Yaryna Moroz Sarno
LA BELLEZZA CHE RENDE VISIBILE LA FEDE :
L'ARTE DI MATISSE
L'ARTE DI MATISSE
“Ogni essere umano, in un certo senso è sconosciuto a se stesso.
Gesù Cristo non soltanto rivela Dio, ma ‘svela pienamente l’uomo all’uomo....’
A contatto con le opere d’arte, l’umanità di tutti i tempi – anche quella di oggi aspetta di essere illuminata sul proprio cammino e sul proprio destino”
Gesù Cristo non soltanto rivela Dio, ma ‘svela pienamente l’uomo all’uomo....’
A contatto con le opere d’arte, l’umanità di tutti i tempi – anche quella di oggi aspetta di essere illuminata sul proprio cammino e sul proprio destino”
Giovanni Paolo II,
Lettera agli artisti, 4 aprile del 1999
Il rapporto tra cristianesimo e arti visive si configura nel mondo
europeo, pur tra alterne vicende, come la storia di una stretta e
feconda alleanza. La relazione tra arte e fede trova le sue
giustificazioni negli stessi testi fondatori del cristianesimo, a
cominciare dal celebre versetto del Prologo del Vangelo di Giovanni: “Il
Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la
sua gloria di grazia e verità” (Gv 1, 14). Il Dio invisibile si è reso
visibile attraverso una forma.
Il rinnovamento del rapporto tra Chiesa e arte nell’epoca
industriale inizia dal movimento liturgico. Il Movimento Liturgico ebbe
origine nel XIX secolo e fu intimamente collegato alla rinascita
monastica. La sua matrice teologica va individuata in una particolare
visione della Chiesa nel Concilio Vaticano I (1869-1870). Con l’elezione
al pontificato di Pio X (1903) il Movimento Liturgico entra in una
nuova fase. Nel Movimento Liturgico si prefiggono nuovi scopi, tra
questi il ritorno all’arte sacra della Chiesa. Gli insegnamenti di SS.
Pio X (in particolare nel suo Motu Proprio) invitano e ispirano gli
artisti chiamati ad esercitare un’arte sacra e quindi una formazione che
faccia loro conoscere lo spirito e le regole del culto della santa
Chiesa.
Tra i Concili del Vaticano I e del Vaticano II aiutono al diffondersi
delle nuove idee le riviste di cultura generale, di storia e di
cronache artistiche, e le riviste che propriamente appartengono al mondo
della ricerca spirituale e teologica e della formazione pastorale
liturgica. Lì si potevano leggerre contributi teorici e anche pratici
relativi al decoro e alla bellezza dei luoghi sacri e dove si
approfondivano i nessi tra arte e teologia, tra arte e pastorale
liturgica. Alle radici della Modernità, tra i secoli XIX e XX, le
riviste costituiscono un luogo privilegiato del dibattito culturale,
letterario e musicale: attenzione particolare è data al mondo dell’arte e
vi si confrontano diverse ipotesi critiche in occasioni di importanti
mostre di attualità o di ricognizione storica, soprattutto in Francia e
Germania. Nel generale risveglio della cultura cattolica europea, tra
fine Ottocento e inizi Novecento, nella ripresa di un associazionismo
cattolico laicale, in cui molti raggruppamenti fanno mostra della
propria identità artistica, si evidenzia una professionalità specifica
all’argomento dell’arte sacra colto in relazione con la vita del
magistero della Chiesa.
Nel 1931 esce il primo numero di "Arte Sacra". In apertura compare un
articolo di Giovanni Battista Montini il futuro Paolo VI: “L’arte sacra
deve rinnovarsi. Non ci può essere una semplice imitazione di modelli
del passato. Ogni epoca deve creare le proprie forme espressive, secondo
la stretta relazione di tradizione tomista Bene-Bello: “Il bello è bene
che si offre come spettacolo per fare amare l’essere”.
Il 7 maggio del 1964 papa Montini nel famoso discorso della Sistina,
invita gli artisti a essere protagonisti della vita della Chiesa. Papa
Paolo VI disse: «Noi abbiamo bisogno di voi. Il nostro ministero ha
bisogno della vostra collaborazione. Perché come sapete, il nostro
ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e
comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile,
dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione, che travasa il mondo
invisibile in formule accessibili, intelligibili, voi siete maestri. È
il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è proprio
quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di
parola, di colori, di forme, di accessibilità». Tuttavia occorre un
rapporto di responsabilità reciproca: «Dobbiamo lasciare alle vostre
voci il canto libero e potente di cui siete capaci. E voi dovete essere
così bravi da esprimere, da venire ad attingere da noi il motivo, il
tema, e qualche volte più del tema, quel fluido segreto che si chiama
l’ispirazione, che si chiama la grazia, che si chiama il carisma
dell’arte. E, a Dio piacendo, ve lo daremo» (Paolo VI, Omelia nella
«Messa degli artisti» [Cappella Sistina, 7 maggio 1964]. Lui invita gli
artisti a essere protagonisti della vita della Chiesa. Il 7 maggio,
nella cappella Sistina, Papa Paolo VI rivolse agli artisti uno storico
discorso: “...Vi abbiamo trattati male, siamo ricorsi ai surrogati,
all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa... Siamo andati anche
noi – il culto di Dio sono stati male serviti... non si sa cosa dite,
non lo sapete tante volte neanche voi... Ricarichiamo la pace?”[1]
Nel 1966 è pubblicata la nota pastorale della Conferenza episcopale
sull’Adeguamento delle Chiese secondo la riforma liturgica, documento
che sottolinea il rapporto che deve sussistere tra immagini e spazio
architettonico.
