MARIOLOGIA DELL'ARTE
di Alessio Varisco
Madonna delle Grazie, Grosseto
Nell’ambito
dell’iconografia cristiana esistono numerosi studi sulla “marianità”
iconica dei primi cristiani. Certamente l’esempio più arcaico a noi pervenuto è
quello della Catacomba di Priscilla a Roma (l’istoriazione
è risalente alla fine del III secolo): Maria è seduta e presenta il Bambino ai
Magi accorsi per renderGli
omaggio. Ed è uno degli archetipi, se non il typos
della protocristianità, l'iconografia che resterà
fondamentalmente costante per secoli, fatti salvi i costumi dei Magi e le
ambientazioni, per schiere di artisti devozionali, a
seconda dei loro meriti artistici e/o notorietà.
Monza è la città
di Teodolinda ma molti non sanno che custodisce
alcune delle ampolle paleocristiane,
provenienti
dalla Terrasanta, e conservate nel Museo del Duomo, alcuni dei temi iconografici
mariani ricorrenti nella storia dell’arte. Potremmo quasi dire che
quello monzese è un tesoro della cristianità iconica
mariana, una sorta di bestiario mariano.
Purtroppo la
cristianità ha subito nel corso dei secoli innumerevoli “sfregi”. Primo
fra tutti la lotta alle immagini sacre, forse dettate
da un oscurantismo pre-cristiano e semita. Difatti
sono rarissime le icone mariane scampate ad encausto
anteriori la lotta iconoclasta,
avvenuta dopo il VII Concilio ecumenico, che convalidò la legalità e il valore
delle immagini liturgiche, si sviluppò una produzione di icone a tempera
all'uovo.
Oltre
all’affinamento delle tecniche pittoriche, delle lavorazioni su tavola o a
fresco, della capacità di resa della fisionomia,
inizia un lungo e fervente momento dell’arte in cui è possibile volta per volta
scorgere nuovi volti mariani. Ecco che Maria si fa
Orante con le mani levate al cielo
in segno di preghiera, oppure
Theothokos, segno della
magnificenza e della potestà di esser Colei che ha dato alla luce il Logos,
altrimenti Odighitria
vale a dire “conducente” e che mostra Lei a Gesù la vera via per spingersi al
Padre.
Nell’Oriente
cristiano si sviluppa una nuova disciplina: l’arte
delle Icone. Chiedo venia agli interessati e agli studiosi nel trattare così
brevemente un capitolo incontrovertibile della storia dell’arte a cui
bisognerebbe dedicare molto più spazio, ma in questa trattazione non
ci è possibile.
L'icona bizantina
è preghiera, frutto di raccoglimento, ponderazione, pazienza, introspezione più
che l'estrinsecazione di una intuizione individuale o
impressione, è frutto di una tradizione ecclesiale in cui l'artista
intenzionalmente s'inserisce, arrendevole ed accondiscendente allo Spirito
Santo. La modestia dell'immagine si specifica nella
ottimizzazione del volto e delle mani, estremamente valorizzate nei particolari
con una dovizia lodevole, mentre gli indumenti rivestono il corpo.
Non è difficile
rinvenire Maria accompagnata dalle stelle: tre stelle
sulla fronte e sulle spalle che ne segnalano la Verginità prima, durante e dopo
il parto. Si può notare come una seppure semplice immagine contenga in sé, e
nella sua simbolica elementi che ne fanno un trattato
di teologia dogmatica ed un manifesto dei Concili e del Magistero della Chiesa
ufficiale. Importante da sottolineare questo cedere
del “segno”, e del “symbolon”, al cospetto della
catechesi divenendo perciò una sorta di catechesi visiva, di fumettazione non
solo biblica, ma anche teologica e dogmatica, senza mai indulgere al
particolare, all’effimero, ed andando invece alla sostanza stessa, all’essenza
della cristianità e del suo pensiero. Il Bimbo trattenuto fra le Sue braccia ha
il volto di persona matura: è l'Eterno,
Dio stesso fattosi carne che ha assunto una forma mortale!
