domenica 14 luglio 2019

Storia delle rappresentazioni di Gesù sofferente e risorto , di P. Felice Artuso



STORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI DI GESU' SOFFERENTE E RISORTO
di P. Felice Artuso

  


Le antiche rappresentazioni di Gesù crocifisso e risorto.
 
L’arte sacra, pittorica o scultorea, è un’attività creativa, che eleva l’uomo alla bellezza di Dio. Evoca le verità che egli ha rivelato nel corso della storia. Riflette la tendenza culturale di una determinata epoca e di un’area geografica. Caratterizza pregi e limiti di un popolo. Dipende ordinariamente dalle possibilità economiche dei committenti e dal genio di ciascun autore. Suscita sempre stupore, emozione, fascino, gioia, approvazione o ripudio.
Gli antichi amavano raffigurare le loro divinità. Le concretizzavano con delle raffinate effigi, le ponevano nei luoghi di culto e le veneravano, confidando nella loro protezione. Per impedire la diffusione dei culti idolatri, la divinizzazione del cosmo e la degradazione morale, Dio proibisce agli ebrei di scolpire figure divine (Es 20,23; 34,17) e vieta a loro di rappresentarlo: «Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto terra» (Es 20,4). Gli ebrei osservano con rigore questa prescrizione di Dio. Evitano di raffigurarlo. Per non attirarsi la sua maledizione, si preoccupano di conservare la cognizione del suo ineffabile mistero e di testimoniarne la trascendenza, (Gn 1,26; Dt 27,15). Si limitano quindi ad ornare i luoghi sacri con disegni geometrici, con tessuti colorati, con formelle evocanti la storia d’Israele e con arredi per il culto: il tabernacolo, il rotolo della Legge, le due tavole dei comandamenti, la stella di Davide, il candelabro a sette bracci, figura dell’albero della vita, e le lampade accese, simbolo della creazione, della presenza di Dio e della preghiera.
I giudeocristiani osservano il comandamento divino. Omettono qualsiasi raffigurazione di Dio e non producono immagini che divinizzano il creato. Per evitare i mordaci scherni dei gentili, nelle pitture e nelle sculture esprimono visivamente la loro fede in Gesù sofferente, morto e risorto, ricorrendo al frequente impiego di questi simboli: l’ankh , l’aratro, l’albero, il giogo, la spada, il monogramma XP (Chi-Rho), i remi, l’antenna della nave con le vele spiegate, la lettera T, l’àncora e la vite con i grappoli d’uva. Dimostrano la loro capacità creativa, ornandoli con colori, foglie o fiori e li pongono nei sarcofaghi, nei luoghi di culto, nei manufatti casalinghi e negli stendardi militari. Presso l’Herodion, fortezza di Erode il Grande a Betlemme, nel primo secolo dopo Cristo abitata da qualche monaco giudeocristiano, sono stati trovati alcuni graffiti con delle croci. A Betsaida è stato scoperto un pezzo di terracotta, databile non oltre il 70 dopo Cristo, su cui compare la traccia di una croce. Nelle catacombe di Roma si sono rinvenuti diversi graffiti con la croce. Nel 79 la lava del Vesuvio ha coperto ad Ercolano una villa, che in una parete aveva incassato una croce, coperta da uno sportello. Secondo alcuni interpreti si tratterebbe di una prima testimonianza del nuovo culto a Gesù. I cristiani avrebbero nascosto la croce nella parete della loro casa, per difendersi dal sarcasmo dei pagani .
