domenica 14 luglio 2019

Il Mille e l'Apocalisse. Storia dell'iconografia dell'apertura dei primi 4 sigilli. Il Beatus de Ljebana e altri, di Alessio Varisco



Il Mille e l'Apocalisse. Storia dell'iconografia dell'apertura dei primi 4 sigilli. Il Beatus de Ljebana e altri

di Alessio Varisco



  Apocalisse, apertura 2° sigillo, vetrata Duomo di Milano

 
«Silenzio dei primordi» [P. Diacono, Cronache]
Per iniziare la trattazione del sorgere dei Commentari all’Apocalisse e del fiorire dell’attesa dell’eskaton nella gente vissuta a cavallo del Primo e Secondo Millennio è bene affidarsi alla penna dello storico Paolo Diacono ed ascoltare la fotografia di quei tempi dalla sua viva voce:
«Prima avresti veduto borghi e villaggi pieni di uomini; il giorno dopo, essendosi tutti dati alla fuga, stagnava sui medesimi un silenzio profondo. Era ridotto il mondo tutto al silenzio dei primordi. Non voce s’udiva nei campi, non fischio di pastori. I seminanti, trascorso il tempo della raccolta, aspettavano intatti la falce del mietitore. Non vi era orma alcuna di viandante. Si mutarono i pascoli in cimiteri e le abitazioni umane in tane di belve» [P. Diacono, Historia, Libro II, par 4.]
Questa è la descrizione dello storico (vissuto tra il 720 e il 795 d.C.) chiamato alla corte di Carlo Magno per descrivere l’aspetto delle campagne italiane tra le guerre di conquista dei longobardi. Un paesaggio desolatamente spoglio, lugubre, dominato dall’angoscia, dal silenzio inquietante, divenuti i caratteri distintivi del mondo alto-medievale nel nostro immaginario: pochi uomini asserragliati in luoghi fortificati a difendersi dagli aggressori e da una dilagante natura inselvatichitasi ed ostile ai più, una società stritolata dalla morsa della fame, delle carestie, dalle pestilenze e devastazioni.
Un inferno. Per molti il concretarsi del sopraggiungere del Giudizio già anticipato da molti Padri della Chiesa.
All’inizio dell’XI secolo un monaco dell’Abbazia di Cluny così scrive nella sua cronaca:
«Verso il terzo anno dopo l’anno Mille, su quasi tutta la terra, soprattutto in Italia e nelle Gallie si ricominciarono a costruire le basiliche....
Si sarebbe detto che il mondo stesso si scuotesse per gettare le spoglie della vecchiaia e si rivestisse dovunque di un bianco mantello di chiese. I fedeli non si contentarono di ricostruire le cattedrali, ma restaurarono le chiese ed i monasteri e persino le chiesette dei villaggi». [R. Glaber, Cronaca.]
Immagini poetiche che ci suggeriscono lo sforzo del rifiorire di un mondo in trasformazione che aveva visto la decrescita ed ora sperimentava una rimonta: dall’immoto silenzio angosciante del Diacono siamo al vivido scalpellio dei costruttori intenti a ricostruire e rinnovare un mondo vecchio nella trasformazione più radicale.
Il periodo compreso tra la seconda metà del IX secolo e la metà del X è caratterizzato da gravi e profonde crisi dipese dalla spaccatura dell’Impero Carolingio con conseguenti spargimenti di sangue per affermare un frazionismo parcellizzato di stampo egoistico. Solo dopo il Mille al frazionarsi dell’Utopia Carolingia di un “Sacro Romano Impero Cristiano” (un revival “religioseggiante”, o meglio l’invenzione dell’improponibile “Res Publica Christianorum”) vi è un cedere al formarsi di embrionali futuri stati europei. Gravi minacce continuano a tempestare dall’esterno il Vecchio Continente, sotto forma di nuove incursioni, scorrerie cruente e sempre crescenti rapine. Gli sconvolgimenti si frenano solo sul far dell’XI secolo: il fervore testimoniato dal monaco cluniacense riferisce la crescente volontà della Chiesa di incitare alla ricostruzione e tenere alti i cuori. Un sentimento espresso dal nostro Pontefice anche oggi in questo Tertio Millennio Ineunte nell’affermazione mutuata alle Scritture «Duc in altum!».
Questo il background sotto cui cresce insistentemente l’abbrancarsi all’Apocalisse di molti artisti che riscoprono nel testo sacro quel crescente e controverso sentimento dell’Evangelista confinato in Patmos dalla violenza di chi giace sotto il potere del Nemico. In questa travagliata fase, dopo terribili esperienze maturate, l’Europa lascia una traccia convulsa nell’animo e nella mentalità dei contemporanei: pare giungere la crisi definitiva, finale, prossima al Giudizio. La paura collettiva dilaga, i timori dei singoli giungono all’esasperazione in un’angoscia universale. Si afferma -nell’attesa della fine del Millennio- un fobico millenarismo. L’angoscia maggiore è il passaggio nel Nuovo Millennio dopo l’avvento di Cristo –secondo una lettura del Libro dell’Apocalisse che era attestata in quel tempo- ed una infausta profezia ad opera di San Giovanni vista letteralmente in quel “Mille non più mille”. Ci si aspetta la venuta dell’Anticristo e del Giudizio Universale. Ossessionatamente si interpretano quegli stravolgimenti, quel crescente nonsenso come una premonizione della Venuta del Cristo, questa volta a portare il Giudizio, implacabile a punire i malfattori; perciò si ha paura del male, della presenza del demonio, della dannazione e del giudizio divino, inteso quasi come una sorta di vendetta.