Individuata col
Figlio, in riferimento a lui, decisamente madre,
Maria è diventata l’immagine stessa della Chiesa. In ambito occidentale sono
rare, anche nella nostra Italia, le immagini di Maria nelle quali si
possa ravvisare un'impostazione bizantina.
Maria che soffre
ai piedi della croce, che sorregge il corpo inanimato di Gesù sono le immagini
che rappresentano maggiormente quelle note della nostra fede e pietà devozionali.
Corde che toccando la nostra emotività, che più ci
approssimano a Lei: nelle deposizioni, nelle scene di compianto, nelle
pietà. Ci sembra di vivere se il pathos dell’artista ben li rappresenta quegli
istanti ultimi di stupore ed abbandono in cui parrebbe prevalere la “theologia
crucis” momento in cui solo Lei -la Madre di Dio, Maria Immacolata e poi per
grazia divina Assunta in cielo come il Figlio- rappresenta l’unico legame fra
l’umanità bisognosa di arrivare a Dio e l’immanente-trascendente ormai lontano
sconfitto dalla Croce, morto e sepolto. È quella che i teologi moderni chiamano
la Maria Donna del Sabato Santo, citando il vescovo Tonino Bello ed il Carlo
Maria Martini –arcivescovo emerito milanese-, e cioè
Colei che rifulge in terra e risplende la Beltà che è il Dio che ha albergato in
Lei.
Quest’azione,
l’aver generato il Figlio di Dio, ha sempre acceso una
adorazione antichissima. La gente, con saldissime radici popolari, fonda
affetto e
fiducia sulla “Madre
celeste”, guardata dai fedeli come una protettrice, una patrocinatrice ed una
"avvocata". Per queste virtù Maria è “ponte” ed è proposta dalla Chiesa come
eccelso esempio di fede, nonché summa di tutte le
virtù. La restituzione in rappresentazioni iconografiche altalena perciò tra la
ieraticità
più solenne e la
domestica colloquialità.
Maria assume valenze iconografiche dalle mille
sfumature, componendo l’intera tastiera dei toni della fede in un infinito
variare di accenti che ne sottolineano ora l’uno, ora l’altro sempre
confortandocela quale Madre nostra. Per questo motivo è difficilissimo render
conto delle incalcolabili immagini dedicate alla Vergine.
Orbene bisogna
sforzarsi di individuare –e di illustrare- le maggiori tipologie iconografiche,
consci che l'immagine di culto della Madonna tollera tangibili diversificazioni
iconografiche da luogo a luogo in virtù del tipico aspetto della venerazione.
Perciò l’icona di Maria, od un quadro della Vergine, appare
diverso per modalità, toni, insegnamenti; è come ciò che si verifica
studiando diversi santuari a Lei dedicati e la loro allocazione.
Possiamo quindi
parlare non già di meri “stilemi” bensì di “tipologie mariane”. Ogni immagine è
il frutto, dunque, del culto alla Vergine associato e
poi tradotto ironicamente. È il caso di dire che ogni culto forgia una diversa
“tipologia”; vi sono: la Madonna delle
lacrime (nel lariano a Dongo),
delle Grazie (Monza e Milano),
del sangue a Re (Novara),
dell’Annunciata (a
Piancogno),
del fuoco a Forlì, innumerevoli
del latte, del Carmine, della Salute.
Alcuni templi mariani derivano dalla adorazione
dell’icona della Vergine (ad Oropa addirittura l’effige fu dipinta
dall’Evangelista San Luca, a Dongo sul lago di Como
e a Santa Maria Nascente di Merate –due conventi francescani-). Molti Santuari
mariani sorgono sul luogo ove si verificò
l’apparizione ed è il caso di: Caravaggio, Tirano e
Gallivaggio, sono state realizzate dopo l'apparizione. Altre effigi sono
state rappresentate per un voto espresso da qualche fedele, occupano porzioni di
parete, altari, condivise da santi o da altre effigi
mariane. Nella chiesa di San Giacomo a Livo in Alto
Lario sono una decina solo le Madonne votive diverse per atteggiamento verso il
bambino, per attributi iconografici, per costume e per stile. Infine vi sono
strutture che ri-celebrano altri siti originali
legati al culto mariano: è il caso di Tresivio in Valtellina, a pochi chilometri
da Sondrio, che sulle pendici delle montagne, fra filari di viti e frutteti di
mele si erge maestoso e solenne il santuario della “Casa Divina di Loreto” e
l’effige è custodita in una ricostruzione dell’originale lauretano. Innumerevoli
le chiese cristiane cattoliche sono dedicate a Maria e non è questo un aspetto
laterale o secondario.
