Guido Dalla Casa
CHE COS'E' LO SVILUPPO , ANALISI DI UN MITO
Premesse
Vediamo che significato si dà di solito al termine sviluppo,
soprattutto nel linguaggio corrente e nei mezzi di comunicazione di massa.
Il concetto espresso con questa parola è di norma l’aumento del
fluire dei beni materiali attraverso il processo produrre-vendere-consumare.
E’ evidente che, con questo significato, lo sviluppo richiede l’aumento dei
consumi. In altre parole, il termine sviluppo significa oggi la
crescita economica, come dimostra anche la traduzione inglese più frequente (growth).
Gli abituali indicatori dello sviluppo sono sostanzialmente quantitativi.
In genere si pensa che questa crescita aumenti il benessere
dell’umanità, indipendentemente dai valori e dalla cultura che li esprime.
Inoltre, fino ad oggi non si è mai presa in considerazione la possibilità che
l’aumento dei consumi sia incompatibile con il funzionamento della Biosfera,
anche perchè è mancata la percezione che l’uomo fa parte integrante della
Biosfera stessa.
Le discussioni sulla differenza fra crescita e sviluppo
hanno senz’altro un significato profondo, ma di fatto i due termini sono
impiegati come sinonimi dal mondo ufficiale e dalle componenti economiche,
politiche, industriali e sindacali.
La Biosfera
Per usare il linguaggio della teoria dei sistemi,
un essere vivente è un sistema che si mantiene in situazione stazionaria lontana
dall’equilibrio termodinamico. In altre parole, vive finché un flusso di
energia lo attraversa continuamente senza che si alterino le sue condizioni
generali, se si trascurano le piccole oscillazioni: la Biosfera nel suo
complesso si comporta come un unico organismo vivente, anche se in generale su
tempi molto lunghi. Se si considerano tempi dell’ordine di decenni, o secoli, e
non geologici, la Terra è stazionaria: il problema sta nel fatto che le
modifiche causate dallo sviluppo economico nei cicli naturali hanno velocità
dieci-centomila volte più grandi di quelle normali, che consentono alla vita di
adattarsi gradualmente alle nuove situazioni.
La crescita economica continua è un processo
che impedisce il funzionamento della Biosfera perché ne disarticola i cicli: è
quindi un fenomeno impossibile.
Un’economia complessivamente in crescita può soltanto essere un
transitorio, un fenomeno patologico che - se non arrestato rapidamente - porta
necessariamente verso un punto “di catastrofe”.
Anche l’idea che lo sviluppo costituisca sempre un miglioramento
non ha validi fondamenti: è probabile che, se si potesse disegnare un diagramma
che riporta l’andamento del benessere psicofisico (anche soltanto umano, o di
una particolare cultura) in funzione dei consumi materiali o degli oggetti a
disposizione, non si avrebbe una funzione sempre-crescente, ma una specie di
curva a campana. Ad una certa quantità di beni materiali la funzione raggiunge
un massimo: il corrispondente valore di consumi è già stato abbondantemente
superato in tutto il mondo occidentale. Un ulteriore aumento peggiora la qualità
della vita. Se poi mettiamo in conto anche la bellezza del mondo e il benessere
degli altri esseri senzienti, la situazione si aggrava ulteriormente.
Ci si può rendere conto
di questo fatto se si pensa a una qualunque località rivisitata a distanza di
qualche decennio: la si troverà inesorabilmente peggiorata, sia sul piano
naturale, sia dal punto di vista estetico ed umano. La varietà dei viventi è
sempre diminuita.
E’ forse superfluo ricordare il totale fallimento sul piano ecologico
dello “sviluppo di Stato” un tempo perseguito nell’Est europeo, in cui il
materialismo era addirittura portato al rango di metafisica ufficiale.