Nel 1999 Giovanni Paolo II si rivolge agli artisti, mettendo in
rilievo l’arte come ponte verso l’esperienza religiosa, anche da parte
di chi non si riconosce in una esplicita esperienza di fede. Questo
ultimo punto costituisce certamente un tentativo importante per ricucire
una frattura che sembra risanarsi solo con grande difficoltà: «Voi
sapete […] che la Chiesa ha continuato a nutrire un grande apprezzamento
per il valore dell’arte come tale. Questa, infatti, anche al di là
delle sue espressioni più tipicamente religiose, quando è autentica, ha
un’intima affinità con il mondo della fede, sicché, persino nelle
condizioni di maggior distacco della cultura dalla Chiesa, proprio
l’arte continua a costituire una sorta di ponte gettato verso
l’esperienza religiosa. In quanto ricerca del bello, frutto di
un’immaginazione che va al di là del quotidiano, essa è, per sua natura,
una sorta di appello al Mistero. Persino quando scruta le profondità
più oscure dell’anima o gli aspetti più sconvolgenti del male, l’artista
si fa in qualche modo voce dell’universale attesa di redenzione»
(Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti [4 aprile 1999]. Giovanni Paolo
II anche scrive agli artisti: “La vostra arte contribuisca
all’affermarsi di una bellezza autentica che, quasi riverbero dello
Spirito di Dio, trasfiguri la materia, aprendo gli animi al senso
dell’eterno”. Secondo Giovanni Paolo II (nella sua Lettera agli
artisti), l’opera d’arte viene considerata come uno strumento di
“conoscenza del loro intimo”, ovvero come ricerca di Verità che porta
dritto alla scoperta ed all contemplazione della bellezza del Mistero di
Dio.
La Chiesa del XX s. cercava come comunicare il Vangelo in un mondo
che cambia. La Chiesa stava cercando una testimonianza con un linguaggio
contemporaneo, il nuovo lingauaggio liturgico e artistico. L’arte è
stato un modo per rendere visibile la fede nel mondo contemporaneo. Due
tra più importante artisti del XX s. hanno fatto questo ognuno nel suo
modo.
Matisse
Matisse è uno di più grandi artisti del XX secolo. Alla formazione
della poetica matissiana concorsero le impressioni di Van Gogh e di
Gauguin, la conoscenza delle arti orientali, delle stoffe moresche,
della ceramica persiana, i motivi giapponesi, oltre che l’arte africana.
Durante la sua lunga vita abbiamo un continuo decantamento dello stile.
Abbandonati gli studi giuridici per dedicarsi alla carriera artistica,
frequentò a Parigi l'Académie Julian, l'Ècole des Arts Décoratifs e
quindi, dal 1895 al 1899, lo studio di G. Moreau all'École des
Beaux-Arts, risentendo in questo periodo, attraverso i contatti con
Pissarro, delle esperienze dell'impressionismo (La desserte, 1897,
Parigi, collezione privata). Dopo alcuni soggiorni in Inghilterra, in
Corsica e nella regione di Tolosa, nel 1902 figura con Marquet e
Flandrin ad alcune mostre presso la galleria di Berthe Weil a Parigi.
Sono di questi anni alcuni orientamenti ben precisi della sua pittura,
già volta all'espressione del colore come fatto autonomo, distaccato da
ogni rapporto col disegno costruttivo e di riferimento descrittivo
(Veduta di Notre-Dame nel tardo pomeriggio, 1902, Buffalo, Albright-Knox
Art Gallery). Fu in questi anni che Matisse meditò con rigoroso
approfondimento le esperienze neo-impressioniste (Seurat, Signac) e le
scoperte dell'arte africana e asiatica attraverso la lezione di Van Gogh
e soprattutto di Gauguin.
Credeva in Dio. Cristiano a modo suo, era persuaso che esistesse una
dimensione ulteriore. Per lui Dio era la Bellezza assoluta e quel che
contava era raggiungere questa Bellezza. Questo sforzo per accedere al
Bello è paragonabile a quello che compie chi cerca di corrispondere alla
volontà di Dio.