Proprio
considerando la posizione che l’effigie mariana occupa nello svolgimento
complessivo della chiesa si mira ad una più chiara
comprensione della fede e del culto mariano di una comunità.
Numerose immagini che stavano su muri laterali di chiese, realizzate –per lo
più- per un voto, e poi all'accorrere dei fedeli a chiedere grazie.
Ottenute tante grazie ecco il " decollo " di quella Madonna che avendo
distribuito elargizioni celesti, il muro viene
tagliato, l'immagine affrescata trasportata fisicamente e ricollocata in luogo
gerarchicamente più significativo, dentro una cappella laterale o in quella
maggiore, o sull’altare!
Al riguardo
ricordiamo alcuni esempi. Almeno due nella Diocesi di Como:
il primo il secondo l'Adorazione dei Magi dì stampo
luinesco di S. Cassìano dì Breccia, ridotta
dopo due successivi trasferimenti ad una Madonna col Bambino, senza quasi
più nulla dei Magi, il secondo in S. Orsola, la Madonna del De
Passeris, passata dall'antica chiesa monastica alla
cappella di sinistra in quella seicentesca. In Valtellina –sempre appartenente
alla diocesi comasco- l'apprezzabile esempio della
Madonna di Campagna dì Ponte, in cui
l'affresco tardogotìco dì
Maria col Bambino è
accompagnata da sue Santi:
San Maurizio martire, titolare della
parrocchia, e il francescano Sant’Antonio Abate, che
fu riposto proprio nell'abside.
Si pensi che
nella gerarchia
bizantine l’immagine della Vergine stava al centro
dell'abside, fra gli apostoli, mentre al Cristo era riservata la sommità della
cupola, come nella chiesa del monastero di
Hosios
Lukas nella Focide
o a Dafni (XI secolo).
Nelle chiese
bizantine di area adriatica, laddove manca la cupola,
Maria sta nell'abside sovrastata da Cristo che è posto nella calotta absidale,
nel punto più alto della chiesa (Parenzo, mosaico
del VI secolo nella Basilica
Euphrasiana).
Medesimamente è in Sicilia: a Monreale e a Cefalù
(mosaici sec. XII): nel cantino absidale sta il Pantocràtor,
sotto la Vergine in trono col Bambino attorniata dagli angeli, mentre nel
registro inferiore gli apostoli.
Si può notare che
negli affreschi absidali (sec. XIII) della Santissima Trinità di
Saccargia (Sassari) Maria sta tra
gli apostoli immediatamente vicina alla finestra che
si apre nell'abside, a sinistra di chi guarda, quindi nella posizione
gerarchicamente privilegiata, e cioè alla destra del Messia. Alla sua destra sta
sempre nelle grandi croci dipinte tosco-umbre facendo pendant con Giovanni
Evangelista, e così in tutte le canoniche scene di Crocifissione. Non da ultime
le pale dipinte di epoca medievale, quale il
Crocifisso Risorto di Sarzana e quello di Lucca.
Capita, talune volte
abbastanza di rado, che al dell'Evangelista, vi sia
Giovanni Battista nelle scene di
Déesis; è il caso anche del Giudizio Universale, si
pensi al modello insuperabile di Michelangelo, e della Trasfigurazione di
Raffaello.
