domenica 14 luglio 2019

L'iconografia della Trasfigurazione nei mosaici ravennati , di mons. Crispino Valenziano



Mons. Crispino Valenziano
 
 L'ICONOGRAFIA DELLA TRASFIGURAZIONE NEI MOSAICI RAVENNATI





La santa Trinità, il Volto del Cristo e i loro emblemi
Iconografia è scrittura dell'immagine; e la tradizione propriamente ecclesiale, che nel 787 sfocerà in un canone iconico del Niceno II, sin dalle origini scrive l'immagine liturgica sulle Scritture rivelate: nel nostro caso, le scrive su prospettive da Mt 17, 1-9; Mc 9, 2-10; Lc 9, 28-36.  Cioè, l'iconografia liturgica è fondamentalmente ritrascrizione biblica d'arte, e i suoi artisti ne sono agiografi tanto prima quanto dopo il concilio delle sante immagini.  Posiamo pertanto lo sguardo sulla nostra abside con un occhio all'opera musiva degli artisti agiografi e un occhio alla pericope degli evangelisti sinottici.
Al vertice della conca absidale, la Mano. È  la Voce del Padre perché è mano che addita il Figlio, e in questa teofania « la voce dalla maestosa gloria » (2 Pt 1, 17) dice additando: « Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto.  Ascoltatelo » (Mt 17, 5; Mc 9, 7; Lc 9, 35: « il Figlio mio, l'eletto »). È caso iconografico esplicito del chiasmo tra vedere la parola e ascoltare l'icone che, di solito implicitamente, si produce in ogni iconografia.
 La Mano-Voce « scende dal cielo » (2 Pt 1, 18) che il mosaico identifica con la Nube.  Infatti la maestosa gloria o il cielo donde la lettera "petrina" fa risuonare la voce, secondo i vangeli marciàno e lucàno è la nube: « e uscì una voce dalla nube... » (Mc 9, 7; Lc 9, 35).  E la nube che vediamo "luminosa" (Mt 17, 5) per l'oro del fondo, e che vediamo l'adombrare" (Mt ib; Mc 9, 7) e "avvolgere" (Mc ib; Lc 9, 34) per il colore che ve la delinea - i colori polari del rosso e dell'azzurro lumeggiati di bianco (fatti rosa e celeste per assimilazione allo zaffiro di cui diremo) - è nube emblema della Spirito.   Essendo luminosa, essa riferisce di Dio « luce » (1 Cv 1, 5) il quale disse: « Rifulga la luce dalle tenebre, (e) rifulse nei nostri cuori per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo » (2 Cor 4, 6): « e noi tutti... riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito » (2 Cor 3, 18).  Avvolgendo, essa inizia chi avvolge alla dinamica polare del cielo sulla terra: ed è lo Spirito, ha detto Gesù a Nicodemo (vedi la teologia battesimale dell'evangelista) che « soffia dove vuole, e ne senti il soffio, ma non sai di dove viene e dove va » (Cv 3, 8).  Adombrando, essa si fa sorgente d'acqua fecondante su chi adombra: ed ha esclamato ad alta voce Gesù il grande giorno della festa che per lo Spirito « fiumi di acqua viva sgorgheranno dal seno di chi crede » (Gv 7, 38).  Caratteristiche della nube - la capacità polare del cielo sulla terra, la produzione di acqua fecondante - che si riscontrano percepite generalmente nelle culture; per cui, sin dall'antichità i padri e i dottori hanno emblematizzato lo Spirito nella nube della Trasfigurazione così come nella nube dell'Esodo (vedi la teologia battesimale dell'apostolo): « i nostri padri furono tutti sotto la nube... furono tutti battezzati nella nube... » (1 Cor 10, 1-2).
 
