Pablo Picasso - "Guernica"
Un pezzo su di un Venerdì Santo nella storia
di Alessio Varisco
Pablo Picasso.
Guernica. 1937.
Pablo
Picasso è “personaggio simbolo” nel panorama artistico del Novecento, per
quasi un secolo di pratica nelle arti
figurative-plastiche. Caratteristiche dell’artista catalano
indiscutibilmente la spregiudicatezza espressiva e la libertà creativa che
brucia e consuma in un fuoco divoratore, prestandosi allo scandalo facile se
letto nell’ottica conformista borghese. Picasso è
indubbiamente l’espressione più autentica dell’arte contemporanea. Dal punto
di vista ideologico e spirituale è interessante rilevare
che
«avrebbe
potuto decidere le sorti della nuova poetica... non è mai diventato
calvinista, è rimasto cattolico, magari per togliersi il piacere di
bestemmiare. Ha risposto da spavaldo: io non cerco, trovo. La più famosa, ma
moralmente la peggiore delle sue battute»[i].
Straordinario,
infaticabile, lungo, poliedrico e ricco lavoro: le più ovvie aggettivazioni
all’iter artistico di un personaggio che rivoluzionò l’arte moderna; Picasso
rappresenta quasi l’opera sintetica di molti secoli.
Proviene da una cultura artistica figurativa, a Barcellona fonda con l’amico
Soler la rivista “Arte Jovén” ed inizia in quegli
anni il suo periodo che la critica suole definire “periodo
Blu”, H. L.
Jaffé dirà:
«Il
suo blu che non è solo un colore, ma che crea un ambiente in armonia con i
soggetti.
[...] i respinti della società, mendicanti,
cantanti, girovaghi e ciechi»[ii].
In Palazzo Reale a Milano
si è svolta da poco un’esposizione di duecento capolavori
picassiani che espongono le origini di un artista che vibra della
solitaria e rassegnata malinconia dei poveri raffigurati nelle sue tele.
Una pittura-speculazione-sociale
quella del Picasso dei primi del Novecento.
Dal 1904 si trasferisce a
Parigi al Bateau-Lavoir e modifica il suo rapporto
con il mondo e le cose. è il
“periodo rosa”, segnato dalla vicinanza e dalla conoscenza di molti artisti
tra i quali Apollinaire,
Gertrud e Leo Stein, oltre al pittore
Matisse. Il soggiorno parigino di quegli anni
esprime una rasserenata pacificazione tra l’artista ed il mondo che lo
circonda; nuovo, pacifico, disteso il rapporto con la vita che lo spinge ad
una nuova concezione formale.
Nel 1906-7 si assiste ad
una modifica ancora più radicale, quasi totale, forse sotto le
spinte delle sue ricerche verso la scultura iberica
primitiva e l’arte africana. In questi anni realizza opere rivoluzionarie come
“Ritratto di Gertrud Stein”,
una forma ritratta serrata, bloccata, che prelude l’opera chiave “Les
demoiselles d’Avignon”,
manifesto del cubismo,
figurazione
emblematica nella sua compatta struttura plastica che esclude la distinzione
fra spazio e forme.
Picasso insieme al pittore
Braque porta avanti un “Cubismo analitico” ove la
continuità fra l’oggetto dipinto e lo spazio diviene assoluto pentagramma
della composizione pittorica. Le immagini abbozzate, tagliate, paiono
scolpite, incise tra lo spazio o sottratte a questo; e le figure si fanno nel
e dal vuoto materia, assumono solidità, ribalta
tutta la superficie oggettivandola quasi totalmente.
Nasce nel 1913
un’elaborazione del precedente stile, il “cubismo sintetico”, che fa ricchezza
“papier-collé” di Braque;
è il collage che diviene di diritto parte del quadro, trascinando con sé
frammenti della realtà fattuale, coniugando nella
pittorica un ermetismo quasi “cifrato”, criptico, che diviene scrittura sulla
tela.
Gli anni che seguono
questo periodo vedono Picasso attento a comporre quanto iniziato:
tematiche e stili sempre diversi per una continua
instancabile ricerca, alternando un
«realismo
di tradizione ad un neoclassicismo dai volumi bloccati, nella chiusura
compatta delle masse»[iv].
Dionisiaco il periodo
delle “Bagnanti” che risolve con superba monumentalità
la violenza emozionale e quella affannata ricerca
-istanza generale sottesa in gran parte della figurazione
picassiana- del “ritorno all’origine” del tempo.
Mitologica l’immagine
terrificante e drammatica di “Guernica”
«Un
grande quadro storico fuori stagione, un quadro
definitivamente classico, un Poussin deformato,
schiantato, esploso, ma con una struttura di Poussin»[v].