Lo sviluppo sostenibile
Recentemente è stato formulato il concetto di
sviluppo sostenibile, definito dalla
Commissione Bruntland dell’ONU come “lo sviluppo che soddisfa le esigenze del
presente senza compromettere la possibilità, per le future generazioni, di
soddisfare i propri bisogni”.
Successivamente il concetto di sostenibilità è stato ulteriormente analizzato e
suddiviso in due posizioni diverse (K.Turner e D.Pearce - Economia
Ambientale):
-
Una sostenibilità debole, che si realizza quando, a fronte di un
deterioramento ambientale, si ottiene una compensazione uguale o superiore in
altre forme di capitale.
-
Una sostenibilità forte, dove si richiede che il capitale naturale non
decresca mai, mentre le altre forme di capitale possono crescere o restare
costanti.
Queste definizioni della sostenibilità sono decisamente insufficienti:
inoltre dànno per scontata un’assoluta centralità della nostra specie, su cui si
possono avere fondati dubbi sul piano scientifico-filosofico: già la definizione
di “capitale” data al Complesso dei viventi, o alla Biosfera, o alla Terra
stessa, denota la posizione di partenza, anche nella sostenibilità “forte”. Mi
sembra invece che si possa definire sostenibile solo una forma di
sviluppo che consente a tempo indefinito la vita della Biosfera, cioè ne
mantiene le condizioni stazionarie complessive.
In sostanza, se non modifichiamo profondamente il
significato del termine, la locuzione sviluppo sostenibile è
contradditoria e non ha alcun senso. L’unico “sviluppo” che può durare a tempo
indefinito è un processo di tipo stazionario.
Se poi facciamo anche considerazioni morali o filosofiche, lo sviluppo
è finora sempre partito dall’idea dogmatica che l’unico soggetto di
diritti e l’unico essere in grado di provare “benessere” sia l’uomo, relegando
gli altri esseri senzienti, gli ecosistemi e tutto il mondo naturale al rango di
“materia” a nostra disposizione.
Oggi invece sappiamo che l’uomo non è nella
posizione di “abitante di una casa”, ma è come un gruppo di cellule di un
Organismo, cioè l’ecosistema globale, da cui dipende totalmente: questa
posizione della nostra specie deve ancora essere recepita da tutte le
istituzioni.
Riassumendo, come fenomeno complessivo visto
“dall’esterno”, lo sviluppo - nel significato del mondo ufficiale - appare come
un processo che:
-
sancisce la sopraffazione della nostra specie su tutte le altre specie viventi,
sugli ecosistemi e in genere sul mondo naturale: distrugge la diversità
biologica;
-
impone a tutta l’umanità di vivere secondo il modello occidentale;
-
sostituisce materia inerte al posto di sostanza vivente; mette strade, macchine,
impianti, dove c’erano foreste, paludi, savane.
L’ etica del lavoro e l’ etica della Terra
Di solito nel nostro mondo si è formata l’idea che il lavoro sia sempre
qualcosa di positivo, da premiare indipendentemente da ogni altra
considerazione.
Così si pensa che chi lavora di più debba automaticamente guadagnare di
più, che in sostanza sia più bravo di chi lavora di meno: il lavoro ha
acquistato un valore etico in sé, anche se si tratta di lavoro che danneggia
l’intero Organismo terrestre o contribuisce a qualche patologia della Biosfera.
Solo recentemente si è cominciato a considerare negativa almeno la produzione di
sostanze inquinanti, limitando però l’esame ad ogni singolo processo locale,
come se fosse possibile isolarlo.
Non si è mai tenuto come valore etico il mantenimento in condizioni
vitali della Biosfera terrestre, oppure degli ecosistemi di cui il processo fa
parte. Non si è neppure considerato il danno, se non in tempi recentissimi e
limitatamente a specie “rare”, arrecato ad altre specie viventi o a processi
naturali. In sostanza, è mancata la percezione della non-separabilità di ogni
processo lavorativo umano dall’ecosistema globale.
