MARCO SAYA
poesia dell'esperienza reale
Marco
Saya è nato 52 anni fa a Buenos Aires il 3 aprile 1953 dove ha trascorso i
suoi primi tre anni per poi trasferirsi a Rio de Janeiro per circa 7 anni. Dal
63' risiede a Milano dove attualmente opera nel settore informatico. La musica e
la chitarra jazz sarebbero poi diventate la sua vita e una seconda professione.
Ha
pubblicato il primo libro di pensieri dal titolo Bambole di Cera (2001) edito da
Antitesi - Laura Vichi Publisher con il quale si è classificato secondo al
concorso nazionale di poesia 'La Cittadella' dedicato alla poetessa Maribruna
Toni e successivamente premiato al concorso internazionale Victor Hugo.
Prosegue la sua attività di scrittore con la pubblicazione della seconda
raccolta di poesie dal titolo Raccontarsi (2002) edito dall'istituto Italiano di
Cultura di Napoli diretto dal Professore e poeta Roberto Pasanisi.
Contemporaneamente esce il suo nuovo libro di poesie e brevi racconti dal titolo
Dirimpettaio edito dalla Oceano Edizioni. Pubblica poi nel 2003 4-poets
silloge poetica edita dalla casa editrice IL FILO. Sempre con IL FILO pubblica
nell'Aprile 2005 la raccolta dal titolo "Noi, atomi alla ricerca di un nucleo".
Marco Saya è
presente poi in diverse antologie tra cui Swing in Versi (2004) edito da Lampi
di Stampa e l'Albero degli Aforismi (2004) e il Segreto delle Fragole (2005)
edite da Lietocolle. Conduce una rubrica musicale sul sito della Rizzoli
Speaker's Corner. Presenzia ad alcuni concorsi di narrativa e poesia in qualità
di membro di giuria. Infine è presente su tutti i più importanti siti di poesia
dove raccoglie importanti risultati nei vari concorsi proposti e partecipa ai
vari reading nelle manifestazioni poetiche.
Dalla prefazione
del libro di poesie :
NOI, ATOMI ALLA
RICERCA DI UN NUCLEO, di Marco Saya, ed. Il Filo.
La fine del viaggio avrà gli occhi di un tenero amante/
o l’ingenuità necessaria del non vivere/ per vivere?
L’essenza della
raccolta poetica di Marco Saya è il viaggio dentro la vita, la vita del nostro
presente. Un viaggio in cerca di verità in cui “i sentimenti liberano/una rabbia
urlata/alla solitudine del vento” svincolando così quella parte d’esistenza
pura, quella che fugge ai gesti vuoti della monotona e meschina quotidianità,
quella che rimane ancorata alle serrature del tempo per aprirne dei varchi e
respirare l’esistenza ed il suo senso ultimo in modo autentico. Attraverso la
poesia Marco Saya libera se stesso, come un verso, come un grido necessario,
come un frammento di tempo e di mondo sottratto all’ipocrisia degli uomini. La
sua poesia dà così voce al coraggio, l’unico che può farci sentire ancora vivi,
ancora in grado di pulsare, di sentire la nostra essenza fino a comprenderla e a
comprenderci come parte del mondo. Perché dell’umanità condividiamo tutti lo
stesso destino, un destino di guerra, di povertà morale, sempre più artefici,
vittime e spettatori insieme di scempi alla dignità dell’uomo e della natura.
Perché per essere umani abbiamo tutti bisogno di renderci consapevoli e
responsabili di quello che ci circonda, in un gesto di coraggio che diventa
presto necessità, necessità di volare oltre il cielo, sopra le nubi per trovare
lì la pace, l’approdo, la libertà, noi uomini come gabbiani in cerca di vita.
“Anche i bianchi gabbiani non trovano più pace. La civiltà ha deturpato la
natura, gli spazi si restringono e LORO volano sempre più in alto, sopra le
nubi, unico approdo allo scempio dell’umano”
(da I senza tetto).
Lo sguardo di
Marco Saya si posa con acuta sensibilità sul mondo e sulla nostra società che
osserva senza indugi, senza sospensioni del pensiero e slanci di vuoto lirismo
ma trasformando con determinazione il pensiero in parola e la parola in atto. Un
atto cosciente del significato e del valore della parola che diretta ed
essenziale arriva dritta al centro dell’umanità e si fa denuncia, si fa vera, si
fa poesia.
Quella poesia
che oggi, come vorrebbe il grande poeta Edoardo Sanguineti – la cui lezione e
“ideologia” poetica non è estranea all’autore -, dovrebbe recuperare il suo
legame intrinseco con la contemporaneità e farsi esperienza reale del nostro
tempo.
La poesia di Marco
Saya sembra muoversi proprio sulla linea del pensiero poetico di Edoardo
Sanguineti al fine di far recuperare il valore e la responsabilità sociale e
civile al poeta e alla poesia.
