo impazzita in un
mondo folle.
Quando il Terribile è già
accaduto, non possiamo attenderci altro se non che l’Oggetto si faccia
eco esterna delle distruzione già occorsa interiormente.
Allo scopo di razionalizzare la
nostra devastazione con una falsa consapevolezza assuefatta, e di eliminare la
nostra facoltà di vedere chiaramente quello che ci sta sotto il naso e di
immaginare cosa ci sia un po' più in là, abbiamo dovuto distruggere la nostra
capacità mentale.
Incominciamo a farlo con i
bambini; si impone la necessità di catturarli in tempo: senza il più completo e
rapido lavaggio del cervello le loro sporche menti vedrebbero chiaro nei
nostri sporchi traffici. I bambini non sono ancora degli stupidi, ma noi li
facciamo diventare degli imbecilli come noi, meglio se con degli alti quozienti
di intelligenza.
Fin dal momento
della nascita, quando un bimbo dell’età della pietra si trova a fronteggiare una
madre del ventesimo secolo, il bambino è sottoposto a quelle costrizioni
esercitate con violenza, che vengono chiamate amore, così come lo erano stati
sua madre e suo padre, e i loro genitori, e i genitori dei loro genitori. Queste
pressioni sono intese precisamente a distruggere la maggior parte delle sue
potenzialità, impresa che, nel complesso, è coronata da successo: all’epoca in
cui il nuovo essere umano ha circa quindici anni, ci ritroviamo con un essere
simile a noi, con una creatura semi-folle, più o meno integrata ad un mondo
pazzo. Questa è, ai nostri tempi, la norma.(siamo
distanti dalla psicologia che cerca invece la normalizzazione dell’uomo a questo
mondo ).
Amore e violenza, a rigore, sono
polarità opposte. L’amore lascia vivere il prossimo, ma con interesse ed
attaccamento; la violenza cerca di limitare l’altrui libertà, di costringere il
prossimo ad agire come vogliamo noi, ma, in ultima analisi, con disinteresse ed
indifferenza verso l’esistenza e il destino degli altri.
Con questa violenza mascherata da
amore stiamo riuscendo a distruggerci.
(...)In molti scritti
contemporanei sull’individuo e sulla famiglia si parte dal presupposto che vi
sia confluenza non del tutto ardua, per non dire un’armonia prestabilita, tra
natura ed educazione. Da entrambe le parti possono essere necessarie delle
concessioni, ma tutto va per il meglio per coloro che non chiedono altro che
sicurezza e identità(...).
(In famiglia) il linguaggio è
quello di un consiglio di amministrazione. Per esempio: “La madre può investire
opportunamente tutte le sue energie nell’occuparsi del bambino quando il padre
provvede alla base economica, alla posizione sociale ed alla protezione della
famiglia. E inoltre può meglio limitare la carica psichica dei suoi istinti
materni verso il figlio se i suoi bisogni di donna sono soddisfatti dal marito”.
“La metafora economica cade a
proposito: la madre “investe” nel suo bambino. Ma ciò che è più illuminante è la
funzione del padre, il quale deve provvedere alla base economica, alla posizione
sociale ed alla protezione, nell’ordine”.
Ricorre
frequentemente l’accenno alla sicurezza, alla stima degli altri. Si suppone,
quale ragione di vita, uno debba volere “ottenere il piacere della stima degli
altri”, altrimenti è uno psicopatico (T. Lidz, The
family and Human Adaptation, Londra 1964)
“Queste affermazioni in certo
senso sono vere: descrivono la creatura spaventata, domata, abbietta che siamo
ammoniti ad essere se vogliamo
essere normali,
offrendoci l’un l’altro reciproca protezione dalla nostra
stessa violenza; la famiglia come “protection
racket”.
Vista in questi termini “la
funzione della Famiglia è quella di repri- mere l’Eros, di produrre una falsa
sensazione di sicurezza, di negare la morte con l’evitare la vita, di togliere
di mezzo la trascendenza, di far credere in Dio evitando l’esperienza del Vuoto,
di creare, in breve, l’uomo ad una dimensione; di incoraggiare il rispetto, il
conformismo, l’obbedienza, di mettere i bambini fuori combattimento, istillando
la paura di fallire, stimolando il rispetto per il lavoro (in quanto fonte di
reddito), provocando il rispetto della “rispettabilità” (conquistata secondo i
criteri di cui sopra).
Così facendo, “gli uomini non
divengono ciò che la natura (ed il buon Dio) li ha destinati ad essere, ma ciò
che la società fa di loro....
I sentimenti generosi vengono, per
così dire, rinsecchiti, cauterizzati, strappati, amputati per renderci adatti al
nostro approccio col mondo (mai con Dio), un po' come fanno certi mendicanti con
i loro figli: li storpiano e li mutilano per renderli adatti alla loro futura
posizione nella vita”.
“Stanno
giocando un gioco
Stanno giocando
a non giocare un gioco.
Se mostro loro
che li vedo giocare,
infrangerò le
regole e mi puniranno.
Devo giocare al
loro gioco
di non vedere che vedo il gioco”.
La famiglia .è in primo luogo lo
strumento più comunemente usato per ciò che viene definito socializzazione, e
consiste nel far sì che ogni nuova recluta della razza umana si comporti e
faccia esperienza sostanzialmente nello stesso modo di quelli che sono già stati
al mondo.