Questo quadro è una
drammatica rappresentazione del 1937, della situazione politica di rottura,
dopo il minaccioso riarmo tedesco ed il colpo italiano in Etiopia, l’Europa
democratica e borghese inerme assiste
all’aggressione del governo fascista spagnolo. Il timore della violenta
rappresaglia spagnola però è più debole del malcelato interesse qualunquistico
della paura di un’accelerazione delle controreazioni
proletarie ed il conseguente incardinarsi che avrebbe
potuto realizzarsi in Spagna e poi altrove. Perciò
l’Europa democratica diviene torbida spettatrice, correa dell’ingiustizia, per
timore del dilagarsi della controffensiva proletaria. Parigi apre in quei
giorni l’Esposizione Internazionale dedicata come sempre al lavoro, al
progresso e alla pace.
La Spagna repubblicana vi
partecipa con due architetti razionalisti e avrebbe dovuto
completare l’esposizione l’acclamatissimo Picasso,
ormai universalmente acclamato come genio artistico del secolo, con un
murales. Picasso d’altro canto si era già
schierato politicamente dall’anno precedente con la partecipazione “Sueño
y mentira de Franco” con due serie
di incisioni. Ma in
aprile Franco ordina ai bombardieri tedeschi di attaccare l’antica città di
Guernica per spaventare la popolazione civile. Fu
una strage.
«Di
colpo decide che il suo dipinto sarà la risposta alla viltà ed
alla atrocità dell’eccidio. Nasce così, in poche
settimane, “Guernica”, che può dirsi l’unico
quadro storico del nostro secolo»[vi].
L’opera crea nel mondo
dell’arte un “unicum” e diviene perciò “precedente”, “modello” per molte altre
tragiche denunce, ben illustrate qualche anno fa in Palazzo Ducale a Genova
nella mostra
«L’arte
della libertà»:
«è
il primo deciso intervento della cultura nella lotta politica: alla reazione,
che si esprime distruggendo, la cultura democratica risponde per mano di
Picasso, creando un capolavoro»[vii].
L’opera diviene la
bandiera per tutti gli intellettuali democratici che eserciteranno pressione
sui governi democratici acché finalmente
sia garantita e difesa la democrazia.
é per Picasso l’inizio di un
successo non solo critico -già tributato-, ma anche
ideologico.
«Il toro ha
scatenato la prepotenza. Guarda arrogante dall’angolo del campo il suo
cataclisma e sbatte tronfio la coda come il fazzoletto della Medusa. Toro di
tirannide e mollezza. Il cavallo della nostra difesa è stato trafitto e
frantuma nello spasimo il guerriero. Ci resta solo il pianto delle donne sui
figli che più non saranno, ci hanno lasciato lo sbigottimento di uno sguardo
atterrito sotto la debole lampada, e le corse per una speranza infondata.
E tutto si muove esagitato in questi otto metri di
tela grigia come la guerra. Tutto spasmodicamente teso che
potrebbe scoppiare ad ogni momento»[viii].
Non è avventato leggere in
quest’immagine una lucida illustrazione del libro dell’Apocalisse, mediante
l’eccidio perpetrato a Guernica, qui però
“caricato” delle valenze storico-politiche. “Guernica”
ha la stessa detonazione della figurazione cinquecentesca del Giudizio
Universale della Sistina: Michelangelo con il suo
genio interviene nella scottante problematica della tesi cattolica della
responsabilità in opposizione alla predestinazione protestante. L’opera
picassiana è matura, responsabile e autoritaria
non meno delle “Demoiselles d’Avignon”,
spinge ancorpiù a parlare, a divenire megafono per
comunicare a tutti la tragicità contemporanea, alla
stregua dell’illustrazione dei “Cavalieri dell’Apocalisse” di
Dürer. La tela
«come
per un impulso a tutti nei modi più piani e diretti, quasi inconsapevolmente
rievoca l’apocalittica “Guerre” del Doganiere Rousseau»[ix].
La lucidità dell’autore è
sbalorditiva. Con freddezza dipinge una tela di 3,54x7,82 metri -ora
conservata a New York presso il Museum of
Modern Art- non descrivendo o raffigurando
l’intervento come Delacroix in “Strage di Scio”.
«Non
ricorre ad accenti oratori, drammatici, patetici. Non supera la realtà storica
in visione simbolica o allegorica»[x].
L’intenzione di Picasso
non è creare sdegno, o denunciare il misfatto dittatoriale fascista, bensì
rendere presente l’eccidio nella coscienza del mondo che si proclama civile
per non permettere altri errori, per reagire energicamente. Il compito
dell’opera è allora quasi catechistico: sviluppare una forza di suggestione
non scaturente dal soggetto contenuto (“la cronaca del giorno”) ma dalla
forma. Perciò la
«forma»,
espressione più alta della società occidentale, è in crisi perchè
«segno»
del più profondo ed universale disagio.
