STELLA DINA
" I.N.R.I. " , Iesus Nazarenus
Rex Iudaeorum
di Alessio Varisco
Redentore
acrilico su tela cm 50x40 , 1999 ,
Collezione I.N.R.I.
Mi capita molto
spesso di appassionarmi di tele, tecniche miste, ma mai così per caso…
una mail, una comunicazione di servizio a naviganti,
in intenzionale, fuori da ogni circuito, inaspettata. La pittrice è Stella Dina,
classe 1962 nata a Cattolica in aprile, diplomata
all'Istituto d'Arte di Pesaro, presso la sezione di “Architettura ed
Arredamento”. Per anni designer, collaboratrice con diverse figure professionali
e committenze: studi di arredamento e tecnici, case
di produzione di mobili, per passare al mondo pubblicitario, più creativo, sino
all’abbandono per potersi dedicare interamente alla vocazione artistica. E
l’arte diviene in Stella totalizzante al punto da farsi, dal 1994, un momento
della sua vita così significativo da assorbirla
pienamente con vere e proprie rassegne ed esposizioni. Dal 1986 aveva cercato di
affinare le sue tecniche. Una Pittrice la nostra mai paga di traguardi parziali,
sempre alla ricerca… Ora vive e dipinge in una località balneare che ha un porto
turistico molto ben nutrito di servizi correlati alla richiesta dei
diportisti che possono trovare alloggio in elementi
di architettura moderna; futuristica la stessa forma
della darsena di Portoverde di
Misano Adriatico (in provincia di Rimini) dove abita questa Pittrice di
cui mi permetto di citare una sua presentazione tratta dal suo sito monografico.
«Iniziata nel 1996,
I.N.R.I. la collezione d'arte sacra di Stella Dina si è andata arricchendo di
nuovi lavori fino al 2000, l'anno del Giubileo, in cui è stata esposta per la
prima volta nella sua interezza nella sala grande del Museo Luigi
Ghirotti ospitato nel Castello degli
Agolanti di Riccione. Si tratta di una serie di
oltre 40 lavori, acrilici, polimaterici e tecniche miste, attraverso la quale
Stella Dina elabora una personalissima rivisitazione
dell'iconografia cristiana classica , della quale conserva peraltro tematiche ed
equilibrio compositivo.
Singolare è il risultato: è
sufficiente un'occhiata al lavoro dell'artista romagnola per cogliere il preciso
obiettivo della massima sintesi espressiva attraverso una pittura fatta di linee
taglienti, forme ben delimitate e colori pieni e senza incertezze. Sintesi
creativa dunque, che applicata ai potenti simbolismi della tradizione cristiana,
pare trovare uno ulteriore slancio lirico, composto
ed al contempo suggestivo ed efficace. L'interpretazione dell'iconografia sacra
avviene in maniera assolutamente naturale e si
inserisce perfettamente fra le altre tematiche che l'artista affronta lungo il
proprio personale percorso creativo che si sviluppa seguendo quel sottile
confine che separa astratto e figurativo.
Prima della
grande personale di Riccione, una parte della
raccolta è stata esposta in Inghilterra a Cambridge per la Rassegna d'arte sacra
internazionale "The Power and the Glory" e poi in
Italia, negli spazi prestigiosi del Museo Arca dell'Arte nella medioevale Rocca
Ubaldinesca di Sassocorvaro,
vicino Urbino, in concomitanza con "Biblioteca Mundi", l'importante esposizione
di rarissimi libri miniati provenienti direttamente dalla Santa Sede.