Dal punto di
vista iconografico la Déesis esprime proprio il
ruolo di mediatrice di Maria inquadrata con l'ultimo profeta, Giovanni,
preordinata a intercedere per quanti che,
tralasciando l'invito giovanneo, non hanno saputo organizzare integralmente le
vie del Signore. Guardando al modello invece di Michelangelo notiamo che
rettifica drammaticamente l'iconografia della Vergine, riconsegnandola
preoccupata per la sorte di coloro per i quali
neanche le sue difese hanno potuto placare il verdetto; ci troviamo di fronte a
una delle grandi varianti iconografiche di cui solo i più alti artisti sono
stati capaci. Non è una questione meramente
stilistica, bensì di esegesi del senso immenso dei testi e di intelletto
sapiente nel comunicare.
Soffermiamoci ora
su di un altro tema, quello dell'Annunciazione.
Parecchi grandi
pittori e scultori si sono cimentati nella descrizione dell’Annunciazione,
talune volte creando una fumettazione degli scritti
evangelici così ricca da sembrare un manuale di Sacre Scritture e con
risultati altissimi.
Simone Martini e
Lippo Memmi (vedasi la sua opera del 1333 custodita
agli Galleria degli Uffizi di Firenze) sono tra i
primi ad arcuare il
baculus
viatorius nobilitandolo in un rametto di
lauro, nonché a riprodurre -con emotività poetica- il turbamento dì Maria, il
suo subbuglio interiore, le sue affollanti ed incessanti domande, il suo
ritrarsi. La cornice, tricuspidata, crea un ruolo
importante.
Il secolo
successivo, con il medesimo sentimento, con gli strumenti rinascimentali –la
neonata “perspectiva oculi”
che crea la terza dimensione in pittura- di una
profondità prospettica pur ridotta ai primi piani di un proscenio, Donatello
esprime nell'Annunciazione Cavalcanti,
un’edicola in pietra serena e dorature scolpita nella Chiesa di Santa Croce a
Firenze. È uno stiacciato in cui la Vergine si trova a destra, come nella
totalità delle figurazioni, l'angelo fa il suo ingresso da sinistra.
Il Beato Angelico
esprime magistralmente soluzioni che faranno scuola. Tantissimi artisti del
Rinascimento dopo Guido di Pietro, questo il nome al secolo del domenicano
Fra'
Giovanni da Fiesole detto l’Angelico, lo prenderanno come assoluto
maestro; solo per i citare i grandi: si pensi a Piero della Francesca e perfino
Leonardo. Questo schema è antichissimo ed era la
formella, l’attributo principale, l’elemento decorativo della chiave di volta
degli archi trionfali delle chiese.
Il
modello più celebre e più completo è quello
giottesco della Cappella degli Scrovegni
(1303-1305), in cui l'Altissimo è in trono ed è attorniato -alla sommità
dell'arco- da una schiera
angelica che manda sulla terra il suo messaggero. Gabriele, l'Arcangelo, mandato
da Dio si mostra alla sua destra, sulla parte sinistra
del pennacchio, Maria sulla destra di chi osserva, del grande arco che unisce la
nave con l'aula absidale.
Quest’arco tanto
presente nelle architetture medioevali guadagnò la denominazione di “arco
trionfale” rievocando l'arco trionfale di
epoca romana, elemento celebrativo della gloria dell’imperatore.
Sui pennacchi dei
monumenti classici di epoca imperiale sono scolpite
due vittorie contrapposte con generalmente un'insegna. Si assiste ad una
trasformazione: quella che un tempo era la “vittoria”, fatta discendere dalla
greca “nike”, si modifica nel significato cristiano
dell'angelo, che regge il
baculus
viatorius, distintivo del portavoce
imperiale che si tramuta nel segno del comando divino, ambasciatore e messaggero
del Padre. Questo schema sarà ripetuto nella più parte delle chiese: nella
trasformata chiesa di San Giovanni in
Laterano l'annunciazione stava sui pennacchi
dell'arco trionfale, così come dipinti trecenteschi a Como in
Sant’Abbondio, in Sant’Agostino
e parzialmente (solo Gabriele) nella pericolante sconsacrata chiesa di S.
