domenica 14 luglio 2019

L'Apocalisse di Jean Duvet e di Odilon Redon, di Alessio Varisco



L'Apocalisse di Jean Duvet e di Odilon Redon

di Alessio Varisco



Frontespizio dell'Apocalisse, 1555
Jean Duvet (Francia, 1485–ca. 1561)
 

«Historia Capit. 6 Apocal.» - Tav. III dal Cartiglio di destra[i][1]
 
Il riferimento allo schema della tavola di Dürer è fortissimo. L’epica galoppata dei quattro cavalieri qui è soppiantata da un faticoso groviglio di cavalli imbizzarriti, fra altri cavalli e corpi in un intreccio caotico. Sulla volta superiore l’Angelo sulla Gloria di Dio, unico bagliore nella tavola, molto ben delineata al di sopra della caotica folla sottostante. Dalla luce divina si dipartono raggi sotto cui nubi incombono sulla mischia. L’immagine comunica forse più un furore fumoso che alza una coltre di pulviscoli. Enfatico l’angelo di Duvet che addita con il braccio destro oltre ciò che accade sotto di lui, proviene da quell’oltre cui tutti siamo convocati e possiamo -volendolo- accedervi.
 
1. Il cavaliere che risalta maggiormente è il primo, sulla sinistra, con l’arco tirato e la corona, montante un cavallo bianco al galoppo frenetico, non scomposto. Bisogna notare che nonostante la sproporzione delle teste, del cavallo e cavaliere, fra la mischia degli altri tre, i primi sono quelli più rilassati, non denotano una gran violenza, anche quell’arco tirato e il cavallo non frenato dimostrano un notevole affiatamento nell’idilliaco connubio di cavallo e cavaliere. La faretra non si vede, ma si scorge vicino alla gamba sinistra una spada. Il cavallo pare montato a pelo senza alcun freno. E’ decisamente il più importante del gruppo dei quattro anche se l’Autore lo illustra parzialmente, non a figura intera come il secondo (quello più altero: la guerra), con la freccia orizzontale stagliata su un cielo ancora chiaro, non polveroso; il cavaliere è contornato di un’aureola e incoronato, riccamente vestito, ben curato, sbarbato. La freccia e la spada sono i vettori dell’intera scena dei quattro destrieri coi loro cavalieri: se immaginassimo di farli proseguire verso i bordi opposti segnano rispettivamente: la spada il secondo ed il quarto, mentre il proseguimento della freccia il terzo, quello nero munito di bilancia.
 
2. Un furioso lottare nella parte centrale. Rampante il secondo cavallo, quello rosso fuoco, nevrile, fremente, ma composto, il cavaliere ha la spada svettante nella sinistra; con il braccio destro schiaccia la testa di un frate e si prepara a sgozzare il religioso. La spada struttura il groviglio dell’intera figurazione, scandisce le nubi sovrastanti e le divide dal brulicante, infernale scatenarsi del marasma sottostante; segna due piani, lontani.
 
3. Ma fra tutti i destrieri il più irrequieto e vivido è quello nero, il terzo, maestoso -all’estrema destra-, fremente sembra non consentire al cavaliere, munito di bilancia, di montargli in sella, il quale tenta di frenarlo con la mano sinistra assicurando il freno vanamente; il cavallo risponde muovendo energicamente il collo, mostrando la fluente criniera fulva al vento. «Colui che monta» ricorda un usuraio di quei tempi e la bilancia è quella per misurare i pegni. Sintomatico questo voler esercitare un dominio non riuscendo a compierlo con quel piede sinistro inserito nella staffa a cercare l’attimo per saltare in groppa.
 
4. Nella parte più inferiore di destra, nell’angolo, uno scheletrico destriero, distrutto dalla vecchiaia, al passo e il cavaliere Ade raffigurato come uno scheletro. Si noti l’attributo[ii][2], un tridente, mortale che sferra contro gli incauti passanti che cadono sotto il suo lento ed inesorabile fatale passaggio. Cruenta l’uccisione di un regnante lanciato nell’Ade, agonizzante, inforcato dal tridente, che cerca di impedire la penetrazione divincolandosi e tentando di far leva contro il ventre del cavallo che a fatica nitrisce. Il cavaliere si sporge sulla destra del destriero che continua -come meccanicamente- il suo incedere inesorabile; il malcapitato è sovrastato persino dal piede del religioso che sta per essere decollato.
 
