GIOTTO : S. Francesco dona il mantello al cavaliere povero
di Alessio Varisco
La figura
giottesca è densa di caratteristiche
dell’essenzialità della tradizione classica che però
apre indubbiamente la strada del Rinascimento. Figlio di un modesto pastore,
Giotto nasce sui monti del Mugello (a Colle di
Vespignano probabilmente nel 1266 circa e muore a
Firenze nel 1337) [La figura dell’artista è densa tanto da ispirare nei
secoli XIV e XV molte leggende. Sappiamo che Giotto nasce a Colle di
Vespignano intorno al 1266 e muore a Firenze nel
1337. Lorenzo Ghiberti nel 1455 pubblica diversi
aneddoti riguardanti la storiografia del pittore; il Vasari
di lui sottolinea «le facoltà dello esser buon pintore,
buono imitatore della natura»; nel corso del Seicento è riconosciuto precursore
della pittura rinascimentale e del suo modo genuino di raffigurare la realtà
«ancora bambina avvolta in fasce se nestava la sua
pittura»] ove, narra la leggenda, il Maestro Cimabue
lo incontra mentre disegna sulla roccia le greggi che accudisce.
L’esordio artistico di
Giotto si ha in Assisi nella “Chiesa Superiore della Basilica di San
Francesco” quando, attorno al 1295, inizia a lavorare
al fianco di Cimabue che dal 1277 stava affrescando
il transetto e il coro.
Il celebre ciclo ispirato
alle storie di San Francesco è attribuito con certezza a Giotto. Iniziato verso
il 1296, successivamente abbandonato nel 1300 da
Giotto, è ultimato da allievi di Scuola Giottesca,
non sempre all’altezza del Maestro. Il ciclo composto di
vent’otto affreschi delle dimensioni di circa
270x 230 cm si snoda lungo il registro inferiore delle pareti longitudinali
della Basilica Superiore in Assisi.
Ciascun affresco è inserito
tra due colonne dipinte che sorreggono un cornicione realizzato in affresco
prospetticamente; quest’invenzione di un’architettura creata mediante la pittura
è esercitata con maestria e abilità dal Maestro che la celebrerà nella Cappella
degli Scrovegni di lì a poco. Orbene la tecnica
impiegata da Giotto scuote il panorama artistico medievale presupponendo una
visione dello spazio alquanto spregiudicata per i suoi contemporanei.
«Gli episodi narrati sono
tratti dalla “Leggenda major”, scritta tra il 1260 e
1263 da San Bonaventura da Bagnoregio».
[P. Adorno - A. Mastrangelo,
Arte. Vol
I. Firenze, Casa Nuova, 1994. 371].
Il dono del mantello al
povero cavaliere mostra il manifesto della pittura
giottesca. Presenta infatti gli elementi che
caratterizzeranno la sua produzione: chiaroscuro, prospettiva e composizione
[Intesa nel senso latino del termine “compònere”
cioè comporre “porre-con”, disporre i personaggi nel
dipinto in modo armonico mettendoli in relazione gli uni agli altri]. Al
riguardo non sono concorde nel giudizio dato da una parte della critica
dell’arte rispetto quest’opera letta come un prosieguo dell’arte bizantina.
«L’affresco con il dono del
mantello è probabilmente uno dei primi eseguiti da Giotto. In
esso infatti le figure, poste in primo piano, non si
appoggiano concretamente sul terreno come se non esistesse spazio in profondità;
i corpi non hanno ancora acquistato la volumetria …. per
influsso delle lumeggiature tipiche dei decenni
predenti»
[P. Adorno - A.
Mastrangelo,
op cit. 371].
Alcuni critici ritengono
invece che in questa raffigurazione manifesta la precisa
«volontà di metter i
loro corpi nella maggiore evidenza possibile»
[[1]
G. Cricco -
F. Di Teodoro,
Itinerario nell’arte.
Vol II. Zanichelli,
Bologna, 1996. 264].
La tecnica del chiaroscuro
contribuisce a rendere naturale la raffigurazione dei due personaggi che
sembrano proiettarsi verso lo spettatore ed emergere
dal dipinto. Il retrostante paesaggio roccioso facilita tale resa volumetrica;
emerge infatti sulla sinistra un monastero,
probabilmente quello di San Benedetto (sul monte Subasio),
e alla destra la città fortificata di Assisi [Si noti la contrapposizione dei
due poteri: spirituale alla destra e temporale sul lato opposto]. Quest’ultima
riconoscibile dalla “porta orientale”, oggi nominata “di Santa Chiara”; entrambi
questi edifici si ergono su due colline opposte e un azzurro cielo vivace
si insinua tra i due petrosi
pendii a creare un angolo acuto il cui vertice converge verso la figura del
Santo, vero soggetto principale e centrale di tutta la composizione [Si noti la
centralità della figura del Santo nella composizione].
Le architetture dello sfondo
certamente non hanno granché di reale,
«il fatto di essere
rappresentate secondo precise regole geometriche le rende in
un certo senso possibili e, come tali, capaci di creare una sensazione di
naturalità e di equilibrio»
[G. Cricco -
F. Di Teodoro,
op cit. 265.].
La naturalità e
l’equilibrio le ritroviamo in tutte le narrazioni
giottesche di Assisi. «San Francesco, infatti, non è
mai visto come un asceta solitario, ma, piuttosto, come un uomo tra gli
uomini»
[[1]
G. Cricco - F.
Di Teodoro, op cit. 265].
Nel presente affresco
cogliamo un’attenta analisi volumetrica riscontrabile nelle figure ivi descritte
e nel paesaggio rappresentato colto in prospettiva. Giotto oltre a definire la
squadratura delle singole rocce e delle architetture (in un tentativo di
prospettiva) sottolinea l’accento sugli aspetti della
quotidianità (prima di lui mai considerati).
Infatti
nella parte inferiore sinistra del dipinto il cavallo è colto nell’atto
spontaneo di brucare l’erba. Si noti che l’animale è posto sullo stesso piano
delle due figure umane. La nota realistica aumenta il senso di naturalezza
e di credibilità di tutto il dipinto: il
cavallo quasi fermo, non montato ma sellato, il cavaliere sceso a consegnare con
affettuosa pietà il mantello. Il destriero ripreso nella
parte inferiore, opposto al cielo che sovrasta il Monastero di San Benedetto,
posto nel margine destro opposto: compone la linea immaginaria che parte
dall’opposto lato sui duri e pietrosi dirupi.
La natura abbozzata di vari
arbusti cosparsi sul pendio crea una maggiore
scenograficità, anche se dimessa, un po’ come il nobile cavaliere ora
povero, soccorso dal Santo con quella cristica “cum-pietas”.
Giotto, con questo suo ciclo
di affreschi, ha contribuito oltremodo alla
diffusione della “Regola” del Santo d’Assisi, divenendo per la storia dell’arte
il grande narratore delle imprese del Poverello.
Fonte : prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio , sito web www.alessiovarisco.it .
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