Lazzaro.
E' altrettanto
consueto rinvenire l'Annunciazione allocata anche sui
pennacchi di archi di accesso alle cappelle dentro una chiesa (a Como ad esempio
in Sant’Agostino, nella cappella della cintura),
oppure al di sopra del ciborio (Parenzo, Basilica
Euphrasiana).
Le due vittorie
degli archi romani restano comunque un conto a se
stante rispetto il tema cristiano delle chiesa. Eppure esistono esempi intermedi
come ad esempio la bellissima chiesa di San Proclo a
Naturno in Val Venosta, modello
di età longobarda antichissimo (secolo VIII) dove sui pennacchi c'è - per
parte- un arcangelo, miniato in toni di un verde smeraldo di irriproducibile
profondità, con ali non conformi agli schemi classici, in una dinamica
interpretazione dell' iconografia bizantina.
Ciò che noi
diciamo iconografia non è nient’altro che la grammatica delle immagini.
Nell'Annunciazione vi è una “costante” e cioè la
posizione sinistra/destra per Gabriele/Maria. A questo schema vi si aggiungono
svariate diversificazioni, che possono essere numerose: Maria in ginocchio, in
piedi, seduta; Gabriele in piedi o in ginocchio; solennemente fermo nel Beato
Angelico oppure irrefrenabilmente agitato come nell'Annunciazione
recanatese di Lorenzo Lotto in cui
viene messa in mostra una Vergine alquanto
spaventata, rovesciando, qui sì, la tradizionale posizione destra/sinistra, nel
momento in cui fugge dal mezzo della tela l’immagine di un gatto atterrito
dall'apparizione, che da spirituale si fa carnalissima,
con tanto d'ombre sotto le aitanti membra dell'arcangelo.
E finora abbiamo
guardato alle immagini, all’iconografia, in relazione al
contesto figura/oggetto e cercando la funzione che l’icona ha nei confronti
della disposizione, sempre nel contesto –però- della lettura dell’opera d’arte.
Si trova inoltre
un problema di “contesto” delle immagini, una vera e
propria sintassi all'interno dello spazio architettonico, che impianta per così
dire la macrostruttura iconografica, sempre enormemente indicatrice sul piano
semantico, perché gerarchizzante.
Orbene abbiamo
poc’anzi accennato alla sistemazione absidale della
Vergine -sotto il Messia- nelle chiese bizantine o bizantineggianti. La
collocazione dell'Annunciazione sull'arco trionfale
si spiega bene quando si riflette sul cosiddetto
orientamento della chiesa con
l'abside rivolta a est, alla fonte della luce solare, all'Oriente identificato
col Cristo che arriva nel mondo.
L’annuncio di
salvezza, istoriato ai lati della grande spaccatura absidale, si fa
dichiarazione della Luce che arriva dal fondo.
Talora
l'Annunciazione è lavorata a rilievo
sui dorsi della finestra centrale absidale, come nella Sacra di San Michele
ubicata in Val di Susa. Quest’ultima soluzione rende
il significato ancor più immediato.
Dal Quattrocento
si incomincia a trovare l'Annunciazione spostata in
facciata, finora abbiamo parlato di arte plastica romanica e di dipinti gotici.
Alcuni esempi: a Perugia, troviamo la facciata scolpita
dell'Oratorio di San Bernardino eseguita fra il 1457 ed il 1461 da Agostino di
Buccio; la facciata del Duomo di Como opera del 1484
di Tommaso Rodari; il protiro di Santa Maria in
Campagna a Ponte in Valtellina degli inizi sec. XVI.
Lo schema
dell'Annunciazione muta e si fa annuncio all'esterno, appello al passante,
promessa di salvezza, in una logica dell’evangelizzare portata anche fuori della
basilica -si pensi agli ordini mendicanti, nuove
modalità spirituali nella storia della chiesa-, in particolare dai francescani.