Ad eccezione di pochi
dipinti, uno dei quali è parte della raccolta d'arte contemporanea del Comune
di Riccione, la collezione è integra e per espressa
volontà dell'artista non è disponibile per la vendita.E'
invece disponibile gratuitamente per qualificati progetti espositivi di natura
non commerciale». [ dal sito
http://www.hi-net.it/estrella/arte_sacra_home.htm ]
“L'angelo annunciatore”,
una tecnica mista su tela, di medio formato cm.90x60,
del 1996 in cui uno sfondo nero è il fondo da cui si staglia l’angellon
che porta l’Annuncio a Maria. Ne segue una “Maria in
attesa”, acrilico su tela (80 x 60 cm) del 1996. La susseguente “Sacra
Famiglia”, una tavola del 1999 presenta i tre personaggi composti come in una
presentazione rinascimentale, da sottolineare la
caratteristica “stella”, o corpo stellare, che sovrasta l’immagine
dell’Incarnato, dell’Unigenito, attorniato dalla Madre di Dio e dal padre
putativo che espleta la sua funzione di “conduttore”
della volontà che sta oltre ed è presentata da quella luce, cui sembra provenire
il Messia, l’Unto
e prescelto, il Cristo,
la vera Luce che illumina il mondo.
La “nascita di Gesù”
presenta in primo piano Giuseppe alla nostra destra, posteriormente Maria ed in
braccio il nascituro; presente come in altre le architetture semite
abbozzate che compongono un paesaggio stilizzato
ridotto ai minimi termini, dove l’elemento luce anima il dipinto che pare
sprizzare e si irradia un’aurea radiosa dal Redentore.
Di datazione più
“giubilare”, la tecnica mista che vede l’inserimento di materiali svariati.
Il dimensionamento di questa su un supporto “povero”, il cartone, descrive un
Cristo fra le braccia di un Giuseppe non più incredulo vero e primo cristiano e
figlio del Figlio, figlio adottivo di quel Padre che gli chiede di sacrificare
un amore “facile” con Maria per assolvere ad un
compito più grande… La scena pare installata sul patio di una casa israelitica
di quel tempo, mediata da muri imbiancati a calce e misti a fango, a qualche
pietra, di una povertà nobile, ma estremamente autentica… Certamente sono le
stelle, la luna, gli astri, in questa notte, i veri testimoni come quegli
elementi, scarni, di un paesaggio “urbano” -o meglio agricolo- di quel tempo di
una regione stupenda e radiosa. Ed in quella regione, un tempo eletta da YHWH,
ai confini con le zone montuose e le più inospitali del Mar Morto è sorto
proprio, da Canaan è sorto il Salvatore, in un posto
più simile allo Sheol, inospitale, su una modesta
mangiatoia, scarna e misera, il piccolo Gesù, un
povero tra poveri eppure Re dei re, partorito come qualsiasi altro figlio del
popolo… Un cartone intenso, sofferto, che esprime e determina una giusta
calibratura di poetiche, di stridori, di accentazioni, un cartone “forte”, come
l’immagine della Madre di Dio, bellissima dai lunghi capelli, ebrea, figlia
della sua terra, regina della povera gente, degli straccioni, dei mendicanti,
dei poveri, dei malati, degli afflitti.
Una trinità familiare, la
“Sacra Famiglia” della Dina, rivista a suo modo, lontano da schematismi
arcaici, immediata, spiraliforme nella composizione,
più simile ad una icona bizantina, ad un mosaico di
Ravenna che al Tondo Doni del Michelangelo in cui la coppia di Sposi guarda al
nascituro che ha gli occhi rivolti alle mani della Madre, mentre nel quadro di
Stella gli sguardi sono rivolti, seppure con direzioni diverse, verso noi
spettatori, i beneficiari della Sua Incarnazione.