E’ invece indispensabile avere sempre presente questa percezione,
tenere come primo valore l’etica della Terra.
I
consumi
Oggi si assiste in modo macroscopico, anche senza più giri di parole,
ad un fenomeno che rende evidente la natura di quello che viene chiamato
sviluppo: tutto il mondo economico-industriale-sindacale fa il possibile per
fare aumentare i consumi. Si è arrivati a distribuire, anche se indirettamente,
denaro ai potenziali consumatori per invitarli a “comprare”. Se per caso questa
continua pressione non dovesse avere esito, sarebbe proprio l’unico segnale
positivo: se i consumi non aumentano, può essere che cominciamo ad averne
abbastanza di oggetti materiali che in realtà non portano alcun miglioramento.
Forse siamo stanchi di consumi, malgrado un intollerabile bombardamento
pubblicitario che investe tutti i momenti della vita. Il mondo ufficiale è
arrivato a propagandare gli acquisti, anche senza dire che cosa si debba
acquistare! Si invita a “rottamare”, cioè a buttare in montagne di rifiuti
apparecchi perfettamente funzionanti!
Pochi giorni dopo un evento terroristico della
gravità del crollo delle Torri Gemelle, il presidente USA ha pubblicamente
invitato i cittadini americani a riprendere i consumi, ad aumentare gli acquisti
il più possibile!
Nelle città non si gira più, la mobilità diminuisce all’aumentare del
numero di macchine, l’aria è irrespirabile, e il mondo ufficiale non sa
escogitare altro che “il rilancio dell’auto”. Inoltre, gli inviti alla sicurezza
stradale difficilmente avranno gli esiti sperati quando tutti i mezzi di
informazione sono una continua esaltazione - anche inconscia - della velocità
come valore. Nel mondo occidentale le prime cause di morte fra i giovani
sono gli incidenti stradali e i suicidi, ma la massima preoccupazione dei
responsabili è il Prodotto Interno Lordo.
Forse è davvero venuto il momento di diminuire i
consumi materiali e di pervenire ad un’economia stazionaria. Naturalmente si
deve svincolare l’occupazione dalla crescita, ma questo è un problema che
riguarda solo il sistema economico e non le leggi naturali del Pianeta: dovrebbe
quindi essere risolvibile.
Qualcuno obietterà che lo sviluppo porta
miglioramenti “a chi non ha”, ma basta fare la considerazione che la forbice fra
“ricchi” e “poveri” si è sempre allargata: con la crescita economica, il solco
aumenta e non diminuisce. Per inciso, i concetti di ricchezza e povertà sono
spesso solo un’esportazione dell’Occidente.
E’ inoltre abbastanza chiaro che il discorso vale in
termini complessivi: in linea teorica potrebbero aumentare i consumi pro-capite
a condizione che diminuisca in proporzione il numero di consumatori.
Qualche citazione
Dal libro La Terra scoppia di G. Sartori e G.
Mazzoleni (Ed. Rizzoli, 2003):
Per le persone di normale buonsenso il problema è
che la Terra è malata di sovraconsumo: noi stiamo consumando molto più di quanto
la natura può dare. Pertanto a livello globale il dilemma è questo: o riduciamo
drasticamente i consumi, oppure riduciamo altrettanto drasticamente i
consumatori.
Si noti che Sartori e Mazzoleni partono da posizioni completamente
antropocentriche e non si pongono il problema della liceità morale della
distruzione di ecosistemi e dei danni agli altri esseri senzienti. Infatti usano
i termini uomo e natura come se fossero distinti o in
contrapposizione, fatto abituale nella nostra cultura. Anche così i due Autori
non hanno alcun dubbio sul fatto che è assolutamente necessario ridurre i
consumi.