Rimane lungamente una giusta traccia della struttura iconografica dell'arco
trionfale. Analizziamo le differenze negli edifici testé
dichiarati: le due edicole a Perugia rimangono di qua e di là di un grande arco
disegnato a rilievo che contiene un san Bernardino sprigionante luce col nome di
Cristo inciso sulla tavola che tiene in mano; nella cattedrale comense è invece
portatore di luce il rosone stesso; a Ponte in Valtellina è la luminosa apertura
del protiro a creare l’atmosfera.
Momenti della
vita di Maria si ripresentano in alcuni cicli affrescati: la Natività della
Vergine.
La
Natività di Maria è oggetto di
un'organizzata composizione a più livelli di profondità pensata dal
Morazzone per la chiesa di
Sant’Agostino di Como e ripresa dal cartone dì
Giovan Battista Recchi tradotto in arazzo per
il Duomo, parlando dell’ambiente comasco.
Oltre
alle Natività
cospicui sono gli esempi di
Visita di Maria ad Elisabetta, che continuamente riferiscono
l'attaccamento tra le due donne, la vicendevole premura, la contentezza sommessa
e posseduta in comune del concepimento e dell'attesa. A tal riguardo occorre
ricordare le bellissime e rare plastiche dei Sacri Monti dell’Italia
settentrionale, delle prealpi occidentali (nelle province di Biella,
Alessandria, Asti, Varese, Vercelli, Verbania, dal
luglio 2003 iscritti nella lista dell’Unesco: Sacro
Monte di Crea, Sacro Monte di Domodossola, Sacro Monte di
Ghiffa, Sacro Monte di Oropa, Sacro Monte di
Orta, Sacro Monte di Ossuccio,
Sacro Monte di Varallo, Sacro Monte di Varese).
L'episodio della
Natività dì Cristo è senza
interposizione seguente, oggetto
di numerosissime e svariate esposizioni iconografiche, in grado di cogliere
l'intimo, estasiata introspezione di Maria (dopo la
fase bizantina in cui sta adagiata dopo il parto) e lo sposo (dopo la fase
medievale di atteggiamento distaccato di Giuseppe) in adorazione del Bimbo che
estende la mano verso la Madre.
La
Madonna
del Soccorso,
scultura in marmo trecentesca della quale si può ben
esemplificare la produzione incessante dal Medioevo di statue di culto della
Vergine col Bambino, regalmente posata su di un trono e incoronata
"in maestà" con il Figlio di Dio.
In ambiente
occidentale è in uso rappresentare le icone mariane incoronate. L’istoriazione
mariana si sviluppa anche a vantaggio di figure dipinte, andando talora a
mescolare e identificare, come nelle numerose
Madonne del latte, competenze
esteriormente discoste come quelle umanissime dell'allattamento
–che sarà vietato per le sue forme troppo esplicite dalla Riforma
cattolica- con quello della sovranità celeste.
La Sacra Famiglia
condensa la vita quotidiana di Maria al fianco del Cristo ed è talora il tema
dominante, che perde su di sé valore dimostrativo di modello cristiano, mentre è
raro trovare espresso il rapporto
madre
– figlio. Nell'episodio delle Nozze di Cana
del Morazzone in
Sant’Agostino in Como o l'apprensione della madre
per il figlio improvvisamente scomparso e poi ritrovato a discutere nel tempio:
lo sì ritrova nelle rovinate lunette dei Recchi a S.
Giuseppe in Valleggio di Como.
Nelle cappelle e
nei santuari dedicati a Maria, Madre di Dio,
sono assidui i cicli ad affresco che fra le scene della
Vita della Vergine presentano lo
Sposalizio della Vergine.
Appare molto più raro –invece- il viaggio a Betlemme, di cui troviamo
traccia nell’arte lombarda in Castelseprio IX secolo e in
Sant’Abbondio in un affresco del 1320 circa. La
usuale Presentazione di Gesù al
tempio, come pure l'Adorazione
dei Magi unitamente alla frequente
Fuga in Egitto sono certamente fra
le scene più “canoniche” e ripetute nelle istoriazioni
sacre delle chiese.