Alla soglia degli 80 anni decorò anche la cappella delle suore
domenicane di Vence in Francia. Stabilitosi a Vence nel 1943, si dedicò
tra il 1948 e il 1951 alla realizzazione della cappella dei domenicani
della Madonna del Rosario, il capolavoro dell'ultima attività, esempio
fondamentale delle nuove concezioni e dei nuovi orientamenti dell'arte
sacra moderna.
Matisse desiderava fare di quella cappella un insieme organico di
bellezza spirituale. La funzione creativa del colore, il colore che crea
forme, la vivezza coloristica che tende all’espressione. Un'ampia
retrospettiva che ha riunito dipinti, sculture e disegni dell'artista,
dai primi paesaggi giovanili fino alle curiose composizioni con forbici e
colla create dal Matisse sessantenne, è stata inaugurata nel 1992 al
Metropolitan Museum di New York.
La cappella del Rosario presso il convento delle suore domenicane di
Vence, nel Sud della Francia, è un'opera "totale" di un grande maestro
del XX secolo: Henri Matisse. Così lui la definiva "la mia opera", e ad
essa lavorò nell'ultimo decennio della sua vita.
Nel 1941 Matisse, convalescente a Nizza, suo luogo di elezione per la
luce mediterranea, è curato da una giovane infermiera che, a guarigione
avvenuta, decide di farsi suora.
Ma tra i due è scattata un'intesa spirituale. Infermiera di Matisse,
poi modella dei suoi quadri, poi suora, colei senza la quale “la
cappella di Vence non è completa”, secondo le parole stesse di Matisse.
Monique Bourgeois è la giovane donna che, nel settembre del 1942, a
Nizza, divenne infermiera del maestro Henri Matisse, appena operato di
tumore all'intestino. Lei stessa, ammalata, si ritirerà in un convento
domenicano a Vence dove si incontrerà nuovamente con Matisse. Il
convento necessita di una cappella.
L'ordine domenicano, nell'immediato dopo guerra, è all'avanguardia nel
costruire chiese e nel commissionare vetrate e arredi liturgici
affidandosi ai maggiori artisti contemporanei. Su consiglio di suor
Jacques-Marie un giovane domenicano entusiasta del rinnovamento
dell’arte sacra fra Rayssiguier, istruito da padre Couturier, va a
trovare il pittore e gli espone il progetto per una cappella.
Nelle parole di Matisse stesso o di sr. Jacques-Marie o dei
consulenti che lo coadiuvarono nella progettazione, intravediamo spesso,
il cosciente richiamo a questa storia, alla tradizione cristiana che da
forma alla bellezza. Il reciproco rapporto fra linea e colore viene,
nella cappella di Vence, volutamente utilizzato ad esprimere il rapporto
fra la creazione e la salvezza, fra l'opera di Dio nella natura e nella
incarnazione di Cristo, opera rinnovata continuamente nell'evento
liturgico della celebrazione che avviene in un edificio sacro.
Matisse ha carta bianca, fa tutto: un'architettura di luce semplice e
razionale con vetrate che vestono di colore la cappella. L'ambiente è
decorato con grandi pannelli di mattonelle in ceramica bianca disegnate
con un largo tratto di pennello nero. Una stupenda Madonna con Bambino,
una superba Via Crucis e un gran San Domenico. Tutto è luce, tutto è
colore e spirito.
La prima pietra viene posta nel 1949 e l'inaugurazione e la
consacrazione a Nostra Signora del Rosario avvengono nel 1951. H.
Matisse, commentando la Cappella di Vence, diceva: “Il mio lavoro
consiste nell'imbevermi delle cose”. Henri Matisse anche disse:
“...quest'opera mi ha richiesto 4 anni di lavoro esclusivo e assiduo ed è
il risultato di tutta la mia vita attiva. La considero nonostante tutte
le sue imperfezioni, come il mio capolavoro”.
Matisse propone una arte sintetica del tutto. Suo capolavoro è
appunto l’opera della sintesi, della complessità espressa con la massima
semplicità, è la sintesi delle arti, sintesi di rappresentazione e
decorazione, di simbolo, di coloce e linea. Sua concezione è che l’arte
può penetrare le supreme verità dell’essere, le infinite armonie
dell’universo, che bisogna andare oltre. Il bello già non è come una
forma finita, ma continua, ritmica, non può essere equilibrio statico,
un ritmo regolare, ma elastico, e il salire d’intensità e verticalità
dove la sensibilità eccitata vola oltre il proprio limite, nella
dimensione transcendente.
