lunedì 15 luglio 2019

STELLA DINA " I.N.R.I. " , Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, di Alessio Varisco



STELLA DINA
" I.N.R.I. " ,  Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum
di Alessio Varisco

 
Redentore
acrilico su tela cm 50x40 , 1999 , Collezione I.N.R.I.

Mi capita molto spesso di appassionarmi di tele, tecniche miste, ma mai così per caso… una mail, una comunicazione di servizio a naviganti, in intenzionale, fuori da ogni circuito, inaspettata. La pittrice è Stella Dina, classe 1962 nata a Cattolica in aprile, diplomata all'Istituto d'Arte di Pesaro, presso la sezione di “Architettura ed Arredamento”. Per anni designer, collaboratrice con diverse figure professionali e committenze: studi di arredamento e tecnici, case di produzione di mobili, per passare al mondo pubblicitario, più creativo, sino all’abbandono per potersi dedicare interamente alla vocazione artistica. E l’arte diviene in Stella totalizzante al punto da farsi, dal 1994, un momento della sua vita così significativo da assorbirla pienamente con vere e proprie rassegne ed esposizioni. Dal 1986 aveva cercato di affinare le sue tecniche. Una Pittrice la nostra mai paga di traguardi parziali, sempre alla ricerca… Ora vive e dipinge in una località balneare che ha un porto turistico molto ben nutrito di servizi correlati alla richiesta dei diportisti che possono trovare alloggio in elementi di architettura moderna; futuristica la stessa forma della darsena di Portoverde di Misano Adriatico (in provincia di Rimini) dove abita questa Pittrice di cui mi permetto di citare una sua presentazione tratta dal suo sito monografico.

«Iniziata nel 1996, I.N.R.I. la collezione d'arte sacra di Stella Dina si è andata arricchendo di nuovi lavori fino al 2000, l'anno del Giubileo, in cui è stata esposta per la prima volta nella sua interezza nella sala grande del Museo Luigi Ghirotti ospitato nel Castello degli Agolanti di Riccione. Si tratta di una serie di oltre 40 lavori, acrilici, polimaterici e tecniche miste, attraverso la quale Stella Dina elabora una personalissima rivisitazione dell'iconografia cristiana classica , della quale conserva peraltro tematiche ed equilibrio compositivo.
Singolare è il risultato: è sufficiente un'occhiata al lavoro dell'artista romagnola per cogliere il preciso obiettivo della massima sintesi espressiva attraverso una pittura fatta di linee taglienti, forme ben delimitate e colori pieni e senza incertezze. Sintesi creativa dunque, che applicata ai potenti simbolismi della tradizione cristiana, pare trovare uno ulteriore slancio lirico, composto ed al contempo suggestivo ed efficace. L'interpretazione dell'iconografia sacra avviene in maniera assolutamente naturale e si inserisce perfettamente fra le altre tematiche che l'artista affronta lungo il proprio personale percorso creativo che si sviluppa seguendo quel sottile confine che separa astratto e figurativo.
Prima della grande personale di Riccione, una parte della raccolta è stata esposta in Inghilterra a Cambridge per la Rassegna d'arte sacra internazionale "The Power and the Glory" e poi in Italia, negli spazi prestigiosi del Museo Arca dell'Arte nella medioevale Rocca Ubaldinesca di Sassocorvaro, vicino Urbino, in concomitanza con "Biblioteca Mundi", l'importante esposizione di rarissimi libri miniati provenienti direttamente dalla Santa Sede.
Ad eccezione di pochi dipinti, uno dei quali è parte della raccolta d'arte contemporanea del Comune di Riccione, la collezione è integra e per espressa volontà dell'artista non è disponibile per la vendita.E' invece disponibile gratuitamente per qualificati progetti espositivi di natura non commerciale». [ dal sito http://www.hi-net.it/estrella/arte_sacra_home.htm  ]
 

