IL FINE DELLA CREAZIONE DELL'UOMO
di Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio (250-317)
Si edifica una casa, non solo perché semplicemente vi sia una
casa, ma perché essa accolga e protegga chi la abita. Si costruisce una nave,
non con l’intenzione che si possa vedere una nave, ma perché gli uomini su di
essa attraversino il mare. Così non si producono vasi perché semplicemente vi
siano dei vasi, ma per riporre in essi il necessario ai nostri usi. Anche Dio ha
creato il mondo per qualche scopo. Gli stoici affermano che il mondo è stato
fatto per l’uomo, e con ragione, perché gli uomini godono di tutti i beni che
esso racchiude in sé. Ma perché l’uomo stesso sia stato creato e quale utilità
abbia da lui quella artista costruttrice che è la provvidenza, gli stoici non lo
hanno spiegato. Che le anime sono immortali, ce ne rassicura il filosofo
Platone; ma, per quale motivo e in che modo, quando e come raggiungono
l’immortalità, oppure - ciò che soprattutto è un mistero stupendo - che esse
sono state create mortali ma in vista dell’immortalità, e poi trascorso il tempo
della loro vita mortale e deposto il manto del corpo corruttibile, vengono
trapiantate nella beatitudine eterna... tutto ciò Platone non l’ha compreso.
Così non si è pronunciato neppure sul problema del giudizio divino e della
diversa retribuzione ai giusti e agli ingiusti. Solo riguardo alle anime immerse
nel fango del vizio, egli pensò che siano condannate a nascere nuovamente nei
corpi di vari animali, espiando così i loro peccati, finché sia loro concesso di
ritornare in figura umana; e che ciò si ripeta di continuo e la loro
trasmigrazione non abbia fine. È proprio come se Platone ci volesse porre
dinanzi agli occhi un gioco onirico della fantasia, non sostenuto né dalla
ragione, né dalla guida divina, né da un qualche pensiero.
Voglio dunque esporre quell’importantissima verità che mai i
filosofi, che pur hanno detto il vero, hanno potuto scoprire, perché non seppero
dedurre fino in fondo le conseguenze. Il mondo è stato creato da Dio, perché
nascesse l’uomo. Gli uomini sono stati creati, perché riconoscessero Dio come
padre: in ciò consiste la sapienza. Essi riconoscono Dio per onorarlo: in ciò
consiste la giustizia. Essi lo onorano, per riceverne il premio
dell’immortalità. Ricevono poi il premio dell’immortalità, per servire Dio in
eterno. Vedi dunque come tutto è concatenato: il principio con il mezzo, e il
mezzo con la fine? Consideriamo dunque le singole asserzioni, e vediamo se le
prove reggono.
Dio ha creato il mondo per l’uomo. Chi non vede ciò, non si
distingue molto dagli animali. Chi guarda su in cielo, fuori che l’uomo? Chi
ammira il sole, le stelle e tutte le altre opere di Dio, fuori che l’uomo? Chi
coltiva la terra? Chi ne raccoglie i frutti? Chi naviga sul mare? Chi ha in suo
potere i pesci, gli uccelli e i quadrupedi, se non l’uomo? Dunque Dio ha fatto
tutto in vista dell’uomo, perché tutto è stato lasciato in uso all’uomo. Ciò
hanno riconosciuto rettamente anche i filosofi pagani; ma la conseguenza che ne
risulta, non l’hanno vista: che cioè Dio ha creato l’uomo stesso per Dio. Eppure
questa sarebbe stata la conclusione ovvia, doverosa e necessaria.
Dopo che Dio ha fatto così grandi opere per l’uomo, dopo che gli
ha concesso tanto onore e potenza da dominare il mondo, l’uomo deve ravvisare in
lui l’autore di tanti benefici, deve riconoscerlo come creatore, che ha fatto il
mondo per l’uomo, e deve degnamente adorarlo e onorarlo. Qui Platone è uscito di
strada, qui ha abbandonato la verità che inizialmente aveva pur afferrato, non
parlando cioè dell’adorazione di quel Dio che aveva pur riconosciuto come
fondatore e padre di tutto, non comprendendo che l’uomo è a lui legato con i
vincoli dell’amore filiale e che questo solo è il motivo per cui le anime
diventano immortali... È necessario dunque adorare Dio, perché così l’uomo - per
la religiosità che è insieme giustizia - riceva da lui l’immortalità. E non vi è
anche nessun’altra ricompensa possibile per lo spirito religioso: esso è
invisibile, perciò solo da Dio invisibile può essere ricompensato, e solo con un
premio invisibile.
Lattanzio, Epitome delle Divine Istituzioni,
36-37
Fonte : www.vatican.va
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