 
Additato dalla Mano sotto la Nube è il Volto di Gesù in cui si imperniano la Croce, il suo polo e il suo giro.  Il ritaglio del Volto non è casuale: l'analoga epifania che impernia la Croce per la teofania al Battesimo nella conca absidale della basilica lateranense, vi raffigura Gesù e il Battista in intero. È perché nel volto del Trasfigurato confluisce tutta la ricerca spirituale del "Volto di Dio" nell'antica e nella nuova Alleanza - si veda il Salterio! -. Così facendo il mosaicista prima trascrive a suo modo il testo lucano: « il suo volto cambiò d'aspetto » (Lc 9, 29) poi opera intorno al Volto per trascrivere con emblemi come, secondo il testo matteano, cambiò d'aspetto: « il suo volto brillò come il sole » (Mt 17, 2).  Con la finezza che useranno permanentemente gli artisti sapienti della Trasfigurazione, l'agiografo classense non tenta di abbellire occasionalmente, per il preciso evento, il Volto di Gesù consegnatogli dalla non lunga tradizione pittorica; tra poco si comporterà alla stessa maniera il mosaicista della Trasfígurazione nella conca absidale della basilica sinaitica.  Egli si serve, appunto, di emblemi.  Egli sa che a vederlo trasfigurato sono occhi trasfigurati, fatti capaci cioè di percepire « la luce del suo Volto » (Sal 4, 7; 43, 4; 88, 16; 89, 8; ... ) sotto la Mano del Padre e la Nube dello Spirito.  Lo Pseudo Areopagita aveva spiegato da non molto: « Come i discepoli nella divinissima Trasfigurazione noi saremo riempiti della sua divina presenza, visibile in santissime contemplazioni e luminosa di luci splendidissime, ... partecipando dell'unione che supera ogni intelligenza in effusioni beate di fulgidissimi raggi... Ma nel frattempo usiamo di segni appropriati alla realtà divina per quanto ci è possibile... ».  Gli emblemi per quanto possibile appropriati di cui si è servito l'agiografo classense sono le stelle d'oro nel polo azzurro della Croce e le perle disseminate dal giro intorno al Volto tanto nella Croce stessa quanto nel giro della sua corona.  L'accento è sulla gloria; cioè sulla epifania del Mistero.
Le stelle che lassù « brillano di gioia » - egli le chiama ed esse rispondono: Eccoci! -(Bar 3, 34-35) del Volto dicono che « brillò come il sole » ruotandogli intorno quali gloria di astri-costellazione intorno al sole.  Spontaneamente si vede la Sapienza: « Vanto dei cieli il terso firmamento, spettacolo celeste in visione di gloria.  Il sole appare e il suo sorgere proclama: Che meraviglia è l'opera dell'Altissimo!.. Bellezza del cielo la gloria degli astri, ornamento splendente nelle altezze del Signore... Splendente l'arcobaleno, avvolge il cielo con un cerchio di gloria, l'hanno teso le mani dell'Altissimo » (Sir 43, 1-2. 9. 11-12).
La perla, invece, è essa stessa emblema di Gesù.   Gli artisti che allora hanno lavorato qui ne conoscevano tale emblematizzazione: « La perla, da che è generata?   Ascolta.  C'è in mare una conchiglia detta ostrica che emerge dall'acqua sul far del mattino e aprendo le sue valve alla rugiada del cielo l'assorbe insieme ai raggi del sole (che sorge) e delle stelle (che tramontano): essa genera la perla con la luce e rugiada del cielo... La perla è figura del nostro Salvatore Gesù Cristo.  Chi accoglie lui è l'uomo che trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra (Mt 13, 46) ». Da allora sino a noi l'accumulo e l'offerta di senso del segno della perla, impiegato in virtù della sua trasfigurabilità nuziale, ovviamente è abissale; nella nostra cultura attuale, del senso accumulato e offerto progressivamente, P. Claudel ha scandagliato la sapida appropriazione trasfigurativa con la sua raffinatezza: « Nel profondo del mare la perla nasce tutta sola dalla carne vivente (dell'ostrica): pura e rotonda emerge immortale dall'essere effimero che l'ha generataDei colori astrazione sino alla luce e concezione immacolata... Realizzazione dell'essenza, condensazione nelle nostre dita di ogni avere (Mt 13, 46) che serva da porta alla Gerusalemme celeste (Ap 21, 21)... Ecco, ora la tengo nel cavo della mia mano, petalo (di fiore) chicco puro quale è la grandine concepita nel cielo dalla folgore, ma che emana una sorta di calore rosato.  La faccio girare e la scorgo radiosa da tutti i suoi lati.  No, come il diamante, d'un fuoco penetrante e resistente; è qualcosa d'amabile, soave, suadente, affettuoso, d'umano direi: il richiamo alla nostra carne (umana e corruttibile) da una carne divina e incorruttibile; qualcosa che è durata piuttosto d'eternità (eppure) dovuta al tempo che promana dalla durata... Accanto ad essa è un chiarore crescente, qualcosa di ilare, di vivo e vivente -lo chiamiamo Oriente -... Come un volto che si rivolge (all'altro volto) come una guancia che sensibile arrossisce di pudore, si è qui ravvivato punto luminoso un riflesso di rosa a cui non di rado non è estraneo un ineffabile verde... È come un'anima che giunge a sonorità, come un'aurora, un'aspirazione alla luce: Contemplerò - dice - il tuo Volto, lini sazierò della tua presenza (Sal 16, 15).  Per ciò, nell'Apocalisse le porte della (nuova) Gerusalemme sono perle... » ( cfr. P. Claudel, L'oeil écoute, Paris 1946, pp 228 - 231 passim )
 