Il Monaco spagnolo Beatus de Ljebana compone -in questo clima così fremente- il suo «Commentario dell’Apocalisse», sul finire dell’VIII secolo, di cui restano in Spagna oltre Venti Codici Illustrati eseguiti nei monasteri tra il X ed il XIII secolo. Ricco di immagini, a commento di un libro -l’Apocalisse- già fervido di spunti, il contenuto visionario suggerisce la composizione di visioni fantastiche tradotte in miniature all’interno di Manoscritti di grande formato, in un «repertorio di incomparabile fantasia inventiva» [E. Bairati - A. Finocchi, Arte in Italia. Torino, Loescher, 1984. 250].
 Esseri infernali, mostri e strane creature del mondo onirico più che animale e vegetale fanno da corona alle Sacre Figure degli Evangelisti, al Cristo Giudice animato di vividi cromatismi evocatori di una terrificante vendetta. Una visione molto negativa del divino adirato.
Questi temi che gli storici definiscono “apocalittici” entrano definitivamente a far parte di un grande repertorio medioevale raffigurante scene del Giudizio Universale, come pure nel fitto e continuo svolgersi di motivi decorativi mostruosi, poi grotteschi, o nella scultura decorativa.
Le aree di diffusione di queste tematiche –tra le quali in primo luogo Francia, Spagna, Germania ed Italia- vedono un dilagante fiorire di manoscritti e cicli di affreschi apocalittici. Un esempio a noi prossimo è l’Affresco dell’Apocalisse nella controfacciata di San Pietro al Monte in Civate, databile XI secolo, ove l’Arcangelo Michele e gli Angeli, disposti ai lati intorno al Cristo in Trono, trafiggono il demonio (un dragone agonizzante sotto il Trono del Signore), il quale stava per divorare il figlio e cioè noi tutti cristiani, figli adottivi mediante Gesù, della donna che simboleggia Chiesa. La donna è seduta tra il Sole ossia Cristo e la Luna e cioè il mutare delle cose.
Singolare e celeberrima invece la “fumettazione” dal Codice Saint-Sever dell’Apocalisse. L’apertura del primo sigillo e conseguenti Quattro Cavalieri sono decorati su una miniatura, conservata nel Codice custodito alla Bibliothèque National de Paris, alta 37 centimetri, dipinta su pergamena nell’XI secolo. L’Agnello dissigilla il Libro e fuoriesce il primo cavallo montato da un arciere incoronato; il secondo cavallo è rosso sangue galoppante, con un cavaliere recante una spada lunghissima e portatore della guerra; il terzo destriero è nero e colui che lo cavalca reca -sempre nella mano destra come il precedente- una bilancia: è la giustizia inesistente in questo tribolato mondo; imbizzarrito l’ultimo, il verdastro recante Morte.
Per contro a questa crescente e angosciante morsa contenutistica, nei secoli a venire si assisterà ad un fiorire di Immagini di Patroni benedicenti le città [A tale proposito vedasi “San Gimignano” del Taddeo di Bartolo e le “Madonne che custodiscono dalla peste”.].
Lo sviluppo di questi stilemi è manifestato dai cosiddetti “Trionfi della Morte” che avranno seguito dopo la Grande Peste.
La Madonna della misericordia, Maria donna bellissima è il riferimento al libro dell’Apocalisse, perchè al di sotto del viso, di un volto che sembra fendere l’aria in mezzo a un paesaggio minaccioso, apocalittico, questa “meteora” che ci cammina proprio sopra, solcando anche le difficoltà della vita, forma poi come un manto, un’infinità di piccole figure. La Madonna della Misericordia è una tipologia che si svilupperà quale tema devozionale dell’arte tre-quattrocentesca in cui Maria apre il mantello mentre due angeli le sollevavano il manto e ricovera i suoi fedeli sotto.
Ha avuto particolare fortuna e grande diffusione quale “icona purificatrice” ai tempi della “Peste”. In Italia, detto tema, produrrà molte opere durante la “Grande Peste” del 1348; i fedeli si ricovereranno sotto il suo mantello per essere salvati dalla morte, da queste peste che rappresenta la morte.
 
Prof. ALESSIO VARISCO, designer
[da «Sviluppo in arte del simbolismo teriomorfo del cavallo in Apocalisse.
 Il cavallo bianco metonimia del simbolo cristico»]




Fonte : scritti del prof. Alessio Varisco , Designer-Magister Artium,  Art Director Técne Art Studio , sito web www.alessiovarisco.it .  
fonte foto: http://server.icvbc.cnr.it/bivi/eng/schede/Lombardia/Duomo/immagini/ill23.jpg



























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