 
“L'angelo annunciatore”, una tecnica mista su tela, di medio formato cm.90x60, del 1996 in cui uno sfondo nero è il fondo da cui si staglia l’angellon che porta l’Annuncio a Maria. Ne segue una “Maria in attesa”, acrilico su tela (80 x 60 cm) del 1996. La susseguente “Sacra Famiglia”, una tavola del 1999 presenta i tre personaggi composti come in una presentazione rinascimentale, da sottolineare la caratteristica “stella”, o corpo stellare, che sovrasta l’immagine dell’Incarnato, dell’Unigenito, attorniato dalla Madre di Dio e dal padre putativo che espleta la sua funzione di “conduttore” della volontà che sta oltre ed è presentata da quella luce, cui sembra provenire il Messia, l’Unto e prescelto, il Cristo, la vera Luce che illumina il mondo.

La “nascita di Gesù” presenta in primo piano Giuseppe alla nostra destra, posteriormente Maria ed in braccio il nascituro; presente come in altre le architetture semite abbozzate che compongono un paesaggio stilizzato ridotto ai minimi termini, dove l’elemento luce anima il dipinto che pare sprizzare e si irradia un’aurea radiosa dal Redentore.
Di datazione più “giubilare”, la tecnica mista che vede l’inserimento di materiali svariati. Il dimensionamento di questa su un supporto “povero”, il cartone, descrive un Cristo fra le braccia di un Giuseppe non più incredulo vero e primo cristiano e figlio del Figlio, figlio adottivo di quel Padre che gli chiede di sacrificare un amore “facile” con Maria per assolvere ad un compito più grande… La scena pare installata sul patio di una casa israelitica di quel tempo, mediata da muri imbiancati a calce e misti a fango, a qualche pietra, di una povertà nobile, ma estremamente autentica… Certamente sono le stelle, la luna, gli astri, in questa notte, i veri testimoni come quegli elementi, scarni, di un paesaggio “urbano” -o meglio agricolo- di quel tempo di una regione stupenda e radiosa. Ed in quella regione, un tempo eletta da YHWH, ai confini con le zone montuose e le più inospitali del Mar Morto è sorto proprio, da Canaan è sorto il Salvatore, in un posto più simile allo Sheol, inospitale, su una modesta mangiatoia, scarna e misera, il piccolo Gesù, un povero tra poveri eppure Re dei re, partorito come qualsiasi altro figlio del popolo… Un cartone intenso, sofferto, che esprime e determina una giusta calibratura di poetiche, di stridori, di accentazioni, un cartone “forte”, come l’immagine della Madre di Dio, bellissima dai lunghi capelli, ebrea, figlia della sua terra, regina della povera gente, degli straccioni, dei mendicanti, dei poveri, dei malati, degli afflitti.

Una trinità familiare, la “Sacra Famiglia” della Dina, rivista a suo modo, lontano da schematismi arcaici, immediata, spiraliforme nella composizione, più simile ad una icona bizantina, ad un mosaico di Ravenna che al Tondo Doni del Michelangelo in cui la coppia di Sposi guarda al nascituro che ha gli occhi rivolti alle mani della Madre, mentre nel quadro di Stella gli sguardi sono rivolti, seppure con direzioni diverse, verso noi spettatori, i beneficiari della Sua Incarnazione.