L’utilizzo del monocromato
di neri e grigi non è ad aumentare la tragicità. I toni, all’apparenza cupi,
sono animati da una vivida e lugubre continua luminosità afona che esaspera la
composizione depauperandola dei colori -immoti- che
paiono essere andati via. Le linee immote ne disegnano i contorni, delimitano
piani vuoti destinati a rimanere spogli, poiché i colori sono scivolati.
«Il
rilievo non c’è, è andato via. Il colore e il
rilievo sono due qualità con cui la natura si dà percezione sensoria, si fa
conoscere»[xi].
Separando il
colore ed il rilievo si opera un taglio nel rapporto uomo-mondo: non vi può
più essere natura o mondo. E’ subentrata la “Morte”[xii].
La figurazione è perciò “de-strutturata” perchè non rappresenta le sembianze
della vita o della natura; è ormai il tempo del termine naturale della vita
stessa, il suo opposto: la morte.
«Sentii
la roccia sollevarsi e salutare le mie ossa. Mi domandai se in quella valle ci
fosse qualche scheletro. Mi domandai se la mia
morte avrebbe potuto rattristare la terra. E dormii»[xiv].
L’opera è strutturata
seguendo il principio della scomposizione cubista analitica e mira ad
esprimere l’esauriente dato oggettivo e ad una costruzione più certa dello
spazio.
«Ora,
invece, il processo formale già rivolto a scoprire
la logica interna del reale mette in evidenza il suo nucleo simbolico»[xv].
La struttura anziché
limpida ed articolata è oscura, rigida, mortalmente simile al “rigor
mortis”; terribilmente cruda ed amara nel suo
dramma.
Ogni elemento denuncia la violenza degli aggressori ed il simbolo della morte
è determinato da quest’ossessionante immobilità.
«Passare
dalla realtà al simbolo è passare dalla vita alla morte. Uccidendo i cittadini
di Guernica gli aviatori tedeschi hanno
deliberatamente, freddamente stroncato la vita, come natura e come storia»[xvi].
Il discorso di Picasso è
teso alla profondità della coscienza, interpella ogni cittadino per chiedere
una definitiva scelta o deliberatamente con o contro il potere fascista in
Europa e le conseguenze che produrrà. L’artista si fa interprete del destino
dell’umanità, per qualcuno persino una Cassandra.
Occorre notare che
difficilmente un artista pronuncia un proprio giudizio così decisivo ponendo
al mondo un così grande dilemma, così perentorio,
se non è consapevole del proprio ruolo morale e storico mediante la sua
composizione. “Guernica” è la visione della morte
nel suo compiersi: una mattanza in atto, non “in-divenire”;
la composizione è dentro, testimonia la storia, ne diviene cronaca. Picasso
scardina gli “orpelli” dell’epica davidiana, già
rotti da Fattori nelle sue “battaglie” alias “disfatte”, ed entra non
commiserando o commemorando le vittime. Picasso è vittima. Picasso è spagnolo.
Una parte del pittore è morta insieme a quest’eccidio. E con lui muore l’arte
“Classica”: l’arte e la civiltà il cui scopo è la
mera conoscenza. Ma lo scheletro dell’opera è
classico e viene da questi superato nella resa. La prospettiva delle figure
dei caduti in primo piano, lo strombo delle finestre sono
graduati dall’alternarsi di valori, di piani bianchi-verdastri pallidi[xvii],
neri
e grigi. Il ritmo è crescente:
un pugno stringe la spada a difesa della libertà -tono nobilmente oratorio-,
il nitrito lacerante dagli occhi sbarrati del cavallo agonizzante ferito
mortalmente -
«Entro
nelle stalle infilandomi tra i corpi caldi e impazienti dei cavalli affamati.
Le loro teste sono girate insieme alle estremità
delle corde, i loro nasi quasi si incontrano, i loro ampi crani si sollevano
come ali senza corpo»[xix].
Il cavallo è centrale
nell’opera e diviene il paradigma più in alto fra gli sguardi di una madre che
urla per il figlio morto e la gente che accorre per tentare di soccorrere fra
le macerie.
«Con
“Les demoiselles d’Avignon”
Picasso faceva esplodere e disintegrava il linguaggio tradizionale della
pittura; con “Guernica” fa esplodere il linguaggio
cubista, che era ancora un linguaggio fatto per un
diverso che ora non era più sensibile»[xx].
