domenica 14 luglio 2019

L'APOCALISSE DI GIORGIO DE CHIRICO, di Alessio Varisco



L'APOCALISSE DI GIORGIO DE CHIRICO

di Alessio Varisco

               


 
Il primo dei quattro cavalieri
            

«E gli fu data una corona»
La prima litografia di De Chirico dedicata ai primi quattro sigilli presenta un cavaliere nudo che monta al pelo un mansuetissimo cavallo e riceve da una nube la corona.
A differenza dei precedenti modelli l’Autore isola i quattro cavalieri, sforzandone lo sguardo e l’attenzione volta per volta su ognuno dei quattro. Così facendo dilata il tempo della visione, scindendo i quattro momenti e rendendo una degna plasticità mediante l’esaltazione dell’autonomia dei cavalieri e dei compiti cui sono chiamati.
Sullo sfondo, come nelle tre scene dell’Apocalisse di De Chirico precedenti[i],
le nubi a definire la scena ove cavallo e cavaliere si muovono. Enfatizzato il ruolo di entrambi spettacolarizzati dalla sintonia dei due. Il montante ha le fattezze di una statua greca, di un “KouroV”, ignudo come gli dei dell’Olimpo ha la faretra posteriormente a tracolla ed impugna colla mano destra l’arco, riceve con la sinistra il vessillo del potere.  Una presenza misteriosa da destra, di cui si scorgono le sole mani, gli consegna la corona, simbolo del potere e della vittoria.
L’atmosfera è decisamente gloriosa, si noti lo sguardo del cavallo, mansueto, a testa bassa, con le orecchie a mezz’asta, simbolo di remissività. Il destriero si muove libero, non frenato né bardato, al passo.

 

Il secondo dei quattro cavalieri
          

«E gli fu data una gran spada»
Questa quinta tavola presenta il secondo cavaliere dell’Apocalisse, raffigurazione di Ap 6,4, in un modo inconsueto e alieno agli schemi precedentemente osservati.
Inusuale rappresentazione che esprime una grande dinamicità: cavallo e cavaliere di scorcio corrono sulle nubi.
L’andatura del destriero è di un cavallo che salta, gli anteriori e i posteriori sono pari -sospesi in aria gli anteriori- raccolti nello slancio del balzo. Gli occhi rivelano una grande concentrazione, il collo è teso e le masse muscolari dimostrano uno sforzo, la criniera è mossa dal vento e dalla velocità. Il cavaliere perde di rilievo mentre con la mano sinistra protende verso la spada consegnatagli da una presenza misteriosa sul lato sinistro, una sorta di turbante, un panneggio che cede l’arma.
Il cavallo è montato “al pelo” come il precedente schema di De Chirico. Qui però le nubi e lo schema dei personaggi sono in scorcio prospettico, il punto di fuga verso l’angolo superiore sinistro.
Le nubi rade, spezzate e mosse dal vento di tramontana, simboleggiano la battaglia ormai prossima e portano distruzione.
L’immaginario dell’osservatore è accresciuto dalla tremenda profezia -e si completa di angoscia- «al suo cavaliere fu dato il potere di far scomparire la pace dalla terra». Inquietante.

 

Il terzo dei quattro cavalieri
           

«... aveva una bilancia nella sua mano»
La sesta tavola rappresenta il terzo cavaliere, quello montante il cavallo fulvo. Il cavaliere troneggia in tutta la sua autorevole maestosità. Ritto con lo sguardo fiero verso l’angolo sinistro del disegno, regge con la mano sinistra il suo simbolo: la bilancia.
La cavalcatura è monumentale, enorme, nel centro dell’immagine. Del cavallo quasi non si scorgono gli occhi, la testa è molto alta; quasi mai il cavallo la porta così in alto perché la massa peso spostata è molta e non tutti hanno sufficienti muscoli per alzarla tanto; quest’atteggiamento rivela l’inquietudine del destriero che in branco si prepara ad attaccare, quando è con altri simili allo stato brado, oppure -e ce lo rivelano le nari- è pronto allo scatto. Altro dato importante le orecchie, estremamente corte, raccorciate ancor più poiché schiacciate all’indietro ci dimostrano il nervosismo come quelle nari dilatate. Il soggetto muscoloso come i precedenti è certamente uno stallone adulto dallo stinco possente e dalla straordinaria capacità locomotrice; gli zoccoli sono in stallo, quasi immoti; avanza il sinistro a suggerire un accenno di passo ed il destro (tipico dell’andatura del cavallo che muove le zampe alternativamente incrociate).
Si può notare una folta criniera e la coda lunghissima permanentata che piega sulla sua sinistra, noi vediamo a destra, che suggerisce il vento che sta intorno ai due protagonisti segnati dai loro simboli.
La scena è freddissima, poiché intorno al cavallo e al cavaliere non vi sono nubi, solo ai bordi. Il cavaliere come nelle altre figurazioni dechirichiane monta al pelo e sembra una plastica divinità greca dai capelli ricci.
A differenza della quarta e quinta tavola De Chirico qui pone il simbolo del cavaliere già nelle sue mani e ciò inquieta poiché ci fa pensare che abbia già provato le sue scorribande. La bilancia, simbolo della giustizia e dell’equità, è fatalmente immota, ciò fa presagire la carestia che colpirà la terra: «Una misura di frumento per un danaro e tre misure d’orzo per un danaro!».