Molto intimista ed evocativa l’immagine del 1999 della “Madonna dell’acqua” governata da una dominante di colori che –a livello cromatico- richiamano l’acqua, elemento principe e principio della vita. Dall’acqua infondo nasciamo… Ed un acrilico su masonite rivendica la pregnanza di contenuti forti di presentazione alla potenze del creato del Figlio Unigenito del Creatore, del Re dell’Universo, della sua potestà sul mondo, Cristo è e sarà il Re, il nostro Fedele e Verace (Ap 19,11). Simile a certe architetture, quelle stilizzate da Stella, di molte Madonne dell’Acqua presenti non solo presso i Sacri Monti dell’Italia Settentrionale -patrimoni dell’Unesco-, ma anche presso le Madonne dei Bagni sparse per tutta la nostra penisola, evocanti quell’amore della Madre di stare presso l’acqua. Tante apparizioni, e penso al mio amore per la terra umbra e ligure, accompagnate dallo zampillare di acqua, quasi che “acqua” e “Maria” -la Theotokos- fossero la medesima ed intercambiabile circostanza… Perché Maria è “Fonte” inestinguibile di Gioia. Le architetture, un leit motiv ricorrente nell’opera pittorica di Dina, sono la base, l’elemento silente che a volte parla più di mille parole e sta a dirci quanto sia bello poter vederLo, poterLo contenere, poiché non è solo delle stelle, ma ora si è finalmente incarnato, ha albergato presso di noi, si è reso parte della storia dell’umanità…

 “Bimbo con Madre” è simile a molte immagini devozionali. Serafico il Cristo siede sulle gambe della Madre. Lontana, da stilemi aulici di Madonne in Trono -di epoca medievale-, è certamente un’immagine densa, al cui retro sta la Luce, accecante nella notte. Un bagliore. Lontano. Sul trono -un seggiolone- il Bimbo, tenuto eretto dalle mani dolci della Madre che lo conducono su vie certe, che lo proteggono dalle insidie di Erode, che lo hanno partorito (dalle stesse carni) e subito lo hanno abbracciato e cullato per noi tutti, per omaggiarLo, per amarLo e vegliarLo con cura la notte, nei meriggi più freddi, cercando riparo all’imbrunire, fuggendo i piovaschi, gli acquazzoni improvvisi, celandoLo e nascondendoseLo di sotto il mantello, un Divin Fagottino da curare e preservare, evitarGli infreddature, al riparo dalla impetuosa grandine e dal vento, Lui grano per la gente, Lui nostro pane e nostro nutrimento. Sintomatico l’abbraccio di Giuseppe –mediato sempre dalla Madre- da Lei consentito… La scena pare svolgersi in architetture di fori imperiali -di un’ambientazione più simile al tempio gerosolimitano- forse proiezione di ciò che sarà, mutuazione inconscia della Pittrice di una Adorazione dei Magi di leonardesca memoria. Sempre la luce -in alto-, a far capolino e a risaltare, quasi come dinanzi ad un’operazione notarile-giuridica antica la presentia-partecipazione di testimoni per poter “de-sigillare” al mondo il Mistero che il Figlio dell’Uomo ci sta per annunciare.

  E nella tavola “famiglia nella grotta” la Sacra Famiglia presenta un Giuseppe che lo tiene in braccio, meticolosamente, con doverosa dedizione –simile a quella di un sommo sacerdote dinanzi la Sancta Sanctorum-, mentre il Piccolo con la destra cerca di afferrare con la Sua manina quella della Madre, la Genitrice, l’Avvocata nostra…

 
Una tavola singolare che più di ogni altra mi appassiona è certamente quella del 1999 che presenta una Madonna Scura, una –come le chiamo io “Vergini Brune” e meglio conosciute- “Madonna Nera” che la Pittrice chiama “Madonnina nera con il Bimbo”. Sento l’affetto e l’amore materno di quel gesto nel portarseLo a spasso un poco inorgoglita -in grembo- mentre poi con freschezza, con dimessa umiltà una volta compreso che era il Figlio che l’avrebbe fatta anche piangere lacrime di Sangue e l’avrebbe trafitta per quell’orgoglio crudo di noi stolti che l’abbiamo crocifisso coi nostri peccati. Maria si piega, diviene –veramente- la Madre coraggio, la prima, forse l’unica che ha voluto saggiare la presenza, la partecipazione di Lui alla nostra vita. Quanto coraggio in quel sì –una vita di «fiat!» quella della Maria-, forse incosciente per i “razionali” del nostro tempo –irrazionale in quanto priva di sclerocardia, male che ammorba tuttora-, equilibristi increduli ed agnostici. Certo a Lei bastava guardarLo e tutto poteva accadere: la strada poteva aprirsi, almeno quella del cuore, anche se quella via era tutta in salita fino al Monte, non già del Sinai, del Calvario, del Cranio, quel Golgota, incunabolo dello Sheol, abisso delle atrocità, frons scenae della mediocrità di forche appese per mille poveri cristi e premio per l’Unico Figlio di Dio!