I testimoni dell' evento e i loro emblemi
  Alla destra e alla sinistra del Volto nella ruota delle perle e delle stelle, Mosè ed Elia: « Apparvero loro Mosè ed Elia che conversavano con lui » (Mt 17,3; Mc 9, 4; Lc 9, 30-31: « apparsi nella loro gloria, parlavano della sua dipartita che egli avrebbe compiuto a Gerusalemme »).  Mosè ed Elia sono denominati.  Legge e Profezia nella loro gloria, si stagliano nel campo superiore sulle loro nubi delineate dal basso verso l'alto; ma abitano la Nube dello Spirito lanciata dall'alto verso il basso.  Sotto la Mano-Voce del Padre, la loro destra addita la Croce del Figlio, la croce di cui hanno conversato con lui. Il monte della Trasfigurazione ci è proiettato dallo studiatissimo ordine delle file scandite da rocce allineate nel campo inferiore, una appresso l'altra una su l'altra, con effetto prospettico di sospensione e di attesa riecheggiato dalla conformazione "a macchia aperta" con cui è impostato il campo stesso.   Gli strani spuntoni colorati che ci incuriosiscono non sono rocce improbabili, sono piuttosto improbabile stilizzazione di pietre probabilissime - vedi nel mosaico absidale dei Santi Cosma e Damiano a Roma -. Sono graniti rosso scuri lumeggiati, o verde chiari lumeggiati e no; forse, anche basalto bruno non lumeggiato. Il basalto è la pietra durissima che gli antichi, specialmente gli Egiziani, cavarono in Etiopia per trarne opere indistruttibili; e generalmente si dissero basalto le masse rocciose resistenti e omogenee, ferrose e oscure, nere o brunissime, che presentano in natura forme prismatiche più o meno regolari, e non si spezzano, originate da colate vulcaniche nelle quali con ferro abbonda pirosseno, opaco sino a nero fumo, nobilitate da parti di olivina, vetrosa di scurissimo verde olivastro.  Al basalto si identificarono le iperboliche pietre del discorso di Mosè agli Israeliti in Esodo: « Il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese... dove non ti mancherà nulla, paese dove le pietre sono ferro » (Dt 8, 7. 9).  Nel monte della Trasfigurazione sarebbero rocce narrative della Terra Promessa. Il granito, d'aspetto granuloso, è composto in gran parte da compatti elementi silicei di vari colori determinanti il suo colore che varia pertanto dai graniti grigi ai graniti rossigni, o giallicci, o verdognoli ... ; si aggiunge al silice una parte minore di quarzo in grani cristallini luccicanti, e anche una piccola parte di mica in fogliette sottili pure esse lucide e pure esse di svariati colori che li lumeggiano tutti di nero, di rosso, di violetto, di verde, persino di bianco.  Sono rocce pregiate che gli antichi, specialmente gli Egiziani, apprezzarono e lavorarono sia in pezzi giganteschi sia in piccoli pezzi.  Si ritenne che il granito caratterizzasse il Sinai e l'Oreb, il monte di Mosè (Es 19. 34) e il monte di Elia (1 Re 19).  Nel monte della Trasfigurazione sono rocce che narrano del Sinai e di Mosè: « La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni.  Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube.  La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna.  Mosè entrò in mezzo alla nube e salì sul monte » (Es 24, 16-18) e narrano dell'Oreb e di Elia:... « camminò sino al monte di Dio, l'Oreb... Gli fu detto: Fermati sul monte alla presenza del Signore... » (1 Re 19, 8. 1 1).Nel registro decisamente distinto dallo splendore aureo della gloria celeste e divina, nell'« alto monte » teofanico, iconizzati con emblemi, i tre Apostoli testimoni con la Legge e la Profezia: « Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse in disparte, su un alto monte.   E si trasfigurò davanti a loro » (Mt 17, 1-2; Mc 9, 2; Lc 9, 28).  I tre stanno proprio « in disparte » da tutti.  Pietro alla destra del Trasfigurato, Giacomo e Giovanni alla sinistra, sono emblematizzati sopra le rocce - Pietro ne ha una ravvicinatissima - a mezzo di agnelli, protesi verso il Volto nella Croce e la gloria che la incorona, sotto la mano di Mosè e di Elia che lo additano.  Secondo il teologo e liturgista che è pure il principale dottore dell'evento in Occidente, « la trasfigurazione (del suo corpo storico) mirava senza dubbio a rimuovere dall'animo dei discepoli lo scandalo della croce ; affinché, rivelata loro la sublime grandezza della dignità non visibile del Cristo, l'umiliazione della sua passione volontariamente accettata non intaccasse la loro fede ». E in questa abside, la Croce di cui Gesù conversa con Legge e Profezia affinché gli Apostoli non se ne scandalizzino e anzi se ne corroborino, rispetto alle absidi in cui essa appare con la sola sua propria valenza teologica e liturgica - si vede la Croce absidale in Santa Pudenziana a Roma - mostra nella straordinaria composizione anche la valenza che le si aggiunge per la narrazione della Trasfigurazione.








Fonte :  http://digilander.libero.it/liturgiaravenna/ 



























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