 
Il quarto dei quattro cavalieri
         
«Il suo nome è Morte e l’Orco l’accompagnava»
La settima tavola delle illustrazioni dell’Apocalisse di De Chirico è l’ultima dedicata all’apertura dei primi quattro sigilli. L’intento dell’artista è quello di scandagliare la forza della simbolica equestre apocalittica.
De Chirico ci mostra due cavalcature: Morte ed Ade. La morte cavalca un piccolo cavallo smilzo dagli occhi frenetici, dalle orecchie piccole da porco e le nari simili ad un asino. L’andatura è un salto in galoppo. Lo scheletro è colui che monta e con la falce continua a «sterminare la quarta parte della terra». Alle sue spalle l’Orco dagli occhi sbarrati, ipnotizzanti, le braccia alzate ed una tunica svolazzante coi pugni serrati in aria minaccia chi lo osserva.
Entrambi i cavalli sono terribili, come in preda alla rogna, la loro demente espressività suggerisce terrore. Quello in primo piano, più piccolo, un pony, avanza verso l’osservatore, ebete, senza osservare gli ostacoli, quasi fosse cieco; l’andatura è sostenuta, ma in piega a sinistra e forma con l’altro molto più grande un angolo acuto. Sia il primo che il secondo cavallo sono scomposti, le criniere ispide e mal curate.
Occorre pure osservare che il primo cavaliere -Morte- monta non sulla groppa ma sulle spalle posteriori, molto indietro; ciò è reso possibile dall’esiguo peso, un mucchietto d’ossa, uno scheletro. Come nella figurazione di Dürer i piedi dello scheletro pendono a dismisura, quindi il cavallino ha un torace insufficiente oppure il cavaliere è troppo alto rispetto al destriero; questa sproporzione rende ancor più la drammaticità. 
Le tavole di De Chirico appena illustrate rivelano una totale assenza di scene eccezion fatta per le nubi. Questa caratteristica è tipica dell’estetica dechirichiana incline a creare scenari da sogno; questa metafisicità accresce di molto il pathos sul destino dell’umanità che resta colpita dai simboli dei quattro cavalieri, ma è estraniata dalle pene inflitte. Emblematico ed ancora più angosciante poiché non vediamo i prodotti di queste piaghe. Le nubi sono l’unico teatro; sintomatico ed inquietante!


Il Cristo equestre
         

«... ed ecco un cavallo bianco...»
La sesta tavola di De Chirico presenta un maestoso cavaliere -monumentale- al centro della scena, fra le nubi con dietro una moltitudine di sterminati cavalieri, ed un uomo a terra inginocchiato in riva al mare. Il personaggio in estasi è San Giovanni che riceve la apparizione del Cristo equestre «il cielo si aprì. E vidi un cavallo bianco». L’intera visione è forse la più potente fra quelle di De Chirico di illustrazione ad Apocalisse; altresì il gusto dell’Autore rivela una straordinaria capacità evocativa di contemplazione ed immedesimazione nello sperimentare l’apparizione. 
Lo schema è quello della visione, anche Dalí riprenderà questo modello nella sua “Tentazione di S. Antonio”, o meglio nell’illustrazione di Ap 19,11. Il cavallo ed il cavaliere sono esaltati e rivelano la maestosità che sovrasta le umane creature. Unico precedente nella sontuosità del cavallo è riscontrato nel monumento equestre di Marco Aurelio, nel “topoV” della scultura monumentale imperiale romana. Da sottolineare la centralità regale del Cristo -riccamente adorno di una tunica- dagli occhi come stelle brillanti, dal volto quasi invisibile poiché emanante luce propria, Egli è il Vero Sole, l’Unica Luce che illumina il mondo. Il cavallo volge il muso a sinistra poiché il suo padrone con lo sguardo diretto a destra dirige la spada affilata a doppio taglio proveniente dalla sua bocca verso l’esultante uomo inginocchiatosi dinanzi questo trionfo di maestà.
La positura del Condottiero «Fedele» e «Verace» rimanda -come testé detto- a modelli scultorei; ottima la resa plastica della massa muscolare del destriero che nonostante la capezzina non è frenato. L’incedere è mirabilmente espresso, si ode quasi il rumore di quegli zoccoli sulle nubi che gli fanno da tappeto. Il posteriore sinistro sollevato con l’anteriore destro e qui raffigurato in una “figura” abbastanza complessa: la “spalla in dentro”[ii].