 “Madonna con manto rosso” è di dimensioni più robuste, rispetto le precedenti, una tecnica mista in cui Lei tiene in braccio il suo Pargolo, lo culla, lo fa riposare sapendo che forse non sarebbe mai stato il Suo, ma sarebbe appartenuto al mondo, contese persino le Sue Vesti per schernirlo poiché Figlio del Padre… Che maternità quello sguardo, più avvolgente di mille braccia, più caldo di mille plaid, di mille coperte, di mille focolari, di mille caloriferi. Ed è sempre la Luce dietro le loro spalle –elemento dominante nell’opera pittorica di Stella-, che noi possiamo ammirare fra le braccia di una Donna.

Sintomatica la collocazione di “Ritratto di Maria con il suo bambino” così amorevole, distesa in quell’abbraccio, profondo, intenso, amorevole per il suo piccolo frutto, che custodisce con cura e tanto, tanto amore…
Una sorta di piramide “Maria, Giuseppe con bimbo”, una tecnica mista del 2000, una triangolazione il cui vertice è posto al centro, verso il basso, ed è il Cristo, il Figlio di Dio fattosi carne. E’ l’incontro della Divinità nelle piccole cose. Nella Creazione, per mezzo di donna, per tramite della creatura da Lui precedentemente creata.
Un altro quadro, “Ritratto di Sacra Famiglia”, tecnica mista su masonite, del 1999, presenta tre figure: Giuseppe sembra condurre Gesù, ed è messa in risalto questa sua funzione nell’ottica della presentazione del Cristo dinanzi l’Umanità formata dal Padre, la Madre –invece- ha lo sguardo mollemente languido. Sul viso della Donna, la nuova Eva, concepita senza peccato originale, Assunta in Cielo come il Figlio Unigenito del Padre, sembra pensare non già alla fatica del parto, compiuto grazie al Paraclito -il Consolatore-, bensì quegli occhi già mirano alla gloria del Cielo, alla Gerusalemme Celeste che dovrà passare per quella Croce, per quello scandalo, per quella ingiusta tortura inventata dagli uomini. Maria piange in cuor suo, cogli occhi di qualsiasi madre nazarena, la morte dell’unico figlio –il Figlio di Dio- per mano di altri uomini, gratuitamente, senza appelli. E’ l’immagine più forte di questa composizione, cui fa da contrappeso lo sguardo del Figlio, che sa di dover assolvere un obbligo, di dover seguire il destino e che comunque -questa volontà di Salvezza, per tramite di questa Sua scelta- riscatterà l’umanità. Per suo tramite, per mezzo della sua missione, l’umanità tutta sarà assunta ad una figliolanza adottiva al Padre Unico che sta nei cieli. Con quegli occhi si reca in contro alla sua morte -che non è eterna ma momentanea- cui farà seguito la vittoria sul regno oscuro dello Sheol. La morte, come dice San Paolo, in Cristo è vinta, poiché «essendo risorto dai morti non morirà più!». E lo sfondo non poteva che essere chiaro, animato da quel bagliore aureo che illumina ed irradia il mondo.

Un “Ritratto di Gesù” solenne ed assorto. Meditabondo. Assorto nella sua opera redentrice. Un Cristo vero. Lui  è il “Prescelto”, l’“Unto”, il Messia che pone la felicità, la saggezza e l’Amore in un mondo così piatto e squallido. Uno sguardo profondo, sacerdotale che sa rapire. Si sa che nessuno può vedere il Padre se non per tramite dell’immagine del Figlio. Ecco che come diceva Paolo VI il Cristo «è un ponte fra Dio e l’uomo»!

