LETTERA A MIO PADRE
di Nuccio Franco
Caro Papà,
da piccolo ti
osservavo in silenzio, la pipa tra le labbra, scrivere i tuoi articoli con la
vecchia Olivetti Lettera 22, tanto cara ai giornalisti della vecchia guardia,
con la quale raccontavi il mondo. A modo tuo, con il tuo stile, certo, ma sempre
attento ad essere coerente con la verità, tua unica ragione e guida.
Mi fermavo
ipnotizzato ad ammirare la foto di Pertini, incorniciata nel tuo studio;
quest’uomo vecchio, l’immancabile pipa ed una tempra d’altri tempi. “Ha fatto
la resistenza, sai”? Mi dicevi...Guardavo il “Quarto Stato”; questa donna
impavida e fiera, con il bambino in braccio troneggiava su una parete. I più
deboli.
Appena potevi mi
portavi con te in redazione, un mondo a parte, e lì fantasticavo tutto il tempo
quasi si trattasse di un piacevole gioco e desideravo diventare da grande come
te! Osservavo affascinato i giovani redattori che si affannavano alla ricerca
della notizia da prima pagina tra squilli di telefono e toni sopra le righe. Era
tutto un rincorrersi di agenzie, di verifica delle fonti all’inseguimento di
quel pezzo che, talvolta, può cambiarti la vita.
Sono cresciuto
spinto da quegli ideali da te palesati sempre con discrezione, mai imposti. La
verità, la solidarietà, valori imprescindibili, come l’amicizia e la lealtà.
Dalla parte dei deboli, degli idealisti capaci di sacrificare la propria vita
per la libertà di ognuno, ovunque essa sia, a chiunque appartenga. Questo ho
appreso nel mio universo di bambino, leggendo i titoli dei tuoi libri, spinto
dalla curiosità e dalla ricerca del sapere. Ho imparato a convivere con questo
sviluppando nel frattempo idee e convinzioni personali. Condivise.
Io, nato nello
stesso giorno in cui Jan Palach a Praga compiva il suo supremo sacrificio nella
speranza della libertà e dell’affermazione dei propri diritti. Ne sono sempre
stato consapevole, orgoglioso. In fondo lo aveva fatto anche per me. Non credo
al fato ma all’assunto che ognuno nasca sotto una stella, si. Bella o brutta che
sia. Catartico seppur irrazionale, questo pensiero mi ha accompagnato,
rassicurandomi, spesso incoraggiandomi. Mi ha condotto per mano lungo la
tortuosa strada della vita, insegnandomi a comprenderla, ad accettarla senza
rinunciare mai al desiderio di poterla cambiare, di fare in modo che culture e
diversità potessero incontrarsi in una sintesi dettata dalla legittimità di un
auspicio.
Ed eccomi qui,
durante i miei tanti girovagare nel mondo da giornalista e volontario, a
ringraziarti, quasi fossi un debitore per avermi insegnato che i limiti sono
solo illusioni e che ci sarà sempre qualcosa a toglierti il fiato lasciandoti
senza parole anche se la vita, sin da bambino, ti ha abituato alle sue ipocrite
acrobazie.
La scuola per
orfani in Kenya, i bambini di Sarajevo, l’esperienza a Nevé Shalom in Israele mi
ritornano in mente come parti di me, impermeabili all’oblio, vivi nella memoria
come il pensiero dell’aberrazione umana.
Ripenso a quelle
esperienze ed aumenta la coscienza di essere un privilegiato, nato nella parte
fortunata del mondo, dove spesso il superfluo è una ragione di vita, l’apparire
un diktat. Rifiuto di accettare questa bieca logica, frutto dell’ipocrisia
imperante. Regalare un sorriso agli altri con il sudore della mia fronte: un
punto di partenza per dare un senso al mio essere uomo.
Ricordo Hebron. Il
suk, una volta rinomato, ormai sigillato da cemento e filo spinato, le finestre
delle case difese da ampie grate attraverso le quali guardare la vita. Strade
quasi sempre deserte con pochi bambini ciondolanti ad osservare i soldati.
Maturano già in tenera età odio e spirito di rivalsa, occhi tristi e spenti.