Il Cristo è accompagnato dalle sue milizie per riprendersi il Suo Regno. L’immagine dell’infinitudine che lo segue mentalmente fa sconfinare i bordi del foglio e crescere “ad libitum” il numero dei cavalieri. Le tre tavole finali continuano per forza d’inerzia, la presente rappresenta il massimo dell’incisività vertiginosa. De Chirico smorza nelle tre conclusive questo tono così maestoso e pregnante cedendo a visioni più beatifiche nella nuova Gerusalemme, che discende dal cielo, ove il Santo è colto come Mosè col pastorale alla sua destra in un paesaggio ricco di arbusti come la macchia mediterranea; Dio in trono mostra il «fiume d’acqua viva» con un Agnello ai piedi sotto cui zampilla l’acqua; l’ultima presenta una scena desertica dove campeggia al centro l’angelo mentre l’Evangelista cade per adorarlo.
Fra tutte questa raffigurazione di Ap 19,11 è l’ingresso di Cristo nella storia per il Giudizio Finale, essa ci mostra una monumentale e trionfale cavalcata del Condottiero, difficile movenza simbolo di maestria, seguita dalla moltitudine infinita di miliziani tutti a cavallo. E’ questo il trionfo -quasi epico-celebrativo- della centralità del teriomorfismo nella realizzazione delle figurazioni dell’Apocalisse di San Giovanni da parte dell’artista De Chirico che segna una nuova frontiera per l’illustrazione della “Rivelazione” nel panorama della storia dell’arte universale.
 
 


 

[i] A) La prima tavola presenta il “Trionfo di Dio” ammirato dal sole, sette viventi, una brulicante folla a piedi, un cavaliere col suo destriero di spalle, un cane visto dietro e da un bimbo intento a giocare con un carrettino giocattolo. La profezia richiama l’esultanza e la felicità della Venuta definitiva di Dio nella storia.
B) La seconda tavola «(qualcuno), simile a un figliuolo d’uomo!»: citazione apocalittica del “Quarto Vangelo” di San Giovanni, illustrazione di Ap 1,12 che ricorda un poco la terza tavola di Dürer.
C) «Ed ecco un trono stava in cielo», la terza tavola è l’illustrazione di Ap 4,2 presentante Dio in trono, i Quattro Viventi in basso in primo piano ed attorno al Trono la schiera dei Ventiquattro Vegliardi.
[ii] Questo “movimento laterale” richiede un buon addestramento sia del cavallo, sia una “buona conoscenza della sella” da parte del cavaliere. La “spalla in dentro” consiste nel transitare con un cavallo “riunito” «la redine interna indica al cavallo di spostarsi all’interno della pista, dando la direzione al movimento, mentre la pressione della gamba interna richiede la flessione del cavallo. La gamba esterna, posizionata più indietro del normale, si associa all’azione dell’interno per stimolare il cavallo ad avanzare. Ben eseguita, la spalla in dentro, porta a un “rilevamento del treno anteriore” del cavallo che si traduce in un rapporto migliore con le mani del cavaliere. Inoltre la spalla in dentro favorisce l’abbassamento dell’anca interna che porta il cavallo a impiegare meglio il posteriore sia nella riunione sia nelle flessioni laterali.» (J. Connor, Cavalli e cavalieri. Consigli dell’esperto. Bergamo, Il mio castello, Ottobre 2000, 25). Compito principale è “riunire il cavallo” e frontalmente scorgere tre zoccoli; è un esercizio di riscaldamento di livello medio-alto praticato in dressage.
  




Fonte :   scritti del prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio , sito web www.alessiovarisco.it .
Fonte foto : www.fondazionedechirico.it 




























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