 
 L’acrilico su tela dal titolo “Cristo alla colonna”, 1999, di dimensione robusta, verticistica, presenta questa pallida colonna cui addossato l’Uomo dei dolori, quello che l’Evangelista Giovanni chiama il Figlio dell’Uomo. È Cristo, il Verbo Eterno del Padre, Colui che ci consente di vedere l’Increato, la seconda persona della Santissima Trinità. Lo sfondo risalta: un’oscurità immota. La luna calda lascia intuire il tepore del tempo pasquale del Nisan ebraico. E l’uomo non è vinto. Simile allo sguardo dell’immagine del Sacro Telo della Sindone è ieratico. Dimesso nel dolore, appena accaduto dopo una plateale salita al monte della morte. Ha appena cenato coi suoi… Mi ritorna alla mente ogni volta che leggo una Passione -anche in quadro si può “leggerla”, seppure composizione cromatici e non costituita da campi semantici- la storia del figlio del nostro padre nella fede Abramo, Patriarca della fede semita-cristiana-islamica, nostro padre comune. Nel racconto del Primo Testamento troviamo forti analogie con l’episodio cristico. Analizziamo alcuni ambiti: entrambi i figli sono destinati al “sacrificio”, salgono con un “asino” la loro ultima ascesa al “monte” che diviene luogo di contatto con Dio ed intima rivelazione dell’Alleanza, la “legna” accompagna i loro destini –pira/croce- e per entrambi quel futuro è –apparentemente- una morte ormai segnata. In effetti così parrebbe senza leggerne il finale. Sappiamo che Isacco è risparmiato e Gesù ha vinto gli inferi. E tutto diviene uno spazio, un ambiente dominato dal colore che da pallido -notturno- si fa acceso come una mattanza per ricomporsi in quel bagliore del Risorto che annullo quel processo ineludibile di dolore che è venuto cancellando.

 
“Cristo porta la croce” quella Croce, per i benpensanti dell’epoca quello era uno scandalo. La tela in oggetto, del 1999, dalle dimensioni contenute, è un’icona dell’assolvere il proprio destino cui ciascuno è chiamato. In quello sforzo di portare la Croce ci sta l’immagine di noi tutti redenti in quel simbolo di morte, che per volontà del Figlio dell’Uomo è divenuto strumento redentivo da mero simbolo di tortura… È la logica di quell’Amore a tratti incomprensibile ai più di chi si è fatto carne per sperimentare la nostra condizione umana, rivestirla dello splendore divino, per farci figli adottivi del Padre, condividendo la sua Figliolanza, non esclusiva. Quanti segni di divinità in questa logica della “gratuità” a noi così lontana… quanti e tanti segni di Vita! Quella eterna.
“Crocifissione di Gesù” è una tela del 1998. Sembra che la scena abbia come sfondo una navata di una chiesa. Il capo reclinato a destra, le piaghe alle mani trafitte dai chiodi.

“Il Nazareno” è invece una tela del 1996 dal marcato accento orizzontale –allungato- in cui la centralità da quel petto squarciato, la terra oscuratasi, la composta dipartita dopo una frase straziante: «Elohi, Elohi lamà sabactani!». Che in ebraico significa Dio mio, Dio mio perché mi stai lasciando? Ed in questa agonia dell’Uomo/Dio, che vive lo straziante attimo del trapasso c’è questa umanità resa in questo estremo sacrificio. Dono incondizionato –sempre- perpetuamente gratuito della divinità ad una umanità così bisognosa di redenzione.