 
La struttura -seppur simile alla düreriana- è molto diversificata, anche la geometria della composizione, oltre la sequenzialità delle scene. In Dürer dalla parte di destra verso sinistra un gruppetto compatto di tre mercenari -in scorcio prospettico-, alcuni più riccamente adorni ma mercenari, mietono distruzione e terrore mentre il quarto nella parte inferiore di sinistra con un tridente retto con entrambe le mani ma tenuto posteriormente, libero, come una lancia od una falce. In Duvet invece la composizione non è così serrata e rigidamente in prospettiva; è disposta a spirale con corpi agonizzante sotto gli zoccoli del secondo, un uomo seminudo scalciato dal primo, Morte all’opera nel regicidio, il secondo pronto a decapitare un frate. I cavalli non sono tutti al galoppo di scorcio ma in un vortice, il Verdastro al passo, il primo al galoppo, il secondo impennato e il terzo innervosito non permette al suo cavaliere di montargli in groppa.
Molte e più simili differenze che ne fanno una scena ancora più ricca di una cruenta battaglia, impossibile a vincere per gli umani che cadono ad ogni angolo.

 

«Hist. Cap. 9 Apoc.» - Tav. VIII
 
La presente tavola si rifà alla tav. 8 di Dürer. Le varianti sono moltissime. La prima, quella fondamentale, è la compattezza della figurazione. Qui i piani non sono più separati. Dio, in alto, non è separato come in Dürer dalla battaglia. Se ne sta nella gloria, sull’altare, operando una torsione del capo che appare qui di profilo. Anch’egli tiene in mano le trombe gia suonate, ma esse si confondono, tanto stretti alla figura di Dio sono gli angeli e tanto l’altare è quasi assediato dall’esercito divino dei cavalli con teste di leone che giunge dalla destra, sempre dalla destra una miriade di soldati. L’angelo che suona la sesta tromba si trova a sinistra. Sotto, tutta la lastra è dedicata al combattimento dei quattro angeli dell’Eufrate che stanno sterminando la terza parte degli uomini, soprattutto i grandi della terra. Certamente su tutti campeggia la figura dell’angelo al centro della tavola, ritto: con la mano destra sta tirando giù dalla cattedra di S. Pietro un pontefice il cui triregno è cascato a terra; con la mano sinistra tiene una spada, pronto a decapitarlo. Più in alto, dietro di lui, un altro angelo sta sgozzando un re. Nella mischia, in primo piano, tra i colpiti, altri vescovi, a destra il terzo angelo si avventa su una regina. Non si riesce a trovare il quarto angelo, tanto fitti sono i particolari di cavalli, cavalieri, spade, e pure una tenda da campo, che affollano la lastra.


 
«Hist. Cap. 19 Apoc.» - Tav. XVIII
 
Cartiglio sulla gamba sinistra del Cristo montante il cavallo bianco:
«Rex regnum et Dominus dominatum»
 
all’altezza del ginocchio:
«Fidelis et Verax»
 
Un cavaliere campeggia centralmente in questa tavola: è il Cristo equestre, il «Fedele e Verace» che occupa il punto focale dell’intera figurazione[iii][3].
Il cavallo bianco che monta si perde con lo sfondo, mentre l’immagine di Gesù svetta riccamente adorna, sul palmo della sinistra notiamo i segni delle stigmate, a dimostrare a noi come a Tommaso la sua risurrezione; al centro della lastra il piede sinistro anch’esso segnato da una stigmata tocca un trono.
Intorno un vorticoso esercito di suoi miliziani montanti cavalli bianchi.
Il Re dei re ha una spada a doppio taglio che gli esce dalla bocca, dall’impugnatura riccamente cesellata, robusta e rivolta contro la Bestia, obliqua. La verga tenuta con la destra è alzata ed è parallela ad una spada a doppio taglio, più corta di quella del Cristo trionfante alla destra della tavola, poco dietro il Fedele. Poco sotto la verga del Cristo una lancia di un angelo allarga l’inclinazione del raggio d’azione unitamente ad una moltitudine -in secondo piano, sullo sfondo- di molte lance, fittissime, intermedie.
Sull’alto della verga una schiera di sette angeli fa risuonare il canto della Vittoria. In basso notiamo un esercito satanico -con le potenze temporali volte al declino- radunato. I vessilli crociati -sugli scudi- e le trombe si alzano verso il Cavaliere. Al margine sinistro della tavola il principe delle tenebre, la bestia, satana, che è già sfiorato dalla spada che fuoriesce dalla bocca del Logos. La scena è retorica, ci descrive l’azione nel compiersi.
L’epopea del Giudizio di Dio nella storia, qui colta nel suo farsi ed iniziarsi già compiuto.

