Mons. Crispino Valenziano
L'ICONOGRAFIA DELLA TRASFIGURAZIONE NEI MOSAICI RAVENNATI
La santa
Trinità, il Volto del Cristo e i loro emblemi
Iconografia è
scrittura dell'immagine; e la tradizione propriamente
ecclesiale, che nel 787 sfocerà in un canone iconico del Niceno II, sin dalle
origini scrive l'immagine liturgica sulle Scritture rivelate: nel nostro caso,
le scrive su prospettive da Mt 17, 1-9; Mc 9, 2-10; Lc 9, 28-36. Cioè,
l'iconografia liturgica è
fondamentalmente ritrascrizione biblica d'arte,
e i suoi artisti ne sono agiografi tanto prima quanto dopo il concilio delle
sante immagini. Posiamo pertanto lo sguardo sulla nostra abside con un occhio
all'opera musiva degli artisti agiografi e un occhio alla pericope degli
evangelisti sinottici.
Al vertice della
conca absidale, la Mano. È la Voce del
Padre perché è mano che addita il Figlio, e in questa teofania « la voce dalla
maestosa gloria » (2 Pt 1, 17) dice additando: « Questi è il Figlio mio
prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo » (Mt 17, 5; Mc 9, 7; Lc
9, 35: « il Figlio mio, l'eletto »). È caso iconografico esplicito del chiasmo
tra vedere la parola e ascoltare l'icone che, di solito implicitamente, si
produce in ogni iconografia.
La Mano-Voce « scende dal cielo » (2 Pt 1, 18) che
il mosaico identifica con la Nube.
Infatti la maestosa gloria o il cielo donde la lettera "petrina" fa risuonare la
voce, secondo i vangeli marciàno e lucàno è la nube: « e uscì una voce dalla
nube... » (Mc 9, 7; Lc 9, 35). E la nube che vediamo "luminosa" (Mt 17, 5)
per l'oro del fondo, e che vediamo l'adombrare" (Mt ib; Mc 9, 7) e "avvolgere" (Mc
ib; Lc 9, 34) per il colore che ve la delinea - i colori polari del rosso e
dell'azzurro lumeggiati di bianco (fatti rosa e celeste per assimilazione allo
zaffiro di cui diremo) - è nube emblema della Spirito. Essendo luminosa, essa
riferisce di Dio « luce » (1 Cv 1, 5) il quale disse: « Rifulga la luce
dalle tenebre, (e) rifulse nei nostri cuori per far risplendere la conoscenza
della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo » (2 Cor 4, 6): « e noi
tutti... riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo
trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo
l'azione dello Spirito » (2 Cor 3, 18). Avvolgendo, essa inizia chi avvolge
alla dinamica polare del cielo sulla terra: ed è lo Spirito, ha detto Gesù a
Nicodemo (vedi la teologia battesimale dell'evangelista) che « soffia dove
vuole, e ne senti il soffio, ma non sai di dove viene e dove va » (Cv
3, 8). Adombrando, essa si fa sorgente d'acqua fecondante su chi adombra: ed ha
esclamato ad alta voce Gesù il grande giorno della festa che per lo Spirito «
fiumi di acqua viva sgorgheranno dal seno di chi crede » (Gv 7, 38).
Caratteristiche della nube - la capacità polare del cielo sulla terra, la
produzione di acqua fecondante - che si riscontrano percepite generalmente nelle
culture; per cui, sin dall'antichità i padri e i dottori hanno emblematizzato lo
Spirito nella nube della Trasfigurazione così come nella nube dell'Esodo (vedi
la teologia battesimale dell'apostolo): « i nostri padri furono tutti sotto la
nube... furono tutti battezzati nella nube... » (1 Cor 10, 1-2).
Additato dalla Mano sotto la Nube è il Volto di
Gesù in cui si imperniano la Croce, il suo polo e il suo giro. Il ritaglio del
Volto non è casuale: l'analoga epifania che impernia la Croce per la teofania al
Battesimo nella conca absidale della basilica lateranense, vi raffigura Gesù e
il Battista in intero. È perché nel volto del Trasfigurato confluisce tutta la
ricerca spirituale del "Volto di Dio" nell'antica e nella nuova Alleanza - si
veda il Salterio! -. Così facendo il mosaicista prima trascrive a suo modo il
testo lucano: « il suo volto cambiò d'aspetto » (Lc 9, 29) poi opera intorno al
Volto per trascrivere con emblemi come, secondo il testo matteano, cambiò
d'aspetto: « il suo volto brillò come il sole » (Mt 17, 2). Con la finezza che
useranno permanentemente gli artisti sapienti della Trasfigurazione, l'agiografo
classense non tenta di abbellire occasionalmente, per il preciso evento, il
Volto di Gesù consegnatogli dalla non lunga tradizione pittorica; tra poco si
comporterà alla stessa maniera il mosaicista della Trasfígurazione nella conca
absidale della basilica sinaitica. Egli si serve, appunto, di emblemi. Egli sa
che a vederlo trasfigurato sono occhi trasfigurati, fatti capaci cioè di
percepire « la luce del suo Volto » (Sal 4, 7; 43, 4; 88, 16; 89, 8; ... ) sotto
la Mano del Padre e la Nube dello Spirito. Lo Pseudo Areopagita aveva spiegato
da non molto: « Come i discepoli nella divinissima Trasfigurazione noi saremo
riempiti della sua divina presenza, visibile in santissime contemplazioni e
luminosa di luci splendidissime, ... partecipando dell'unione che supera ogni
intelligenza in effusioni beate di fulgidissimi raggi... Ma nel frattempo usiamo
di segni appropriati alla realtà divina per quanto ci è possibile... ». Gli
emblemi per quanto possibile appropriati di cui si è servito l'agiografo
classense sono le stelle d'oro nel polo azzurro della Croce e le perle
disseminate dal giro intorno al Volto tanto nella Croce stessa quanto nel giro
della sua corona. L'accento è sulla gloria; cioè sulla epifania del Mistero.