Molto intimista ed evocativa
l’immagine del 1999 della “Madonna dell’acqua” governata da una dominante
di colori che –a livello cromatico- richiamano l’acqua, elemento principe e
principio della vita. Dall’acqua infondo nasciamo… Ed un acrilico su masonite
rivendica la pregnanza di contenuti forti
di presentazione alla potenze del creato del
Figlio Unigenito del Creatore, del
Re dell’Universo, della sua potestà sul mondo, Cristo è e sarà il Re, il nostro
Fedele e Verace (Ap
19,11). Simile a certe architetture, quelle stilizzate
da Stella, di molte Madonne dell’Acqua presenti non solo presso i Sacri Monti
dell’Italia Settentrionale -patrimoni dell’Unesco-, ma anche presso le Madonne
dei Bagni sparse per tutta la nostra penisola, evocanti
quell’amore della Madre di stare presso l’acqua. Tante apparizioni, e
penso al mio amore per la terra umbra e ligure, accompagnate dallo zampillare
di acqua, quasi che “acqua”
e “Maria” -la Theotokos- fossero
la medesima ed intercambiabile circostanza… Perché Maria è
“Fonte” inestinguibile di Gioia. Le
architetture, un leit motiv
ricorrente nell’opera pittorica di Dina, sono la base, l’elemento silente che a
volte parla più di mille parole e sta a dirci quanto
sia bello poter vederLo,
poterLo contenere, poiché non è solo delle stelle, ma ora si è finalmente
incarnato, ha albergato presso di noi, si è reso parte della storia
dell’umanità…
“Bimbo con Madre” è
simile a molte immagini devozionali. Serafico il Cristo siede sulle gambe della
Madre. Lontana, da stilemi aulici di Madonne
in Trono -di epoca medievale-, è certamente un’immagine densa, al cui
retro sta la Luce, accecante nella notte. Un bagliore. Lontano. Sul trono -un
seggiolone- il Bimbo, tenuto eretto dalle mani dolci
della Madre che lo conducono su vie certe, che lo proteggono dalle insidie di
Erode, che lo hanno partorito (dalle stesse carni) e subito lo hanno abbracciato
e cullato per noi tutti, per omaggiarLo, per
amarLo e vegliarLo con
cura la notte, nei meriggi più freddi, cercando riparo all’imbrunire, fuggendo i
piovaschi, gli acquazzoni improvvisi, celandoLo e
nascondendoseLo di sotto il mantello, un
Divin Fagottino da curare e preservare,
evitarGli infreddature, al riparo dalla impetuosa
grandine e dal vento, Lui grano per la gente, Lui nostro pane e nostro
nutrimento. Sintomatico l’abbraccio di Giuseppe –mediato sempre dalla Madre- da
Lei consentito… La scena pare svolgersi in architetture di fori imperiali -di
un’ambientazione più simile al tempio gerosolimitano- forse proiezione di ciò
che sarà, mutuazione inconscia della Pittrice di una
Adorazione dei
Magi di leonardesca memoria.
Sempre la luce
-in alto-, a far capolino e a risaltare, quasi come dinanzi ad un’operazione
notarile-giuridica antica la
presentia-partecipazione di testimoni per poter “de-sigillare” al mondo
il Mistero che il
Figlio dell’Uomo ci sta per
annunciare.
E
nella tavola “famiglia nella grotta” la Sacra Famiglia presenta un
Giuseppe che lo tiene in braccio, meticolosamente, con doverosa dedizione
–simile a quella di un sommo sacerdote dinanzi la Sancta
Sanctorum-, mentre il Piccolo con la destra cerca di
afferrare con la Sua manina quella della Madre, la Genitrice, l’Avvocata nostra…
Una tavola singolare che più
di ogni altra mi appassiona è certamente quella del
1999 che presenta una Madonna Scura,
una –come le chiamo io “Vergini Brune”
e meglio conosciute- “Madonna Nera” che la Pittrice chiama “Madonnina nera
con il Bimbo”. Sento l’affetto e l’amore materno di quel gesto nel
portarseLo a spasso un
poco inorgoglita -in grembo- mentre poi con freschezza, con dimessa umiltà una
volta compreso che era il Figlio
che l’avrebbe fatta anche piangere lacrime di Sangue e l’avrebbe trafitta per
quell’orgoglio crudo di noi stolti che l’abbiamo
crocifisso coi nostri peccati. Maria si piega, diviene –veramente- la
Madre coraggio, la prima, forse
l’unica che ha voluto saggiare la presenza, la
partecipazione di Lui alla nostra vita. Quanto
coraggio in quel sì –una vita di «fiat!» quella della Maria-, forse incosciente
per i “razionali” del nostro tempo –irrazionale in quanto priva di
sclerocardia, male che ammorba tuttora-,
equilibristi increduli ed agnostici. Certo a Lei bastava
guardarLo e tutto poteva
accadere: la strada poteva aprirsi, almeno quella del cuore, anche se quella via
era tutta in salita fino al Monte, non già del
Sinai, del
Calvario, del
Cranio, quel
Golgota, incunabolo dello
Sheol, abisso delle atrocità,
frons scenae della mediocrità di forche
appese per mille poveri cristi e premio per l’Unico Figlio di Dio!
