Il Mille
e l'Apocalisse. Storia dell'iconografia dell'apertura dei
primi 4 sigilli. Il Beatus de
Ljebana e altri
di Alessio Varisco
Apocalisse, apertura 2° sigillo, vetrata Duomo di
Milano
«Silenzio
dei primordi»
[P. Diacono,
Cronache]
Per iniziare la trattazione
del sorgere dei Commentari all’Apocalisse e del fiorire dell’attesa
dell’eskaton nella gente vissuta a cavallo del Primo
e Secondo Millennio è bene affidarsi alla penna dello storico Paolo Diacono ed
ascoltare la fotografia di quei tempi dalla sua viva voce:
«Prima
avresti veduto borghi e villaggi pieni di uomini; il
giorno dopo, essendosi tutti dati alla fuga, stagnava sui medesimi un silenzio
profondo. Era ridotto il mondo tutto al silenzio dei primordi. Non voce s’udiva
nei campi, non fischio di pastori. I seminanti, trascorso il tempo della
raccolta, aspettavano intatti la falce del mietitore. Non vi era orma alcuna di
viandante. Si mutarono i pascoli in cimiteri e le abitazioni umane in tane di
belve»
[P. Diacono,
Historia, Libro II, par
4.]
Questa è la descrizione
dello storico (vissuto tra il 720 e il 795 d.C.)
chiamato alla corte di Carlo Magno per descrivere l’aspetto delle campagne
italiane tra le guerre di conquista dei longobardi. Un
paesaggio desolatamente spoglio, lugubre, dominato dall’angoscia, dal silenzio
inquietante, divenuti i caratteri distintivi del mondo alto-medievale nel
nostro immaginario: pochi uomini asserragliati in luoghi fortificati a
difendersi dagli aggressori e da una dilagante natura inselvatichitasi ed ostile
ai più, una società stritolata dalla morsa della fame, delle carestie, dalle
pestilenze e devastazioni.
Un inferno.
Per molti il concretarsi del sopraggiungere del Giudizio già
anticipato da molti Padri della Chiesa.
All’inizio
dell’XI secolo un monaco dell’Abbazia di
Cluny così scrive nella sua cronaca:
«Verso
il terzo anno dopo l’anno Mille, su quasi tutta la terra, soprattutto in Italia
e nelle Gallie si ricominciarono a costruire le
basiliche....
Si sarebbe detto che il
mondo stesso si scuotesse per gettare le spoglie della vecchiaia e si rivestisse
dovunque di un bianco mantello di chiese. I fedeli non si contentarono di
ricostruire le cattedrali, ma restaurarono le chiese ed i monasteri e persino le
chiesette dei villaggi».
[R. Glaber,
Cronaca.]
Immagini poetiche che ci
suggeriscono lo sforzo del rifiorire di un mondo in trasformazione che aveva
visto la decrescita ed ora sperimentava una rimonta: dall’immoto silenzio
angosciante del Diacono siamo al vivido scalpellio
dei costruttori intenti a ricostruire e rinnovare un mondo vecchio nella
trasformazione più radicale.
Il periodo compreso
tra la seconda metà del IX secolo e la metà del X è
caratterizzato da gravi e profonde crisi dipese dalla spaccatura dell’Impero
Carolingio con conseguenti spargimenti di sangue per
affermare un frazionismo parcellizzato di stampo egoistico. Solo dopo il Mille
al frazionarsi dell’Utopia Carolingia di un “Sacro
Romano Impero Cristiano” (un revival “religioseggiante”,
o meglio l’invenzione dell’improponibile “Res Publica
Christianorum”) vi è un cedere al formarsi
di embrionali futuri stati europei.
Gravi minacce continuano a tempestare dall’esterno il
Vecchio Continente, sotto forma di nuove incursioni, scorrerie cruente e sempre
crescenti rapine. Gli sconvolgimenti si frenano solo sul far
dell’XI secolo: il fervore testimoniato dal monaco
cluniacense riferisce la crescente volontà della Chiesa di incitare alla
ricostruzione e tenere alti i cuori.
Un sentimento
espresso dal nostro Pontefice anche oggi in questo Tertio
Millennio Ineunte nell’affermazione mutuata alle
Scritture
«Duc
in altum!».
Questo il background sotto
cui cresce insistentemente l’abbrancarsi
all’Apocalisse di molti artisti che riscoprono nel testo sacro quel crescente e
controverso sentimento dell’Evangelista confinato in Patmos
dalla violenza di chi giace sotto il potere del Nemico. In questa travagliata
fase, dopo terribili esperienze maturate, l’Europa lascia una traccia convulsa
nell’animo e nella mentalità dei contemporanei: pare giungere la crisi
definitiva, finale, prossima al Giudizio. La paura collettiva
dilaga, i timori dei singoli giungono
all’esasperazione in un’angoscia universale. Si afferma
-nell’attesa della fine del Millennio- un fobico millenarismo. L’angoscia
maggiore è il passaggio nel Nuovo Millennio dopo l’avvento di Cristo –secondo
una lettura del Libro dell’Apocalisse che era attestata in quel tempo- ed
una infausta profezia ad opera di San Giovanni vista
letteralmente in quel “Mille non più mille”. Ci si aspetta la venuta
dell’Anticristo e del Giudizio Universale.