Le stelle che lassù
« brillano di gioia » - egli le chiama ed esse rispondono: Eccoci! -(Bar 3,
34-35) del Volto dicono che « brillò come il sole » ruotandogli intorno quali
gloria di astri-costellazione intorno al sole. Spontaneamente si vede la
Sapienza: « Vanto dei cieli il terso firmamento, spettacolo celeste in visione
di gloria. Il sole appare e il suo sorgere proclama: Che meraviglia è l'opera
dell'Altissimo!.. Bellezza del cielo la gloria degli astri, ornamento splendente
nelle altezze del Signore... Splendente l'arcobaleno, avvolge il cielo con un
cerchio di gloria, l'hanno teso le mani dell'Altissimo » (Sir 43, 1-2. 9.
11-12).
La perla, invece, è essa stessa emblema di Gesù.
Gli artisti che allora hanno lavorato qui ne conoscevano tale emblematizzazione:
« La perla, da che è generata? Ascolta. C'è in mare una conchiglia detta
ostrica che emerge dall'acqua sul far del mattino e aprendo le sue valve alla
rugiada del cielo l'assorbe insieme ai raggi del sole (che sorge) e delle stelle
(che tramontano): essa genera la perla con la luce e rugiada del cielo... La
perla è figura del nostro Salvatore Gesù Cristo. Chi accoglie lui è l'uomo che
trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra (Mt
13, 46) ». Da allora sino a noi l'accumulo e l'offerta di senso del segno della
perla, impiegato in virtù della sua trasfigurabilità nuziale, ovviamente è
abissale; nella nostra cultura attuale, del senso accumulato e offerto
progressivamente, P.
Claudel ha scandagliato la sapida appropriazione trasfigurativa
con la sua raffinatezza: « Nel profondo del mare la perla nasce
tutta sola dalla carne vivente (dell'ostrica): pura e rotonda emerge immortale
dall'essere effimero che l'ha generata. Dei colori astrazione sino
alla luce e concezione immacolata... Realizzazione dell'essenza, condensazione
nelle nostre dita di ogni avere (Mt 13, 46) che serva da porta alla Gerusalemme
celeste (Ap 21, 21)... Ecco, ora la tengo nel cavo della mia mano, petalo (di
fiore) chicco puro quale è la grandine concepita nel cielo dalla folgore, ma che
emana una sorta di calore rosato. La faccio girare e la scorgo radiosa da tutti
i suoi lati. No, come il diamante, d'un fuoco penetrante e resistente; è
qualcosa d'amabile, soave, suadente, affettuoso, d'umano direi: il richiamo alla
nostra carne (umana e corruttibile) da una carne divina e incorruttibile;
qualcosa che è durata piuttosto d'eternità (eppure) dovuta al tempo che promana
dalla durata... Accanto ad essa è un chiarore crescente, qualcosa di ilare, di
vivo e vivente -lo chiamiamo Oriente -... Come un volto che si rivolge
(all'altro volto) come una guancia che sensibile arrossisce di pudore, si è qui
ravvivato punto luminoso un riflesso di rosa a cui non di rado non è estraneo un
ineffabile verde... È come un'anima che giunge a sonorità, come un'aurora,
un'aspirazione alla luce: Contemplerò - dice - il tuo Volto, lini sazierò della
tua presenza (Sal 16, 15). Per ciò, nell'Apocalisse le porte della
(nuova) Gerusalemme sono perle... » ( cfr. P. Claudel, L'oeil écoute,
Paris 1946, pp 228 - 231 passim )
I testimoni
dell' evento e i loro emblemi
Alla destra e
alla sinistra del Volto nella ruota delle perle e delle stelle,
Mosè ed Elia: «
Apparvero loro Mosè ed Elia che conversavano con lui » (Mt 17,3; Mc 9, 4; Lc 9,
30-31: « apparsi nella loro gloria, parlavano della sua dipartita che egli
avrebbe compiuto a Gerusalemme »). Mosè ed Elia sono denominati. Legge e
Profezia nella loro gloria, si stagliano nel campo superiore sulle loro nubi
delineate dal basso verso l'alto; ma abitano la Nube dello Spirito lanciata
dall'alto verso il basso. Sotto la Mano-Voce del Padre, la loro destra addita
la Croce del Figlio, la croce di cui hanno conversato con lui. Il monte della
Trasfigurazione ci è proiettato dallo studiatissimo ordine delle file scandite
da rocce allineate nel campo inferiore, una appresso l'altra una su l'altra, con
effetto prospettico di sospensione e di attesa riecheggiato dalla conformazione
"a macchia aperta" con cui è impostato il campo stesso. Gli strani spuntoni
colorati che ci incuriosiscono non sono rocce improbabili, sono piuttosto
improbabile stilizzazione di pietre probabilissime - vedi nel mosaico absidale
dei Santi Cosma e Damiano a Roma -. Sono graniti rosso scuri lumeggiati, o verde
chiari lumeggiati e no; forse, anche basalto bruno non lumeggiato.
