L'Apocalisse di Jean Duvet e di Odilon Redon
di Alessio Varisco
Frontespizio
dell'Apocalisse, 1555
Jean Duvet (Francia, 1485–ca. 1561)
Jean Duvet (Francia, 1485–ca. 1561)
Il riferimento allo schema
della tavola di Dürer è fortissimo. L’epica
galoppata dei quattro cavalieri qui è soppiantata da un faticoso groviglio di
cavalli imbizzarriti, fra altri cavalli e corpi in
un intreccio caotico. Sulla volta superiore l’Angelo sulla Gloria di Dio,
unico bagliore nella tavola, molto ben delineata al
di sopra della caotica folla sottostante. Dalla
luce divina si dipartono raggi sotto cui nubi
incombono sulla mischia. L’immagine comunica forse più un furore fumoso che
alza una coltre di pulviscoli. Enfatico l’angelo di Duvet che addita con il
braccio destro oltre ciò che accade sotto di lui,
proviene da quell’oltre cui tutti siamo convocati
e possiamo -volendolo- accedervi.
1. Il cavaliere che
risalta maggiormente è il primo, sulla sinistra, con l’arco tirato e la
corona, montante un cavallo bianco al galoppo frenetico, non scomposto.
Bisogna notare che nonostante la sproporzione delle teste, del cavallo e
cavaliere, fra la mischia degli altri tre, i primi sono quelli più rilassati,
non denotano una gran violenza, anche quell’arco
tirato e il cavallo non frenato dimostrano un notevole affiatamento
nell’idilliaco connubio di cavallo e cavaliere. La faretra non si vede, ma si
scorge vicino alla gamba sinistra una spada. Il cavallo pare montato a pelo
senza alcun freno. E’ decisamente il più importante
del gruppo dei quattro anche se l’Autore lo illustra parzialmente, non a
figura intera come il secondo (quello più altero: la guerra), con la freccia
orizzontale stagliata su un cielo ancora chiaro, non polveroso; il cavaliere è
contornato di un’aureola e incoronato, riccamente vestito, ben curato,
sbarbato. La freccia e la spada sono i vettori dell’intera scena dei quattro
destrieri coi loro cavalieri: se immaginassimo di
farli proseguire verso i bordi opposti segnano rispettivamente: la spada il
secondo ed il quarto, mentre il proseguimento della freccia il terzo, quello
nero munito di bilancia.
2. Un furioso lottare
nella parte centrale. Rampante il secondo cavallo, quello
rosso fuoco, nevrile, fremente, ma composto, il
cavaliere ha la spada svettante nella sinistra; con il braccio destro
schiaccia la testa di un frate e si prepara a sgozzare il religioso. La spada
struttura il groviglio dell’intera figurazione,
scandisce le nubi sovrastanti e le divide dal brulicante, infernale scatenarsi
del marasma sottostante; segna due piani, lontani.
3. Ma
fra tutti i destrieri il più irrequieto e vivido è quello nero, il terzo,
maestoso -all’estrema destra-, fremente sembra non
consentire al cavaliere, munito di bilancia, di montargli in sella, il quale
tenta di frenarlo con la mano sinistra assicurando il freno vanamente; il
cavallo risponde muovendo energicamente il collo, mostrando la fluente
criniera fulva al vento.
«Colui
che
monta»
ricorda un usuraio di quei tempi e la bilancia è quella per misurare i pegni.
Sintomatico questo voler esercitare un dominio non
riuscendo a compierlo con quel piede sinistro inserito nella staffa a cercare
l’attimo per saltare in groppa.
4. Nella parte
più inferiore di destra, nell’angolo, uno
scheletrico destriero, distrutto dalla vecchiaia, al passo e il cavaliere
Ade raffigurato come uno scheletro. Si noti
l’attributo[ii][2],
un tridente, mortale che sferra contro gli incauti passanti che cadono sotto
il suo lento ed inesorabile fatale passaggio. Cruenta
l’uccisione di un regnante lanciato nell’Ade,
agonizzante, inforcato dal tridente, che cerca di impedire la penetrazione
divincolandosi e tentando di far leva contro il ventre del cavallo che a
fatica nitrisce. Il cavaliere si sporge sulla destra del destriero che
continua -come meccanicamente- il suo incedere inesorabile; il malcapitato è
sovrastato persino dal piede del religioso che sta per essere decollato.