Nei primi quattro secoli i cristiani di origine ellenistica si adeguano alla cultura ebraica. Evitano di raffigurare Gesù nei vari episodi della sua vita terrena e del suo ingresso alla gloria celeste. Sentendo tuttavia il bisogno di rappresentare le vicende drammatiche della sua Passione, ricorrono ai simboli dei giudeocristiani e ne aggiungono altri, ritenuti più espressivi. Tratteggiano, infatti, l’agnello immolato, il pane cotto, il serpente appeso sull’asta, la vela spiegata al vento, l’áncora calata nel mare, l’aratro sul terreno, il carro con il timone elevato, il tridente con il pesce, i rami degli alberi protesi verso l’alto e gli uccelli con le ali spiegate. Ricorrendo all’immagine del buon pastore, simboleggiano Gesù, giovane atletico e imberbe, che porta su una spalla una pecora ferita. In qualche affresco delle catacombe ritraggono Gesù nelle sue reali sofferenze, suscitando polemiche tra quei pagani, che ripudiano la presentazione di un corpo appeso ad un patibolo. Nelle catacombe romane di Prestato sulla Via Appia è, infatti, rimasto un raro esemplare, risalente agli anni 250. I cristiani di origine ellenistica tentano inoltre di raffigurare Gesù in un momento storico della sua vita. Un modello di eccezionale riferimento è il pannello della porta principale della basilica di Santa Sabina a Roma (422-430). Si tratta di una scultura lignea, che apparterebbe ad un artista siriano. L’opera rappresenta Gesù posto in mezzo ai due giustiziati. Egli appare un uomo robusto e senza segni di sofferenza, non avendo la croce dietro le spalle, ma un simbolo architettonico che evoca le mura di Gerusalemme. Sta in una posizione eretta. Tiene le braccia aperte, gli occhi spalancati e la testa rivolta al malfattore, convertito. Chi lo guarda non vede un giustiziato, ma un vivente, che prega e intercede.

Dopo l’editto del 313 sulla libertà di culto dei cristiani l’imperatore di Costantino I fa apporre sugli stendardi militari le lettere “X e P”, iniziali ricavate dal greco Christòs (Cristo). Sapendo che possono esprimere liberamente la loro fede, gli artisti cristiani cominciano a raffigurare la X e la P all’interno delle corone d’alloro. Inoltre nelle sculture o nelle pitture dei sarcofaghi rappresentano Gesù che regge una croce. A volte tratteggiano un apostolo che consegna una croce a Gesù, quale trofeo di vittoria sul male. In Africa settentrionale gli artigiani introducono la raffigurazione di una semplice croce negli oggetti d’uso domestico. Nel V secolo, abrogata la pena della crocifissione, i cristiani venerano pubblicamente il segno della croce.
Incentivati dalla Chiesa, gli artisti ornano i luoghi di culto, illustrando i principali episodi biblici. Mettono in prima vista Gesù. Sul nartece, sul catino delle absidi o sulla volta delle cupole centrali delle basiliche lo raffigurano glorioso e celestiale. Marcano anche la sua tragica morte, apponendogli una croce gemmata al centro dell’aureola o sopra le spalle. Si può vedere uno dei migliori esemplari pervenutoci nel meraviglioso mosaico di Santa Pudenziana a Roma (642-649), dove Gesù appare il giudice e il signore del mondo, perché egli sta seduto su un trono e ha sul suo capo una croce, ornata di stelle lucenti, di metallo dorato, di pietre preziose e di splendidi colori.
Per frenare le eccessive devozioni popolari, il concilio Trullano (Costantinopoli, anno 692) nel canone 73 proibisce di raffigurare la croce sui pavimenti delle chiese. Nel canone 82 prescrive agli artisti di rappresentare Gesù nella sua storicità e di abbandonare i simboli, divenuti omai equivoci. Superato il periodo delle grandi controversie iconoclaste, sostenute prevalentemente dagli imperatori bizantini (726-787 e 815-843), gli artisti cessano quasi unanimemente le riproduzione simbolica di Gesù e cominciano a creare croci di varie proporzioni. Le raffigurano nei paramenti, negli oggetti liturgici, negli affreschi delle chiese o nelle pale per gli altari. Rappresentano anche crocifissi con un volto impreciso, irregolare, barbuto o imberbe. Lo vestono ordinariamente da sommo sacerdote, che intercede per l’umanità.
Consolidatosi un modello facilmente riconoscibile, gli artisti orientali evidenziano la natura trascendente, gloriosa e maestosa di Gesù (Col 1,15), mentre trascurano gli aspetti della sua umanità, sottoposta alle sofferenze della crocifissione. Sullo sfondo aureo delle absidi o delle cupole delle chiese lo tratteggiano seduto su un trono regale: ha gli occhi grandi, i capelli lunghi, la barba appuntita, le sembianze di un maestro, di un imperatore, di un trionfatore e di un giudice universale. Tracciano una croce dietro le sue spalle o un’aureola crocifera dietro la sua testa. Le loro opere musive e pittoriche destano la fede, suscitano un’esplosione d’elevazione mistica e nei limiti umani anticipano la contemplazione celeste. Gli esperti d’arte riconoscono che una delle migliori realizzazioni di quest’epoca è il mosaico absidale di sant’Apollinare a Ravenna. Nel centro del rosone musivo di questa chiesa brilla il volto di Gesù e una croce gemmata, attorniata da tante stelle. Nella parte bassa del mosaico il vescovo Apollinare in abito pontificale guida il suo gregge (il popolo) verso la croce gloriosa.