“Madonna con manto rosso”
è di dimensioni più robuste, rispetto le precedenti, una tecnica mista in cui
Lei tiene in braccio il suo Pargolo, lo culla, lo fa riposare sapendo che forse
non sarebbe mai stato il Suo, ma sarebbe appartenuto
al mondo, contese persino le Sue Vesti per schernirlo poiché Figlio del Padre…
Che maternità quello sguardo, più avvolgente di mille braccia, più caldo di
mille plaid, di mille coperte, di mille focolari, di mille caloriferi.
Ed è sempre la
Luce dietro le loro spalle –elemento dominante nell’opera pittorica
di Stella-, che noi possiamo ammirare fra le braccia di una Donna.
Sintomatica la
collocazione di “Ritratto di Maria con il suo
bambino” così amorevole, distesa in quell’abbraccio,
profondo, intenso, amorevole per il suo piccolo frutto, che custodisce con cura
e tanto, tanto amore…
Una sorta di piramide
“Maria, Giuseppe con bimbo”, una tecnica mista del 2000, una
triangolazione il cui vertice è
posto al centro, verso il basso, ed è il Cristo, il Figlio di Dio fattosi carne.
E’ l’incontro della Divinità nelle piccole cose. Nella Creazione, per mezzo di
donna, per tramite della creatura da Lui precedentemente
creata.
Un altro quadro, “Ritratto
di Sacra Famiglia”, tecnica mista su masonite, del 1999, presenta tre figure:
Giuseppe sembra condurre Gesù, ed è messa in risalto questa sua funzione
nell’ottica della presentazione del Cristo dinanzi
l’Umanità formata dal Padre, la Madre –invece- ha lo sguardo mollemente
languido. Sul viso della Donna, la nuova Eva,
concepita senza peccato originale, Assunta in Cielo come il Figlio Unigenito del
Padre, sembra pensare non già alla fatica del parto, compiuto grazie al
Paraclito -il Consolatore-, bensì quegli occhi già mirano alla gloria del Cielo,
alla Gerusalemme Celeste che dovrà passare per quella Croce, per quello
scandalo, per quella ingiusta tortura inventata dagli uomini. Maria piange in
cuor suo, cogli occhi di qualsiasi madre nazarena, la morte dell’unico figlio
–il Figlio di Dio- per mano di altri uomini,
gratuitamente, senza appelli. E’ l’immagine più forte di
questa composizione, cui fa da contrappeso lo sguardo del Figlio, che sa di
dover assolvere un obbligo, di dover seguire il destino e che comunque -questa
volontà di Salvezza, per tramite di questa Sua scelta- riscatterà l’umanità. Per
suo tramite, per mezzo della sua missione, l’umanità tutta sarà assunta ad una
figliolanza adottiva al Padre Unico che sta nei cieli. Con quegli occhi si reca
in contro alla sua morte -che non è eterna ma
momentanea- cui farà seguito la vittoria sul regno oscuro dello
Sheol. La morte, come dice San Paolo, in Cristo è
vinta, poiché «essendo risorto dai morti non morirà più!». E lo sfondo non
poteva che essere chiaro, animato da quel bagliore aureo che
illumina ed irradia il mondo.
Un “Ritratto di Gesù”
solenne ed assorto. Meditabondo. Assorto nella sua opera redentrice. Un Cristo
vero. Lui è il
“Prescelto”, l’“Unto”, il Messia che pone la felicità, la saggezza e
l’Amore in un mondo così piatto e squallido. Uno sguardo
profondo, sacerdotale che sa rapire. Si sa che nessuno può vedere il
Padre se non per tramite dell’immagine del Figlio. Ecco che come diceva Paolo VI
il Cristo «è un ponte fra Dio e l’uomo»!