Senza nemmeno la possibilità di frequentare la scuola, tra loro probabilmente
saranno reclutati potenziali kamikaze facendo leva sulla disperazione e
l’ignoranza.
Non potrò mai
dimenticare Nevé Shalom: il mio primo incarico da volontario. Si tratta di un
villaggio situato in territorio israeliano, la cui peculiarità è rappresentata
dal fatto che ebrei e arabi israeliani, musulmani e cattolici, hanno intrapreso
un cammino comune, interculturale, nel tentativo di andare oltre conflitti e
incomprensioni. Trae il suo nome da uno dei libri di Isaia “Il mio popolo
abiterà in un’oasi di pace….” Situato su una collina, circondato da ulivi
secolari, infonde un senso di riconciliazione mentre ci si perde ad ammirare in
lontananza l’orizzonte incantati dalla valle di Ayalon. Un’isola felice,
insomma, in una terra stuprata da violenze e rancori millenari. Il dialogo, la
reciproca solidarietà ed il rispetto dei diritti altrui trovavano la ragion
d’essere nello sforzo di superare ancestrali contrapposizioni etniche e
religiose, a dimostrazione che un mondo più equo e giusto è possibile. Superare
le vicendevoli ferite e diffidenze in virtù di un progetto comune, condiviso,
frutto della mutua accettazione e cooperazione è la base di questo sogno
realizzabile.Due popoli, una sola volontà: la Pace.
Un giorno,
un’immagine più esaustiva di tante parole. Osservavo i bambini che con i loro
zainetti si avviavano verso la scuola: due di essi, ognuno con il copricapo
tipico, la kefiah e la kippah, si tenevano per mano come ennesima dimostrazione
della volontà di annullare le differenze, di essere amici, a prescindere.
Sarebbe stato uno scatto degno del più prestigioso premio fotografico.
Altri due, invece, indossavano la maglia di Zidane e quella di Rosenthal; magie del calcio in un misto di identità e condivisione spassionate che solo la purezza dei bambini può trasmettere appieno. Nei loro occhi leggevo desiderio di spensieratezza, di condivisione, di amicizia al di là delle differenze culturali e religiose.
Altri due, invece, indossavano la maglia di Zidane e quella di Rosenthal; magie del calcio in un misto di identità e condivisione spassionate che solo la purezza dei bambini può trasmettere appieno. Nei loro occhi leggevo desiderio di spensieratezza, di condivisione, di amicizia al di là delle differenze culturali e religiose.
Adesso sono in
India. Benares è un mondo a sé. Punto d’arrivo di ogni indù, legata al culto del
Gange, il fiume sacro alla divinità Shiva, immergendosi nel quale ci si libera
delle impurità spirituali. Città santa, meta di quotidiano, ininterrotto
pellegrinaggio di fedeli, paragonabile a Gerusalemme, alla Mecca. Tra risciò e
vacche sacre, in un vortice frenetico di umanità e rumori si avverte una
spiritualità contagiosa, senza uguali a livello emotivo. La percepisco per le
strade, nei volti, nei segni della lebbra girando per i vicoli fetidi dove
uomini e donne dormono a terra, tra rigoli di liquami nauseabondi.
Giocare con i
bambini sui ghat in riva al Gange, mi fa sentire migliore! I loro occhi
esprimono gratitudine, senza niente da offrire tranne un’immensa umanità frutto
del dolore, unico sentimento capace di restituire la speranza a dispetto di un
destino malvagio. Nulla è più gratificante quanto vederli sguazzare nelle acque
maleodoranti del Sacro Fiume, la grande Mamma, fonte di vita, e correrti
incontro con quegli occhi nero pece avvolti in sdruciti indumenti. Ti saltano al
collo in cerca di un abbraccio desiderosi solo di un po’di conforto,
sussurrandoti all’orecchio namastè, mi inchino a te, sotto l’occhio
vigile delle madri avvolte in splendidi sari multicolori. Sono io a dovermi
inchinare a loro, così ingenui ma già provati, per lo splendido dono di
lusingarmi con la loro fiducia incondizionata!