Negli anni posteriori gli artisti apportano delle modifiche stilistiche su Gesù. Lo effigiano pendente dalla croce e trionfatore sulla morte. Imprimono al suo corpo una posa ondulatoria, evocante il serpente di bronzo, che Mosè ha innalzato nel deserto. Non lo raffigurano ridente ma compunto e con gli occhi aperti. Per corrispondere ai desideri delle autorità, lo ornano con gli abiti dei re o dei sommi sacerdoti. Pongono sulla sua persona una lunga tunica, a volte senza maniche. Gli mettono un manto di porpora, una corona regale, dei colori cangianti, delle gemme e dei metalli preziosi. Inseriscono delle sigle che attestano la sua divinità e la sua sovranità sul mondo. Poggiano la croce su un teschio, simbolo del cranio d’Adamo, padre dell’umanità decaduta e rinvio al toponimo, Golgota. Raffigurano i due ladroni ai lati di Gesù crocifisso. Talora vi pongono il sole e la luna, quali testimoni della sua divinità e della sua regalità, nonché del turbamento cosmico. Accanto o di fronte a lui tratteggiano sovente Maria Vergine, l’apostolo Giovanni, le Pie donne ed altre persone simboliche. Sulle traverse superiori o inferiori della croce dipingono alcuni santi e alcuni angeli adoranti. Imprimono una funzione liturgica e coreografica alle loro raffigurazioni.
In Occidente dal secolo VI al X gli artisti, influenzati dallo stile orientale e dal monachesimo benedettino, aumentano la complessa produzione pittorica, plastica e scenografica della crocifissione di Gesù. Evitano tuttavia di tratteggiare l’evento della risurrezione, perché non riescono a inventare un modello, che coniughi la bellezza e la bruttezza di Gesù, la sua dignità e la sua fragilità, la sua trascendenza divina e la sua vulnerabilità fisica. Lo presentano di solito con un corpo morbido, che irradia un’intensa luce sulle persone e sulle cose circostanti. Conferiscono alle loro opere una funzione pedagogica, dottrinale e mistica. Nelle miniature dei manoscritti, nei monumenti privati, nei locali pubblici, nelle absidi, nelle pareti o nei portali delle chiese rappresentano scene pittoriche o plastiche di crocifissi trionfanti e attorniati dagli apostoli o dai santi più celebri. Raffigurano Gesù sempre vivo con il volto sereno o severo e con gli occhi sbarrati, evocanti un benevolo perdono o una dura condanna del peccato. Lo presentano che sta ritto, maestoso e raggiante; poggia i piedi su una mensola e tiene le braccia distese orizzontalmente; sul capo ha la corona regale o il nimbo, il segno della gloria e dell’immortalità; indossa il colobio purpureo, l’ampia e lunga tunica degli imperatori o dei sacerdoti orientali, ornata di stelle e di due strisce dorate. La loro raffigurazione offre al pubblico un’immagine inesatta e fuorviante della crocifissione di Gesù. Il popolo tuttavia apprezza quest’arte sacra, perché essa corrisponde alla teologia e alla sensibilità spirituale dell’epoca. Segnaliamo qualche modello: il piccolo crocifisso di cristallo, dono di san Gregorio Magno alla regina Teodolinda, opera del secolo VII, conservata nel tesoro della Cattedrale di Monza; il crocifisso di Santa Maria Antiqua (Roma), affresco del secolo VIII; il crocifisso d’oro del secolo XII di Ferdinando I, regalato dal sovrano al convento di sant’Isidoro e custodito nel museo di Madrid; il maestoso crocifisso ligneo tunicato di Bocca di Magra (La Spezia), opera del secolo XII, da cui dipenderebbe il crocifisso, la statua lignea, detta il Santo Volto di Lucca, di Sarzana (La Spezia) e di Spoleto; da ultimo il crocifisso ligneo di san Candido nel Duomo dell’Alto Adige.