L’acrilico su tela dal
titolo “Cristo alla colonna”, 1999, di dimensione robusta,
verticistica, presenta questa pallida colonna cui
addossato l’Uomo dei dolori, quello che l’Evangelista Giovanni chiama il Figlio
dell’Uomo.
È Cristo, il Verbo Eterno del Padre, Colui che ci
consente di vedere l’Increato, la seconda persona
della Santissima Trinità. Lo sfondo risalta: un’oscurità immota. La luna calda
lascia intuire il tepore del tempo pasquale del Nisan
ebraico. E l’uomo non è vinto. Simile allo sguardo
dell’immagine del Sacro Telo della Sindone è
ieratico. Dimesso nel dolore, appena accaduto dopo una
plateale salita al monte della morte.
Ha appena cenato coi suoi… Mi ritorna alla mente ogni
volta che leggo una Passione -anche in quadro si può “leggerla”, seppure
composizione cromatici e non costituita da campi semantici- la storia del figlio
del nostro padre nella fede Abramo, Patriarca della fede
semita-cristiana-islamica, nostro padre comune. Nel racconto del Primo
Testamento troviamo forti analogie con l’episodio cristico.
Analizziamo alcuni ambiti: entrambi i figli sono destinati al “sacrificio”,
salgono con un “asino” la loro ultima ascesa al “monte” che diviene luogo di
contatto con Dio ed intima rivelazione dell’Alleanza, la “legna” accompagna i
loro destini –pira/croce- e per entrambi quel futuro è –apparentemente- una
morte ormai segnata. In effetti così parrebbe senza
leggerne il finale. Sappiamo che Isacco è risparmiato e Gesù ha vinto gli
inferi. E tutto diviene uno spazio, un ambiente dominato dal colore che da
pallido -notturno- si fa acceso come una mattanza per ricomporsi in quel
bagliore del Risorto che annullo quel processo
ineludibile di dolore che è venuto cancellando.
“Cristo porta la croce”
quella Croce, per i benpensanti dell’epoca quello era
uno scandalo. La tela in oggetto, del 1999, dalle dimensioni contenute, è
un’icona dell’assolvere il proprio destino cui ciascuno è chiamato. In quello
sforzo di portare la Croce ci sta l’immagine di noi tutti redenti in quel
simbolo di morte, che per volontà del Figlio dell’Uomo è
divenuto strumento redentivo da mero simbolo
di tortura… È la logica di quell’Amore a tratti
incomprensibile ai più di chi si è fatto carne per sperimentare la nostra
condizione umana, rivestirla dello splendore divino, per farci figli adottivi
del Padre, condividendo la sua Figliolanza, non esclusiva. Quanti segni di
divinità in questa logica della “gratuità” a noi così lontana… quanti e tanti
segni di Vita! Quella eterna.
“Crocifissione di
Gesù” è una tela del 1998. Sembra che la scena abbia come sfondo una navata di
una chiesa. Il capo reclinato a destra, le piaghe alle mani
trafitte dai chiodi.
“Il Nazareno”
è invece una tela del 1996 dal marcato accento orizzontale –allungato- in cui la
centralità da quel petto squarciato, la terra oscuratasi, la composta dipartita
dopo una frase straziante: «Elohi,
Elohi lamà
sabactani!». Che in ebraico significa
Dio mio, Dio mio perché mi
stai lasciando? Ed in questa agonia
dell’Uomo/Dio, che vive lo straziante attimo del trapasso c’è questa umanità
resa in questo estremo sacrificio. Dono incondizionato –sempre- perpetuamente
gratuito della divinità ad una umanità così bisognosa
di redenzione.
“I.N.R.I.”
è una tavola, un multistrato canadese, dalle dimensioni insolite, una scheggia
quasi della passione del Cristo, di 10x77 cm, dell’anno 2000, recante un
Cristo moriendi,
attorniato da una luce rossa e da un’aureola dorata rifulgente in un’atmosfera
che pare tramontea. Tutto è silenzio. Composto. Come
il corpo di un morto appeso ad una Croce. Che tutto fa pensare se non
desolazione,
morte, patimenti e sofferenza fisica. L’urlo si è già levato. È il
declino. Il collo ceduto. Lo sguardo caduto. Il respiro cessato.
