SIMBOLICA CRISTIANA RICORRENTE NELL'ICONOGRAFIA CRISTIANA
di Alessio Varisco
Il Cavallo Bianco dell'Apocalisse:
in alto rappresentato da Giorgio De Chirico
e in basso da Alessio Varisco
Il simbolo del cavallo,
nell’ambito della tradizione cristiana, non viene quasi mai rappresentato
individualmente come attributo a Cristo. Solo in Francia riguardo la decorazione
della cripta di Notre-Dame di Montmorillon, nella Diocesi di Poitier, ritroviamo
un cavallo bianco coronato da un nimbo crocifero con il cartiglio «Agnello di
Dio»[i].
Sempre in Francia, in Provenza, nella “comanderai de Biot”,
troviamo una pietra molto antica, utilizzata come materiale di spoglio
nell’erezione di un’abitazione nel XV secolo che reca una testa di cavallo,
peraltro molto consumata, inserita in una croce accerchiata, interna ad una
araldica.
Nella chiesa romanica di Saint-Contest a Calvados su di un
modiglione ritroviamo un quadrupede recante sulla groppa una croce. Lo studioso
Du Monsel l’ha considerato un Agnus Dei, mentre il suo disegno autentico è
certamente un equino[ii].
Il cavallo reca più spesso un cavaliere su di sé. Questa
figurazione si riallaccia all’antico simbolismo del cavallo che reca un
cavaliere unitamente al destriero.
«I nostri Padri non hanno ad associarli poiché la loro vita, più
ancora della nostra, li riuniva quasi quotidianamente; spesso durante il primo
millennio della nostra era, una stessa sepoltura riceveva il cavallo ed il suo
padrone»[iii].
Specialmente in ambiente francese, per il contributo dato dalla
mitologia gallica, l’unione del cavallo e del cavaliere simboleggia il cielo che
un gigante anguipede portava sulle sue spalle[iv].
Durante la mistica medioevale, di ambito occidentale, l’immagine
del cavallo montato rappresenta “l’umanità/divinità”[v]:
l’animale montato è l’umanità, mentre il cavaliere la Divinità. Paradigma
cristologico a livello iconografico letto e risolto alla luce di Ap 19,11.
Nell’ambito del dibattito iconografico Monsignor Barbier-Montault
e Cloquet si son fatti eco di questo simbolismo, che lo stesso Raban-Maur, abate
di Fulde ed Arcivescovo di Magonza nell’856, affermava e cioè che il cavallo
bianco dell’Apocalisse rappresenterebbe il Cristo umano, la sua umanità, da cui
si irraggia su tutto l’essere santificato.
«Equus est humanitas
Christi: ut in
Apocalypti,
Ecce equus albus Id est, caro Christ omni
Santificate fulgens»[vi].
Appartenente a questo stesso spirito ritroviamo al Museo
Archeologico di Berlino una stele che mostra il Cristo equestre benedicente le
schiere angeliche che lo affiancano[vii].
Paradigma delle due nature di Gesù, Dio e uomo, le banderuole di
alcune campanili del Midi della Francia rappresentanti un cavaliere[viii].
Il mantello del cavallo, nell’ambito della mistica e
dell’ermetismo medioevale, assume diversi significati dipesi dalle tonalità: il
bianco rappresenta gli eroi vergini[ix],
cavalieri senza macchia; è la cavalcatura dei gloriosi e quando porta il Cristo
rappresenta il Re dei re, Vittorioso sulla morte. Questo cavallo bianco
manifesta in un’atmosfera di allegria e di apoteosi la sconfitta sul male[x].
Molteplici sono le raffigurazioni di questi cicli del Cristo equestre
trionfatore gioioso: il Cristo trionfatore di Auxerre e uno analogo nella Chiesa
di Notre-Dame di Brou, di epoca rinascimentale[xi].