Gli episodi
congiunti ai momenti più altamente emotivi, quelli in
cui Gesù è personaggio principale, si ordinano, di norma, negli altari dedicati
alla Madonna del Rosario. È
attorno all'immagine scolpita o dipinta della Vergine che
sono raffigurati i quindici misteri
del rosario, cinque gaudiosi,
cinque dolorosi, cinque gloriosi; trattasi di quadretti dalle parche
misure, di formato tondo, quadrangolare o ovale, affrescati, dipinti su tela o
su rame.
Certi misteri
gloriosi come la Discesa dello Spirito
Santo, l'Assunzione e
l'Incoronazione di Maria
popolano, generalmente, luoghi privilegiati nel contesto dei
cicli, così come nei Sacri Monti
innalzati sul tema del Rosario (vedasi a Varese e alla Madonna del Soccorso a
Ossuccio) l'Incoronazione
si trova non in una cappella esterna, ma sull'altare maggiore della basilica del
santuario.
Dopo la riforma
tridentina sono maturate queste codificazioni
Concilio di Trento: nella sacrestia della cattedrale di Como ritroviamo
rispettivamente il ciclo di Antonio Sacchiense da
Pordenone (1570) e quello del Morazzone opera del
1610, a Gallivaggio l’opera di Gian Domenico
Caresana dipinta fra il 1605 e il 1606, a Campione
d’Italia la Madonna dei
Ghirli di Isidoro Bianchi, mentre a Tirano vi sono cinque tele
di Giovan Battista Recchi
nell'abside dipinte fra il 1634 e il 1637.
Non meno degni
di attenzione sono i cicli dì
Santa Maria Rezzonico
e di Prosto di Piuro
dove sono riprodotti i simboli mariani all'esterno e all'interno dell'arco
trionfale, rispettivamente ad affresco e su tela. Lì si riesce a trovare spesso
come riempitivo dipinti o a stucco fra i temi
principali delle cappelle mariane, oppure nelle predelle del Musso, o nei
paliotti d'altare.
Sulla facciata
del Duomo di Como ritroviamo temi analoghi precedenti, sulle piastre inferiori
delle lesene di facciata accostate a simboli cristologici.
«Le icone mariane dalle
molteplici fisionomie hanno affollato i secoli; tutte però risalivano alle icone
non dipinte ma descritte che sono distribuite nelle pagine bibliche (...). La
tradizione dei Padri, la liturgia, la devozione popolare e colta... per secoli
ha intravisto in volti femminili dell'Antico Testamento i tratti “anticipati”
della Madre del Signore» [G.
F. Ravasi, L'albero di Maria. Trentun "icone"
bibliche mariane. Ed. Paoline,
Alba (Cuneo)].
Maria, la
Theotokos, è l’interpretazione allegorica che fonda sull'intuizione della
corrispondenza tra Antico e Nuovo Testamento: l'antica alleanza del popolo
ebraico con Dio conduce alla nuova.
Esaminando ad
esempio due santuari mariani come il Sacro Monte di Varallo e quello di Varese
dal confronto emerge che: la cappella iniziale di Varallo racchiude la vicenda
di Adamo ed Eva; a Varese, c'è la chiesa in forma di
cappella dedicata all'Immacolata
che accoglie il visitatore prima di varcare il primo arco del percorso. Dopo l'Annunciazione,
troviamo la cappella della Visitazione,
con medaglioni monocromi verdi, colore della speranza, che
narrano del peccato originale; la Donna che salva l'Umanità (in ebraico
“Adam”, cioè l’Uomo con “u” maiuscola) è la novella Eva, sia che venga
individuata presso il drago apocalittico come negli affreschi romanici di San
Pietro al Monte sopra Civate, sia che pigiando la falce di luna schiacci il
serpente.
Tra i richiami
all'Immacolata possiamo portare,
fra parecchi, il seguente
esempio. Il pittore detto “Bustino”, Antonio Maria Crespi,
dipinse presso Como nella chiesa di Breccia una
Visitazione, dove
Zaccaria e Giuseppe seguono Maria ed Elisabetta.