Alcune Poesie di
Marco Saya :
Sopravvivenza
E’ triste pensare alla sopravvivenza
della dea mediocrità, espressione contusa
di botte tra ubriachi, risse tra poveracci
e quell’osso rosicchiato non sfama
l’ambizione di troppi cani
(sciolti o organizzati che siano…)
E’ bello lasciarsi guidare dalla penna…
Comunque vada…
Comunque finisca…
E’ triste pensare alla sopravvivenza
della dea mediocrità, espressione contusa
di botte tra ubriachi, risse tra poveracci
e quell’osso rosicchiato non sfama
l’ambizione di troppi cani
(sciolti o organizzati che siano…)
E’ bello lasciarsi guidare dalla penna…
Comunque vada…
Comunque finisca…
Precarietà
Questo senso di precarietà
mi verrebbe da bisbigliare…
Perché tutto si tinge d’incerto?
La nostra vita ricerca il significato
tra strani geroglifici e la violenza del romanzo
urta quella pace (perché gioca a nascondino?) macchiata
da pensieri che s’incrociano,
sfuggono, non si guardano
Forse non si piacciono?
Forse aspirano a chiudersi nell’olocausto
di ricorsi folli e perdenti?
Forse abbiamo deciso
di morire così…rassegnati?
Questo senso di precarietà
mi viene da urlare…
Ombre
Ombre ineluttabili
avanzano
Il marciapiede
da dietro
osserva
l’asfasto macchiato
Non una nube
ma il buio della presenza
copre
l’assenza del passo,
indifferente nella direzione…
Globalizzazione
Questa mattina osservavo
una signora della Milano bene
a braccetto con un’elegante donna con il Burka
Attraversavano il semaforo e occhi sbigottiti
guardavano questa strana coppia…
E riflettevo…
su come fosse ancora lontano l’altro lato della strada…
Al segnale del verde
motociclisti irrequieti
ripartivano con un sospiro di sollievo…
Finzione
È strano vedersi che vivi,
ti domandi perché sei lì…in mezzo agli altri (chi?)
Forse è tutta la finzione di un dio effimero
(prigioniero in un corpo acquoso)
Persino il tempo, pagliaccio neuronico,
è l’immaginazione di un frutto che, marcio,
si spiaccica nel ritorno all’humus di una nuova terra…
Sintesi
Quando il tempo assottiglia la foglia
chiusa tra le pagine di un vecchio album
che,giovani,riempivamo di belle speranze
allora il domani ci appare nelle vesti
di quella saggezza sprecata
nell'adolescenza del pensiero
che,fattosi adulto, riconosce
la futilità del proprio vivere
Attesa
Sentite gli umori del popolo
Oggi tace
Ascoltate le parole della gente
Domani sarà troppo tardi
Le piazze ora sono deserte
Un piccione becca un tozzo di pane
Un passante incrocia un turista disperso
Un palco vuoto aspetta che il vento
disperda le polveri…
La storia inizia indietro
la storia inizia indietro,
pianti neonati in una villetta
sudamericana,
lumache alle pareti
bianche e scrostate
con l’atlantico ai piedi.
“dov’è papà?”,
“in giro per
il mondo”, la
tata
mi sollevava
già
sballottato di
mano in mano…
gli aquiloni, con quel vento lì,
un tiro alla fune verso l’alto.
manca la stretta sicura,
un dubbio che mi porto da sempre,
una risposta persa tra la sabbia
fine.
“cosa aspetti a tornare a casa?”
corrono le piccole gambe,
corrono i giorni da rito uguali.
la finestra sorride al poco verde
- ora - stretto
tra mura di polveri.
“dov’è
la ciclabile?”,
e “quel tram che mi salutava?”
e "l’adolescente che scalava la vetta
della vita?”
si affaccia da altri balconi,
la Milano volgare,
incancrenisce immagini
di figurine,
copie di abitanti.
l’onda mi veniva incontro,
amica nel gioco dello spruzzo.
il Corcovado ci abbracciava
con il calore, colori della gioia.
non sapevo di povertà.
non sapevo di sifilide.
non sapevo di multinazionali.
sapevo di essere felice.
il grigiore di
un
open space
in finte periferie adornate
con lampioni
simil
Versailles, sparuti
come bianchi cigni stagnanti di
contorno
a quattro
sedie
thonet
da bar.
“che
ti va di prendere?”
per ammazzare la noia
del pre
solarium
chè
nuovi raggi anticipano il sereno.
la strada saliva tortuosa,
un chiosco di
banane -
pit stop –
anticipava la vista del Cristo.
le vie sono tutte uguali, oggi,
una foto
sbiadita
qua e là
segna un percorso di croci
e quel Padre l’ho perso
nell’infanzia della mente.
“hai preparato l’offerta?”,
ti chiede un estraneo.
“hai
fatto i compiti?”,
ripeteva mia madre.
ora capisco la congiunzione degli
intenti,
figlia della rabbia disperata
rassegnata al
voto di
castità
come
appartenere, essere in questo mondo
e avvertirne il recinto
perché
fuori è buio pesto.
il tempo aiuta a morire.
“che ore sono?”,
il ricordo è vita a ritroso
come
quando torni sui tuoi passi,
come quando gli alberi
sfrecciano impazziti
perché i tuoi occhi
vedono frazioni di intervalli
e la storia inizia indietro.
Fonte: si ringrazia l'Autore Marco Saya per aver gentilmente fornito ad ARTCUREL i testi da pubblicare.
Altro link sull'Autore : www.ehinet.it/aphorism/vostro/s/saya/
Nessun commento:
Posta un commento