SAN MARTINO DI TOURS : Cavaliere per Cristo
di Alessio Varisco
Duomo di
Lucca, “Carità di San Martino”, inizio XIII secolo.
Quale può essere una
testimonianza forte della venuta del Messia? Chi ce ne ha portato un esempio?
Come si celebra la con-divisione? In che modo si trova riscontro nelle arti
figurative?
Vivere “sine
glossa” il Vangelo significa , senza commenti,
farsi icona del Cristo.
Due personaggi, entrambi
“cavalieri” abbandonano il mondo, le armi per dedicarsi ai poveri, in epoche
diverse, in luoghi diversi. San Martino di
Tours e San Francesco
d’Assisi ci fanno gustare il sapore della bellezza, la delizia della gioia del
credere nel loro imitare quanto ha fatto Gesù.
Iniziamo dal primo, che
segue il Cristo e diviene esempio positivo
ancor’oggi.
Martino muore
Vescovo di Tours nel IV
secolo e fontale è l’incontro, quando è ancora
catecumeno, con un povero nudo con cui divide il mantello.
«Un
giorno in cui non aveva nulla con sé, nulla al di fuori delle armi e del
mantello militare, nel pieno di un inverno che, più aspro del solito, faceva
rabbrividire a tal punto che l’intensità del freddo mieteva moltissime
vittime, si imbatte presso la porta di
Amiens in un povero nudo.
Mentre questi pregava i passanti di aver compassione di lui, e tutti passavano
oltre lo sventurato, quell’uomo pieno di Dio si
rese conto che il povero, al quale gli altri non accordavano misericordia, era
riservato a lui. Eppure, che cosa avrebbe
potuto fare? Egli non possedeva nulla oltre la clamide che indossava: aveva
già consumato il resto in un’opera dello stesso genere. Così, afferrata la
spada che portava al fianco, taglia la veste a metà e ne porge una parte al
mendicante, mentre lui si ricopre con l’altra. In quel
mentre fra i presenti alcuni si misero a sghignazzare, perché appariva
ridicolo con la veste tagliata; al contrario molti, meno sconsiderati, si
rammaricavano assai profondamente per non aver compiuto loro niente di simile:
loro che, possedendo evidentemente di più, avrebbero potuto rivestire il
povero senza spogliare se stessi.
La notte successiva, dopo
essersi addormentato, egli vide il Cristo vestito con la metà del mantello con
cui aveva ricoperto il povero»[i].
La cronaca di questa
vicenda del Santo Vescovo di Tours lascia basiti e
ci ricorda il “Il giudizio finale” in Mt
25
Cristo
nel presentare il Giudizio così continua
«Rispondendo
il re dirà loro: “In verità vi dico: Ogni volta che avete fatto queste cose
a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatta a me”»[iii].
Martino ha
molto poco, non è ancora battezzato e riceve la
visita di Cristo, ma riesce a dividere quel poco che ha e ci invita a
riflettere sul significato della “condivisione”.
Legge evangelica
applicata, quella di Martino, si manifesta come indicato nel capitolo
quattordicesimo[iv]:
i cinque
pani e due pesci messi a disposizione inscenano la “caritas”.
La spada, simbolo per
antonomasia di
divisione-guerra-violenza-oppressione, diviene il mezzo per
condividere.
La carità suscita il
ridicolo in molti, che deridono, ma non è una buona ragione per non farla. Chi
ha meno sembra che possegga molto di più di chi ha molto.
Operiamo ora un raffronto
fra due opere che segnano una grossa differenziazione negli stilemi
iconografici del Santo:
- Simone Martini, “Vita di
S. Martino”, Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco d’Assisi;
- El
Greco, “San Martino divide il mantello con un mendicante” (1590), Washington,
National Gallery;
e
nel frattempo introdurremo la figura di San Francesco, per poi dedicare a
quest’ultimo un’analisi degli affreschi giotteschi.
Simone Martini, San Martino divide il mantello con un povero, 1317 ca.,
Basilica Inferiore, Assisi
l’artista mette a
frutto -in Siena- la padronanza prospettica
appresa da Memmo Filippuccio
che lo inizia all’affresco ed alla conoscenza dell’arte
giottesca. Ma è nel 1317 che su richiesta
degli Angioini si appassiona alle vite dei Santi:
famosissima l’opera di “San Ludovico da Tolosa” che incorpora Roberto d’Angiò,
e le “Storie di San Martino” affrescate nella Basilica Inferiore di San
Francesco su commissione del Cardinale Gentile di
Montefiore, partigiano degli Angioini.