Le rappresentazioni di Gesù sofferente e risorto nel corso degli altri secoli.

Gli artisti orientali sanno di essere i testimoni e i maestri della perfezione di Dio. Prima di porsi a dipingere le icone sacre, si purificano dai vani pensieri, digiunano, pregano, s’immergono nel mistero di Dio ed elaborano mentalmente la raffigurazione che intendono realizzare. Imitano gli artisti greci che prima di compiere un’opera di valore, invocavano le muse protettrici delle arti, confidando di ottenere da loro una luminosa ispirazione. Terminato il tempo della concentrazione, imprimono alle loro concretizzazioni una forte indole pedagogica e liturgica. Mutano anche lo schema iconografico. Dipendendo dal Vangelo di san Giovanni, raffigurano Gesù sulla croce che è vivo, vestito con un tessuto prezioso ed emana la luce divina (Gv 8,12). Lo effigiano con un’accurata pettinatura, con il capo chino ed ornato da un’aureola regale, con le braccia distese e le gambe non incrociate, ma in posizione eretta, danzante, vittoriosa sulla morte e con il corpo leggermente incurvato e senza evidenti tracce di torture, di ferite e di sangue coagulato. Altri tratteggiano Gesù crocifisso che dimostra d’avere un perfetto equilibrio, ostenta una grande maestà e s’immerge tranquillo nel sonno della morte. Posizionano accanto a lui la Madonna, l’evangelista Giovanni, il Centurione, Longino con la lancia e le Pie donne.
Dipingono il Risorto che appare ai discepoli, a Maria di Magdala e alle altre donne. Lo delineano che esce dall’imboccatura degli Inferi, vigoroso e fulgente; eleva la croce con la mano sinistra, mentre con la destra afferra il polso di Adamo, lo trascina verso il cielo e con lui solleva una lunga schiera di giusti. Mediante quest’immagine esprimono la convinzione che Gesù, passando dall’inerzia del sepolcro alla beatitudine di Dio, salva tutti, anche i morti. Tuttavia non si rendono conto che la risurrezione di Gesù, anticipo di quella universale, non va unicamente identificata con una reviviscenza fisica.
Nelle icone, generalmente delle tavole portatili, raffigurano il Crocifisso, meno trionfante e più sofferente. Producendo queste immagini, inducono i credenti ad entrare nel mistero d’amore e di dolore, di tristezza e di gioia del Verbo incarnato; ucciso e vivente (Ap 5,6). Li sollecitano alla preghiera fervente e all’adorazione incessante. Li spingono a lasciarsi toccare, educare e redimere dalla bellezza e tenerezza divina. Inoltre indicano a loro la strada da percorrere, per unirsi al Signore e per arrivare un giorno alla definitiva glorificazione. Nelle celebrazioni pasquali e nelle solennità i chierici, i monaci e i fedeli laici distaccano le icone dai luoghi di culto o dalle dimore domestiche. Le incensano, le baciano, le portano in processione e le mostrano al pubblico, bisognoso di cogliere in questi segni la presenza del Signore. Tributano alle icone lo stesso onore, recato al libro dei Vangeli e alle reliquie della croce.
Gli occidentali si distaccano dal modello di rappresentazione orientale. Negli affreschi e nelle sculture si collegano alla spiritualità dei monaci, dei mistici e degli ordini mendicanti, nonché alle differenti maestranze stilistiche locali. Inaugurano un nuovo stile figurativo, in cui sfoggiano la loro perizia artistica e cercano di suscitare sorpresa, meraviglia, emozione, fede e devozione. Producono con frequenza dei crocifissi, nei quali evidenziano la sofferenza fisica di Gesù e trascurano la sua bellezza divina. Lo raffigurano ordinariamente contorto, piagato, umiliato, sconfitto e pendente da tre o da quattro chiodi. Lo effigiano con i muscoli contratti, con le costole e le vene sporgenti, con le palpebre strette dal dolore, con un serto di spine intrecciate sulla testa, con gli arti rotti dai chiodi e con rivi di sangue, che colano da tutto il corpo. Pongono vicino a lui i personaggi biblici, i santi locali ed altre persone riconoscibili. Alcuni mettono accanto al Crocifisso gli angeli addolorati e piangenti, i quali con dei calici dorati tentano di prendere il suo sangue prezioso.