In tutta l’arte medioevale il rosso, la sfumatura rossiccia, come
il rosso vivo è simbolo del sangue. Perciò i cavalli raffigurati sulle vetrate o
sui codici miniati hanno due sensi: cavalcatura del Cristo-Redentore e vittima,
così come del Cristo-Giudice che vendica il male sconfiggendolo mediante il Suo
Preziosissimo Sangue. In entrambi il Salvatore è comunque vestito di rosso ed
anche il destriero è rossiccio;
«ogni vittima è arrossata dal suo sangue, perché gli ampi abiti
rossi sono, da un gran numero di secoli, quelli dei sovrani giudici che hanno il
potere di punire con la morte anche perché il Profeta Isaia lo descrive sotto
questo colore quando dipinse in anticipo come vendicatore che calpesta, al
frantoio di Bostra, i suoi nemici come vendemmia maledetta.
“Chi è colui che giunge da Edom, da Bostra, in abiti scarlatti?
E’ splendido nel suo vestito, si innalza nella grandezza della
sua forza.
-Sono io, che parlo con giustizia e sono potente nel soccorrere.
-Perché è rosso il tuo vestito, perché le tue vesti sono come di
chi pigia il vino?
- Nel tino pigiato da solo, e tra i popoli, nessuno è stato come
me. E li ho pigiati nel mio sdegno, e schiacciati nel mio furore, il loro sangue
è sprizzato sulle mie vesti, e tutti macchiati ho gli abiti del loro sangue!” [Isaia
LXIII, 1-4]»[xii].
I cavalli scuri e quelli pallidi debbono leggersi come simbolo di
“malocchio” nell’emblematica[xiii].
Il cavallo-male è rappresentato anche nell’ambito di una simbolica cristiana e
nella relativa iconografia.
Le visioni bibliche di cavalli e cavalieri vengono rappresentati
in arte con grande espressività in tutte le epoche. Soffermandosi sulla profezia
di Zc 1,8-12 troviamo «l’angelo di JHWH che stava tra i mirti»[xiv]
che sarebbe l’immagine profetica del Cristo-equestre[xv].
A tal proposito l’arcivescovo Raban-Maur dice fermamente nelle sue “Allegorie”:
«Vir ascendit super equum rufum.
Dominus atque salvator
est, qui dispensationem nostrae carnis assumpsit»[xvi].
L’angelo del Signore nella chiusa del discorso
profetico di Zaccaria monta un cavallo rosso tra i mirti. Il Logos divino che è
Gesù è più volte raffigurato con simboli rossi anche perché dona il Sangue per
noi[xvii].
Le immagini del gruppo equestre di Zaccaria, presenti in numerosi affreschi,
risentono dell’immagine emblematica del Cristo-giudice del Giudizio Finale che
l’arte cristiana ha citato inserendo l’istoriazione veterotestamentaria.
Giovanni a Patmos vide gli “orizzonti eterni” di scene di
grandezza inconcepibile: i primi quattro cavalieri dei primi quattro sigilli.
Sovente nella raffigurazione cristiana abbiamo l’isolamento del primo dai
restanti tre, poiché simile al Fedele-Verace, una sorta di censura degli altri
tre terribili. Questa cavalcatura cangiante, nell’ambito pittorico risulta
enfatizzata, porta in sé l’emblema della ricezione della Parola di Dio che il
Logos ha in sé.
«Ovunque appare, nell’Apocalisse, un personaggio montato, la
cavalcatura e il personaggio figurano insieme la stessa cosa. Il cavallo bianco
con il suo cavaliere rappresentano un oggetto unico che è Gesù Cristo Vittorioso»[xviii].
San Giovanni raffigura i quattro cavalli celesti tanto da dare
infiniti spunti di riflessione ai pittori; Dürer intaglia nel 1498[xix],
con lo stile scarmigliato che gli è usuale, proprio questi quattro cavalieri
eseguendo la raffigurazione dell’Apocalisse in diverse tavole[xx].
Sulla tomba del Vescovo di Limoges, Jean de Langeac,
presumibilmente eseguito da Jacques d’Agoulême nel 1544, un bassorilievo
presenta la più impressionante rappresentazione su questo soggetto che sia mai
stata realizzata.
