venerdì 2 agosto 2019

PAPA GIOVANNI PAOLO II: Credere in modo cristiano: la fede radicata nella parola di Dio



PAPA GIOVANNI PAOLO II


Credere in modo cristiano:
la fede radicata nella parola di Dio

mercoledì, 19 Giugno 1985
 
1. Riprendiamo il discorso sulla fede. Secondo la dottrina contenuta nella costituzione “Dei Verbum”, la fede cristiana è la risposta consapevole e libera dell'uomo all'autorivelazione di Dio, che ha raggiunto in Gesù Cristo la sua pienezza. Mediante ciò che san Paolo chiama “l'obbedienza della fede” (cf. Rm 16,26; 1,5; Cor 10,5-6), tutto l'uomo si abbandona a Dio, accettando come verità ciò che è contenuto nella parola della divina rivelazione. La fede è opera della grazia che agisce nell'intelligenza e nella volontà dell'uomo, e al tempo stesso è un atto consapevole e libero del soggetto umano.  La fede, dono di Dio all'uomo, è anche una virtù teologale, e contemporaneamente una disposizione stabile dell'animo, cioè un ambito o atteggiamento interiore durevole. Essa esige perciò che l'uomo credente la coltivi continuamente, cooperando attivamente e consapevolmente con la grazia che Dio gli offre.
2. Poiché la fede trova la sua fonte nella rivelazione divina, un aspetto essenziale della collaborazione con la grazia della fede è dato dal costante e per quanto possibile sistematico contatto con la Sacra Scrittura, nella quale ci è trasmessa la verità rivelata da Dio nella sua forma più genuina. Ciò trova espressione molteplice nella vita della Chiesa, come leggiamo anche nella costituzione “Dei Verbum” (n. 21): “E necessario che tutta la predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura... Nei libri sacri è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell'anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si applica in modo eccellente alla Sacra Scrittura l'affermazione: "Vivente ed efficace è la parola di Dio" (Eb 4,12), che ha la forza di edificare e di dare l'eredità tra tutti i santificati (At 20,32; cf. 1Ts 2,l4)”.
3. Ecco perché la costituzione “Dei Verbum”, facendo riferimento all'insegnamento dei Padri della Chiesa, non esita a mettere insieme le “due mense”, cioè la mensa della parola di Dio e quella del corpo del Signore, e fa notare che la Chiesa non cessa “soprattutto nella sacra liturgia di nutrirsi del pane della vita” da ambedue le mense, “e di porgerlo ai fedeli”. Infatti la Chiesa ha sempre considerato e continua a considerare la Sacra Scrittura, insieme con la sacra tradizione, “come la regola suprema della propria fede” (“Dei Verbum”, 21) e come tale la offre ai fedeli per la loro vita di ogni giorno.
4. Di qui derivano alcune indicazioni pratiche che rivestono una grande importanza per il consolidamento della fede nella parola del Dio vivo. Esse si applicano in modo particolare ai vescovi “depositari della dottrina apostolica” (sant'Ireneo, “Adversus haereses”, IV, 32,1: PG 7,1071), i quali “sono stati posti dallo Spirito Santo a pascere la Chiesa di Dio” (cf. At 20,28); ma rispettivamente anche a tutte le altre componenti del popolo di Dio: i presbiteri, specialmente i parroci, i diaconi, i religiosi, i laici, le famiglie.  Prima di tutto “è necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura”. Qui sorge la questione delle traduzioni dei libri sacri. “La Chiesa fin dagli inizi accolse come sua l'antichissima traduzione greca del Vecchio Testamento detta dei Settanta; e ha sempre in onore le altre versioni orientali e le versioni latine”. La Chiesa si adopera anche incessantemente affinché “si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, a preferenza dai testi originali dei sacri libri... La Chiesa non è contraria all'iniziativa di traduzioni “in collaborazione con i fratelli separati”: le cosiddette traduzioni ecumeniche. Esse, dietro opportuno permesso della Chiesa, possono essere usate anche dai cattolici (“Dei Verbum”, 22).
5. Il compito successivo si connette con la corretta comprensione della parola della divina rivelazione: l'“intellectus fidei”, che culmina nella teologia. A questo scopo il Concilio raccomanda “lo studio dei santi Padri d'Oriente e d'Occidente e delle sacre liturgie” (“Dei Verbum”, 23), e attribuisce una grande importanza al lavoro degli esegeti e dei teologi, sempre in stretto rapporto con la Sacra Scrittura: “La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, insieme con la sacra tradizione e in quella vigorosamente si consolida e ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo... Lo studio delle sacre pagine sia dunque come l'anima della sacra teologia” (“Dei Verbum”, 24).  Il Concilio rivolge un appello agli esegeti e a tutti i teologi affinché offrano “al popolo di Dio l'alimento delle Scritture, che illumini la mente, corrobori le volontà, accenda i cuori degli uomini all'amore di Dio”. Conformemente a ciò che è stato già detto prima sulle regole della trasmissione della rivelazione, gli esegeti e i teologi devono svolgere il loro compito “sotto la vigilanza del sacro magistero” e allo stesso tempo con l'applicazione degli opportuni sussidi e metodi scientifici (“Dei Verbum”, 23).
6. Si apre poi il vasto e molteplice ministero della parola nella Chiesa: “la predicazione pastorale, la catechesi e ogni tipo di istruzione cristiana” (particolarmente l'omiletica liturgica)... Tutto questo ministero “si nutre con la parola della Scrittura” (cf. “Dei Verbum”, 24).  Perciò a tutti coloro che esercitano il servizio della parola viene raccomandato di “partecipare ai fedeli... le sovrabbondanti ricchezze della parola divina” (“Dei Verbum”, 25). A questo scopo è indispensabile la lettura, lo studio e la meditazione-preghiera, affinché non diventi un “vano predicatore della parola di Dio all'esterno colui che non l'ascolta dentro di sé” (sant'Agostino, “Serm. 179”, 1: PL 38,966).
7. Una simile esortazione il Concilio la rivolge a tutti i fedeli, facendo riferimento alle parole di san Girolamo: “Ignorare le Scritture, infatti, è ignorare Cristo”. A tutti dunque il Concilio raccomanda non solo la lettura, ma anche la preghiera, che deve accompagnare la lettura della Sacra Scrittura: “con la lettura e lo studio dei libri sacri... il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini” (“Dei Verbum”, 26). Tale “riempimento del cuore” va di pari passo con il consolidamento del nostro “credo” cristiano nella parola del Dio vivente.





Fonte : www.clerus.org




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