Nel periodo rinascimentale perfezionano la stessa tipologia. Tentano di conciliare i valori artistici della classicità greca e romana con le esigenze spirituali dell’arte cristiana. Curano gli aspetti della bellezza somatica di Gesù e accentuano la bruttezza delle sue ferite. Producono crocifissi idonei a suscitare atteggiamenti di commozione, contemplazione e pietà. Dipingono scene della risurrezione del Signore, raffigurando un corpo bello, maestoso, radioso e proteso verso l’alto. Cimabue, Giotto e il beato Angelico spiccano tra gli artisti italiani. Cimabue umanizza il Crocifisso, adottando lo stile bizantino, introdotto in Italia durante le lotte iconoclaste. Nella chiesa dei domenicani d’Arezzo egli esprime il dramma interiore di Gesù con una perfezionata tecnica. Lo dipinge privo di segni regali. Lo ritrae con la testa reclinata sulla spalla destra, gli occhi chiusi, i muscoli contratti e il corpo spostato ad arco. Giotto evidenzia l’aspetto fisico, dolente, sublime, maestoso e mistico del Crocifisso. Nella navata centrale di Santa Maria Novella a Firenze lo pittura su una larga tavola di legno, mentre grava con pesantezza dalla croce. Nella basilica superiore d’Assisi raffigura quadri della passione di Gesù, dando risalto alla sua umanità sofferente. Il beato Angelico inventa crocifissi belli e lucenti. Imprime sul loro corpo i segni dell’umanità e della divinità, della sofferenza e della gloria, della morte e della vita, dell’elargizione della grazia e della riparazione del male. Sollecita i cultori dell’arte sacra e la gente a comprendere il senso teologico delle sue belle opere. Esorta tutti a credere nel Signore, a lodarlo e ad abbandonarsi alla sua intercessione.
Nel secolo XV iniziano gli studi scientifici sull’anatomia e sulla prospettiva. Avvalendosi di queste conoscenze, gli artisti trovano uno stile di raffigurazione più preciso. Coniugano meglio la bellezza anatomica con la bruttezza del Martire divino. Producono scene di passione, che sono dei veri capolavori tridimensionali. Rappresentano Gesù nella sua realtà storica: giovanile, vigoroso e vitale ma anche sofferente, lacerato, curvo, disarticolato e accasciato. Lo fissano sulla croce con tre o con quattro chiodi. Gli pongono sui lombi un semplice perizoma. Evidenziano la sua perfetta ossatura e muscolatura. Lo effigiano con gli occhi lacrimanti, il volto aggrottato, la bocca contratta o spalancata e le ferite gonfiate. In alcune immagini lo rappresentano con la testa eretta o alzata verso il cielo. Danno un segno della sua vitalità o del suo abbandono alla volontà del Padre. In altre opere inclinano la sua testa petto o su una spalla. Danno la sensazione della crudezza della sua morte e del suo desiderio di avere un rapporto d’amore con ogni persona. Imitando la sagoma di un cadavere di un giovane appeso, Michelangelo Buonarroti realizza un crocifisso di legno di tiglio, che ha una raffinata muscolatura ed è simbolo della perfezione divina. Nella basilica di sant’Antonio da Padova Donatello crea un crocifisso bronzeo, che è un vero capolavoro d’arte.
Gli artisti riproducono anche scene del processo, della salita al Calvario, della crocifissione, della morte, della deposizione, della sepoltura e delle apparizioni. Rilevano i fantasiosi sentimenti dei diretti testimoni delle sofferenze o della gloria di Gesù. Raffigurano sovente gli strumenti della sua crocifissione. Pongono accanto a lui umiliato o risorto i flagelli, le spine, la tunica, le corde annodate, la colonna, i chiodi, i martelli, le tenaglie, la scala, la lancia, le tracce di sangue, la spugna, il gallo nel canto, i lini, la sindone e la tomba spalancata. Aumentano i personaggi che lo assistono nella sua agonia. Li raffigurano con panneggi raffinati, colorati e teatrali. Sullo loro sfondo dipingono panoramiche, agglomerati urbani, strutture architettoniche, oggetti preziosi e decorativi di cui si conservano meravigliosi capolavori. Pensiamo alla Crocifissione di Antonello da Messina, custodita nel museo reale di Belle Arti ad Anversa. Ricordiamo la Deposizione di Gesù, attuata da Giorgio Vasari e collocata sull’altare maggiore dei santi Donato e Ilario nella chiesa camaldolese. Consideriamo la Pietà di Michelangelo Buonarroti in san Pietro. In questa scultura Maria indossa un ampio e ondulato drappeggio. Seduta su un comodo trono e curvata leggermente, guarda con tenerezza il volto di Gesù, mentre con le braccia gli sorregge il corpo disarticolato.