Nel libro Assalto al pianeta di S. Pignatti e B. Trezza (Ed. Bollati
Boringhieri, 2000) viene evidenziato il sorpasso, avvenuto a cavallo del 1970,
dell’energia di origine tecnologica rispetto a quella della fotosintesi, ma“Non
si tratta soltanto di una questione di quantità: infatti l’output del processo
fotosintetico è costituito da ossigeno e molecole biologiche, completamente
compatibili con i processi dei viventi e riciclabili. L’output derivante
dall’uso dell’energia industriale, invece, è formato da scorie e da inquinanti
atmosferici. La produzione di energia tecnologica continua ad aumentare secondo
il modello esponenziale.
Un capitolo dello stesso libro è dedicato ai rischi che comporta
l’accettazione del mito dello sviluppo sostenibile. A pag. 267 si legge:
“Trattare la sostenibilità come un problema di risorse scarse è dunque
un’impostazione fuorviante che, potendo venire facilmente confutata, può
addirittura venire utilizzata come alibi da chi vuole negare il problema”.
Il libro contiene un’accurata analisi dell’impossibilità della continuazione del
processo di sviluppo, in quanto disarticola i cicli vitali della Terra.
Da un articolo di Guido Ceronetti, pubblicato su La Stampa del 9
marzo 1993:
...La sola voce concorde, universale, in alto e in basso, grida che nessuna
industria si fermi o chiuda, qualsiasi cosa produca, sia pure inutilissima o
micidialissima, sia pure destinata a restare invenduta; la sola voce concorde
invoca che si aprano cantieri su cantieri e che si investano finanze in nuovi
progetti industriali: a costo di qualsiasi inquinamento e imbruttimento, a costo
anche di fare accorrere, per l’immediata ritorsione morale che colpisce chi
accolga progetti simili, le furie di una intensificata violenza. E se deve, sul
mare delle voci tutte uguali, planare una promessa rassicurante, è sempre la
stessa: ci sarà la “ripresa”, ne avrete il triplo di questa roba...
Dal
libro di Edward Goldsmith Processo alla globalizzazione (Ed. Arianna,
2003):
Lo sviluppo economico, nonostante i suoi
devastanti effetti sulle società e l’ambiente, resta il principale obiettivo
delle agenzie internazionali, dei governi nazionali e delle corporazioni
transnazionali che sono naturalmente i suoi principali sostenitori e
beneficiari. Ciò viene giustificato col fatto che solo lo sviluppo, e ovviamente
il libero commercio globale che alimenta, può sradicare la povertà. Oggi quasi
nessuno di coloro che occupano posizioni di comando sembra disposto a mettere in
discussione questa tesi, sebbene non sia sostenuta da prove teoriche né
empiriche, né serie.
Tanto per cominciare, si consideri che poco dopo la Seconda Guerra
Mondiale, quando il commercio mondiale e lo sviluppo economico erano davvero in
atto, quello è aumentato di diciannove volte e questo non meno di sei volte –
una performance senza precedenti. Appare evidente che se questi processi
fornissero veramente la risposta alla povertà mondiale, allora questa dovrebbe
ormai essere stata ridotta a poco più di un vago ricordo del nostro barbarico e
sottosviluppato passato. Invece, è vero il contrario.
Seguono numerosi dati quantitativi a sostegno di queste affermazioni.
Si noti che anche questo libro non esce da posizioni
antropocentriche.
Dal Giornale di Fisica n. 2, 1979 (Energia e stabilità di
Luigi Sertorio):
I pregi di un’economia stazionaria sono
stati illustrati con parole che oggi appaiono molto affascinanti forse per il
linguaggio un po’ arcaico (1858) sereno e profondo, da John Stuart Mill. Tale
bellezza naturalmente ha colpito rari spiriti isolati, mentre il resto
dell’umanità, se è stato in grado di farlo, proprio a partire dall’epoca del
positivismo, è partito sulla strada della growth
economy.