L'episodio si ravvicina per l'impianto scenico dell’abitazione, col cagnolino
sul poggiolo d'accesso, agli esempi dei Sacri Monti, e con questi in coincidenza
per lo spiccato senso dell'azione. Insolita è infatti
nel dipinto questa iconografia dell’evento
Visitazione, perché lo scenario è cronologicamente successivo a
quello dell'incontro, che solitamente riproduce Elisabetta e Maria che si
porgono i saluti abbracciandosi, l'una di fronte all'altra. In quest’opera le
due donne entrambe sono rivolte nella medesima direzione: Elisabetta,
visibilmente di età più avanzata, tiene per mano
Maria conducendola verso casa. Si notano dalla finestra un'
ancella e dalla porta un giovane che entrambi occhieggiano; sono
altrettanti motivi presenti nelle cappelle dei Sacri Monti: per esempio a Varese
nella cappella dipinta nel 1624 dal comasco Giovan
Paolo Ghianda, la seconda, e proprio dedicata al tema della
Visitazione.
Alcuni ritengono
che il parroco di Breccia, od un’altra committenza ecclesiale, per evitare le
visite periodiche al Sacro Monte abbia indotto l’autore, il pittore Antonio
Maria Crespi, a suggerire precisi scenari che rimanderebbero attivamente alla
VII Cappella del Sacro Monte di
Orta; quest’operazione venne compiuta fra il 1628 e il 1629. Si può
perciò ripensare come una molla che può avere condotto a creare degli scenari
molto più famosi, impedendo l’esportazione
devozionale, seppure annuale e contenere le visite
meramente alla parrocchia. È prestata molta attenzione all'architettura degli
scalini e delle balaustre della casa di Elisabetta,
una sorta di trompe l’oeil.
Sui pilastrini si evidenziano, con notevole
evidenza, da una parte e dall'altra due motivi lavorati
a rilievo a forma di zucca. Elisabetta nell'invitare la Vergine indichi proprio
la zucca in primo piano.
La forma della
zucca non è certo occasionale, rientra nella simbologia dell'Immacolata
Concezione -in alternativa al cetriolo, al mandorlo e
al melograno- come è attestato dall' iconografia rinascimentale.
Si può prendere a
confronto, sempre in ambiente comasco, a conferma della lettura della forma
di una zucca scolpita sul
pilastrino, la lunetta con la
Visitazione in Valleggio. Quest’ultima
dipinta dai Recchi, in San Giuseppe, con un
originale gioco chiastico nella distribuzione
dei personaggi maschili e femminili: la zucca in questo caso fa da
pomolo al pilastrino della balaustra della scala ed
è inconfondibilmente la figura di un vegetale, con tanto di foglie disposte a
calice alla sua base.
Pur mancando
documenti atti a segnare con precisione le cronologie del Bustino e dei
Recchi, sappiamo dipinsero sicuramente nel 1626, fra
le differenti campagne d'intervento in S. Giuseppe, le due
Visitazioni potrebbero essere molto
vicine e forse entrambe entro il 1630.
La accozzamento
del racconto e del simbolo (simbolismi vegetali, un po’ come il teriomorfismo, o
rimandi zoomorfi esaltano ancor più i personaggi) è
frequente: il Beato Angelico nella sua
Annunciazione di Cortona pennelleggia
sullo sfondo la Cacciata dei progenitori; nei quadri della scuola padovana di
Francesco Squarcione, dal Crivelli al
Mantegna, l'impiego di simboli vegetali è
frequentatissimo, così come nell’iconografie più prossime.
Ed
ecco un altro “tassello” dell’intrico della simbolica.
Bibliografia:
F.
Antal, La pittura fiorentina e
il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo quattrocento. Einaudi, Torino
1960.
M.
Baxandall, Pittura ed esperienze
sociali nell'Italia del Quattrocento. Einaudi, Torino 1978.
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Prof. ALESSIO VARISCO
Designer - Magister Artium
Art Director Técne Art Studio
http://www.alessiovarisco.it
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