Gli artisti incrementano anche la produzione iconografica della risurrezione di Gesù, della sua ascesa al cielo, della sua intronizzazione regale e del suo ritorno alla fine dei tempi, quale giudice universale. Non avendo un preciso modello di visualizzazione, adatto ai sensi, ricorrono alle loro immaginose intuizioni. Rappresentano generalmente il Risorto in un’esplosione di luce, mentre le tenebre notturne oscurano la natura. Lo raffigurano che, uscito dal sepolcro, emana dal corpo una fascia di luce intensa, posa sulla tomba o ascende glorioso al cielo, accompagnato da una schiera angelica. Pensiamo al celebre dipinto di Piero della Francesca. Espirandosi ad un inno pasquale. egli raffigura una persona enorme, robusta, atletica e luminosa, che sta per ascendere al cielo, mentre con una mano regge la croce, quale trofeo di vittoria. Sullo stesso tema segnaliamo i capolavori di Domenico Cresti, detto il Passignano, di Dominikos Thetokpulos, detto, El Greco, e di Peter Rubens.
Nei secoli posteriori gli artisti, specialmente quelli dell’area fiamminga raffigurano Gesù crocifisso, che è sfinito, debole e cadente. Pende da croci nodose e ai lombi ha un perizoma svolazzante. Ispirandosi alla figura messianica del Servo sofferente (Is 53,2), lo effigiano con il corpo contorto, piagato, livido, sanguinante ed ansimante. Fomentano in ognuno un senso di profondo ribrezzo e di tristezza. Alcuni lo rappresentano vivo, con gli occhi spalancati e con la stessa fisionomia del Santo Volto, custodito dai Cappuccini a Manoppello (Pescara). Sembra che emetta il grido: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato» (Mc 15,34). Altri preferiscono raffigurarlo già esanime: ha il corpo gonfio, gli occhi chiusi o abbassati, la testa poggiata su una spalla nell’atto di donare completamente se stesso, grava dalla croce con i muscoli ancora tesi oppure è rilassato, per aver consegnato la sua anima nelle mani amorose del Padre (Lc 23,46).
In un polittico dei monaci Antoniti, dediti alla cura degli appestati, Mathias Grünewald accentua fino all’estremo il realismo della crocifissione. Dipinge il Crocifisso come un malato di peste. Pende dolente e spasimante da un secco albero. Ha le dita scompigliate, le braccia e le gambe contorte, le schegge dei flagelli in tutto il corpo, i rivoli di sangue coagulato, le tumefazioni dal capo ai piedi e le ferite con tracce d’avanzata decomposizione. I monaci ed i malati lo pregano, sapendo di rivolgersi a Dio, che soffre con loro. In un altro dipinto Grünewald rappresenta Gesù, che esce trasfigurato e sfolgorante dalla tomba, si protende vittorioso verso il cielo, mostra le ferite gloriose della crocifissione e ricorda ai devoti che ha il potere di redimere dalla sofferenza.
Evochiamo altre curiosità artistiche sulla crocifissione di Gesù. I polacchi rappresentano Gesù lungo le strade o nelle piazze in atteggiamento pensoso e sofferente. Gli iberici modellano i loro crocifissi, marcando il realismo degli squarci e dei tormenti. Li forgiano feriti, sanguinanti, spasimanti, agonizzanti e quasi disperati. Li colorano ordinariamente con tinte forti. Li ornano di monili, di perle e di drappi preziosi, per creare un grande effetto scenografico e per infondere negli oppressi sentimenti di devozione, di liberazione e di sicurezza. In Italia e in altre nazioni europee gli artisti effigiano crocifissi snodabili, adatti ad inscenare la deposizione e la sepoltura di Gesù. I rigoristi e pessimisti giansenisti adottano un nuovo modello di crocifissione, che non avrà lungo seguito. Per convincere i cristiani che il Signore offre la salvezza a poche persone, forgiano dei crocifissi con le braccia elevate, molto strette e quasi perpendicolari al corpo. I riformatori calvinisti si contrappongono radicalmente alle mode stilistiche dei cattolici. Per eliminare la visione della tragica morte di Gesù, evitano di raffigurarlo crocifisso e collocano nei luoghi di culto un disadorno simbolo della croce.