Il basalto è la
pietra durissima che gli antichi, specialmente gli Egiziani, cavarono in Etiopia
per trarne opere indistruttibili; e generalmente si dissero basalto le masse
rocciose resistenti e omogenee, ferrose e oscure, nere o brunissime, che
presentano in natura forme prismatiche più o meno regolari, e non si spezzano,
originate da colate vulcaniche nelle quali con ferro abbonda pirosseno, opaco
sino a nero fumo, nobilitate da parti di olivina, vetrosa di scurissimo verde
olivastro. Al basalto si identificarono le iperboliche pietre del discorso di
Mosè agli Israeliti in Esodo: « Il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un
paese... dove non ti mancherà nulla, paese dove le pietre sono ferro » (Dt 8, 7.
9). Nel monte della Trasfigurazione sarebbero rocce narrative della Terra
Promessa.
Il granito,
d'aspetto granuloso, è composto in gran parte da compatti elementi silicei di
vari colori determinanti il suo colore che varia pertanto dai graniti grigi ai
graniti rossigni, o giallicci, o verdognoli ... ; si aggiunge al silice una
parte minore di quarzo
in grani cristallini luccicanti, e anche una piccola parte di
mica in
fogliette sottili pure esse lucide e pure esse di svariati colori che li
lumeggiano tutti di nero, di rosso, di violetto, di verde, persino di bianco.
Sono rocce pregiate che gli antichi, specialmente gli Egiziani, apprezzarono e
lavorarono sia in pezzi giganteschi sia in piccoli pezzi. Si ritenne che il
granito caratterizzasse il Sinai e l'Oreb, il monte di Mosè (Es 19. 34) e il
monte di Elia (1 Re 19). Nel monte della Trasfigurazione sono rocce che narrano
del Sinai e di Mosè: « La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e
la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla
nube. La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco
divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò in mezzo alla nube e salì sul
monte » (Es 24, 16-18) e narrano dell'Oreb e di Elia:... « camminò sino al monte
di Dio, l'Oreb... Gli fu detto: Fermati sul monte alla presenza del Signore... »
(1 Re 19, 8. 1 1).Nel registro decisamente distinto dallo splendore aureo della
gloria celeste e divina, nell'« alto monte » teofanico, iconizzati con emblemi,
i tre Apostoli testimoni con la Legge e la
Profezia: « Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni
suo fratello, e li condusse in disparte, su un alto monte. E si trasfigurò
davanti a loro » (Mt 17, 1-2; Mc 9, 2; Lc 9, 28). I tre stanno proprio « in
disparte » da tutti. Pietro alla destra del Trasfigurato, Giacomo e Giovanni
alla sinistra, sono emblematizzati sopra le rocce -
Pietro ne ha una ravvicinatissima - a mezzo di agnelli,
protesi verso il Volto nella Croce e la gloria che la incorona, sotto la
mano di Mosè e di Elia che lo additano. Secondo il teologo e liturgista che è
pure il principale dottore dell'evento in Occidente, « la trasfigurazione (del
suo corpo storico) mirava senza dubbio a rimuovere dall'animo dei discepoli lo
scandalo della croce
; affinché, rivelata loro la sublime grandezza della
dignità non visibile del Cristo, l'umiliazione della sua passione
volontariamente accettata non intaccasse la loro fede ». E in questa abside, la
Croce di cui Gesù conversa con Legge e Profezia affinché gli Apostoli non se ne
scandalizzino e anzi se ne corroborino, rispetto alle absidi in cui essa appare
con la sola sua propria valenza teologica e liturgica - si vede la Croce
absidale in Santa Pudenziana a Roma - mostra nella straordinaria composizione
anche la valenza che le si aggiunge per la narrazione della Trasfigurazione.
Fonte : http://digilander.libero.it/liturgiaravenna/
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