«Ascoltai
il mio cavallo mordere l’imboccatura. Sentii le radici dell’albero protese
verso di me, cariche di linfa, dure nell’inverno come vene di pietre preziose.
Sentii la roccia sollevarsi e salutare le mie ossa. [...] Mi domandai se la
mia soddisfazione, d’adesso, le trasmettesse pace»[vii].
E questo tema del
Santo-Cavaliere, della vita d’armi, racconta quella sacralità intrisa
di esaltanti rimandi a elementi profani, che sarà
uno degli aspetti più affascinanti della cultura tardo-gotica. Simone Martini
risulta famoso per le sue Madonne, le
annunciazioni e per il
Petrarca per cui miniò il frontespizio di un “codice di Virgilio”: il “Virgilius
cum notis
Petrarcae” (conservato all’Ambrosiana di Milano)
ed il ritratto perduto di Laura, rimane molto vicino all’ideale cavalleresco
-legato a tornafilo alla letteratura della sua
epoca- tant’è che il condottiero
Guidoriccio da Fogliano
è raffigurato contro uno sfondo di paesaggio quasi metafisico (Palazzo
Pubblico di Siena). Per contrasto vedasi l’immagine del ciclo d’affreschi
di Giotto conservati nella Basilica Superiore raffiguranti la leggenda
del Poverello ove San Francesco dona il mantello -
le testimonianze dicono che il figlio di Pietro
Bernardone, assisano sposato con una
francese, inizia il figlio Francesco alla cavalleria; questi in Foligno dona
il suo mantello spogliandosi sull’esempio di Cristo, in una città che allora
era uno dei più fervidi mercati verso Macerata e dove la figura del cavallo è
associata a tradizioni popolari ancora vive nella Giostra della Quintana, di
origine remota, resa gara pubblica per il governo della città dal Seicento, e
dove nella Cappella di San Feliciano, Vescovo della città, questi è ritratto
immerso fra cavalli simili alle visioni del Profeta Zaccaria; il ciclo
folignate in oggetto è caratteristico di rimandi
biblici veterotestamentari intessuti con la vita
del Santo.
3.5.2.
San Martino a cavallo
Duomo
di Lucca, “Carità di San Martino”, inizio XIII secolo.
Singolare la
raffigurazione plastica lucchese di San Martino di
Tours risalente al XIII secolo, manufatto di
scuola pisana, di autore ignoto che sappiamo essere
il maestro di Nicola Pisano.
Il documento fotografico
d’archivio mostra il gruppo, Martino a cavallo ed il povero, nella sua
collocazione originaria sul fronte esterno della
Cattedrale di Lucca; purtroppo a seguito dei restauri e per una migliore
conservazione il complesso scultoreo è stato spostato dalla originaria sede e
posto nella controfacciata, in facciata è comunque
visibile un calco.
Intendo anzitutto
premettere che l’ambiente pisano è uno dei più fervidi intorno al XII secolo
soprattutto perché
«centro
di cultura classica»[viii].
Pisa diviene
infatti la capitale della scultura per i continui rapporti con
l’Oriente riuscendo grazie a questi contatti a dare uno statuto classico a
quella disciplina divenuta nel tempo
«complementare
dell’architettura, legata al cantiere ed alle sue maestranze»[ix].
La scultura diviene
nuovamente in questi anni ciò che era presso gli antichi,
ri-ergendosi a disciplina artistica autonoma più direttamente collegata
ai modelli ed agli schemi romani, si pensi che i documenti figurativi sono
appunti oltre che opere scultoree.
Una personalità definita
anche se anonima è quella dello scultore che agli inizi del 1200 istoria
stipiti, architravi del Duomo intrecciando una plasticità modulata, ancora
bizantina, a sentimenti che possono già dirsi classici, con
una iconografia molto tradizionale seppur originale
per la definizione a rilievo di molti personaggi (vedasi “Mesi” e la scultura
“Carità di San Martino”). Quest’anonimo scultore viene
definito dal Vasari il maestro
di Nicola Pisano; certamente meglio di ogni altro l’anonimo maestro pisano
intuisce la lezione bizantina, e mi riferisco alla
figuratività, mostrando però di non cadere nella grossa antitesi che
viene profilandosi da quegli anni tra mondo greco e latino. In giusta ed
equilibrata fusione opera un abile sincretismo dimostrando
grande padronanza delle masse e inserendo quella raffinatezza un po’
diafana della linearità bizantina: la descrittività
dei crini del destriero, lo sguardo del cavallo rivolto allo spettatore,
«regolando
la posizione della testa che il cavaliere controlla con il cavallo, e perché
l’azione divenga chiara -se serve- ed elastica alla bocca la testa deve essere
leggermente piegata alla nuca, l’eventuale rilevarsi della incollatura non
deve mai richiedersi alzando le mani, ma bensì con un’azione di assetto e di
gamba che, aumentando l’impulso, provoca un abbassamento di groppa conseguente
a un maggior impegno dei posteriori. [...] Bisogna ricordare che il cavallo
non può contrarre nessuna parte del corpo senza contrarre
la mascella, quindi la mascella elastica è l’indice sicuro di decontrazione
generale»[x].
