domenica 14 luglio 2019

Rocco Scotellaro (1923-1953) un grande poeta lucano, di Antonio Carcuro



ROCCO SCOTELLARO  (1923-1953)
un grande poeta lucano





ROCCO SCOTELLARO
(un grande poeta lucano, anzi universale)
di Antonio Carcuro

Che sia verosimile, che la fortuna di poter leggere le poesie di Rocco Scotellaro - nato a Tricarico il 19 aprile 1923 e morto a Portici il 15 dicembre 1953 - sia dipesa dalla conoscenza di personaggi importanti, quali Carlo Levi e Manlio Rossi-Doria, da egli avuta in ragione della sua attività politica, appare sicuramente condivisibile: il destino di tante persone non si realizzerebbe, se non capita d'incontrare qualcuno che lo aiuti ad assecondare, alla stregua di una sorta di levatrice.
Che, tuttavia, Rocco Scotellaro si continui a definirlo sindaco-poeta ed a ritenere che egli abbia concepito la sua poesia solo come "uno strumento di lotta e di emancipazione sociale", sembra apparire perlomeno riduttivo, si rivela una categorizzazione che gli sta stretta addosso, asfittica rispetto al respiro universale che i suoi versi recano e che ha fatto sì che la conoscenza dello scrittore di Tricarico non rimanesse solo negli angusti confini regionali della Lucania, ma oltrepassasse anche quelli nazionali, approdando tradotto addirittura nella lontana America.
Certo, nel suo repertorio poetico figurano diverse poesie che rivelano il fervore della sua passione politica - "E ci mettiamo a maledire insieme", "Primo sciopero", "Topi e condannati", per citarne alcune -, ma non è per esse che Scotellaro conquista l'animo di chi lo legge, bensì per quelle altre dove egli riesce a trasfondere sublimemente il suo lirismo, gli affanni emotivi del proprio cuore, ad affrescare con parole semplici immagini ineffabili.
Ecco che allora ci si commuove quando si legge "E' fatto giorno", i cui versi più che essere intesi in senso metaforico - come entrata in scena della massa contadina - rivelano più pura poesia se vengono intesi proprio per ciò che le parole dicono e che abbiamo vissuto durante l'infanzia, quando ci si svegliava emergendo alla luce dal buio della notte, scoprendo di essere ancora vivi e sé stessi nel momento in cui ci si metteva addosso ancora gli stessi panni e scarpe, si vedeva la stessa faccia allo specchio avuti la sera precedente andando a letto; e poi ci si dedicava ognuno al proprio gioco sulla scena del mondo, annunciata dal canto del gallo e confortata dalla visione del volto rassicurante di nostra madre al focolare.
Per chi, poi, sopra i cinquant'anni, ha vissuto la propria giovinezza, od almeno l'infanzia, in qualche paese lucano, può godere del privilegio aggiunto di riuscire a rievocare nitidamente ricordi di tempi che furono, divenuti irripetibili perché gli ultimi decenni hanno fatto voltare definitivamente pagina nella vita sociale ed economica anche della nostra Lucania.
Sicché, se sicuramente potremo continuare a vedere "passeggiare i cieli sulla terra", a sentire "lo zirlio dei grilli" ed il vento fasciarci "di sottilissimi nastri d'argento", il trainante, invece, ha finito per sempre "di andare alto sul carro a scacciare le stelle con la frusta"; è finita per sempre "la processione .. cominciata già nella notte ... della fila dei mietitori che toccano la stella, l'unica rimasta in cima alla strada tortuosa, dopo aver alloggiato sulla nostra piazza un mese; non si vedrà più il mietitore leccese partire per ultimo con la sua bicicletta da passeggio; nessuno dormirà più alla mèta della paglia, dove vedeva il cielo frastagliarsi nel contrasto dei venti e nascere la punta della luna; gli asini non trotteranno più leggeri sulla comoda riva e le giumente bendate non faranno più la giostra nell'aia cantate dagli uomini che sanno farle sognare; nessuno andrà più curvo sotto le salme di legna recitando il rosario lungo freddi chilometri per cuocersi poi il volto al focolare; i fanciulli non andranno più scalzi ad assaltare i ciuffi delle viole (quante volte l'abbiamo fatto anche noi nella nostra infanzia!): questo è solo un piccolo campionario delle immagini poetiche scolpite mirabilmente dallo Scotellaro.
E non c'è chi non ritrovi in tali semplici e naturali espressioni del poeta lucano - che si leggono alla stessa maniera come si beve un bicchiere d'acqua fresca - riecheggiare la propria esperienza di vita, o quella sentita raccontare dai propri genitori e nonni, non mancando di provare uno spontaneo ed irrefrenabile sussulto di emozione.
Tanti di noi lucani siamo finiti in città lontane "... apparse la notte/dopo tutto un giorno/che il treno aveva singhiozzato,/e non c'era la nostra luna/e non c'era la tavola nera della notte/e i monti s'erano persi lungo la strada": leggendo le poesie di Scotellaro riappaiono i nostri monti, da essi la punta della luna che sale nel cielo, dal quale il trainante ha scacciato le stelle con la frusta, udendo infine l'eco lontana del suo schiocco perdersi nel buio della notte.
Chissà, però, che non arrivi che si faccia ancora giorno e che non ritroviamo, insieme ai nostri panni, alle nostre scarpe ed alle nostre facce, anche quella dell'amico Rocco: ciò ci darebbe maggiore certezza di essere ancora noi stessi, di esserci ancora ritrovati e di aver realizzato il sogno di essere insieme ad un'anima nobile, sensibile e delicata come la sua.