E tutto è armonia in sintonia con quel Padre che ha
consentito l’uccisione del Suo Figlio Unigenito per noi, per redimerci.
Per dimostrare che la morte in Cristo, Vero Dio e Vero uomo,
è sconfitta. Che tutto dinanzi la Croce può essere
mediato. Che è “per crucem”
che deriva la Salvezza.
“Deposizione”
è invece una tela dimessa. Il cielo si sta rifacendo chiaro. È l’ora dopo la
“Nona”. Il giorno volge al meriggio. Il cielo si era già scurito. Ora pare
aprirsi. La “ballade du
pendu” di tre poveri cristi con
al centro un Uomo. In mezzo a tanti segni di morte. Il dolore rotto dai
singhiozzi. Le vesti a ricoprire quel corpo ignudo
dis-issato
dalla Croce. I teli si chiazzano di quel sangue ancora caldo.
E tutto è angosciante. È il venerdì santo.
E Lei, Maria, la Madre di Dio, si fa coraggio con
altre donne, per accudire, vegliare, custodire e seppellire quel povero loro
corpo inerme contro l’ingiuriosa arroganza. Quanti segni di superba arroganza in
quell’issarlo in Croce.
Quanti segni di pochezza in quello schernirlo. Quanti segni di bestialità nel
non rendergli omaggio a Colui che è e sarà il
Salvatore. Povero Gesù morto lontano dagli sguardi persi e terrificati dei suoi
compagni che per timore di finire alla forca se la diedero a gambe,
disperdendosi fra le folle brulicanti, dimenticandosi di
essere fratelli, di essere i suoi seguaci. E
poi era solo la morte. Quasi che la morte fosse l’ultimo
tentativo mal riuscito della Divinità. E
allora occorreva tacere. Era spazio solo per l’incredulità. Chissà quanti “ma e
se”. Era l’ora della morte. Anche delle proprie idee.
Del travaglio. Solo donne. Intorno a quel corpo che man mano
si irrigidiva e perdeva il colore per farsi violaceo. Quanta disperazione
in quei singhiozzi di Lei… quanta mancanza di coraggio. Solo loro che
partoriscono nel dolore avrebbero potuto subire un supplizio come di lance nel
petto a custodire quel Messia inerme e ormai morto fra le loro mani stanche e
disperate. Tutto non era che un solo lungo e
prolungato silenzio.
“Redentore” è una
tela del 1999 recante il Risorto col capo contornato della Sua Corona di spine.
Dietro di Lui il cielo chiaro, il solito bagliore
proveniente da un astro che illumina e rifulge che lo ha accompagnato dalla sua
discesa in mezzo a noi. Pare volere presenziare,
in mezzo ad una basilica romana, con uno sguardo dimesso e Vittorioso. Ci ha
portato la liberazione. La salvezza. L’Amore gratuito. La redenzione!
E
per terminare Stella ci propone “Gli apostoli”, un acrilico su tela del
1996, che presenta un vero miracolo: una schiera di
Christifideles pronti ad annunciare l’Evangello.
I suoi Apostoli, coloro che lo diffondono, i testimoni sono ombre di proseliti
che vagheranno per il mondo allora civilizzato per annunziare la “Lieta
Novella”. Sullo sfondo vari monti, varie asperità dalle
collinose, alle più aspre ed alte. Un’unica meta: il Cristo!
Prof. ALESSIO VARISCO
FONTE : Prof.
ALESSIO VARISCO , Designer - Magister Artium , Art Director Associazione
culturale no-profit "Técne Art Studio" ,
http://www.alessiovarisco.it
Per visionare tutte le opere della Collezione
I.N.R.I. in formato più grande consultare il Sito Web ufficiale dell'artista
STELLA DINA :
http://www.hi-net.it/estrella/
e in particolare la Sezione del sito sull'Arte Sacra :
http://www.hi-net.it/estrella/arte_sacra_home.htm
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