La linea è una delle sue caratteristishe fondamentali. La linea di
contorno divenne protagonista della sua arte sin dall’inizio, assieme
alla radiosità dei toni puri. Le figure senza volto sono una delle
caratteristiche stilistiche dell’opere di Matisse. Il motivo della
perdita del volto è da ricollegare all’influssi dell’Orienre nell’opera
di Matisse.
Dal 1941 Matisse è costretto su una sedia a rotelle in seguito
all’asportazione di un tumore all’intestino continua a lavorare nel suo
studio dell’Hotel Regina di Nizza.
É l’inizio di una nuova tecnica di espressione: Matisse raccoglir
fogli colorati a tempera e li ritaglia formando composizione. Sono i
papiers découpés, fusione ultima di luce e colore, apoteosi della
stesura à plats, esplosione di grandi macchie di tinte pure, sintesi
bidimensionale privilegiata dall’artista. Forme e colori diventano i
protagonisti assoluti di un universo, è il gioco dell’armonia.
Dal 1948 al 1951 Matisse si dedica alla decorazione della Cappella
del Rosario a Vence, iniziata per ringraziare le suore domeniche che lo
hanno assistito come infermiere nell’ospedale in cui è stato operato.
L’albero della vita si compone di due pannelli delle vetrate dell’abside
della Cappella.
Scelta per la qualità della luce, una “pittura architettonica” che
potrebbe rappresentare l’esito ultimo delle sue precedenti ricerche.
Il disegno con forbici.
I cartoni diventano ora il pezzo forte della Collezione d’Arte Religiosa Moderna dei Musei Vaticani
Le vetrate proiettano la luce ed il colore sull’altare in modo da
rappresentare la Gerusalemme celeste di Apocalisse 21. Matisse accolse
l’idea. Cercando il materiale da utilizzare dichiarò: “Pensando a questo
“vetro cattedrale” ho rivisto il passaggio della Gerusalemme celeste:
un fiume d’acqua viva, chiara come il cristallo, che sgorga dal trono di
Dio e dell’Agnello”. Scrive Matisse : "La scelta
dei miei colori non si fonda su alcuna teoria scientifica: si basa
sull’osservazione della mia sensibilità. ... cerco semplicemente di
metter giù colori che rendano la mia sensazione...".
L'idea che sovrana si impose a lui è quella dell'Albero della Vita,
quell’albero perso da Adamo ed Eva, quell'albero che solo resta alla
fine dell'Apocalisse, quando, con la scomparsa del peccato, non ha più
posto l'albero della conoscenza del bene e del male, ma solo la vita
continuamente donata e rinnovata da Dio. Matisse chiamò la vetrata
“L'Albero della Vita”: “La vetrata l'Albero della Vita porta sempre
sovranamente la mia idea”.
La linea nera sulle ceramiche bianche, riproponendo le figure
cristiane di S. Domenico, della Madonna, e soprattutto del Cristo che
sale la via della croce, diviene, invece, il luogo espressivamente più
significativo dell'edificio, pur nel continuo rimando al colore che
dalle finestre viene proiettato sul bianco e nero delle pareti.
Nella sua ricerca pittorica, Matisse aveva già sperimentato la
rappresentazione di figure umane senza i lineamenti degli occhi e del
naso, ma solo con i contorni del viso. Dopo esitazioni – possediamo i
disegni preparatori della Vergine e del Bambino con i lineamenti
delineati – si decise per la stessa soluzione per le figure della
cappella.
La Via Crucis non è una processione. Di fronte a quel dramma più
profondo dell’umanità, l’artista non può rimanere soltanto uno
spettatore. Via della Croce è l'incontro dell’artista con il grande
dramma di Cristo che fa riversare sulla cappella lo spirito appassionato
dell’artista. Invece di riprodurre questo dramma, egli l’ha vissuto e
l’ha espresso così.
La Cappella del Rosario concepito da Henri Matisse dal 1948 al 1951 è un monumento d’arte sacra unico al mondo. Matisse elabora i piani dell'edificio e tutti i dettagli della sua decorazione: vetrate, ceramiche, stalli, acquasantiere, oggetti di culto, paramenti sacri.... Per la prima volta un pittore realizza interamente un monumento dall'architettura al mobilio, alle vetrate.
H. Matisse, Il tondo con la Vergine ed il Bambino all'esterno della Cappella
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[1] Paolo VI, Incontro con
gli artisti nella cappella Sistina, in Insegnamenti di Paolo VI, II.
1964. Città del Vaticano 1965, pp. 315-316.
[2] Giovanni XXIII, Discorso
all’Adunanza di chiusura della IX Sattimana di studio promossa dalla
Pontificia Accdemia di Arte Sacra in Italia, 27 ottobre, Libreria
Editrice Vaticana.
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Fonte : scritti e appunti della dott.ssa Yaryna Moroz Sarno, e-mail: yarynamorozsarno@gmail.com .
Sito web: https://yarynamorozsarno.blogspot.com
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