La struttura -seppur
simile alla düreriana- è molto
diversificata, anche la geometria della composizione, oltre la
sequenzialità delle scene. In Dürer dalla parte di
destra verso sinistra un gruppetto compatto di tre mercenari -in scorcio
prospettico-, alcuni più riccamente adorni ma mercenari,
mietono distruzione e terrore mentre il quarto nella parte inferiore di
sinistra con un tridente retto con entrambe le mani ma tenuto posteriormente,
libero, come una lancia od una falce. In Duvet invece la composizione non è
così serrata e rigidamente in prospettiva; è disposta a spirale con corpi
agonizzante sotto gli zoccoli del secondo, un uomo seminudo scalciato
dal primo, Morte all’opera nel regicidio, il
secondo pronto a decapitare un frate. I cavalli non sono tutti al galoppo di
scorcio ma in un vortice, il Verdastro al passo, il primo al galoppo, il
secondo impennato e il terzo innervosito non permette al suo cavaliere di
montargli in groppa.
Molte e più simili
differenze che ne fanno una scena ancora più ricca di una cruenta battaglia,
impossibile a vincere per gli umani che cadono ad ogni angolo.
«Hist. Cap. 9 Apoc.» -
Tav. VIII
La presente tavola si rifà
alla tav. 8 di Dürer. Le varianti sono moltissime.
La prima, quella fondamentale, è la compattezza della figurazione. Qui i piani
non sono più separati. Dio, in alto, non è separato come in
Dürer dalla battaglia. Se ne sta nella gloria,
sull’altare, operando una torsione del capo che appare qui di profilo.
Anch’egli tiene in mano le trombe gia suonate, ma
esse si confondono, tanto stretti alla figura di Dio sono gli angeli e tanto
l’altare è quasi assediato dall’esercito divino dei cavalli con teste di leone
che giunge dalla destra, sempre dalla destra una miriade di soldati. L’angelo
che suona la sesta tromba si trova a sinistra.
Sotto, tutta la lastra è dedicata al combattimento dei quattro angeli
dell’Eufrate che stanno sterminando la terza parte degli uomini, soprattutto i
grandi della terra. Certamente su tutti campeggia la figura dell’angelo al
centro della tavola, ritto: con la mano destra sta tirando giù dalla cattedra
di S. Pietro un pontefice il cui triregno è cascato a terra; con la mano
sinistra tiene una spada, pronto a decapitarlo. Più in alto, dietro di lui, un
altro angelo sta sgozzando un re. Nella mischia, in primo piano, tra i
colpiti, altri vescovi, a destra il terzo angelo si avventa su una regina. Non
si riesce a trovare il quarto angelo, tanto fitti sono i particolari di
cavalli, cavalieri, spade, e pure una tenda da campo, che affollano la lastra.
«Hist.
Cap. 19 Apoc.»
- Tav. XVIII
Cartiglio sulla gamba sinistra del Cristo montante il cavallo bianco:
«Rex
regnum et Dominus dominatum»
all’altezza
del ginocchio:
«Fidelis
et Verax»
Un cavaliere campeggia
centralmente in questa tavola: è il Cristo equestre, il
«Fedele
e Verace»
che occupa il punto focale dell’intera figurazione[iii][3].
Il cavallo bianco che
monta si perde con lo sfondo, mentre l’immagine di Gesù svetta riccamente
adorna, sul palmo della sinistra notiamo i segni delle stigmate, a dimostrare
a noi come a Tommaso la sua risurrezione; al centro della lastra il piede
sinistro anch’esso segnato da una stigmata tocca
un trono.
Intorno un
vorticoso esercito di suoi miliziani montanti cavalli bianchi.
Il Re dei
re ha una spada a doppio taglio che gli esce dalla
bocca, dall’impugnatura riccamente cesellata, robusta e rivolta contro la
Bestia, obliqua. La verga tenuta con la destra è alzata ed è parallela ad una
spada a doppio taglio, più corta di quella del Cristo trionfante alla destra
della tavola, poco dietro il Fedele. Poco sotto la
verga del Cristo una lancia di un angelo allarga
l’inclinazione del raggio d’azione unitamente ad una moltitudine -in secondo
piano, sullo sfondo- di molte lance, fittissime, intermedie.
Sull’alto della verga una
schiera di sette angeli fa risuonare il canto della Vittoria.
In basso notiamo un esercito satanico -con le potenze temporali volte al
declino- radunato. I vessilli crociati -sugli scudi- e le trombe si alzano
verso il Cavaliere. Al margine sinistro della tavola il
principe delle tenebre, la bestia, satana, che è già sfiorato dalla spada che
fuoriesce dalla bocca del Logos. La scena è
retorica, ci descrive l’azione nel compiersi.
L’epopea del Giudizio di
Dio nella storia, qui colta nel suo farsi ed iniziarsi già compiuto.
«Hist.
Cap. 19 Apoc»
- Tav. XIX
Una seconda tavola delle
vicende del Giudizio Finale operate dal Cristo
Giudice Equestre.
Tra le ventidue tavole
dell’illustrazione dell’Apocalisse di Giovanni
fabbricate da Duvet questa è tra le più esplosive. La dinamicità è il
fil-rouge che accompagna l’intera figurazione
densa di epicità ove
l’Autore mostra il glorioso attimo di disintegrazione delle forze malvagie ed
il definitivo compiersi della Giustizia di Dio.