Siamo ridotti tutti quanti a
dei F i g l i d e l l a P r o f e z i a a l l a r o v e s c i a c h
e h a n n o a p p r e s o a m o r i r e n e l l o S p i r i t o e
d a r i n a s c e r e n e l l a c a r n e.
Questo si chiama anche vendere i
diritti della primogenitura per un piatto di lenticchie”.
Le nostre azioni
corrispondono alla nostra esperienza del mondo:
noi ci regoliamo alla luce di ciò che secondo noi una situazione comporta o non
comporta; ossia, ciascuno si occupa più o meno di ontologia, ha delle opinioni
personali su ciò che è e su ciò che non è.
(Perciò) la fonte non si è
esaurita, la fiamma splende ancora, il fiume continua a scorrere, la sorgente a
scaturire, la luce non si è affievolita.
Ma tra noi e Dio vi è un velo
spesso come cinque metri di solido ce- mento armato: Deus absconditus,
ossia, Dio che noi abbiamo nascosto.
Dobbiamo cercare, a livello
intellettivo, emotivo, interpersonale, organizzativo, intuitivo, teoretico, di
farci strada con la dinamite attraverso questo muro massiccio: da questo lato
del muro non vi sono certezze, né garanzie (...).
Viviamo in un mondo
terra terra: per adattarsi ad esso, il fanciullo abdica alla sua . (L’enfant
abdique son extase, Mallarmè).
Il vero equilibrio comporta in un
modo o nell’altro la dissoluzione dell’io normale, di quel falso io abilmente
adattatosi alla nostra aliena realtà sociale.
I più fanno esperienza di sé e
degli altri in modi che definirò egoici : ossia, esperimentano il
mondo e se stessi sulla base di una salda identità, di un io-quì
contrapposto ad un voi-là , in un tessuto di determinate strutture
fondamentali dello spazio e del tempo, condivise dagli altri membri della loro
società.
Questa esperienza ancorata
all’identità, vincolata allo spazio-tempo, è stata studiata in sede filosofica
da Kant, e poi dai fenomenologi, per es. da Husserl e da Marleù-Ponty.
La sua relatività storica ed
ontologica è una cosa di cui qualsiasi studioso della situazione umana può
pienamente rendersi conto; la sua relatività culturale, economico-sociale,
presso gli antropologi è diventata un luogo comune e per i marxisti ed i neo
marxisti addirittura una banalità.
Eppure, a causa delle conferme e
dei consensi che assicura tra i nostri simili, ci da un senso di sicurezza
ontologica la cui validità, secondo quanto sperimentiamo, si sostiene da sé,
nonostante il fatto che noi sappiamo bene, attraverso la metafisica, la storia,
l’ontologia, l’economia sociale e lo studio della civiltà, come questo valore
apparentemente assoluto non sia che un’illusione.
Sta di fatto che tutte le
religioni e tutte le filosofie dell’esistenza concordano nel dire che quest’esperienza
egoica è un’illusione preliminare, una cortina, un velo di Maya: essa è un
sogno per Eraclito e per Lao-tse, costituisce l’illusione fondamentale
dell’intero buddismo, uno stato di sonno, di morte, di follia socialmente
accettata, uno stato intrauterino nel quale si muore e dal quale si deve
nascere”.
Adesso, in chiusura, due poesie di
R.D.Laing.
Primo brano
“Sebbene
innumerevoli esseri siano stati condotti al Nirvana
nessun essere è
stato condotto al Nirvana
Prima che si
passi la porta
si può anche
essere consci che c’è una porta
Si può pensare
che c’è una porta da attraversare
e cercarla a
lungo
senza trovarla
La si può
trovare
e può darsi che
non si apra
Se si apre si
può attraversarla
Nell’attraversarla
si vede che la
porta che si è attraversata
era l’io che
l’ha attraversata
Nessuno ha
attraversato la porta
non c’era porta
da attraversare
nessuno ha mai
trovato una porta da attraversare
nessuno ha mai
trovato una porta
nessuno ha mai
compreso che mai c’è stata una porta.
Con questo brano nega realtà
ontologica all’io e importanza ai suoi blocchi psicologici: per lo spirito,
“nessun io”, “nessuna porta”, nessuna distanza da colmare.
Secondo brano
Tutto in tutti
ciascun uomo in
tutti gli uomini
tutti gli
uomini in ciascun uomo
Tutto l’Essere
in ciascun essere
ciascun essere
in tutto l’Essere
Tutte le cose
in ciascuna cosa
ciascuna cosa
in tutte le cose
Tutte le
distinzioni sono mente,
con la mente,
della mente.
Niente
distinzioni niente mente per distinguere”.
L’Essere, come nexus, mantiene
“tutto in Dio”. Le distinzioni razionali
(che pretenderebbero di strutturare persino il nirvana - stato di beatitudine -
con porte e percorsi obbligati), non possono convenire all’uomo spirituale
perché lo sospingerebbero ancora verso l’eresia di una visione unilaterale
intesa come tutto .Beppe Fragomeni Kormoran7@libero.itTERRENO
Fonte : testo di Beppe Fragomeni gentilmente segnalato e inviato ad ARTCUREL da Massimo Bolognino.
(Brani tratti liberamente da La politica dell’esperienza, Feltrinelli Editore, Milano,1968).
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