ROCCO SCOTELLARO
        E' FATTO GIORNO
         (ESTRATTO DI ALCUNE POESIE)

 

E' FATTO GIORNO
E' fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi
con i panni e le scarpe e le facce che avevamo.
Le lepri si sono ritirate e i galli cantano,
ritorna la faccia di mia madre al focolare.
 

CAMPAGNA
Passeggiano i cieli sulla terra e
le nostre curve ombre
una nube lontano ci trascina.
Allora la morte è vicina
il vento tuona giù per le vallate
il pastore sente le annate
precipitare nel tramonto
e il belato rotondo nelle frasche.


LUCANIA

M'accompagna lo zirlio dei grilli
e il suono del campano al collo
d'un'inquieta capretta.
Il vento mi fascia
di sottilissimi nastri d'argento
e là, nell'ombra delle nubi sperduto,
giace in frantumi un paesetto lucano.
 

ALLA FIGLIA DEL TRAINANTE
Io non so più viverti accanto
qualcuno mi lega la voce nel petto
sei la figlia del trainante
che mi toglie il respiro sulla bocca.
Perché qui sotto di noi nella stalla
i muli si muovono nel sonno
perché tuo padre sbuffa a noi vicino
e non ancora va alto sul carro
a scacciare le stelle con la frusta.
 

LE FOGLIE DELLE PALME D'ULIVO
Sovrastano sguaiate cornacchie
sui fumi dei comignoli in marzo.
Accendiamo per le nostre zitelle
le foglie delle palme d'ulivo:
morse sobbalzano, anime penanti,
dicono di sì e di no
alle nostre turbate domande.
 

PER IL CAMPOSANTO
Quando passo, per la passeggiata,
avanti il tuo cancello,
papà mio bello
che stai di casa oltre la murata,
allora c'è la pica, se è sera, che ride,
sono scostumato ché non ti saluto:
mi rimandavi indietro sulla porta,
avevi ospiti e forestieri,
perché imparassi a dirti buonasera.
 

NEL TRIGESIMO DI MIO PADRE
In quei viottoli neri
una serata di queste,
sedevano le famiglie dopo cena
ai gradini delle porte,
contavano i defunti e i nati
dell'estate che correva.
E il contadino tardo che trascorse
per i monti sul mulo
con l'ultimo raccolto
passava salutando i suoi compari.
Una porta era deserta
del compare scomparso un mese fa.
 

LA LUNA PIENA
La luna piena riempie i nostri letti,
camminano i muli a dolci ferri
e i cani rosicchiano gli ossi.
Si sente l'asina nel sottoscala,
i suoi brividi, il suo raschiare.
In un altro sottoscala
dorme mia madre da sessant'anni.
 

TU NON CI FAI DORMIRE
   CUCULO DISPERATO

Tutt'intorno le montagne brune
è ricresciuto il tuo colore
Settembre amico delle mie contrade.
Ti sei cacciato in mezzo a noi
t'hanno sentito accanto le nostre donne
quando naufraghi grilli
dalle ristoppie arse del paese
si sollevano alle porte con un grido.
E c'è verghe di fichi seccati
e i pomidoro verdi sulle volte
e il sacco di grano duro, il mucchio
della mandorle abbattute.

Tu non ci fai dormire
cuculo disperato,
col tuo richiamo.
Sì, ridaremo i passi alle trazzere,
ci metteremo alle fatiche domani
che i fiumi ritorneranno gialli
sotto i calanchi
e il vento ci turbinerà
i mantelli negli armadi.
 

LA FIERA
Tornano lunga fila ad alta sera
i mercanti della fiera.
La mamma incappucciata al focolare
s'arrossa al bianco degli occhi,
e voi bimbi aspettate
la motocarrozzetta, e tu, Angela,
il ferro piccolo da stiro
dal babbo che vi disse si partiva
alla fiera di Madonna del Monte
nella con valle tra Gròttole e Calandra.
La sua voce si è dispersa nella casa,
il suo volto l'avete incorniciato
con pochi fiori secchi sulla mensola,
il suo nome è scritto tra i caduti
di una lontana zona Monastir
dove le sue ossa sono
giorno e notte calpestate
dalle vacche d'un altro massaro come lui.
 