La centralità del santo
nella scena ed il suo osservarci frontalmente, l’avanzare lento ed umile del
povero che questua l’elemosina, il panneggio delle tuniche molto curato nel
comporre una texture ben marcata e contrasti
chiaroscurali (visibili nonostante lo sporco che ricopriva la scultura).
Questa “Carità di San Martino” è un’opera eccezionale che riscopre
«d’un
tratto, spontaneamente, la misura della statuaria
romana»[xi],
ma
notiamo che la esprime mediante una più sintetica densità di linee e masse.
3.5.3.
San Martino di El Greco
San Martino a cavallo divide il mantello con un
mendicante
1597-1599 , olio su tela ; 193 x 103
1597-1599 , olio su tela ; 193 x 103
Domenico
Theotokòpulos (detto “El
Greco”) è un pittore spagnolo di origine cretese
che riceve la sua prima formazione artistica in Creta nel Convento di Santa
Caterina, poi si trasferì a Venezia, conobbe Tiziano, ma fu l’incontro con
Tintoretto che influenzò particolarmente il suo
stile lasciando un’ombra indelebile in quella già predisposta sensibilità ai
contrasti luministico-cromatici. Visse molto in
Italia ma la sua Patria d’adozione resta la Spagna,
dove ha modo di mettere a frutto quanto appreso nelle botteghe cretesi e
veneziane. Toledo, Prado di
Madrid, oltre a diverse città del settentrione della parcellizzata Italia di
quel tempo recano molte sue opere. Le opere di
El Greco non hanno incontrato i favori di
Filippo II che non le apprezza, comunque sia continua la sua produzione
rinfrancato dall’ambiente fervidissimo della capitale iberica. Immagini
estatiche, spirituali, ascetiche, trasfigurate ove l’espressione di luce è
fortissima nel turbinare di una profondità spaziale a volte cupa, notturna,
con scelte estreme di luce. Gli ambienti religiosi
toledani apprezzano molto l’espressività delle sue opere
drammaticamente segnate di quella vivida spiritualità accesa, a tratti
drammatica, ma così umanamente -o meglio- interiormente reale che lo rende un
lucido appassionato interprete del panorama artistico di quegli anni.
Da segnalare le molte vite
di Santi, la Veduta di Toledo, “Il quinto sigillo dell’Apocalisse” conservati
al Metropolitan Museum
di New York.
La tela della
National Gallery
raffigurante il Vescovo di Tours allarga la
distanza tra i due personaggi ed inserisce un “attributo” della vita -già
inserita anche dal Martini in Assisi nella vestizione del cavaliere- di
Martino che appare ricco: cavaliere a cavallo[xii],
su un nobile destriero di
razza, un andaluso[xiii].
«Certi
cavalli hanno un equilibrio naturale e facilmente riacquistano e sviluppano
questo loro equilibrio, che l’aggiunto peso del cavaliere aveva in principio
naturalmente compromesso. Altri, ed è la maggior parte, sono difficili da
equilibrare per difetti di costruzione»[xiv].
Impeccabile il portamento
del cavallo qui raffigurato.
I simboli della ricchezza
del cavaliere, oltre alla presenza in scena del suo destriero, sono segnati da
una lussuosa sgargiante armatura, la gorgiera elegante, che fanno di Martino
un nobile “hidalgo” del Seicento spagnolo che può essersi imbattuto in uno dei
molti mendicanti sulla sua strada.
Di
evangelica memoria
l’architettura della scena: il protagonista si ferma; questa sosta è simile a
quella del samaritano (Lc 10,33-39) che si prende
cura del malcapitato davanti al quale il sacerdote ed il levita erano passati
oltre.