La sera, prima di
addormentarmi, sento la mia anima leggera come una piuma che volteggia nel cielo
della vita, libera da ogni paura e felice nell’attesa di un nuovo giorno.L’alba
sul Gange è un’esperienza unica, in un vortice di colori, canti e profumo
d’incenso; abluzioni e faccende quotidiane come fare il bucato in un misto di
sacro e profano. Santoni, mendicanti e donne con uno sciame di bambini attaccati
ai vestiti si confondono sulle scale dei ghat, insensibili alle acri esalazioni
provenienti dalle pire funerarie poco distanti che non smettono mai di ardere.
Gli uomini in abiti succinti si immergono nell’acqua per eseguire l’antico
saluto del sole portando con loro fiori e ghirlande quali offerte alla divinità,
nell’attesa della morte come fine della continua reincarnazione. L’ascesa
dell’anima al cielo, purificata dal fuoco, per accedere allo stadio supremo, il
Nirvana. Una realtà unica, difficile da capire dove a volte si percepisce
nitidamente un senso di distacco e rinuncia per le cose terrene ed un’ascesi a
volte al limite quale potere del corpo sulla mente.
Un volontario un
giorno mi ha detto che lasciare Benares sarà facile, lei però non mi abbandonerà
mai. Infatti, l’immagine di un fagotto alla deriva sul fiume sarà difficile da
dimenticare. Non era una bambola ma un bimbo appena nato. Ad essi, come alle
donne incinte non è concesso il “privilegio” della cremazione. Arduo da
accettare ma ancor di più da comprendere.L’emarginazione contrasta poi con la
condizione della middle class, con l’immagine di quei bambini compiti nei loro
grembiulini stirati di fresco, ben pettinati, educatamente seduti sullo
scuolabus, cartelle in spalla pronti per la scuola. Due mondi, altrettante
storie e paradossi.
Tornerò presto a
casa, non dimenticando mai i posti che ho visitato, i volti dei bambini, i loro
occhi, specchio di un’anima pura e desiderosa di pace e serenità, estranea alla
scelleratezza del mondo adulto.
Tempo fa lessi una
frase che mi colpì molto…. Il mondo non è fatto di montagne e fiumi e
grattacieli e piramidi e deserti, ma di storie e della gente che le racconta, e
della luce che passa nei loro occhi mentre le raccontano, e delle espressioni
dei loro volti, e se accettiamo che il mondo è fatto di questo, allora esso sarà
sempre in grado di stupirci e sarà sempre inesplorato. Quanto è vera!Ti
abbraccio forte.
Nuccio
Note biografiche :
Nuccio Franco è nato a Napoli il 16.1.1969.
Giornalista iscritto all’Ordine nazionale, tessera n.102530. Collabora
attualmente con testate giornalistiche locali (Sannio Week, Realtà Sannita,
Vivitelese), riviste letterarie, Organismi di cooperazione e turismo
responsabile (Osservatorio Balcani.org, Viaggiare i Balcani.net). Ha collaborato
in passato con “QualeImpresa” e “L’Imprenditore”, rispettivamente house organ
dei Giovani Imprenditori e della Piccola Industria di Confindustria e con
l’Ufficio stampa dell’Unione degli Industriali di Roma;
Ha pubblicato alcuni racconti su “Il Denaro”,
quotidiano napoletano (www.denaro.it)
canale 832 della piattaforma Sky;
- Semifinalista Premio Letterario Internazionale
"Trofeo Penna d'Autore" 2010 con il racconto “I Martiri di Hebron”;
- Secondo classificato Premio Letterario
Internazionale “Amici senza confini” 2010 con il racconto “Lettera a mio padre”;
- Componente della “Giuria dei Lettori” del Premio
Campiello Letteratura 2006;
- Componente il Comitato tecnico e la Giuria di
“Scuola&Società”, dal 2005 al 2010;
Attualmente è responsabile dell’Ufficio
Comunicazione di Confindustria Lazio.
Nuccio Franco e-mail :
nucciofranco@gmail.com .
Fonte : la Redazione di Artcurel ringrazia l'Autore Nuccio Franco che ha cortesemente inviato la documentazione per l'articolo.
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