Il cavaliere non appare,
al suo posto al culmine dell’arco inserito nella gloriosa luce di Dio,
rappresentata con due cerchi concentrici emananti luce, sta l’angelo
di Ap 19,17 che grida
agli uccelli del cielo di piombare sui vinti. Le lance bianchissime e i
volatili scatenati dall’essere angelico si sfogano contro la moltitudine
sottostante. Un cavallo decaduto, agonizzante come abbattuto nella mischia
nella parte di destra, si nota il posteriore destro e gli zoccoli
posteriori.
L’incisore
direziona le lance muovendole verso il centro del
quadrato, sia da destra che da sinistra se le prolungassimo osserveremmo il
congiungersi nel centro del quadrato[iv][4].
Corpi riversi al suolo, a braccia allargate, stravolti
dalle lance; cadenti a testa indietro, tra animali e falsi profeti.
Una scomposta truppa sterminata dall’Ira di Dio; una
disfatta totale, senza eguali.
Quest’ammasso di corpi
divelti, sparpagliati al suolo, morti, annuncia che la missione ormai è
compiuta e l’ora è giunta.
Il regno di Dio è
iniziato.
Il Giudizio ha
definitivamente il suo luogo.
Odilon Redon
«Et
celui qui était monté dessus si nommait la mort»
Fra le illustrazioni
dell’Apocalisse di Odilon
Redon la figurazione del quarto cavaliere riveste
un cruciale ruolo.
Senza dubbio la soluzione
estetica operata dall’artista è avvincente e pregevole.
Redon ritrova le proprie angosce e le rende manifeste mediante una
tavola encomiabile per la resa e la tragicità comunicata.
Tutta la scena è
attorniata da un inquietante mistero che vela l’incorrere della tragedia che
si compie. Uno scheletro-cavaliere monta un destriero pallido -o meglio
invisibilmente pallido-; il giustiziere è
abbrancato alla sua arma: una lunghissima spada affilata, una sorta di
gigantesco remo cui Caronte affida il suo compito
di levare speranza all’umano.
La resa
estetico-funzionale
rivela la straordinaria forza della capacità di convincere mediante
un’instancabile vena dell’artista che sa parlare alle inquietudini dell’uomo.
Il metodo mediante il quale Redon compie la
rappresentazione risente dell’influsso illustrativo, qui
riproposto a strappi, non sequenzialmente;
potremmo dire che ne accentua ancorpiù la
“suspense”.
Encomiabile l’Autore nel
tradurre a livello visivo, attraverso la grafica, la profezia giovannea fatta
di continui reiterati bagliori visionari.
L’incedere del misterioso
destriero pallido, si osservi, è un maestoso trotto raccorciato di scuola, un
passo difficile da dressage compiuto nelle dimostrazioni più spettacolari,
reso più evocatore dalla potenza del torace e dalla piega del collo, inclinato
in leggera piega a sinistra, quasi ad incantare lo
spettatore per poter sferrare il colpo mortale.
Originalissima questa
resa: rispetto agli altri schemi (Dürer) in cui il
cavallo al galoppo salta i cadaveri che ha mietuto o inesorabile al passo
decima chiunque incontri sul suo cammino (Duvet); qui il cavallo è incantevole
-quasi come la maga Circe o le sirene narrate da Omero-, ammalia lo spettatore
per poi ucciderlo. Si noti altresì che il passo è l’andatura naturale del
cavallo, il galoppo quella della fuga o ludica, il trotto
un’andatura creata dal gusto dell’uomo ma non presente in natura,
forzosa e forzata dall’addestramento umano.
Prof. ALESSIO VARISCO
Designer – Magister Artium
Art Director Técne Art Studio
[i][1]
Il cartiglio è posizionato vicino al primo cavaliere, davanti alla testa del
cavallo.
[ii][2]
Il forcone non è citato nelle Scritture.
[iii][3]
Duvet utilizza una struttura simile alle pale medievali: un quadrato
sovrastato da un arco, quasi un emisfero, di circonferenza. Qui il Cristo
equestre è proprio all’intersezione delle diagonali, della sorta di
triangolo ottenuto dall’altezza e si situa nel punto d’origine della
circonferenza: è il punto focale a livello visivo dell’intera figurazione.
[iv][4]
Questa tecnica di inquadramento della scena
abbiamo già visto tipica di Duvet e della sua estetica nella composizione
dei quattro cavalieri dell’Apocalisse del capitolo VI.
Fonte : scritti del prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio , sito web www.alessiovarisco.it .
Fonte foto : www.metmuseum.org/toah/images/h2/h2_25.2.68.jpg
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