 
  “I.N.R.I.” è una tavola, un multistrato canadese, dalle dimensioni insolite, una scheggia quasi della passione del Cristo, di 10x77 cm, dell’anno 2000, recante un Cristo moriendi, attorniato da una luce rossa e da un’aureola dorata rifulgente in un’atmosfera che pare tramontea. Tutto è silenzio. Composto. Come il corpo di un morto appeso ad una Croce. Che tutto fa pensare se non desolazione, morte, patimenti e sofferenza fisica. L’urlo si è già levato. È il declino. Il collo ceduto. Lo sguardo caduto. Il respiro cessato. E tutto è armonia in sintonia con quel Padre che ha consentito l’uccisione del Suo Figlio Unigenito per noi, per redimerci. Per dimostrare che la morte in Cristo, Vero Dio e Vero uomo, è sconfitta. Che tutto dinanzi la Croce può essere mediato. Che è “per crucem” che deriva la Salvezza.

 
“Deposizione” è invece una tela dimessa. Il cielo si sta rifacendo chiaro. È l’ora dopo la “Nona”. Il giorno volge al meriggio. Il cielo si era già scurito. Ora pare aprirsi. La “ballade du pendu” di tre poveri cristi con al centro un Uomo. In mezzo a tanti segni di morte. Il dolore rotto dai singhiozzi. Le vesti a ricoprire quel corpo ignudo dis-issato dalla Croce. I teli si chiazzano di quel sangue ancora caldo. E tutto è angosciante. È il venerdì santo. E Lei, Maria, la Madre di Dio, si fa coraggio con altre donne, per accudire, vegliare, custodire e seppellire quel povero loro corpo inerme contro l’ingiuriosa arroganza. Quanti segni di superba arroganza in quell’issarlo in Croce. Quanti segni di pochezza in quello schernirlo. Quanti segni di bestialità nel non rendergli omaggio a Colui che è e sarà il Salvatore. Povero Gesù morto lontano dagli sguardi persi e terrificati dei suoi compagni che per timore di finire alla forca se la diedero a gambe, disperdendosi fra le folle brulicanti, dimenticandosi di essere fratelli, di essere i suoi seguaci. E poi era solo la morte. Quasi che la morte fosse l’ultimo tentativo mal riuscito della Divinità. E allora occorreva tacere. Era spazio solo per l’incredulità. Chissà quanti “ma e se”. Era l’ora della morte. Anche delle proprie idee. Del travaglio. Solo donne. Intorno a quel corpo che man mano si irrigidiva e perdeva il colore per farsi violaceo. Quanta disperazione in quei singhiozzi di Lei… quanta mancanza di coraggio. Solo loro che partoriscono nel dolore avrebbero potuto subire un supplizio come di lance nel petto a custodire quel Messia inerme e ormai morto fra le loro mani stanche e disperate. Tutto non era che un solo lungo e prolungato silenzio.

“Redentore” è una tela del 1999 recante il Risorto col capo contornato della Sua Corona di spine. Dietro di Lui il cielo chiaro, il solito bagliore proveniente da un astro che illumina e rifulge che lo ha accompagnato dalla sua discesa in mezzo a noi. Pare volere presenziare, in mezzo ad una basilica romana, con uno sguardo dimesso e Vittorioso. Ci ha portato la liberazione. La salvezza. L’Amore gratuito. La redenzione!
 

 
E per terminare Stella ci propone “Gli apostoli”, un acrilico su tela del 1996, che presenta un vero miracolo: una schiera di Christifideles pronti ad annunciare l’Evangello. I suoi Apostoli, coloro che lo diffondono, i testimoni sono ombre di proseliti che vagheranno per il mondo allora civilizzato per annunziare la “Lieta Novella”. Sullo sfondo vari monti, varie asperità dalle collinose, alle più aspre ed alte. Un’unica meta: il Cristo!

Prof. ALESSIO VARISCO





FONTE : Prof. ALESSIO VARISCO , Designer - Magister Artium , Art Director Associazione culturale no-profit "Técne Art Studio" , http://www.alessiovarisco.it
Per visionare tutte le opere della Collezione I.N.R.I. in formato più grande consultare il Sito Web ufficiale dell'artista STELLA DINA :  http://www.hi-net.it/estrella/  e in particolare la Sezione del sito sull'Arte Sacra :  http://www.hi-net.it/estrella/arte_sacra_home.htm












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