 

«Hist. Cap. 19 Apoc» - Tav. XIX

Una seconda tavola delle vicende del Giudizio Finale operate dal Cristo Giudice Equestre.
Tra le ventidue tavole dell’illustrazione dell’Apocalisse di Giovanni fabbricate da Duvet questa è tra le più esplosive. La dinamicità è il fil-rouge che accompagna l’intera figurazione densa di epicità ove l’Autore mostra il glorioso attimo di disintegrazione delle forze malvagie ed il definitivo compiersi della Giustizia di Dio.
Il cavaliere non appare, al suo posto al culmine dell’arco inserito nella gloriosa luce di Dio, rappresentata con due cerchi concentrici emananti luce, sta l’angelo di Ap 19,17 che grida agli uccelli del cielo di piombare sui vinti. Le lance bianchissime e i volatili scatenati dall’essere angelico si sfogano contro la moltitudine sottostante. Un cavallo decaduto, agonizzante come abbattuto nella mischia nella parte di destra, si nota il posteriore destro e gli zoccoli posteriori.
L’incisore direziona le lance muovendole verso il centro del quadrato, sia da destra che da sinistra se le prolungassimo osserveremmo il congiungersi nel centro del quadrato[iv][4]. Corpi riversi al suolo, a braccia allargate, stravolti dalle lance; cadenti a testa indietro, tra animali e falsi profeti. Una scomposta truppa sterminata dall’Ira di Dio; una disfatta totale, senza eguali.
Quest’ammasso di corpi divelti, sparpagliati al suolo, morti, annuncia che la missione ormai è compiuta e l’ora è giunta.
Il regno di Dio è iniziato.
Il Giudizio ha definitivamente il suo luogo.

 

Odilon Redon
 
«Et celui qui était monté dessus si nommait la mort»
 
Fra le illustrazioni dell’Apocalisse di Odilon Redon la figurazione del quarto cavaliere riveste un cruciale ruolo.
Senza dubbio la soluzione estetica operata dall’artista è avvincente e pregevole. Redon ritrova le proprie angosce e le rende manifeste mediante una tavola encomiabile per la resa e la tragicità comunicata.
Tutta la scena è attorniata da un inquietante mistero che vela l’incorrere della tragedia che si compie. Uno scheletro-cavaliere monta un destriero pallido -o meglio invisibilmente pallido-; il giustiziere è abbrancato alla sua arma: una lunghissima spada affilata, una sorta di gigantesco remo cui Caronte affida il suo compito di levare speranza all’umano.
 
La resa estetico-funzionale rivela la straordinaria forza della capacità di convincere mediante un’instancabile vena dell’artista che sa parlare alle inquietudini dell’uomo. Il metodo mediante il quale Redon compie la rappresentazione risente dell’influsso illustrativo, qui riproposto a strappi, non sequenzialmente; potremmo dire che ne accentua ancorpiù la “suspense”.
Encomiabile l’Autore nel tradurre a livello visivo, attraverso la grafica, la profezia giovannea fatta di continui reiterati bagliori visionari.
 
L’incedere del misterioso destriero pallido, si osservi, è un maestoso trotto raccorciato di scuola, un passo difficile da dressage compiuto nelle dimostrazioni più spettacolari, reso più evocatore dalla potenza del torace e dalla piega del collo, inclinato in leggera piega a sinistra, quasi ad incantare lo spettatore per poter sferrare il colpo mortale.
Originalissima questa resa: rispetto agli altri schemi (Dürer) in cui il cavallo al galoppo salta i cadaveri che ha mietuto o inesorabile al passo decima chiunque incontri sul suo cammino (Duvet); qui il cavallo è incantevole -quasi come la maga Circe o le sirene narrate da Omero-, ammalia lo spettatore per poi ucciderlo. Si noti altresì che il passo è l’andatura naturale del cavallo, il galoppo quella della fuga o ludica, il trotto un’andatura creata dal gusto dell’uomo ma non presente in natura, forzosa e forzata dall’addestramento umano.
 
Prof. ALESSIO VARISCO 
Designer – Magister Artium
Art Director Técne Art Studio

 

 

[i][1] Il cartiglio è posizionato vicino al primo cavaliere, davanti alla testa del cavallo.
[ii][2] Il forcone non è citato nelle Scritture.
[iii][3] Duvet utilizza una struttura simile alle pale medievali: un quadrato sovrastato da un arco, quasi un emisfero, di circonferenza. Qui il Cristo equestre è proprio all’intersezione delle diagonali, della sorta di triangolo ottenuto dall’altezza e si situa nel punto d’origine della circonferenza: è il punto focale a livello visivo dell’intera figurazione.
[iv][4] Questa tecnica di inquadramento della scena abbiamo già visto tipica di Duvet e della sua estetica nella composizione dei quattro cavalieri dell’Apocalisse del capitolo VI.

        



Fonte :   scritti del prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio , sito web www.alessiovarisco.it .
Fonte foto :  www.metmuseum.org/toah/images/h2/h2_25.2.68.jpg 
































Nessun commento:

Posta un commento

Post più popolari negli ultimi 30 giorni