Qui il pittore -regista di
una sua nuova rappresentazione, ma ricca di
atteggiamenti che potrebbero essere anche così accaduti e mai narrati-
inserisce nella sceneggiatura un “giumento” forse per rendere ancora più
letterale la “parabola del buon samaritano” (Lc
10).
«Un
giorno un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e
incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se
ne andarono lasciandolo mezzo morto. Per caso, un
sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre
dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel
luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio,
passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione.
Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi
caricatolo su un giumento, lo portò a una locanda e
si prese cura di lui»[xv].
«kai
proshlqen katedhsen ta traumata auton epicewn elaion kai oinon, epibibasaV de
auton epi to idion kthnoV hgagen auton eiV pandoceion kai epemelhqh»[xvi].
Alla narrazione di
Sulpicio Severo il Greco aggiunge
questo ulteriore elemento, di San Martino equestre,
che rende letterale e visibile la connessione:
samaritano-Gesù-Martino.
Chiunque, ovunque e
comunque è chiamato a rifare il gesto di Martino,
ancor più un hidalgo, a maggior ragione chi ha di più. Paradigmatiche le mani
del Santo: con la sinistra frena la sosta del giumento
mentre con la destra taglia il mantello e dà il suo dono, dall’altro
lato -in simmetria- le mani del povero sono a chiedere (la destra) e ad
accogliere (la sinistra). Ulteriore elemento che
vitalizza e caratterizza l’opera è certamente lo
sguardo degli occhi dei due protagonisti. Martino non guarda il
povero poiché intento a donare ed il mendicante
questua guardando le mani dell’offerente poiché è troppo in alto per lui. Gli
occhi del povero sono
Entrambi
sono sguardi di fiducia. In particolar modo il
povero (noi al giudizio? potremmo leggerlo)
intuisce che lo strumento di potere -la spada- che può anche offendere, qui è
a difesa e non mero sfoggio della ricchezza poiché condivide il segno della
sua ricchezza facendosi lui, il Santo, servo del servo.
Bellissima e toccante
icona, sintesi delle Virtù umane che devono “conformarsi al Cristo”.
[i]
Leggenda Aurea.
[ii]
Mt 25,36.
[iii]
Mt 25,40.
[iv]
Mt 14,18-19.
[v]
«Nobilissimo
pittore e molto famoso»
dice Giorgio Ghiberti riferendosi al giudizio
dei concittadini che lo ritenevano
«el
migliore»
della loro città.
[vi]
Esattamente nel 1315 da recenti scoperte.
[vii]
M.
Spragg,
Where rivers change direction.
University of Utah, U of U Press, 1999. 63.
[viii]
G. C.
Argan,
op. cit.,
317.
[ix]
G. C.
Argan,
op. cit.,
318.
[x]
Col. G. di
Cossilla,
op. cit.,
58.
[xi]
G. C.
Argan,
op. cit.,
319.
[xii]
Occorre notare che questo nella storia non si menziona la presenza di un
destriero e da quest’immagine, in moti dopo di lui prenderanno a schema
quest’attribuzione tanto da farne un “classico” dell’iconografia. Fa
riflettere anche il colore, bianco (simbolo del regnante) del mantello che
in un certo senso rimanda al cavallo bianco dell’Apocalisse Cristo un
cavaliere che partì vincitore con arco e corona, trionfalmente Fedele e
Verace dirige la ripresa delle Schiere a Cavallo (Eserciti Celesti a
cavallo, che accompagnano il Verbo verso il
Giudizio e la costituzione della Gerusalemme Celeste sconfiggendo così la
Grande Prostituta).
[xiii]
I cavalli berberi hanno il manto -di solito- chiaro o roano; la razza
andalusa è stata ottenuta dai monaci certosini
dall’incrocio di fattrici autoctone con stalloni berberi.
[xiv]
Col. G. di
Cossilla,
op. cit.,
55.
[xvi]
Traduzione letterale:
«Ed
essendosi avvicinato fasciò le ferite di lui
versando(vi) su olio e vino, avendo posto lui su il proprio giumento
condusse lui in (un) albergo e si prese cura di lui».
[xvii]
Sal 123,2.
Fonte : prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio , sito web www.alessiovarisco.it .
[dal
libro:
«Sviluppo in arte del simbolismo
teriomorfo del cavallo in Apocalisse -
Il cavallo bianco metonimia del simbolo cristico» di
ALESSIO VARISCO]
Fonte foto :
www.giuliabiagetti.com/images/sanmartino/sanmartinoeilpovero.jpg ;
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