Le nuove raffigurazioni di Gesù crocifisso e risorto.

Gli artisti odierni, figli del relativismo filosofico, abbandonano i canoni figurativi della bellezza classica. Per esternare le intuizioni geniali, le doti creative e il valore poetico dell’arte, scompongono le realtà naturali. Adottando colori vivaci, producono immagini astratte, simboliche, surrealiste, fantastiche e difformi, le quali incutono sentimenti contrapposti: ripugnanza e attrazione, ribrezzo e piacere, turbamento e serenità. Prescindendo dalle loro convinzioni religiose, raffigurano anche diverse scene della passione di Gesù. Gli artisti di scarsa fede e spiritualità, compiono opere che non suscitano nel pubblico atteggiamenti di adorazione, di invocazione e di speranza. Creano di frequente crocifissi bizzarri, privi di ogni valore religioso e disgiunti dalla verità storica. Rappresentano Gesù come un uomo qualsiasi, che patisce l’orribile tortura della flagellazione, della coronazione di spine e della crocifissione. Palesano anche gli aspetti della civiltà odierna, tormentata dai conflitti politici, dagli squilibri sociali, dagli intollerabili egoismi, dagli eccessivi arrivismi, dalla mancanza di sicurezza, dalla perdita di Dio e dal generale disorientamento. Ricordiamo due nomi. Il capo scuola Pablo Ricasso nel 1937 tratteggia la crocifissione di Gesù, circondandola con figure umane, deformi e irriconoscibili. Nel 1943 Ottone Rosai al posto di Gesù dipinge un operaio appeso alla croce.
Attenendosi all’insegnamento ecclesiale, gli artisti credenti svolgono il loro lavoro come una vera e propria missione. Producono opere, che uniscono armonicamente l’Infinito con il finito, l’Eterno con la storia. Seguendo le intuizioni personali e le esigenze dei committenti, adottano lo stile artistico dei contemporanei. Interpretano sovente la passione di Gesù, associandola alle ingiustizie umane, agli orrori delle guerre, alle violenze sugli inermi, alle pestilenze o alle malattie improvvise ed incurabili; esprimono plasticamente gli orrori della vita odierna; denunciano quelle azioni che generano ovunque enormi rovine e immense tragedie. Nella nuove forme espressive simboleggiano particolarmente il mistero dell’incarnazione, della vita, della morte e della risurrezione di Gesù. Pongono sul suo capo una corona di spine. Lo raffigurano con larghe ferite alle mani, ai piedi e al costato. Lo rappresentano vincitore sulle sofferenze della passione e della morte, presentandolo con il volto radioso, con le mani elevate e con il corpo slanciato verso l’alto. Infondono così sentimenti di stupore, di compiacenza, di speranza e di devozione. Nominiamo alcuni artisti. Germaine Richier, Carlo Baliana, Lucio Fontana e Mirco Basadella effettuano le crocifissioni più rappresentative. Germaine Salvador Dalí dipinge un crocifisso sorretto da cubi, congiunti in forma geometrica. Lo inclina molto verso il suolo, per indicare la sua compassione e la sua presenza nei miseri. Massimo Lippi produceo un crocifisso ligneo scarnificato, dilaniato e piangente. La sua opera, collocata nel Duomo di Siena, rammenta all’uomo contemporaneo le mostruosità belliche, gli attentati dinamitardi, lo sconvolgimento ed il disfacimento della società. Per evocare i drammi e le speranze umane. Luciano Minguzzi modella un crocifisso doloroso, deformato e cadente, ma pronto a staccarsi dalla croce, per ascendere alla gloria celeste. L’ebreo russo, Marc Chagall, trascorsa una giovinezza di sofferenze, emigra in Francia, dove conosce il filosofo cattolico Jacques Maritain, da cui apprende i valori della cultura cristiana. Valente artista, unisce abilmente gli eventi del vecchio e del nuovo Testamento. Dipinge scene bibliche con le quali aiuta l’uomo a pensare sul dolore innocente e lo sollecita a pregare con fiducia. Per suscitare piacevole