Frantumazione, morte,
desolazione, violenza, distruzione e incomunicabilità. Gli strumenti nazisti
sono “scientifici”, come “scientifica” sarà l’eliminazione di milioni
di esseri viventi. Una scienza che distrugge in
primis se stessa, perchè serva della morte. E’ lontana la pace del
«masticare
ritmico dei cavalli che riecheggia nel basso soffitto come il frastuono di una
banda di ubriaconi barcollanti sulla ghiaia. E
barre di luce filtrano attraverso le assi e le assicelle scolorite del
fienile, tratteggiando la fila delle groppe dei cavalli»[xxi].
Il cavallo
è coniugato al singolare, è metafora della
struggente solitudine della natura mortificata dall’aggressività. La
quotidianità ha lasciato forzatamente il posto alla
inquietudine ed allo sconcerto. Alberga nella figurazione la mera solitudine.
Non più
«farfalle
celeste ardesia che entrano ed escono incerte dalle lame di luce. Un cavallo
sbuffa. Un altro tossisce. I gatti del fienile si azzuffano sopra di noi nel
sottotetto. Un roano picchiettato divarica le gambe posteriori bilanciandosi
sugli zoccoli e piscia. Il puzzo di orina calda
sovrasta gli odori diffusi di grano e sudore animale e quegli acuti di aghi di
pino e letame»[xxii].
Il cavallo in
Guernica è l’emblema della contingente
“disperazione”, per nulla umana; la pace è cancellata dalla “violenza bruta”
per nulla umana.
L’indagine
picassiana si fa “sociologica” con una stilistica
spiccatamente apocalittica; in quest’opera si assiste al passaggio di consegne
dalle rosee figurine delle “demoiselles” a questi
feticci nerei, pallidi, acromatici.
La violenza e la morte geometrizzano
i volti dei personaggi degli animali. Il tema della “Strage” entra
profondamente nella dialettica picassiana
completandone l’artista, ormai maturo, consapevole già nel periodo azzurro
delle brutture e dell’ingiustizia. Ora è -consentitemi il
termine- il “periodo apocalittico” in cui Picasso compromette il
linguaggio pittorico “caricandolo” della difesa-offesa ontologica della
“verità”, non è solo “storia” ma diviene “apocalypsis”.
E tornerà nel 1951 questo stile inconfondibile,
spiccatamente aspro come ogni verità ma salutare, nel “Massacro in Corea”
dove, con minore incisività -forse una denuncia più attempata e stanca delle
ingiustizie perpetrate in ciascun dove-, attua una fine civiltà umanistica per
un trionfo della naturalità umana nella stilistica
picassiana apocalittica fauvista.
[i]
G. C.
Argan,
op. cit., 220.
[ii]
H.
L. Jaffé,
Picasso: il periodo Blu.
in Art Modern, Paris,
1920.
[iii]
G. C.
Argan,
op. cit., 221.
[iv]
L.
Vinca Masini,
Arte Moderna. Firenze, Sansoni, 1970,
625.
[v]
G. C. Argan,
op. cit,.
437.
[vi]
Idem.
[vii]
G.
C. Argan
op. cit., 438.
[viii]
M. Dolz,
Lo splendore delle cose.
Milano, Ancora, 2001. 62. [in Appendice IV uno
stralcio più ampio in 4.8.].
[ix]
G. C.
Argan,
op. cit., 439.
[x]
Idem.
[xi]
G. C.
Argan,
op. cit., 438.
[xii]
Evidente il rapporto con l’apertura dei quattro sigilli
dell’Apocalisse che qui pare essere definitivamente nella storia
dell’umanità.
[xiii]
A tale proposito vedasi la poetica di Garcia
Lorca.
[xiv]
M.
Spagg, Where
the rivers change direction.
University of Utah, U of U Press, 1999.
64.
[xv]
G. C. Argan,
op. cit., 438.
[xvi]
G. C.
Argan,
op. cit., 439.
[xvii]
Notevole il rimando al termine greco designante il quarto cavallo
dell’Apocalisse: “clwroV”
che vuol dire “verdastro, pallido, morte, bile,
acciaio freddo”.
[xviii]
Il cavallo è pallido, come il quarto dell’apertura dei primi quattro sigilli
dell’Apocalisse.
[xix]
M.
Spagg, Where
the rivers change direction.
University of Utah, U of U Press, 1999.
128.
[xx]
G. C.
Argan,
op. cit., 440.
[xxi]
M. Spagg,
op. cit.,
129.
[xxii]
M. Spagg,
op. cit.,
130.
FONTE : Prof. ALESSIO VARISCO , Designer - Magister Artium , Art Director Técne Art Studio , http://www.alessiovarisco.it
fonte foto : http://www.msjc.edu/art/djohnson/images/art%20100%20images/chapter%2023/guernica.jpg ; http://www.publispain.com/pablopicasso/imagenes/index.jpg ; http://users.chello.be/cr51357/pics/madrid/guernica.jpg ;
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