Conclusioni
Lo sviluppo economico continuo è un fenomeno
impossibile sulla Terra, perché incompatibile con il suo funzionamento. L’unico
“sviluppo” che consente la vita della Biosfera è un processo completamente
non-materiale, qualcosa che significhi l’evolversi di cultura, arte,
spiritualità, pensiero, informazione, e così via. Ma in tal caso, visto che il
significato attuale del termine è consolidato ormai da un paio di secoli,
sarebbe meglio cambiarlo.
Sintetizzando al massimo, due sono le cause dei guai del mondo:
l’eccesso di popolazione umana e l’eccesso dei consumi. Entrambi i fattori non
possono restare in crescita ancora per molto tempo.
Ma cosa può succedere? Proviamo a formulare qualche ipotesi:
-
Lo sviluppo economico prosegue ad oltranza: in tal caso si arriva ad un mondo
terribilmente degradato, con gli ecosistemi naturali scomparsi, migliaia di
specie estinte o degenerate, le foreste distrutte, l’atmosfera irrespirabile,
fino a manifestazioni macroscopiche di impossibilità di vita;
-
Lo sviluppo economico prosegue fino a un punto “di collasso”, dopo il quale si
ha la rinascita di culture umane con valori diversi da quelli attuali;
-
Lo sviluppo economico si arresta gradualmente per la progressiva quasi-scomparsa
della filosofia che ne costituisce il fondamento (il materialismo).
L’ipotesi più pessimista sembra la prima, quella più
probabile la seconda; resta la speranza che si verifichi la terza.
Nel mondo moderno lo sviluppo è visto come un tabù
intoccabile, una divinità, ma proprio per questo è opportuna qualche
considerazione in controtendenza.
Dopotutto, nella seconda metà dell’Ottocento, i “sacerdoti” dello
sviluppo erano convinti che la crescita economica avrebbe fatto terminare la
fame e le guerre, che un’éra di prosperità senza fine si stava aprendo
all’umanità e che la criminalità sarebbe presto diventata un ricordo del
passato. Quindi mi sembra che non ci siano dubbi perlomeno sul fatto che c’è
qualcosa che non va in questo “sviluppo”.
Fonte :
Profilo di Guido
Dalla Casa
Guido Dalla Casa è nato a Bologna nel 1936 ed è laureato in Ingegneria Elettrotecnica. Ha svolto la sua attività lavorativa dal 1959 al 1997 presso l’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (ENEL), nelle aree tecnica e commerciale della Distribuzione, nelle sedi di Torino, Vercelli, Milano e Brescia. In quiescenza dal 1997, per tre anni ha insegnato privatamente matematica a studenti di Agraria, Farmacia e Scienze Naturali dell’Università Statale di Milano.
Dal 1970 circa si interessa di filosofia dell’ecologia e di filosofie orientali. Ha pubblicato cinque libri per le Case Editrici MEB e Pangea di Torino, oltre a numerosi articoli su varie Riviste. Fa parte del Gruppo Ecologia ed Energia dell'ALDAI di Milano.
Guido Dalla Casa è
contattabile alla e-mail
guido1936@interfree.it Guido Dalla Casa è nato a Bologna nel 1936 ed è laureato in Ingegneria Elettrotecnica. Ha svolto la sua attività lavorativa dal 1959 al 1997 presso l’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (ENEL), nelle aree tecnica e commerciale della Distribuzione, nelle sedi di Torino, Vercelli, Milano e Brescia. In quiescenza dal 1997, per tre anni ha insegnato privatamente matematica a studenti di Agraria, Farmacia e Scienze Naturali dell’Università Statale di Milano.
Dal 1970 circa si interessa di filosofia dell’ecologia e di filosofie orientali. Ha pubblicato cinque libri per le Case Editrici MEB e Pangea di Torino, oltre a numerosi articoli su varie Riviste. Fa parte del Gruppo Ecologia ed Energia dell'ALDAI di Milano.
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