umorismo, fonde il passato con il presente, il tragico con il ridicolo, il funesto con il divertente. Nelle decorazioni delle chiese tratteggia Gesù che porta il patibolo o è appeso alla croce. Pone attorno alla sua persona i simboli ebraici, perché sia identificato facilmente. Nel 1938 raffigura Gesù appeso alla croce, coperto nei lombi da un talit (il mantello per la preghiera), mentre con la mano destra sorregge i rotoli della Torah. Un candelabro ardente ai piedi ed una fascia di luce, proveniente dal cielo, illuminano la sua faccia. Inoltre i giudei si allontanano da lui. Fuggono velocemente dalla sinagoga e dalle case, perché i nazisti bruciamo i luoghi dove risiedono. J. Moltmann compone il libro “Il Dio Crocifisso”, scrivendo di fronte ad una copia di questo capolavoro, che ricapitola le sofferenze del popolo d’Israele e d’ogni vilipeso. William Congdon, cattolico statunitense, dal 1959 al 1979 dipinge quasi 200 crocifissi, in cui focalizza il drammatico cammino personale. Tratteggia su uno sfondo scuro e con colori sobri la sagoma di un corpo appeso, informe, slogato e squarciato. Non raffigura ordinariamente il patibolo e il volto ai suoi inerti crocifissi. Effigia solo la loro nuca che è profondamente reclinata e quasi fusa sul petto. Mediante questa tecnica rappresenta qualsiasi persona, vittima dell’odio devastante. Intende anche delineare il Figlio di Dio che con il suo amore umanizza e redime. Mauro Corna tratteggia un crocifisso che non pende dalla croce, ma si protende verso il cielo, per regnare sulla creazione e attirarla a sé.
Pericle Fazzini nello sfondo della Sala Nervi in Vaticano rappresenta Gesù in un vortice d’energiche fiamme e di vento, mentre esce trionfante dal cratere sepolcrale e con le braccia alzate si protende verso l’alto. Altri artisti riproducono il dinamismo artistico del Fazzini. Delineano il Risorto che vince l’attrazione terrestre e si libra verso il cielo. Pur distaccandosi notevolmente dall’arte sacra degli stili precedenti, le loro opere incidono nella società più di certi discorsi o di certi libri. Infatti trasmettono idee, messaggi e verità di inconfondibile valore. Sollecitano qualsiasi persona ad abbandonare l’effimero e l’indifferenza religiosa. Esortano ognuno a distaccarsi dai concetti inesatti e sbagliati di Dio. Raccomandano a ciascuno di comportarsi con onestà e responsabilità. Radicano e stabilizzano tutti i credenti nella fede in Gesù Cristo. Li orientano verso di lui, che nella sofferenza della croce rivela chi è Dio e chi è l’uomo. Stimolano inoltre ad incrementare la fiducia in Dio, la preghiera, il dialogo ecumenico e il confronto con le culture.
Davvero l’arte cristiana d’ogni epoca traduce il Vangelo con un linguaggio visivo, irraggia scintille sacrali, affascina gli osservatori e educa a credere nelle verità trascendenti. Tenta di mostrare il volto di Dio nel modo in cui egli si è rivelato nella storia biblica e continua a rivelarsi nel tempo della Chiesa. I santuari, che custodiscono una venerata immagine di Gesù crocifisso, attorniata da molteplici ex voto, sono i testimoni più eloquenti degli interventi rivelatori e prodigiosi di Dio. Concludiamo questa rassegna sulle raffigurazioni di Gesù sofferente e risorto, affermando che l’arte cristiana è fondamentale ed indispensabile, per trasmettere la bellezza della rivelazione. Non possiamo tuttavia pretendere che l’arte sia un strumento sufficiente per esprimerne tutto il contenuto. Dio, infatti, sta sempre al di sopra delle nostre acquisizioni, delle nostre idealizzazioni e delle nostre raffigurazioni. Coscienti della nostra limitatezza, apprezziamo quegli artisti, che con le loro incessanti fatiche ci richiamano le verità principali della nostra fede.
 
 
 
 
 
 
 






















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