Il “Commento sull’Apocalisse” del Beatus rappresenta senza dubbio
la più grandiosa delle immagini emblematiche del Cristo Giudice potente che
trionfa sul male. Questo modello è quello più praticato cui i miniaturisti
medioevali fanno riferimento nelle loro realizzazioni. Quella del Beatus è
un’immagine certamente realizzata nel XII-XIII secolo presentante il Verbo
montante su un cavallo bianco, dalla cui bocca esce una spada affilata a doppio
taglio: l’immagine corrisponde alla descrizione che ci viene dall’Apocalisse di
San Giovanni nell’ambito del Giudizio Finale (Ap 19,11ss.). A questa
strutturazione fedele al testo giovanneo l’artista aggiunge uno strumento utile
a quel tempo al fiero e valoroso cavaliere: la lancia nella destra.
Caratteristica di questa rappresentazione anche la grande aureola multiforme che
rimpiazza i diademi multipli che altri artisti invece disponevano sulla testa
del Divin Cavaliere.
In Asia, presso un gruppo iniziatico, la tradizione sanscrita
dell’Apocalisse giovannea è vista come il libro principe per il raggiungimento
della Verità. Inoltre il cavaliere adorno della veste grondante sangue, insieme
alla sua cangiante cavalcatura, è considerato l’emblema terrestre più sacro,
indicato col nome «grande Atteso dell’ultimo giorno», o anche «Colui che si è
promesso per l’ultimo giorno»[xxi].
Abbiamo poi alcune altre raffigurazioni tra cui, la più singolare,
l’ippogrifo composto di: tronco di cavallo bianco, testa d’aquila, ali d’oro,
lampi che sprizzano dai suoi occhi in riferimento al brano di Ap 19,11ss. Questa
è certamente la più singolare figurazione.
[i]
Si veda: Auber,, Historie
et théorie du symbolisme religieux. 175; Congrès archèologique de
France. 1870, 70.
[ii]
T. du Moncel, Modillons des
églises romanes de la Basse Normandie. In «Bulletin monumental» 1842,
n.32. 21.
[iii]
L. Chaibonneau-Lassay, op.
cit., 319.
[iv]
Si veda: Dom Leclerq,
Dictionnaire d’Archèologie chrétienne.
Vol I, 98.
[v]
L’applicazione di questa simbolica risolve l’enigmatico «Cur Deus Homo».
[vi]
Apocalypse VI,2¸Raban-Maur,
Allegories.
[vii]
Dom Leclercq, Dictionnaire
d’Archelogie chrétienne. II. Vol. I fig. 1536.
[viii]
V. J. Claustres,
Intermédiarires des Chercheurs et Curieux.
Luglio 1925. 678.
[ix]
Si pensi al termine “leukoV”
nell’ambito dell’Apocalisse di San Giovanni.
[x]
Si osservi: «Trionfo del Cristo» nella Cattedrale di Auxerre.
[xi]
Grimouard de Saint-Laurent,
Guide de l’art chrétien. II, 438.
[xii]
L. Chaibonneau-Lassay, op
cit. 321.
[xiii]
Si legga in particolare: F. D’Aycaz,
Le cheval.
In «Revue de l’Art Chrétien» anno 1872, 242.
[xiv]
Zc 1, 11. A tal proposito si veda la Parte I biblica.
[xv]
L. Chaibonneau-Lassay, op
cit. 322.
[xvi]
Traduzione: «Egli è il Signore che governa il destino della nostra carne per
orientarlo verso le cose elevate».
[xvii]
A tal proposito: C. Crampon,
La Sainte Bible.
Dictionnaire du Nouveau
Testament. Alla voce «Verbo»,
355.
[xviii]
Billot, La parousie.
233.
[xix]
Abate Texier,
L’iconographie de la mort. in «Annales archéologiques» T. XVI. 1856,
164.
[xx]
A tal riguardo si vada al 4.3. di questa seconda parte.
Fonte : scritti del prof. Alessio Varisco , Designer-Magister Artium, Art Director Técne Art Studio , sito web www.alessiovarisco.it .
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