SUONANO MATTUTINO
La processione è cominciata
già nella notte.
vedo la fila dei mietitori
toccano la stella
l'unica rimasta
in cima alla strada tortuosa.
Nel mio viottolo budello
i ferri dei muli sulle selci
suonano mattutino.
 

IL CIELO A BOCCA APERTA
A quest'ora è chiuso il vento
nel versante lungo del Basento.
E le montagne vaniscono.
E il cielo è fisso a bocca aperta.
Si vede una fanciulla nella gabbia
sopra la Murge di Pietrapertosa
Chi sente il macigno che si sgretola
d'un tratto sulle spalle?
un rumore di serpente
il treno nella valle?
Ognuno è fedele alla sua posta.
Hanno scovato le due cagne
la lepre sul pianoro. Fugge
come lo spirito riconosciuto.


PAESE D'INVERNO

Cosucce folte
di comignoli arroventati
e le focagne attizate dalle donne.
E l'uomo fuori nel lato pastrano
chiamava la mulattiera insonne
alla zolla da districare.
 

VERDE GIOVINEZZA
C'è tempo quando abbondano
lucertole nelle vigne
e a qualcuna nuova coda inazzurra,
quando nei campi spuntano covoni
impazienti di fuoco
e la cicala assorda e mi tappa
l'orecchio alle campane, alle canzoni,
al lungo richiamo di mamma
che mi rivuole vicino e suo.
Quando la fiumara è bianca…
Allora mi voglio scolare l'orciuolo
e coricarmi in terra
senza memoria più
della verde giovinezza.
 

MIETITORI
Hanno alloggiato
sulla nostra piazza un mese.
il mietitore leccese
è partito per ultimo
con la sua bicicletta da passeggio.
 

OTTOBRE
L'estate si trascina
i cardi inariditi
e la mosca pusillanime,
le strade sparse di paglia,
il vuoto alle finestre,
il prezzemolo verde ancora
e il garofano nei vasi
ora che Ottobre s'impone.
Ottobre è là: quella nuvola nera
attesa sulla collina
piegata dai tocchi della sera.
 

LA TREBBIATURA
Cessa il motore della trebbia,
le foglie del granturco tremano,
il paese è nella trama bruna.

Case, madonne incagnate,
dormiremo alla mèta della paglia,
già il cielo si frastaglia,
nel contrasto dei venti
nasce per noi la punta della luna.
 

I VERSI E LA TAGLIOLA
Con la neve si para la tagliola
e si aspettano i gridi dei fringuelli.
La maestra ai bimbi della scuola
legge un verso d'amore per gli uccelli.
Mi piacevano i versi e la tagliola.


LE VIOLE SONO DEI FANCIULLI SCALZI

Sono fresche le foglie dei mandorli
i muri piovono acqua sorgiva
si scelgono la comoda riva
gli asini che trottano leggeri.
Le ragazze dagli occhi più neri
montano altere sul carro che stride,
Marzo è un bambino in fasce che già ride.

E puoi dimenticarti dell’inverno:
che curvo sotto le salme di legna
recitavi il tuo rosario
lungo freddi chilometri
per cuocerti il volto al focolare.

Ora ritorna la zecca ai cavalli,
ventila la mosca nelle stalle
e i fanciulli sono scalzi
assaltano i ciuffi delle viole.


GIA’ SI SENTONO LE MELE ODORARE

Già si sentono le mele odorare
e puoi dormire i tuoi sonni tranquilli,
non entra farfalla
a prendere il giro attorno al lume.
Ma non ho mai sentito tante voci
insolite salirmi dalla strada
i giorni ultimi di ottobre,
il padre m’inchiodava alla cassa,
la sorella mi cuciva le giubbe
ed io dovevo andarmene a studiare
nella città sconosciuta!
E mi sentivo l’anima di latte
alle dolci parole dei compagni
rimasti soli e pudichi alle porte.

Ora forse devo andarmene zitto
senza guardare indietro nessuno,
andrò a cercare un qualunque mestiere.
Qui uno straccio sventola sui fili
e le foglie mi vengono a cadere
delle mele che odorano sul capo.


CAMMINANO SULLE ZAMPE DEI GATTI

Improvvisa la sera ci ha toccati
me, le mie carte, la pezza di luce
sui mattoni della stanza.
E' tanto imbrunito
che mi sento addosso paura.
Ha ripreso la vita
dei piccoli rumori.
Sono sui tetti le anime
dei morti del vicinato,
camminano sulle zampe dei gatti.





Fonte:  www.carcuro.com  , sito ufficiale del poeta lucano Antonio Carcuro .






















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