Ossessionatamente si interpretano quegli
stravolgimenti, quel crescente nonsenso come una premonizione della Venuta del
Cristo, questa volta a portare il Giudizio, implacabile a punire i malfattori;
perciò si ha paura del male, della presenza del demonio, della dannazione e del
giudizio divino, inteso quasi come una sorta di vendetta.
Il Monaco spagnolo
Beatus de Ljebana
compone -in questo clima così fremente- il suo
«Commentario
dell’Apocalisse»,
sul finire dell’VIII secolo, di cui restano in Spagna oltre Venti Codici
Illustrati eseguiti nei monasteri tra il X ed il XIII
secolo. Ricco di immagini, a commento di un libro
-l’Apocalisse- già fervido di spunti, il contenuto
visionario suggerisce la composizione di visioni fantastiche tradotte in
miniature all’interno di Manoscritti di grande formato, in un
«repertorio
di incomparabile fantasia inventiva»
[E. Bairati -
A. Finocchi, Arte in Italia.
Torino, Loescher, 1984. 250].
Esseri
infernali, mostri e strane creature del mondo onirico più che animale e vegetale
fanno da corona alle Sacre Figure degli Evangelisti, al Cristo Giudice animato
di vividi cromatismi evocatori di una terrificante vendetta. Una visione
molto negativa del divino adirato.
Questi temi che gli storici
definiscono “apocalittici” entrano definitivamente a far parte di un
grande repertorio medioevale raffigurante scene del
Giudizio Universale, come pure nel fitto e continuo svolgersi di motivi
decorativi mostruosi, poi grotteschi, o nella scultura decorativa.
Le aree di diffusione di
queste tematiche –tra le quali in primo luogo
Francia, Spagna, Germania ed Italia- vedono un
dilagante fiorire di manoscritti e cicli di affreschi apocalittici. Un esempio a
noi prossimo è l’Affresco dell’Apocalisse nella
controfacciata di San Pietro al Monte in Civate,
databile XI secolo, ove l’Arcangelo Michele e gli Angeli, disposti ai lati
intorno al Cristo in Trono, trafiggono il demonio (un dragone agonizzante sotto
il Trono del Signore), il quale stava per divorare il figlio e
cioè noi tutti cristiani, figli adottivi mediante
Gesù, della donna che simboleggia Chiesa. La donna è seduta tra il Sole ossia
Cristo e la Luna e cioè il mutare delle cose.
Singolare e celeberrima
invece la “fumettazione” dal Codice Saint-Sever
dell’Apocalisse. L’apertura del primo sigillo e conseguenti Quattro Cavalieri
sono decorati su una miniatura, conservata nel Codice custodito alla
Bibliothèque National de
Paris, alta 37 centimetri, dipinta su pergamena nell’XI
secolo. L’Agnello dissigilla il Libro e fuoriesce il primo cavallo montato da un
arciere incoronato; il secondo cavallo è rosso sangue galoppante, con un
cavaliere recante una spada lunghissima e portatore della guerra; il terzo
destriero è nero e colui che lo cavalca reca -sempre
nella mano destra come il precedente- una bilancia: è la giustizia inesistente
in questo tribolato mondo; imbizzarrito l’ultimo, il verdastro recante Morte.
Per contro a questa
crescente e angosciante morsa contenutistica, nei secoli a venire si assisterà
ad un fiorire di Immagini di Patroni
benedicenti le città [A tale proposito vedasi “San
Gimignano” del Taddeo di Bartolo e le “Madonne che
custodiscono dalla peste”.].
Lo sviluppo di questi
stilemi è manifestato dai cosiddetti “Trionfi della Morte” che
avranno seguito dopo la Grande Peste.
La Madonna della
misericordia, Maria donna bellissima è il riferimento al libro dell’Apocalisse,
perchè al di sotto del viso, di un volto che sembra
fendere l’aria in mezzo a un paesaggio minaccioso, apocalittico, questa
“meteora” che ci cammina proprio sopra, solcando anche le difficoltà della vita,
forma poi come un manto, un’infinità di piccole figure. La Madonna della
Misericordia è una tipologia che si svilupperà quale tema
devozionale dell’arte tre-quattrocentesca in
cui Maria apre il mantello mentre due angeli le
sollevavano il manto e ricovera i suoi fedeli sotto.
Ha avuto particolare fortuna
e grande diffusione quale “icona purificatrice” ai
tempi della “Peste”. In Italia, detto tema, produrrà molte opere durante la
“Grande Peste” del 1348; i fedeli si ricovereranno sotto il suo mantello per
essere salvati dalla morte, da queste peste che rappresenta
la morte.
Prof. ALESSIO VARISCO, designer
[da «Sviluppo in arte del simbolismo
teriomorfo del cavallo in Apocalisse.
Il cavallo bianco metonimia del simbolo cristico»]
Fonte : scritti del prof. Alessio Varisco , Designer-Magister Artium, Art Director Técne Art Studio , sito web www.alessiovarisco.it .
fonte foto: http://server.icvbc.cnr.it/bivi/eng/schede/Lombardia/Duomo/immagini/ill23.jpg
Nessun commento:
Posta un commento